Convegno. Oltre la crisi: strategia e finanza per il rilancio e lo sviluppo delle imprese. Verona 25 novembre 2010

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1 Convegno Oltre la crisi: strategia e finanza per il rilancio e lo sviluppo delle imprese Verona 25 novembre 2010 Prime riflessioni su Basilea3 e possibili impatti sulle imprese Prof. Roberto Bottiglia Università degli studi di Verona Dipartimento di Economia Aziendale

2 Premessa Il nuovo accordo sui requisiti patrimoniali di banche e intermediari finanziari, recentemente raggiunto presso il Comitato di Basilea (accordo ormai da tutti indicato come Basilea3), sta ponendo questioni molto simili a quelle che pochi anni or sono venivano avanzate a proposito del precedente accordo (Basilea2). In particolare, tra le cose che più stanno a cuore, si discute circa il possibile impatto negativo dell accordo sulla crescita economica, sull allocazione del credito bancario e sulla possibile penalizzazione di cui potrebbero essere vittime i soggetti meno forti (le piccole imprese). Tali questioni sono molto sentite in un paese come il nostro, che è da tempo caratterizzato da una crescita molto lenta e che dispone di una struttura produttiva in gran parte basata su imprese di ridotte dimensioni. Da una prima analisi del complesso dibattito in essere, si comprende come una risposta non possa che venire in termini globali ed in un quadro di inevitabile incertezza; cioè come valutazione, in chiave prospettico-probabilistica, del rapporto costi-benefici dell accordo per le collettività interessate (sistema finanziario, industriale e sociale dei paesi aderenti). A tal fine, già sono disponibili analisi e stime, a cominciare da quelle prodotte dal Comitato stesso. Prima di arrivare a ciò occorre però porsi una prima importante domanda: quali sono gli aspetti distintivi principali di Basilea3 e quali obiettivi persegue? Ovvero: perché si è introdotto un nuovo accordo, con molti aspetti innovativi, dopo un periodo assai breve di funzionamento di quello precedente? 1. Gli insegnamenti della crisi finanziaria Una prima risposta è assai agevole: tra Basilea2 e Basilea3 si colloca la gravissima crisi finanziaria vissuta da molti dei più importanti paesi del mondo nel periodo ; crisi che è a tutta evidenza la ragione della revisione dell approccio alla vigilanza prudenziale da cui nasce anche Basilea3. A tal proposito siamo tutti ben consapevoli che questa non è stata una crisi qualsiasi e che essa non è paragonabile ad altri pur gravi episodi più o meno recenti (la crisi americana delle Savings & Loans o quella delle banche scandinave negli anni 90, le numerose crisi di sistemi-paese sud-americani o asiatici); non casualmente essa è stata più di frequente paragonata alla Grande Crisi del 1929, che ebbe conseguenze disastrose e prolungate soprattutto per le insufficienze delle politiche economiche realizzate dai maggiori paesi negli anni successivi. Crisi gravissima, dunque, in cui il sistema finanziario globalizzato si è trovato sull orlo del collasso, con conseguenze potenzialmente disastrose e da cui si è risollevato solo per il pronto impegno delle pubbliche autorità e dei Governi dei maggiori paesi, che hanno mobilitato enormi risorse finanziarie. Prescindendo dall analisi delle cause della crisi, che sono ormai ben note, giova ora soffermarsi da un lato sulle più originali implicazioni della medesima; dall altro su alcuni aspetti che riguardano più propriamente il comportamento ed il funzionamento degli intermediari e dei mercati finanziari. Riguardo al primo aspetto, occorre evidenziare alcuni tratti di peculiarità della crisi : 1. la crisi ha riguardato diffusamente i paesi finanziariamente ed economicamente progrediti, a cui appartengono le maggiori banche internazionali ed in cui sono posizionate alcune delle più grandi piazze finanziarie; all interno di questo novero la diffusione della crisi è stata però assai eterogenea, con paesi sull orlo del tracollo (a cominciare dagli USA) ed altri usciti quasi indenni (ad esempio il Giappone, il Canada, l Australia). Anche in Europa

3 si sono avuti paesi colpiti molto gravemente (Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda, la stessa Germania) e sistemi assai meno coinvolti, tra cui la Francia, la Spagna (pur caratterizzata da una gravissima crisi sul piano generale) e soprattutto l Italia; 2. nello spiegare queste disomogeneità emergono due aspetti principali: il maggiore o minor rigore mostrato dalle autorità di supervisione nell applicazione delle norme e nello svolgimento della propria attività istituzionale e le strategie adottate dalle banche, con forte penalizzazione per quelle operanti con strategie più dinamiche e rischiose e benefici per quelli caratterizzati da un approccio più conservativo e tradizionale; 3. la crisi, che ha una specifica matrice settoriale-territoriale (la bolla immobiliare negli USA) si è diffusa tanto tra gli intermediari specializzati (ad esempio le investment banks e gli specialisti del mortgage lending e del property development lending), quanto tra le banche operanti secondo modelli di universal banking, cioè ampiamente diversificate. Essa inoltre, ha colpito le banche assai più di altre tipologie di intermediari (ad esempio le assicurazioni); 4. la crisi ha riguardato particolarmente i grandissimi gruppi bancari formatisi nel corso del passato decennio e caratterizzati da altissima complessità ed enormi dimensioni (spesso con volumi di assets assai superiori al PIL di paesi di media grandezza); 5. la crisi ha colpito sia gli intermediari che i mercati, assumendo, con dimensioni mai viste, la fattispecie della crisi di liquidità generalizzata; soltanto cospicue, ripetute e protratte immissioni di liquidità da parte delle banche centrali, unitamente alle garanzie governative, hanno evitato il blocco totale dei mercati finanziari e la paralisi dell attività di intermediazione. Ancor oggi molte banche dei paesi più deboli (ad esempio Irlanda, Grecia, Spagna) hanno difficoltà a rifinanziarsi nei mercati e devono ricorrere massicciamente al sostegno della BCE; 6. in ragione di quanto detto ai punti precedenti, la crisi ha mostrato il suo lato peggiore, cioè il potenziale di rischio di contagio insito nei grandi gruppi bancari e finanziari operanti a livello globale. Ne è conseguita una profonda riflessione sul ruolo sistemico di questi soggetti e sulla tematica del too big to fail, in passato spesso trattata all ombra di pregiudiziali ideologico-politiche (quando non del tutto rimossa). Riguardo al secondo aspetto in precedenza indicato, la crisi ha evidenziato una serie di aspetti riconducibili agli assetti strategico-organizzativi ed ai comportamenti assunti dalle grandi banche; queste infatti: 1. hanno diffusamente adottato strategie assai rischiose, sviluppando ambiti e servizi, quali ad esempio il trading proprietario ed il risk management (derivati), tipicamente caratterizzati da forte ciclicità dei profitti e da elevata rischiosità; inoltre hanno adottato modelli di business alquanto sbilanciati, orientati alla profittabilità di brevissimo periodo ed alla massimizzazione dello sviluppo dell attivo (il modello c.d. Originate to Distribute); 2. hanno sviluppato oltre misura il leverage, fondando la crescita su risorse di per sé instabili (le emissioni nei mercati, spesso a breve termine) ed esasperando sia il deposit gap (il divario tra depositi da clientela ed impieghi), sia la trasformazione delle scadenze tra attivo e passivo; 3. hanno dimostrato di non saper valutare adeguatamente prezzi e rischi di alcune vaste tipologie di assets, investendo massicciamente in titoli non quotati e confidando in metodologie di stima astratte e disconnesse dalla realtà del mercato (c.d. approccio mark to model); in sintesi si sono dimostrate incapaci di dominare gli aspetti più problematici dell innovazione finanziaria; 4. si sono rivelate del tutto o quasi insensibili al rischio di liquidità, che è stato come occultato dietro il velo della globalizzazione e della crescita quantitativa dei mercati finanziari; 5. hanno palesato in non pochi casi gravissimi carenze di governance, sia nella struttura formale degli organi, sia nel controllo del management e della struttura.

4 A fronte di ciò molte grandi banche hanno palesato alcune particolari abilità, che però hanno operato nel senso di rendere ancor più grave la situazione; si pensi: 1. alla capacità di sfruttare le lacune normative e gli aspetti di flessibilità esistenti nei diversi ordinamenti, al fine di minimizzare il costo del rispetto dei requisiti patrimoniali (e, più in generale, dei controlli prudenziali); 2. alla capacità di posizionare le proprie attività nei paesi meno esigenti sul piano del rispetto delle regole, ovvero di condurre arbitraggi tra diversi sistemi normativi; 3. all abilità, dimostrata soprattutto dalle banche americane, di influire sui detentori del potere legislativo e sull attività dei supervisori, forzandoli o inducendoli ad allentare le regole prudenziali. 2. La reazione delle pubbliche autorità A fronte della gravità della crisi e dell insieme di aspetti conseguenti, la reazione delle pubbliche autorità è stata indubbiamente efficace, sebbene si sia avvalsa di un volume di fuoco (risorse stanziate) per certi versi spropositato. Sul piano immediato essa si è tradotta in una gamma di interventi miranti a tamponare le situazioni più gravi, a riavviare il funzionamento dei mercati e a ripristinare la fiducia di tutti gli operatori; interventi che si sono basati sull uso di strumenti ora relativamente tradizionali (quali le immissioni di liquidità da parte delle banche centrali, le nazionalizzazioni di banche in crisi, le pressioni fatte per favorire fusioni che potessero inglobare i soggetti critici all interno di banche sane), ora più innovativi (quali le garanzie pubbliche sulle passività emesse dagli intermediari, i piani di riacquisto o di garanzia pubblica degli assets tossici, le stesse ricapitalizzazioni bancarie attuate con strumenti tali da non condizionare la governance di questi soggetti e così via). Più interessanti sono, ai fini qui perseguiti, le iniziative sul piano del riassetto del sistema di supervisione di intermediari e mercati, destinate ad incidere nel medio-lungo termine. Tra queste, con specifico riferimento al contesto europeo, possiamo ricordare: 1. la revisione delle basi della politica monetaria, che sta conducendo (con molta fatica) alla ridefinizione del Patto di stabilità e crescita su cui si fonda l Eurosistema; 2. l adozione di una struttura di supervisione a livello sovranazionale, da cui stanno nascendo le nuove authorities europee su banche, mercati finanziari, imprese di assicurazione e fondi pensione; 3. la costituzione, in seno alla BCE, di una struttura di supervisione e controllo degli intermediari a impatto sistemico (denominata European Systemic Risk Board); 3. la ridefinizione delle regole di supervisione prudenziale, cioè, appunto, Basilea3. Quest ultima dunque nasce dal complesso contesto che abbiamo pur sinteticamente ricordato; nasce dalla peggiore crisi mai attraversata dal sistema finanziario mondiale; nasce dallo spettro del collasso finanziario generalizzato che, sia pur per breve tempo, ha attraversato i cieli d Europa e d America. Tutto ciò va ben considerato perché la prevenzione di futuri possibili episodi di grave e generalizzata crisi finanziaria è di fatto la posta in gioco o, se si vuole, il principale beneficio perseguito dalle nuove regole. 3. I limiti di Basilea2 Da quanto detto sinora, è evidente che qualcosa non ha funzionato nella più generale struttura dei sistemi di supervisione e nell insieme delle regole poste a presidio della sana e prudente gestione bancaria, quindi anche dell impianto conosciuto come Basilea2, che

5 pure, pochi anni fa, veniva presentato e vissuto come un sistema di regole altamente migliorativo. Che cosa nello specifico non ha funzionato? Al fine di rispondere a questa cruciale domanda giova ricordare che, a suo tempo, Basilea2 fu varata per far fronte ai limiti ed alle carenze del precedente accordo di Basilea (che ora possiamo chiamare Basilea1); questo accordo, che aveva introdotto per la prima volta i requisiti patrimoniali bancari, aveva in realtà lasciato aperte molte questioni, su cui Basilea2 cercherà successivamente di intervenire. In particolare a Basilea1 si devono una serie di distorsioni destinate a svolgere un ruolo cruciale nella crisi, tra cui la diffusione degli arbitraggi regolamentari svolte dalle grandi banche internazionali (soprattutto in merito alla composizione del patrimonio di vigilanza), la diffusione incontrollata delle cartolarizzazioni e la loro crescente applicazione alle attività ad elevato rischio, lo stimolo a spostare le tipologie di attività più rischiose al di fuori del perimetro dei gruppi, dando vita al fenomeno oggi noto come shadow banking system, l incentivo a trasferire rischi tipicamente creditizi sul trading book. Oltre a ciò il sistema di Basilea1 prevedeva un sistema di ponderazioni scarsamente differenziato, non considerava gli effetti della diversificazione di portafoglio, adottava un requisito patrimoniale verosimilmente troppo limitato e non considerava altre importanti tipologie di rischio (di mercato, operativo, di liquidità). Pur con il senno del poi, l impianto originario appare assai carente e non stupisce che la crisi si sia generata negli USA, cioè proprio nel paese in cui i correttivi successivamente previsti da Basilea2 ancora non erano stati introdotti ed applicati in modo generalizzato. Detto ciò, occorre riconoscere che anche Basilea2, che pure aveva operato nel senso di ovviare a questi limiti, ha avuto esiti non soddisfacenti, nella misura in cui non si è dimostrata efficace ai fini di prevenire la diffusione della crisi presso i soggetti ed i sistemi in cui pure la sua applicazione era ormai alquanto avanzata, se non del tutto compiuta. Sorvolando sul dettaglio delle innovazioni apportate da Basilea2 (che sono ben note dato l amplissimo dibattito svoltosi solo pochi anni or sono), tra gli aspetti rimasti irrisolti si possono ricordare i seguenti: 1. Basilea2 non è intervenuta sulla definizione del patrimonio di vigilanza (Tier1 e Tier2) e non ha modificato la misura del requisito, che si è dimostrata, nell esperienza della crisi, del tutto insufficiente; essa ha inoltre privilegiato, ai fini del rafforzamento patrimoniale degli intermediari, la quantità rispetto alla qualità, consentendo ai soggetti vigilati di sfruttare ampiamente gli strumenti di capitalizzazione di qualità limitata (emissione subordinate), determinando così un graduale scadimento della qualità del patrimonio bancario (o, se si vuole, un rafforzamento più formale che sostanziale). Non promuovendo in misura adeguata l armonizzazione normativa tra i diversi paesi, essa ha mantenuto ed ulteriormente incentivato gli arbitraggi regolamentari che hanno avuto parte significativa nella crisi di alcune grandi banche; 2. Basilea2, che pure ha esteso l applicazione dei requisiti ai rischi di mercato e ai rischi operativi, non ha considerato direttamente il rischio di liquidità, rinviandolo al c.d. secondo pilastro, che si è rivelato, al riguardo, uno strumento del tutto insufficiente; l impianto regolamentare, pur in presenza di non pochi affinamenti specifici (introduzione di requisiti a fronte di attività svolte in soggetti esterni e definizione di regole assai più stringenti per la mitigazione del rischio e le cartolarizzazioni), non ha potuto quindi filtrare o moderare la diffusione dei processi innovativi e dei modelli di business che tanta parte hanno avuto nella genesi della crisi; 3. Basilea2 non ha previsto alcuna disposizione che consentisse di vincolare o limitare la crescita del leverage bancario; l idea che questa potesse trovare un limite mediante i requisiti patrimoniali (se mai è stata realmente concepita dai promotori dell impianto) si è

6 rivelata del tutto peregrina; l abnorme sviluppo della leva presso i grandi gruppi bancari ha quindi vanificato uno degli aspetti più importanti dell accordo, cioè la considerazione dell effetto di diversificazione del portafoglio implicita nell adozione dei modelli statistici di valutazione dei rischi creditizi; 4. Basilea2 non ha affrontato in modo risolutivo il problema dell incentivo al trasferimento dei rischi dal banking book al trading book, assecondando così la tendenza delle banche a gonfiare il portafoglio di investimenti finanziari di dubbia qualità, da cui sono successivamente scaturite perdite disastrose; 5. I modelli di valutazione del rischio previsti da Basilea2, ed in particolar modo quelli basati sui rating interni (c.d. modelli IRB) si sono rivelati inadeguati a cogliere processi di profondo deterioramento delle condizioni di rischio, con particolare riferimento alla manifestazione di fenomeni a valenza straordinaria (fatto questo che ha reso i modelli, peraltro ancora in fase sperimentale o quasi, poco adatti a cogliere proprio i fenomeni più pericolosi per la stabilità del sistema); 6. Basilea2 nulla ha disposto o previsto in merito ai rischi derivanti dallo sviluppo di grandissimi soggetti a impatto sistemico e ad operatività globale, che hanno favorito i fenomeni di contagio e la diffusione a livello internazionale della crisi; 7. Basilea2, infine, ha contribuito a rendere ancora più gravi i potenziali effetti pro-ciclici del precedente accordo, mediante le variazioni dei rating attribuiti alle diverse classi di debitori. Su di un piano più generale, si può poi affermare che l impianto di Basilea2 ha lasciato ampia discrezionalità nella realizzazione degli interventi del secondo e terzo pilastro (sistema di controlli interni e trasparenza informativa), favorendo l utilizzo della minore complessità e rigorosità dei controlli come fattore di competitività da parte di alcuni sistemi-paese e determinando ulteriori fenomeni di arbitraggio regolamentare da parte delle grandi banche. Ugualmente, vengono ricordati altri aspetti non direttamente originati da Basilea2, ma che hanno finito per avere effetti particolarmente negativi proprio in quanto operanti nel contesto delle regole dell accordo: Si pensi: 1. agli effetti negativi derivanti dall ulteriore accreditamento del meccanismo del rating, che tanta parte ha avuto nello sviluppo della bolla e che costituisce in realtà non un effetto dell accordo, ma un problema strutturale irrisolto nel funzionamento dei mercati finanziari); 2. alle conseguenze determinate dalla diffusione dello standard contabile IAS/IRFS che, introducendo il principio del fair value, ha esasperato le dinamiche dei processi di crisi bancaria; 3. alla scarsa efficacia dimostrata da alcuni degli strumenti su cui l accordo contava per lo sviluppo del secondo pilastro (gli stress test), che non hanno consentito di cogliere i fenomeni di crisi nel loro iniziale manifestarsi. A tutto ciò si può poi aggiungere un fattore di ordine generale, attribuibile alla filosofia dei controlli bancari, piuttosto che al loro dettaglio tecnico. Ci si riferisce al fatto che Basilea2, proprio per aver introdotto molte e dettagliate innovazioni, è stato vissuto un po da tutti (intermediari, mercati, investitori, supervisori) come l infrastruttura prudenziale fondamentale, principale, per certi versi quasi unica; l argine definitivo, o, se si vuole, la soluzione finale al problema della stabilità bancaria in un contesto di deregolamentazione, innovazione e globalizzazione dei mercati. Ciò ha in qualche modo oscurato il dibattito sulla supervisione prudenziale e creato un clima di diffusa sicurezza, poi rivelatasi del tutto effimera: nella fase più critica della crisi, il vero ed unico argine sarà la mobilitazione dei Governi e delle banche centrali.

7 Nel complesso, dunque, agli accordi di Basilea, ed in particolare a Basilea2, che aveva obiettivi assai ambiziosi, possono essere attribuiti molti peccati di omissione e carenze varie; tuttavia, la recente ridefinizione dell accordo, il poco tempo trascorso dalla sua entrata a regime, la sua sostanziale non applicazione al sistema creditizio in cui la crisi si è originata, costituiscono, se si vuole, fattori di attenuazione del giudizio, che andrà probabilmente rivisto in chiave storica, quando il trascorrere del tempo consentirà di emettere valutazioni più ponderate. Resta comunque incontrovertibile il fatto che le autorità e i supervisori dei principali paesi, varando Basilea3, hanno testimoniato della complessiva insufficienza del precedente impianto. 4. La struttura di Basilea3 A fronte dei limiti di Basilea2 e dell esperienza della crisi, il nuovo accordo (vedi Tabelle 1 e 2) cerca di incidere sulla maggior parte dei problemi emersi. Infatti: 1. Basilea 3 recupera la centralità del common equity e ne rivaluta la funzione a fini di assorbimento delle perdite, mediante la rivalutazione dei requisiti legati al capitale di base e l emanazione di disposizioni più severe in materia di deduzioni; 2. i requisiti patrimoniali sono disegnati in modo da favorire sia ulteriori accantonamenti di capitale (conservation buffer, da applicarsi in via aggiuntiva a tutte le fattispecie di patrimonio), sia la formazione di risorse da utilizzare nelle fasi di difficoltà economica (anticyclical buffer); quest ultima è una significativa novità, se si pensa che va nella direzione di ovviare agli effetti pro-ciclici determinati dal sistema finanziario nella sua globalità e dalla stessa preesistente normativa; 3. l accordo introduce affinamenti e restrizioni in materia di rischi di mercato e di controparte; 4. viene riconosciuta la necessità di introdurre un vincolo assoluto al leverage, cioè al volume di attività non ponderate, sebbene espresso rispetto al TIER1 e non al common equity; viene anche individuato un valore (3%) da sperimentare nel prossimo futuro; 5. viene parimenti riconosciuta l esigenza di definire regole di controllo della liquidità bancaria (in altri termini di composizione dell attivo bancario), sebbene ciò avvenga, per ora, come mera indicazione e con riferimenti temporali alquanto dilatati. Va infine considerato che il varo di Basilea3 avviene in un contesto in cui vengono finalmente affrontate, sia pure con soluzioni non definitive, le tematiche degli intermediari a impatto sistemico, del coordinamento dei supervisori su questi soggetti, della rischiosità connessa ad alcune forme di finanza innovativa, dei conflitti di interesse connessi all investment banking, del ruolo di varie tipologie di soggetti che operano nei mercati (ad esempio le società di rating, gli analisti finanziari etc ), delle aree grigie del sistema bancario internazionale e così via. Particolare dinamismo si è osservato nelle iniziative del Governo statunitense (pur fortemente osteggiate dalle lobbies bancario-parlamentari) e della stessa Unione Europea, nell ambito di un vastissimo ed articolato dibattito ripreso nelle varie sedi nazionali ed internazionali. Entro tale dibattito si pongono anche le questioni relative all impatto atteso di Basilea3. 5. Le valutazioni su Basilea3 e l impatto atteso Crisi gravissima, esigenza di cambiamenti significativi, attese importanti: questo è il quadro entro cui è nata Basilea3. Concepito mentre ancora le più preoccupanti manifestazioni della crisi erano in atto (alcune in realtà lo sono a tutt oggi), il nuovo impianto ha cominciato a suscitare perplessità e commenti meno positivi man mano che ci si allontanava temporalmente dalle fasi più calde per approdare ad un contesto che, pur non potendo essere di indiscusso ottimismo, è meno cupo rispetto al recente passato.

8 Quest insieme di attese può essere distinto in funzione dei soggetti considerati e delle conseguenze che ciascuno di essi si attende: 1. le pubbliche autorità e i supervisori. Partecipanti essi stessi al Comitato che ha varato Basilea2, questi soggetti danno generalmente un giudizio favorevole delle nuove regole, pur essendo consapevoli che alcuni aspetti non possono essere considerati esclusivamente nella sede in questione (in particolar modo il problema dell armonizzazione normativa, ove sono in gioco rapporti e relazioni tra i soggetti sovranazionali e i singoli Stati) e che l efficacia complessiva del nuovo impianto dipenderà anche dal modo in cui si affronteranno, con altri strumenti, altri problemi connessi (ad esempio il tema degli intermediari a impatto sistemico, quello della supervisione sui grandi gruppi operanti a livello globale, quello delle sovrapposizioni tra attività bancaria tradizionale e investment banking, quello della regolamentazione dei mercati in cui vengono negoziati gli strumenti finanziari innovativi etc ). Se non altro è ormai diffusa la consapevolezza che Basilea3 è una parte importante di un impianto complessivo che deve essere costruito nel tempo con molte altre componenti. Le valutazioni meno positive in genere si concentrano sulla rilevante diluizione temporale dei provvedimenti e sull indefinitezza di alcune disposizioni (ad esempio quelle sui rischi di liquidità e sul leverage). Le voci fortemente critiche, come quella, pur assai autorevole, del Governatore della Bank of England, sono, al momento, piuttosto isolate; 2. le banche. Le grandi banche, quelle maggiormente interessate dalle nuove regole, sembrano osservare con visioni differenziate il processo. Sebbene circolino non poche simulazioni che sembrano dimostrate come la maggior parte di esse non dovrebbe avere rilevanti necessità di ricapitalizzazione, le preoccupazioni sono diffuse e riguardano sia il possibile varo di cospicue emissioni, sia la necessità di maggior ritenzione dei profitti (per cui nel prossimo futuro gli azionisti potrebbero continuare ad essere penalizzati anche in un quadro di ripresa della redditività bancaria). Ne è testimone l iniziativa assunta da alcuni grandi gruppi che hanno annunciato rilevanti emissioni nei prossimi mesi: ad esempio Deutsche Bank, Standard Chartered, BBVA, UniCredit, alcuni dei maggiori gruppi giapponesi e americani, che peraltro hanno anticipato non poche di queste operazioni connettendole a generali esigenze di sviluppo o di rimborso dei capitali pubblici ottenuti nel recente passato (così è avvenuto per molte banche USA e francesi e, in prospettiva, così sarà probabilmente per quelle britanniche). 3. Il sistema delle imprese. Come avvenuto in occasione di Basilea2, il sistema imprenditoriale si attende effetti negativi derivanti dalle restrizioni creditizie che i nuovi requisiti patrimoniali potrebbero provocare (credit crunch) e che verosimilmente andrebbero a colpire, tramite il costo del credito, le imprese di ridotte dimensioni, che in realtà non dispongono di vere alternative rispetto al finanziamento bancario. Restrizioni che, per questi soggetti, sarebbero doppiamente dolorose (credito più costoso ed effetti negativi indotti sulla domanda aggregata e sulla crescita di produzione industriale e PIL). Tale sensibilità è oggi fortemente acuita in alcuni sistemi, quali quello italiano, in cui la ripresa economica stenta a manifestarsi ed in cui permangono gli storici fattori di arretratezza strutturale ed inefficienza ambientale. Quest aspetto richiede un approfondimento specifico. 6. Basilea3, crescita economica e piccole imprese Al momento attuale non è facile fare previsioni in merito ai possibili effetti restrittivi e distorsivi di Basilea3: lo afferma esplicitamente lo stesso Comitato di Basilea nello studio appositamente realizzato, che costituisce il principale documento oggi utilizzabile a questo

9 fine; studio che comunque adotta un approccio decisamente macro-economico e che utilizza un mix di metodologie di analisi piuttosto articolato. In estrema sintesi, la conclusione a cui il Comitato giunge è che gli effetti delle nuove regole sulla crescita economica dovrebbero essere assai contenuti (nell ordine dello 0,1-0,2 % di crescita annuale perduta rispetto alle regole attualmente in vigore, più un impatto sostanzialmente marginale un ulteriore 0,02% - per le regole sulla liquidità) e limitati alla fase successiva all entrata a regime delle medesime (i 4-5 anni successivi). Con il che si escluderebbe di fatto il principale timore connesso alla ridefinizione delle regole prudenziali (cioè l avvento di una grave e generalizzata recessione). Ancor più rilevante è poi il fatto che il Comitato si attende una riduzione della probabilità di crisi finanziarie tale da compensare ampiamente i costi della minor crescita e, in buona sostanza, un bilancio ampiamente positivo. Le stime specifiche per l Italia, su cui hanno riferito i vertici della Banca d Italia (che ovviamente partecipa al Comitato e che ha collaborato allo studio), non si discostano in modo significativo da quelle di ordine generale. L attesa è di una riduzione complessiva che, sull arco di 5 anni dall entrata a regime dell accordo, non dovrebbe superare di molto lo 0,1 all anno di crescita del Pil; tale quantità di per sé relativamente modesta, è comunque vissuta con particolare e comprensibile sofferenza nel nostro Paese, la cui crescita economica è vincolata da fattori di contesto non facilmente gestibili nel breve termine. A fronte di ciò, vanno però considerati, come ha richiamato il Vice-Direttore della Banca in una recente audizione parlamentare, alcuni fattori specifici che potrebbero ridurre gli impatti negativi nel caso italiano. Tra questi: 1. la conservazione dell impianto di ponderazioni di favore per i finanziamenti alle piccole imprese, recepito senza modifiche da Basilea2; 2. il probabile accoglimento di alcune eccezioni poste dal nostro paese e relative a peculiarità delle normativa fiscale (la questione delle imposte differite che, in assenza di interventi, penalizzerebbe ingiustamente le nostre banche e quindi le nostre imprese); 3. l impatto limitato che dovrebbero avere, in termini di occorrenze patrimoniali, gli inasprimenti normativi sui rischi di mercato e l introduzione del leverage ratio, data la rilevanza che questi fattori avranno soprattutto per le banche maggiormente coinvolte nell investment banking e nelle attività finanziarie innovative (tra cui non si trovano le nostre, maggiormente legate a modelli di business tradizionali); 4. la constatazione che le banche con maggiori esigenze di ricapitalizzazione saranno, con ogni probabilità, le maggiori, mentre le banche piccole e medie, tradizionali finanziatrici delle imprese di ridotte dimensioni, dovrebbero trovarsi in condizioni assai più favorevoli; 5. l esistenza di un ampio periodo di rodaggio e di messa a regime della normativa, che ne diluirà nel tempo le conseguenze. Si tratta, a ben vedere, di considerazioni logiche e pienamente condivisibili, che però andranno passate al vaglio di analisi e previsioni specifiche e rigorose e, poi, come sempre, della realtà. In ultimo giova ricordare che critiche a Basilea3 provengono anche dal fronte opposto, ove si fa rilevare come le nuove regole potrebbero aver efficacia limitata ed insufficiente a causa: 1. del periodo eccessivamente lungo per l entrata a regime ( ); 2. della vaghezza di alcuni requisiti (leverage e liquidità) e delle incertezze connesse al periodo di sperimentazione; 3. dell incentivo che potrebbe nascere a trasferire in contesti non regolamentati (paesi offshore, shadow banking system) una parte dell attività al fine di risparmiare assorbimento

10 di capitale, finendo per occultare i rischi e per collocarli in un ambiente oscuro e fuori controllo; 4. dell incertezza circa la concreta efficacia dei contenuti anti-ciclici dell accordo. Giova infine affrontare un ultima questione che spesso viene posta a carico di Basilea3, ma, non del tutto correttamente. Da alcune parti infatti si sostiene che l impianto di Basilea3 potrebbe finire per sfavorire proprio le banche caratterizzate da orientamenti strategici prudenti (ad esempio le banche italiane e molte banche europee) le quali, colpite dall esigenza di ricapitalizzazione e dal contesto difficile creato dalla crisi, farebbero difficoltà a conseguire una redditività paragonabile a quella delle banche USA (più alcune banche europee tradizionalmente attive nell investment banking); queste, infatti, pur dopo la dura lezione subita, mantengono capacità gestionali e tradizioni operative assai più consolidate in questi business, che promettono una pronta ripresa delle loro redditività (e conseguente rafforzamento patrimoniale per la quota di utili non distribuita). Nella misura in cui Basilea3 penalizza, ma non impedisce, un attività potenzialmente molto lucrosa, sebbene rischiosa, essa finirebbe per premiare (o non penalizzare, il che è un po la stessa cosa) il modello strategico che ha causato la crisi e che ha esposto il mondo intero al rischio del collasso finanziario. Oltre a ciò, le stesse banche ad orientamento strategico prudente sarebbero portare a ricercare comunque profitti aggiuntivi in ambiti innovativi, come in parte già fatto in passato. Le imprese da esse finanziate (in prevalenza piccole imprese) sarebbero colpite due volte: dal razionamento creditizio applicato dalle banche alla ricerca di profitti in altre attività e dal maggior costo del credito che le banche imporrebbero per recuperare redditività sul piano generale. In queste osservazioni vi è molto di vero; basta semplicemente osservare la provenienza dei profitti bancari nella fase post-crisi (ad esempio nei bilanci infrannuali dei grandi gruppi per il 2010), ove il maggior contributo è fornito dalle attività di mercato e dall investment banking. Specularmente si osserva la stentata ripresa degli utili nelle banche più tradizionali, che stanno operando con margini d interesse bassissimi e stabili, irrigidimento dei costi di struttura ed appesantimento causato dagli oneri connessi allo smaltimento delle esposizioni deteriorate. Ne è un esempio quasi perfetto il nostro sistema bancario, sopravvissuto benissimo alla crisi e oggi afflitto da sviluppo rallentato, problemi di produttività, emersione di grossi volumi di sofferenze e incagli e, in sintesi, bassa redditività. Proprio il fatto che questi effetti siano già oggi ben visibili rappresenta però una buona ragione per non attribuirli esclusivamente ed automaticamente a Basilea3, che è di là da venire. Più realisticamente essi vanno attribuiti al nodo non risolto dei limiti e degli orizzonti dell attività bancaria, che è giunta a cumulare nello stesso soggetto attività che sostengono direttamente e capillarmente lo sviluppo economico (credito) con servizi finalizzati a segmenti ristretti, ma profittevoli di clientela e financo attività di puro rischio (non casualmente si è spesso parlato, con riferimento ai casi più estremi, di casino banking). E a fare ciò all interno di strutture di grandissime articolazione e dimensioni. A tal proposito e ragionando pragmaticamente, va considerato che una forte ed incisiva penalizzazione dell investment banking potrebbe pregiudicare l adesione all accordo del sistema statunitense, ove l introduzione di alcuni vincoli e limiti, peraltro relativamente moderati, ha dovuto confrontarsi con una formidabile resistenza delle lobbies finanziarie operanti presso il Congresso ed il Senato. 7. Implicazioni per la gestione finanziaria delle imprese Nel complesso, dovrebbe ora essere chiaro come una previsione precisa degli effetti di Basilea3 sulla crescita economica e sul finanziamento delle imprese sia alquanto difficile e

11 sicuramente prematura. Essa, per ora, può essere tentata solo sul piano dei modelli macroeconomici, certo utili per orientare le attese ed i comportamenti di tutti i soggetti coinvolti, ma, verosimilmente, capaci di definire soltanto un abbozzo, incerto e mutevole, di un fenomeno particolarmente complesso ed articolato. Più realistica appare invece la possibilità di prefigurare alcune linee-guida che le imprese dovranno seguire per porsi in sintonia con il contesto generale in cui Basilea3 è inserito e così ottimizzare la gestione delle risorse finanziarie. A tal fine il punto di partenza è costituito dal processo di generale razionalizzazione che gli intermediari finanziari dovranno comunque condurre nella gestione del credito (che, in realtà, costituiva già uno dei primari obiettivi dei Basilea2). Se infatti le banche saranno portate, per effetto della crisi e delle nuove regole, ad una gestione più attenta e prudente del credito, saranno ovviamente premiate le imprese: - capaci di rappresentare correttamente, al di là del dettato normativo, i propri risultati gestionali; - capaci di definire chiaramente e prospettare ai finanziatori i propri programmi di sviluppo, nel quadro degli obiettivi perseguiti e dell asseto strategico prescelto; - dotate di strutture organizzative e sistemi operativi e gestionali in grado di supportare con efficacia la relazione con le banche finanziatrici; - caratterizzate da strutture finanziarie solide e da logiche di gestione che privilegiano il consolidamento e la crescita dell impresa, sia pur nel rispetto delle attese di proprietari ed azionisti. All opposto sarà più difficile accedere al credito in presenza di strutture finanziarie permanentemente fragili, assetti e regole di gestione finanziaria scarsamente formalizzati, precarietà degli assetti organizzativi della funzione finanziaria, capacità amministrative limitate e confinate nei tradizionali ambiti, persistente propensione alla redistribuzione massiccia dei profitti. Va da sé che, se così sarà, le nuove regole finiranno per favorire soprattutto le imprese più pronte ad adattarsi al nuovo contesto, stimolando le altre ad allinearsi a questi standard; ciò non potrà che favorire un più generale progresso dell efficienza gestionale e della capacità competitiva del nostro sistema produttivo. A fronte di ciò bene sarebbe non sopravvalutare i timori che alcune delle tipiche peculiarità delle nostre imprese possano andare perdute, nella misura in cui appare sempre più chiaro che queste, nel contesto dei mercati globalizzati e della concorrenza internazionale, finiscono ormai per adombrare degli insostenibili punti di debolezza. In sintesi, pensando al prossimo futuro, è bene non focalizzare troppo l attenzione sulle possibili implicazioni negative di Basilea3, nell illusione che si possa vincolarne o sterilizzarne tutti i possibili effetti non graditi (in particolare quelli che potrebbero essere tali soltanto per alcuni dei sistemi-paese coinvolti, tra cui il nostro). Del resto è illusorio pensare che, dopo la crisi che abbiamo vissuto, la ridefinizione profonda di regole ed assetti del sistema di supervisione bancaria si riveli perfettamente neutrale rispetto all allocazione del credito ed anche agli stessi processi di crescita economica (se così fosse, perché allora dovrebbero essere introdotti cambiamenti rispetto alla situazione attuale?). Al contrario appare più produttivo pensare che, se pur Basilea3 potrà avere qualche riflesso negativo sul piano generale od anche su quello specifico del finanziamento delle piccole imprese (relativamente al quale il Comitato avrà comunque, nel lungo periodo di entrata a regime, più di un occasione di intervento), da essa si attendono risultati importanti proprio sul piano dei miglioramenti che essa potrà stimolare nell ambito della gestione del credito

12 bancario ed in quello, ad esso fortemente connesso, della gestione finanziaria delle imprese. Guardando al futuro, appare auspicabile che le imprese, senza rinunciare a stimolare il dibattito e a promuoverne miglioramenti ed adattamenti, la considerino soprattutto un occasione di rafforzamento competitivo nel quadro dei processi di internazionalizzazione ed innovazione che, pur rallentati dalla crisi, certamente proseguiranno nel prossimo futuro Tabella 1: I requisiti patrimoniali (capital requirements) di Basilea3 (valori percentuali rispetto alle attività ponderate) Common Equity Tier1 Capital Total Capital Requisito Minimo 4,5 6,0 8,0 Conservation buffer 2,5 Requisito + buffer 7,0 8,5 10,5 Countercyclical buffer 0-2,5 Tabella 2: raffronto tra Basilea2 e Basilea3 (valori percentuali) Requisiti e Regole Basilea2 Basilea3 Minimo common equity 2 4,5 Conservation buffer - 2,5 Complessivo common equity - 7,0 Minimo Tier1 4 6 Complessivo Tier1-8,5 Minimo Total Capital 8 8 Complessivo Total Capital - 10,5 Countercyclical buffer - 0-2,5 Leva massima * - 3 Regole liquidità - da definire Regole per SIFI** - da definire * riferita alle attività non ponderate ** Systemically Important Financial Institutions

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