Ceramiche invetriate da un contesto dell VIII secolo della Crypta Balbi Roma

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1 Ceramiche invetriate da un contesto dell VIII secolo della Crypta Balbi Roma In questo contributo viene preso in esame un piccolo gruppo di ceramiche invetriate relative ad un contesto altomedioevale dell'esedra della Crypta Balbi, databile all VIII secolo inoltrato 1, ad eclusione dell'invetriata del tipo Forum Ware che viene trattata nell articolo che segue, dedicato alla vetrina pesante altomedioevale dello scavo della Crypta Balbi, a cura di D. Romei 2. In occasione di questo seminario alcuni dei materiali già selezionati per un programma di ricerca diretto da M.B. Annis 3 sono stati ripresi in considerazione nel quadro della campionatura effettuata per le produzioni altomedioevali di Roma 4, offrendo lo spunto ad una rinnovata riflessione sull'intero contesto che rimane ancor oggi uno dei più significativi dell'italia altomedioevale 5. [351] Si tratta di un deposito scavato nel 1986 solo parzialmente ma che, pur incompleto, ha restituito una massa ingente di frammenti ceramici (circa ) che hanno consentito di delineare in maniera piuttosto dettagliata il quadro delle produzioni di Roma in questo periodo, non senza qualche difficoltà dovuta alla presenza di una percentuale molto alta di residui (stimati intorno al 25% circa del totale), la maggior parte dei quali relativi al periodo tardo-antico (V-VII secolo), che hanno reso in molti casi difficoltosa o incerta l'attribuzione di alcune tipologie alle produzioni in fase, trattandosi del primo complesso ceramico di una certa entità riferibile con certezza all VIII secolo scoperto a Roma e pertanto quasi del tutto privo di elementi di confronto in ambito urbano. Il grafico della Tav. C, 1 riassume i dati quantitativi di tutta la ceramica rinvenuta, ad eccezione dei frammenti residui che non figurano in questo computo; tra i materiali in fase prevale la ceramica acroma ad impasto depurato, distinta in contenitori di piccole e grandi dimensioni (rispettivamente il 24,5% e il 30,4%), seguita dalla ceramica da fuoco (26,3%). La percentuale di ceramica con decorazione dipinta in rosso è molto contenuta (3,4%), minima quella delle invetriate con rivestimento completo o con macchie (casuali) di vetrina (0,9%), mentre sono relativamente numerose le lucerne, quasi tutte in ceramica acroma depurata. Va segnalato infine il rinvenimento di alcuni frammenti di pietra ollare. Questi valori si riferiscono al giugno del 1986 e dovranno essere integrati con il conteggio dei materiali che saranno recuperati con la ripresa delle indagini nonché essere modificati a seguito di un esame molto più approfondito di quello che è stato possibile effettuare finora degli stessi materiali, da cui può derivare una più chiara valutazione e distinzione delle ceramiche in fase da quelle residue. 1 Per la definizione cronologica e le caratteristiche del contesto si veda SAGUI -PAROLI 1989; ROVELLI 1989; per un esame preliminare delle diverse classi ceramiche CIPRIANO et al D. ROMEI, La ceramica a vetrina pesante altomedievale nella stratigrafia dell'esedra della Crypta Balbi, in questo volume (d'ora in poi citato: ROMEI, infra). 3 I risultati di questa ricerca sono presentati in questo volume nel contributo di M. B. ANNIS, Ricerche mineralogico-petrografiche di campioni ceramici provenienti da diversi contesti romani (d'ora in poi citato: ANNIS, infra); i campioni che si riferiscono ai materiali qui trattati sono contrassegnati dalle seguenti sigle: 7284, 7281, 7282, 727; il campione della Crypta Balbi contrassegnato dalla sigla 722 si riferisce invece ad un'olla non invetriata, di imitazione di un tipo di VII secolo, cosiddetto costantinopolitano, per il quale si veda una illustrazione in CIPRIANO et al. 1991, Fig. 3, 1, a cura di L. Saguì. 4 Cfr. S. SFRECOLA, Studio mineralogico sulle ceramiche a vetrina pesante, analisi n. 112, in questo volume (d'ora in poi citato: SFRECOLA, infra). Il campione su cui è stata effettuata quest analisi corrisponde al frammento di chafing-dish illustrato alla Tav. 1, 2, residuo in uno strato medievale dell'esedra della Crypta Balbi (II332) (Crypta Balbi 5, n. 295), ma appartenente certamente allo stesso esemplare di chafing-dish di cui si sono rinvenuti diversi altri frammenti negli strati di VIII qui in esame e da cui è stato prelevato, per maggiore sicurezza, il campione 7281 analizzato dalla Annis (cfr. nota precedente). Dal contesto di VIII secolo sono stati campionati inoltre alcuni frammenti di Forum Ware : cfr. SFRECOLA, infra, analisi nn. 359, 360, 251 e 250 corrispondenti ad una parete di forma aperta non decorata, ad un coperchio frammentario e a due pareti di forme chiuse, con decorazione a petali applicati, per i quali si veda ROMEI, infra, nn. 1-4, Fig. 1 e Tav., già illustrati in precedenza in CIPRIANO et al. 1991, Fig. 6, 14-16, a cura di L. Paroli. 5 Cfr. nota 1; in questa occasione si riprendono in esame, in forma necessariamente sintetica ma con alcune precisazioni ed aggiornamenti, solo le invetriate con rivestimento interno e ie invetriate casuali, le anfore, la ceramica dipinta in rosso e la ceramica comune ad impasto depurato, rimandando per le anfore più antiche e per la ceramica da fuoco a CIPRIANO et al e per la ceramica a vetrina pesante a ROMEI, infra.

2 Ciò premesso, si passa a considerare in primo luogo la ceramica invetriata di questi strati dell'viii secolo dell'esedra della Crypta Balbi dove ricorre, come si diceva, in percentuale minima, addirittura irrisoria se si considerano solo i frammenti con invetriatura intenzionale. Questi ultimi si dividono in due gruppi: il primo è rappresentato da ceramica ad impasto grezzo con rivestimento invetriato completo, ma limitato solo alla parte interna del vaso, che comprende due scaldavivande (Tav. 1, 1-2), un frammento di olla (non illustrato perché troppo piccolo) e due frammenti di pareti di forma non identificata, i quali costituiscono l oggetto della nostra discussione; il secondo gruppo comprende invece sette frammenti di ceramica a vetrina pesante del tipo Forum Ware, riferibili a tre esemplari con decorazione a petali in rilievo, molto fitti ed accuratamente rifiniti 6, vetrina sia esterna che interna, impasto grossolano, ed un frammento di parete di forma aperta, completamente invetriata, ma priva di decorazione e con impasto molto ben depurato 7. [352] 6 Si tratta dei frammenti di coperchio e di due brocche già ricordati alla nota 4 per i quali cfr. ROMEI, infra. 7 L'impasto di questo frammento ha caratteristiche macroscopiche distinte rispetto a quello degli altri frammenti a vetrina pesante dello stesso contesto ed è forse da considerare di importazione: cfr. ROMEI, infra, n. 1.

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7 Per l'esame dettagliato di questo secondo gruppo si rimanda, come già detto all'inizio, al contributo di D. Romei, in questo stesso volume. Alle invetriate occasionali vanno riferiti i frammenti di ceramica da fuoco con piccole gocce di vetrina 8, un fenomeno che si riscontra molto più raramente nella ceramica ad impasto depurato, segno che soprattutto le ceramiche da fuoco erano prodotte negli stessi forni delle ceramiche invetriate, con cui condividono del resto il tipo d'impasto (grossolano) e non di rado la funzione (chafing-dishes). 8 CIPRIANO et al. 1991, Fig. 6, 2.

8 Un caso particolare è costituito infine dall'anfora con un'imponente colatura di vetrina (Tav. 1,3; Tav. D), che rimane ancora un unicum nel contesto e di cui si parlerà diffusamente in seguito 9. Tra le invetriate del primo gruppo è possibile riconoscere, benché entrambi siano molto frammentari, il profilo di due chafing-dishes. Il primo presenta un breve orlo estroflesso, corpo arrotondato, fori di sfiato circolari e bocca del fornello semicircolare (Tav. 1,1), impasto grezzo rosato 10, superficie esterna nuda nettamente schiarita di colore beige chiaro, superficie interna della vasca rivestita di vetrina verdastra, opaca e bollosa. Del secondo scaldavivande si conservano solo piccoli frammenti dell orlo e delle pareti che ne permettono comunque l identificazione con il tipo munito di ansa illustrato alla Tav. 1,2, che proviene da uno strato più tardo della sequenza stratigrafica dell'esedra della Cripta Balbi 11, ma che appartiene certamente allo stesso esemplare a cui appartengono i frammenti di orlo rinvenuti negli strati di VIII secolo 12. L impasto ed il trattamento delle superfici è lo stesso che nell'altro chafing-dish, ma la vetrina è molto migliore, spessa, brillante e trasparente, leggermente cavillata, di colore marrone bruciato, di tonalità calda. [353] 9 Per un'illustrazione preliminare CIPRIANO et al. 1991, Fig. 6, Cfr. ANNIS, infra, campione n. 727 per la descrizione delle componenti mineralogiche dell'impasto ed altre osservazioni. 11 Per questo chafing-dish cfr. quanto detto alla nota 4; una presentazione preliminare in Crypta Balbi 5, pp , Tav. XXXVIII, 295; CIPRIANO et al. 1991, Fig. 5, Per la descrizione minero-petrografica dell'impasto di un campione relativo ai frammenti rinvenuti negli strati di VIII secolo cir. ANNIS, infra, n. 7281; cfr. anche SFRECOLA, infra, analisi n. 112 per 1 analisi del campione prelevato dal frammento ritenuto appartenente allo stesso chafing-dish rinvenuto tra i residui di uno strato di XI secolo dell'esedra della Crypta Balbi.

9 [354] Le analisi minero-petrografiche condotte su tre campioni, uno relativo al primo esemplare, due relativi al secondo 13, depongono a favore di una fabbricazione in ambito urbano di questa ceramica invetriata, dalle caratteristiche tecnologico-morfologiche così intimamente collegate alla tradizione bizantina o quantomeno note finora esclusivamente in ambito orientale, dove si rintracciano confronti anche piuttosto puntuali sotto il profilo formale. Si confronti ad esempio il secondo esemplare di Roma (Tav. 1, 2) con lo scaldavivande rinvenuto a Cipro (Saranda Kolones, Paphos), datato intorno all'viii-ix secolo 14. Per quanto anche in area bizantina non siano ancora del tutto definite le caratteristiche e la cronologia iniziale di questa forma, tuttavia i dati disponibili sembrano suggerire una successione tra la comparsa di tipi con invetriatura limitata alla parte interna e quelli con invetriatura estesa anche alla superficie esterna e arricchiti di decorazione plastiche e a traforo. Questa successione è indicata esplicitamente nel caso di Corinto e sembra ripetersi anche ad Atene 15 ; gli esemplari di Egina, in Brown Glazed Ware riferiti alla prima fase di occupazione, sono invetriati solo all'interno 16 e lo stesso si può supporre per quelli già ricordati di Saranda Kolones (Cipro), sebbene non si abbiano 13 Cfr. note ROSSER 1985, p. 87, nota 21, a cura di J. W. Hayes; p. 96, Fig. H, in particolare n Per Corinto cfr. MORGAN 1942, p. 36 ss., Figg ; per Atene FRANTZ 1938, pp ; p. 457, Fig. 19, B1 per il tipo più antico in Brown Glazed Ware con vetrina solo interna. Nello stesso contesto (gruppo B) sembrano essere associati a questo tipo più antico dei frammenti di chafing-dishes in White Glazed Ware con decorazione a traforo come quello illustrato a p. 459, Fig. 22, mentre mancano esemplari con decorazione a rilievo e invetriatura com pleta in Brown Glazed Ware, attestati ad Atene in altri contesti (ibidem, Figg ). 16 FELTEN 1975, p. 74, Figg , nn e Tav. 28, n. 147, attribuiti alla prima fase di occupazione datata tra il tardo VI e gli inizi del IX secolo.

10 indicazioni specifiche in proposito. A Costantinopoli i chafing-dishes del II e III stadio del Grande Palazzo degli Imperatori presentano prevalentemente un'invetriatura limitata alla parte interna 17. [355] Per quanto riguarda Roma, i dati dello scavo della Crypta Balbi suggeriscono anche qui il passaggio da una produzione con invetriatura solo interna e forme poco standardizzate (si ricordi la vasca a profilo arrotondato del primo esemplare illustrato), riferibile con ogni probabilità agli anni centrali dell VIII secolo 18, ad una produzione di poco successiva, con invetriatura completa sia interna che esterna, del tipo noto a Roma con il nome di Forum Ware, inquadrabile tecnicamente nella ceramica cosiddetta a vetrina pesante e non dissimile dal Brown Glazed Ware dell'area bizantina occidentale. Rari frammenti di Forum Ware fanno infatti la loro prima comparsa in questo deposito che si trova ad immediato contatto con quello di età carolingia dove questo tipo di invetriata appare subito notevolmente sviluppata, dando origine ad una tradizione produttiva di lunga durata che arriverà a toccare la soglia del basso medioevo (Tav. C,2) 19. All inizio questa ceramica è caratterizzata, come è ben noto, da una ricca decorazione a petali applicati che in questi frammenti, riferibili con ogni probabilità agli esordi della produzione di età altomedioevale, appare eccezionalmente accurata e che trova un immediato riscontro ancora una volta in area bizantina nel cosiddetto Petal Ware diffuso a Corinto, Costantinopoli ed in altri centri orientali 20. Le analogie non si limitano tuttavia a questi elementi esteriori, ma si estendono all'aspetto morfologico, come è evidente soprattutto negli scalda-vivande e nei coperchi a calotta che, insieme alla brocca a bocca larga e cannello tubolare, sono tra le più antiche forme attestate a Roma. [356] 17 STEVENSON 1947, p. 39, Tav. 15, 12 e Tav. 16, 21, datati all VIII-IX/X secolo. Per Costantinopoli un quadro molto più preciso è delineato nel volume in corso di stampa relativo alla ceramica dello scavo di Saraçhane: HAYES, c.s.. 18 Per la prima attestazione a Costantinopoli di chafing-dishes in ceramica invetriata intorno all'anno 700 ca., che fungeranno da prototipi per tutti i chafing-dishes ad impasto grezzo dell'area bizantina occidentale e orientale, cfr. HAYES, c.s. 19 Cfr. BONIFAY et al. 1986, pp , MANACORDA et al. 1986, p. 516, Crypta Balbi 5, p. 316 ss.; ROMEI, infra. 20 MORGAN 1942, pp , Fig. 35, Tav. VIII, i-m e Tav. IX, a, attribuita al IX-X secolo; STEVENSON 1947, p. 37, Tav. 15, 42 e 46, Tav. 21, 10 e 12, appartenenti allo stadio II datato tra l'viii ed il IX secolo; cir. da ultimo HAYES, c.s., che conferma la comparsa precoce di questo tipo sulla base dei dati dello scavo di Sarachane; la decorazione a petali è diffusa anche in altri siti dell'egeo orientale (ad esempio a Rodi: inf. Helen Patterson) ed in Occidente, al di fuori dell'italia e della Francia Meridionale, a Pollentia nell'isola di Maiorca (ROSSELLÒ BORDOY 1982).

11 [357] Si portano ad esempio alcuni scaldavivande rinvenuti negli strati dell esedra della Crypta Balbi datati tra la fine dell VIII e la prima metà del IX secolo 21 che non si discostano molto dagli esemplari di Corinto 22 ed il coperchio dal Foro Romano nel Museo dell Alto Medioevo di Roma 23, confrontabile con un tipo di Costantinopoli per il singolare apparato (una sorta di occhiello prominente dall'orlo) che 21 Cfr. da ultimo ROMEI, infra, figg. 2-4; inoltre CIPRIANO et al. 1991, Fig. 5, (parzialmente ricostruiti) 22 MORGAN 1942, p. 37, Fig. 24, a; per altri scaldavivande rinvenuti a Roma cfr. MAZZUCATO 1972, figg MAZZUCATO 1972, p. 37, Fig. 82.

12 consentiva di collegarlo all ansa del vaso, munita di un occhiello analogo 24. Questo marchingegno, noto finora solo nelle produzioni della capitale d'oriente, spiega forse la presenza, sulla sommità dell'ansa di alcune brocche di Forum Ware di Roma, di tracce di un attacco, di cui si ignorava la funzione 25. A proposito degli scaldavivande realizzati in vetrina pesante a rivestimento completo e forniti di decorazioni per lo più di petali applicati, si deve sottolineare, insieme alla loro maggiore standardizzazione, la loro notevole diffusione non solo a Roma e nella Campagna Romana, ma anche nell Italia centro-meridionale ed in Spagna 26 dove sono accompagnati di sovente da un tipico coperchio a calotta o troncoconico, piuttosto comune anche nell'area bizantina 27. A differenza del Forum Ware che, come si è sottolineato diffusamente in altri contributi, conosce uno sviluppo enorme nella produzione di Roma dall'età carolingia in poi, giustapponendo agli elementi di tradizione tardoantica e bizantina tutta una serie di apporti centroeuropei legati all'evoluzione politica del Ducato di Roma e alla formazione dello Stato Pontificio sotto l egemonia carolingia 28, la ceramica invetriata con rivestimento esclusivamente interno del tipo sopra descritto è documentata per ora esclusivamente da questi frammenti rinvenuti negli strati di VIII secolo (oltre che dal frammento residuo da uno strato dell XI secolo), mancando del tutto negli strati di età carolingia così come non è mai attestata negli strati tardo-antichi dell'area urbana 29 né si conoscono esemplari decontestualizzati nelle collezioni cittadine. [358] Si tratta evidentemente di una produzione limitatissima che mostra comunque un'indubbia relazione con la tradizione bizantina, sotto la cui influenza la città si trovava ancora nella prima metà dell'viii secolo, e che pertanto non può che essere successiva alla diffusione in area orientale delle ceramiche invetriate di tipo medioevale, avvenuta nella prima metà del VII secolo 30. È questa, per ora, la prima produzione di invetriata altomedioevale riconoscibile con certezza a Roma. Passiamo ora a considerare brevemente un altro genere di invetriata, quella casuale, qui rappresentata dall'anfora con una vistosa colatura di vetrina che dalla spalla scende lungo il corpo (Tav. 1,3; Tav. D) 31. Il profilo è ancora incompleto, ma è ricostruibile con sicurezza, con collo nettamente troncoconico, larga spalla espansa, corpo oblungo piuttosto rastremato verso il fondo che era certamente arrotondato; le anse, a sezione ovale con duplice, lieve solcatura, si impostano al di sotto dell'orlo e sulla spalla, con andamento pronunciatamente orizzontale. Ciò che distingue quest'anfora dalle molte altre rinvenute nel contesto non sono tanto gli elementi morfologici, come vedremo meglio in seguito, quanto la manifattura: le solcature da tornio 24 STEVENSON 1947, p. 38; HAYES 1968, p. 207, Fig. D, 26, 29, 30, Cfr. Crypta Balbi 3, p. 214, esemplare successivo al n Recenti ritrovamenti indicano una notevole diffusione della forma anche al di fuori di Roma: nella Campagna Romana (un esemplare dai pressi di S. Rufina: informazione di Helen Patterson); da Lucus Feroniae (cfr. D. ROMEI, La ceramica a vetnna pesante altomedievale da Lucus Feroniae (Capena, Roma), Fig. 1, in questo volume), nel Lazio meridionale (un frammento da Castro dei Volsci: inf. M. Laurenti); ad Otranto (CIPRIANO et al. 1991, Fig. 7, 5; PATTERSON-WHITEHOUSE c.s.; PATTERSON, Otranto, in questo volume); in Sicilia (villa di Patti, in provincia di Catania: VOZA e probabilmente anche a Siracusa: cir. nota 27); in Spagna (esemplare integro da Pollentia, nell'isola di Maiorca: ROSSELLÒ BORDOY 1982). 27 Oltre agli esemplari di Roma (ROMEI, infra, Figg. 6-7) si vedano quelli di Otranto (CIPRIANO et al. 1991, Fig. 7, 6, con riferimenti agli esemplari di Corinto; PATTERSON-WHITEHOUSE c.s.; PATTERSON, Otranto, in questo volume); di Siracusa (esemplare esposto nel Museo Regionale di Palazzo Bellomo: informazione di Claudia Guastella; cfr. SFRECOLA, infra, analisi n 143); di Reggio Calabria (cfr. A. RACHELI, Reggio Calabria-Ex Stazione Lido, Fig. 4, in questo volume) e, fuori d Italia, quello integro di Pollentia (ROSSELLÒ BORDOY 1982, Tav. XXII); coperchi di questo tipo, in ceramica acroma, sono diffusi nel Peloponneso almeno dal tardo VI secolo: cfr. AUPERT 1980 p. 437 Fig. 44 e a Cipro in età bizantina: DIEDERICHS 1980, p. 61, n. 305; ad Otranto tra il VI e il VII secolo cfr. PATTERSON Cfr. in particolare Crypta Balbi 5, p. 318 ss. 29 Si veda ad esempio nella stessa Crypta Balbi la sequenza del settore VI dello scavo: Crypta Balbi 6, c.s. 30 Crypta Balbi 5, in particolare pp ; per la diffusione in area orientale delle prime invetriate altomedievali cfr. HAYES 1968, p.203; HAYES 1980, pp ; BASS 1982, p. 146; ma soprattutto HAYES, c.s. per una trattazione esaustiva del problema. 31 Una presentazione preliminare in CIPRIANO et al. 1991, Fig. 6, 8-9.

13 molto più nette e soprattutto l'impasto, ben differenziato a livello macroscopico da quello degli altri contenitori, di colore rosso vivo con inclusi bianchi grandi, molto evidenti, che hanno indotto ad ipotizzare fin dall'inizio un'origine esterna dell'anfora. Le numerose analisi effettuate su di un campione hanno costantemente evidenziato una differenza tra questo impasto rispetto ai gruppi ascrivibili alla produzione locale 32. Oltre alla colatura, di carattere chiaramente casuale, che indica tuttavia la provenienza da un'area di produzione di ceramica invetriata, l'anfora presenta alcuni difetti di cottura che hanno determinato il viraggio del colore di superficie dal nocciola al marrone scuro a seconda dell'esposizione del vaso al calore ed una netta stratificazione del colore dell'impasto in sezione. [359] Per quanto concerne l'area di produzione e la cronologia dell'anfora la prima non può che essere indicata genericamente nel Mediterraneo orientale dove anfore tipologicamente affini sono diffuse in contesti di pieno VIII secolo, ad esempio a Cipro e a Costantinopoli 33. Impasti relativamente più depurati, talvolta leggermente micacei, talvolta con frequenti inclusi neri, caratterizzano invece un gruppo molto grande di anfore a corpo oblungo (Tav. 2,4-6; Tav. 3,8-10), più raramente sferoidale (Tav. 3,7). Un esemplare riferibile a questo secondo tipo presenta un impasto rosa decisamente depurato, superficie schiarita, facilmente scrostabile come se si trattasse di una patina applicata e decorazione incisa a pettine sulla spalla. Il tipo si colloca nel solco di una lunga serie di anfore già diffuse in contesti di VI-VII secolo, prodotte verosimilmente in numerosi centri orientali 34 ed ancora ben documentate nell'viii secolo a Costantinopoli 35. A Roma questo tipo di anfora era già conosciuto dallo scavo della chiesa di S. Prisca sull'aventino 36, nel quale si riconosce senza difficoltà un esemplare di importazione; il dubbio rimane invece per l'anfora della Crypta Balbi qui illustrata come del resto anche per un altro esemplare ad impasto rosa molto depurato, di struttura più massiccia del precedente, ansa a sezione ovale debolmente costolata (Tav. 2,4), anch'esso molto vicino a tipi costantinopolitani dello stesso periodo 37 : per entrambi rimane incerto il luogo di origine, dal momento che non si può escludere completamente, sulla base delle caratteristiche macroscopiche dell'impasto, una fabbricazione in ambito locale. [360] 32 Cfr. ANNIS, infra, campione n HAYES 1980, p. 379, Fig. 16, 2; HAYES, c.s. (Saraçhane). 34 Si veda ad esempio BRONEER 1959, pp , Tav. 72, b (Corinto); LEATHAM, HOOD , p. 279, Fig. 9, 1 (Chersonisos, Creta) KUZMANOV 1973, p. 19, Tav. I, XX (Russia meridionale, coste del Mar Nero); JANTZEN et al. 1975, p. 28, Fig. 12 (Samo); RILEY 1979, p. 231, figg , , LR13 (Benghazi, Cirenaica); RILEY , p. 76, n. 5 (Apollonia, Cirenaica); DU PLAT TAYLOR-MEGAW1981, p. 223, Fig. 43, n. 372 (Ayos Philon, Cipro); BASS 1982, pp , Figg ; p. 185, Fig. 8.20, P78 (Yassi Ada, Asia Minore); KASSER 1983, p. 446, Tav. CLIV, 98 (Kellia, Egitto); PULAK 1988, p. 7, Fig. 3 (Asia Minore); RENDINI 1989, p. 270, Fig. 221, n. 281 (Gortina, Creta); BONORA et al., 1988, p. 363, Tav. XI,1-4 (Sant'Antonino di Perti, Finale Ligure); TOUMÀ 1989, p. 874, Fig. 29 (Amathonte, Cipro). Per tutte queste anfore il prototipo sembra essere verosilmente l'anfora di probabile origine egea, nota come LR2 (RILEY 1976). 35 HAYES 1980, p. 379, Fig. 16, 1; ma in particolare HAYES, c.s. (Saraçhane, Istanbul). 36 VERMASEREN-VAN ESSEN 1965, p. 502, n. 126, Tav. CXXXIV, 5 da un contesto con marmi dell'viii-ix secolo e lucerna a ciabatta : cfr. infra. 37 Informazione di J. W. Hayes.

14 [361] Si deve comunque segnalare la notevole somiglianza d'impasto di queste due anfore con quello di un'anfora di sicura origine egea, ben documentata a Samo 38, presente in un altro contesto della Crypta Balbi 39. Il tipo di anfora più diffuso nel deposito di VIII secolo dell'esedra della Crypta Balbi rimane comunque quello a corpo oblungo (Tav. 2,6; Tav. 3,8) che può invece essere attribuito con una certa 38 ISLER 1969, pp , Tavv ; JANTZEN et al. 1975, p. 28, Fig. 11, JANTZEN et al. 1977, P. 175, Fig. 12; STOPPIONI PICCOLI 1983, p. 145, 8.44; ARTHUR 1985, p. 253, Fig. 16.1; ARTHUR 1989, P. 84, Fig ) Crypta Balbi 6, c.s. (dal settore VI dello scavo: cfr. in particolare attività 61, a cura di L. Paroli).

15 sicurezza alla produzione locale. Per quanto più specializzati rispetto agli impasti della ceramica comune acroma di fabbricazione locale, gli impasti ricorrenti in queste anfore mostrano indubbie affinità che, unite alla grande quantità ed omogeneità dei reperti e alla loro diffusione anche nella Campagna Romana (il tipo è documentato certamente tra i materiali di S. Cornelia), lasciano poco spazio ad altre ipotesi. Di colore giallo chiaro o rosato, questi impasti presentano una vasta gamma di gradazioni cromatiche intermedie, dal rosa aranciato al rosa antico al violaceo oppure dal bianco sporco al grigio al verdastro a seconda della cottura, senza mostrare tuttavia sostanziali variazioni della pasta, moderatamente micacea, mai troppo grossolana, anzi, di frequente piuttosto ben depurata. Le superfici sono quasi sempre soggette a fenomeni di schiarimento ottenuto mediante la cottura. Il profilo a spalla larga e alta, anse ovali un po' schiacciate impostate sul collo e sulla spalla, segnate quasi sempre da deboli nervature nella parte superiore 40, è ricostruibile con collo cilindrico o debolmente troncoconico piuttosto stretto, che termina in un orlo ingrossato più o meno svasato (Tav. 3, 9-10) oppure segnato da una modanatura all'esterno (Tav. 2,5), un elemento questo molto diffuso nei contenitori di medie e piccole dimensioni in ceramica acroma, certamente appartenenti alla produzione locale. Anche in questo caso si tratta di una tipologia derivata da forme tardoantiche 41, prodotte su larga scala in area orientale dove hanno trovato ampio sviluppo anche in periodo altomedioevale, tra l VIII ed il IX/X secolo 42. [362] Un tipo molto simile e di cronologia analoga è stato individuato di recente in Campania, dove era prodotto localmente 43, e a Cefalù (Palermo) da un contesto con sigillo plumbeo della prima metà dell'viii secolo, in associazione con le lucerne a ciabatta 44, come nella Crypta Balbi (Tav. 5,36) e a S. Prisca a Roma, a Miseno in Campania 45. Due esemplari molto simili 46 sono stati recuperati in passato a Roma dalle volte di una struttura della chiesa di S. Maria in Cosmedin, eretta da Adriano I nel tardo VIII secolo, in associazione con altri anforacei 47 di tipologia più evoluta, generalmente attribuiti al IX secolo, tra cui figurano anche scarti di lavorazione 48. Questa associazione, di cui non si ritiene di dover dubitare malgrado le difficoltà che derivano dall'attribuzione del complesso anforico alla volta del protiro della chiesa, di età verosimilmente romanica 49, da una parte orienta la datazione del deposito dell'esedra della Crypta Balbi verso il tardo VIII secolo, cui rimanda anche il confronto con anfore di Costantinopoli e di altri siti del 40 Per un'illustrazione delle anse di queste anfore cfr. CIPRIANO et al. 1991, Fig. 6, Il prototipo più illustre è costituito dalla LRI (RILEY 1976), ma si debbono ricordare numerose altre anfore diffuse soprattutto in area pontica e nel Mediterraneo orientale: cfr. ad esempio RADULESCU 1976, p. 109, C, Tav. XII, 1, tipo 10; SCORPAN 1976, Tav. XVI, 1-2, tipo XVIII, p; RILEY 1979, p. 231 ss., Fig. 94, 375 e 377; AUPERT 1980, p. 441, Fig. 46; HAYES 1980, p. 379, Fig. 15, 2; BASS 1982, p. 157, Fig. 8-3, CA3; PULAK 1988, p. 7, Fig. 3, etc. Rispetto ad esse i tipi altomedievali presentano un diverso rapporto tra altezza e larghezza, a favore di quest'ultima (h. 40 cm ca). 42 Cfr. ad esempio IAKOBSON 1951, p. 332, Fig. 5, a-b; p. 333, Fig. 6, (Russia Meridionale); CANGOVA 1959, p. 250, Fig. 6 (Bulgaria); ROBINSON 1959, M (Agorà di Atene), STILLWELL MACKAY 1967, Tav. 64, (Corinto); HAYES 1971, p. 275, Tav. 38, b, n. 6 (Knossos, Creta); MEGAW 1972, p. 328, Fig. 25 (Paphos, Cipro); per quest'anfora cfr. anche HAYES 1980, p. 379, Fig. 16, 2; FELTEN 1975, Tav. 21, 108 (Egina); STRIKERKUBAN 1975, p. 315, Fig. 15 (Kalenderhane Camii, Istanbul); BOARDMAN 1989, pp , Fig. 43, (Chios); BAKIRTZIS 1989, p. 75, Fig. 1, tipo 1 (Kerson, Russia Meridionale); HAYES, c.s. (Sara,chane, Istanbul); etc. 43 ARTHUR 1989, p. 88, Fig TULLIO 1985, p. 94, Figg , n. 195; p. 95, Fig. 125, n VERMASEREN-VAN ESSEN 1965, p. 503, n. 155, Tav. CXXXIV, 6; ARTHUR 1989, p. 85, Fig MAZZUCATO 1977, p. 41, Fig GIOVENALE 1927, p. 245, Tav. XLI, a, MAZZUCATO 1977, pp , Figg ; un quinto esemplare è rappresentato alla Fig. 67, di tipologia ancora indefinita, ma probabilmente antecedente al IX secolo. 48 Cfr. WHITEHOUSE 1980, p. 140, Fig. 8, n ; GAI 1986, p. 386, Tav. 1, GIOVENALE 1927, p. 245, riferisce il protiro all XI secolo; questa datazione è messa in discussione dal MAZZUCATO 1977, pp che lo attribuisce all VIII-IX secolo, epoca a cui ben si adattano i tipi anforici rinvenuti. Maggiori difficoltà presenta invece la cronologia proposta per il protiro, che sembra effettivamente di epoca romanica; se così fosse resterebbe da spiegare la presenza di anfore altomedievali in una struttura di alcuni secoli posteriore.

16 Mediterraneo orientale 50 e come si deduce dal confronto con un altro contesto della Crypta Balbi 51, databile entro gli inizi-prima metà dell'viii secolo dove queste anfore sono già presenti, ma in misura molto più scarsa, e dove le invetriate di qualunque tipo sono ancora assenti; dall'altra suggerisce una circolazione prolungata al secolo successivo poiché il tipo di anfora cui esse si trovano associate, tradizionalmente attribuita al IX secolo, non è ancora comparsa nel contesto dell'esedra della Crypta Balbi qui in esame. [363] Uno studio approfondito dei materiali della stratigrafia di IX-X secolo dell'esedra della Crypta Balbi, analizzati solo in forme molto preliminari in un precedente contributo 52, potrà confermare o meno l'ipotesi di una circolazione prolungata nel corso del IX secolo di quest anfora. In ogni modo, qualunque sia stata la sua durata, essa si presenta come l'ultimo epigono della secolare tradizione tardo-antica che a Roma come a Bisanzio persiste nei primi secoli dell'alto medioevo. Infatti solo i tipi che si affermano nella fase successiva (IX-X secolo) a Roma mostrano una dipendenza molto meno diretta dai prototipi tardo-antichi: si osserva una rapida evoluzione verso forme dal collo più breve e più largo, la comparsa di anse appiattite e larghe che si sollevano dal di sopra della linea dell orlo mentre le spalle si fanno in genere più scese e arrotondate 53. Nel complesso dunque le anfore rinvenute in questo contesto della Crypta Balbi presuppongono un quadro di rapporti molto ampio con l area mediterranea, in particolare con Costantinopoli, ma di origine preminentemente culturale se è corretta l ipotesi dell origine locale di larghissima parte delle anfore in fase. Non mancano tuttavia casi accertati di anfore importate, che documentano in modo tangibile il persistere di scambi, cui va attribuito tuttavia un valore solo marginale. Questi dati sembrano integrarsi agevolmente con la tendenza in atto dal VII secolo in tutto il Mediterraneo verso un drastico ridimensionamento dei flussi commerciali fino allo quasi totale scomparsa tra la fine del VII e gli inizi dell'viii secolo, accompagnata dalla frantumazione dei centri di produzione, che grazie ad indagini più capillari, cominciano ad emergere dall'anonimato in diverse parti d'italia 54. [364] La funzione a cui questi contenitori rispondono è, come ovvio, completamente diversa da quella assolta in età tardo-antica, in primo luogo per quanto concerne la scala territoriale che sembra limitata alla città e al suo immediato hinterland, in relazione quindi all'approvvigionamento urbano ora fortemente dipendente dall'organizzazione ecclesiastica della produzione agricola. Non meraviglia quindi che i ritrovamenti più consistenti di materiale anforico riguardino finora proprio siti identificati come sedi di domusculte papali (S. Cornelia) o diacone, come S. Maria in Cosmedin, eretta quest'ultima sul luogo dove in epoca classica era la statio annonae di Roma 55. Quale sia quindi il significato economico da annettere a queste anfore, una volta perduta la funzione di indicatore di scambi a lunga distanza, è molto difficile dire fintantoché non si precisi la natura dei meccanismi e delle relazioni che regolavano la produzione e la distribuzione delle derrate alimentari nel Ducato Romano nei primi secoli dell altomedioevo 56. Passiamo ora a considerare molto brevemente un altro importante settore della produzione ceramica presente nel contesto in esame, la ceramica comune ad impasto depurato che, come si è già accennato, ci appare tutta riferibile alla produzione locale di cui è stato possibile seguire l'evoluzione per grandi linee tra il pieno VII secolo e la fine dell VIII grazie anche allo studio di un altro contesto 50 Cfr. in particolare i tipi di tardo VIII secolo di Sara,chane: HAYES, c.s. ed alcuni degli esemplari citati alla nota 42 (ad esempio BOARDMAN 1989 da Chios, etc.). 51 Crypta Balbi 6, c.s., in particolare attività 61 a cura di L. Paroli. 52 MANACORDA et al WHITEHOUSE 1980, p. 140, 82-85; GAI 1986, p. 386, Tav. I, n. 9; MANACORDA et al. 1986, p. 525, Tav. VII, 5, si ricordano anche gli esemplari dal Foro Romano: MAZZUCATO 1977, p. 42, Figg , l'ultimo dei quali riferibile probabilmente già al pieno X secolo; tra i materiali della Crypta Balbi si trovano altri due esemplari altomedievali, databili tra l'viii e il IX secolo: Crypta Balbi 3, p. 197, Tav. XII, 118; Crypta Balbi 5, p. 268, Tav. XIX, ARTHUR 1986; PANELLA 1986, pp ; ARTHUR 1989; ARTHUR BERTOLINI 1968, p. 353 ss. 56 Si veda ad esempio WICKHAM 1988, per problemi analoghi nel sud ARTHUR Sulle proprietà della chiesa nel Ducato Romano da ultimo MARAZZI 1990; MARAZZI, c.s.

17 della Crypta Balbi 57. Intimamente collegata a questa è la ceramica dipinta in rosso che non si differenzia né dal punto di vista delle forme né degli impasti da quella acroma. Fin dal pieno VII secolo appare largamente affermata a Roma una produzione di piccoli e medi contenitori realizzata con impasti prevalentemente molto depurati o depuratissimi, che si distinguono per la polverosità accentuata delle superfici che si presentano spesso schiarite e per un aumento considerevole, specialmente negli esemplari ad impasto molto depurato, degli spessori della metà inferiore del vaso. Oltre alla decorazione dipinta, è praticata la decorazione a pettine o la decorazione a impressioni digitali (sull orlo dei vasi), ma in misura nettamente inferiore a quella che si registra nella ceramica acroma del secolo IX, che risente del generale incremento dell'apparato decorativo in tutte le classi ceramiche. Nel complesso la produzione dell VIII secolo si mantiene nel solco di una tradizione artigianale di buon livello professionale, ma tradisce un certo impoverimento tecnico e formale evidente soprattutto nella scarsa differenziazione morfologica tra i prodotti delle diverse classi; ad esempio la brocca a bocca larga, una delle forme più tipiche del contesto, ritorna con poche variazioni nella ceramica comune (Tav. 5, 20), nella dipinta in rosso (Tav. 4, 11) e nella ceramica da fuoco 58. [365] Le forme aperte sono molto rare, almeno quelle riferibili con certezza alla produzione in fase (Tav. 5, 18-19), ma sono presenti numerosissimi vasi a listello di cui si può ipotizzare anche a Roma una continuità di produzione fino alla fine del VII-inizi dell'viii secolo in analogia con altre situazioni 59 ; nel caso specifico però sembra preferibile considerare questi esemplari, che presentano tra l'altro una notevole varietà di impasti che indicherebbe la provenienza da diverse fonti, già tutti residui. Tra le forme chiuse la più comune è la brocca a bocca larga, munita non di rado di un cannello tubolare, fondo piano, corpo globulare o biconico, l'ansa a nastro piuttosto stretta, talvolta con lieve nervatura nella parte superiore, impostata all'altezza dell'orlo. Quest ultimo, verticale o estroflesso, può presentare una certa gamma di variazioni nell altezza, nell'inclinazione o nella rifinitura della parte interna, dove si trova spesso una scanalatura (Tav. 4, 11 dipinto in rosso; Tav. 5, e 24 in ceramica acroma). Si tratta di una forma che compare già in diversi contesti bizantini a partire dal VII secolo 60 e che a Roma e nel Lazio trova larga diffusione nel corso dell VIII secolo, trapassando con lievi modifiche nella produzione di età carolingia sia acroma che invetriata 61. Una forma molto specializzata quanto a funzione, ma realizzata con lo stesso tipo di impasto del resto della ceramica acroma locale (Tav. 5, 22-23), è rappresentata da numerosi esemplari con orlo leggermente ingrossato, corpo accentuatamente globulare, sempre rifinito sull'orlo da decorazioni impresse e sulla spalla da incisioni a pettine e caratterizzato da una serie di aperture longitudinali nella parte superiore del corpo che trova forse un precedente nei sostegni o piedistalli traforati da Alessandria d Egitto del pieno VII secolo o in un tipo di incensiere 62. [366] 57 Crypta Balbi 6, c.s. in particolare attività 60 e 61 a cura di L. Paroli. 58 CIPRIANO et al. 1991, Fig. 3, Questa forma è ancora presente nella produzione di tardo VII-inizi VIII secolo di area franca: HUSSONG-CUPPERS 1972, p. 95 ss., in particolare Fig. 52, tipo 8; OTTE-WILLEMS 1986, pp , Tav. II, ORSI 1896, p. 346, Fig. 12, a (Siracusa, loc. Grotticelli); FRANTZ 1938, p. 457, Fig. 19, b, 2 in Brown Glazed Ware (Atene); MORGAN 1942, Tav. III, B, d, n. 61 in Brown Glazed Ware (Corinto); STEVENSON 1947, Tav. 15, 7 (del I stadio) e 46 (del II stadio) (Costantinopoli, Grande Palazzo); ISLER 1969, p. 207 Tav. 89, 1 e 3 (Samo), COLDSTREAMHUXLEY 1972, Tav. 48, n. 42 (Kythera); BASS 1982, p. 173, Fig. 8-13, P35 (Yassi Ada, Asia Minore); HAYES, c.s., (Sarachane, InstanEul); etc. 61 Cfr. un esemplare acromo da S. Cornelia (WHITEHOUSE 1980, p. 136, Fig. 6, 72 PATTERSON. 1991), con corpo già più allungato rispetto al tipo in esame e perfettamente corrispondente alle brocche in vetrina pesante più antiche, ben documentate negli strati di età carolingia della Crypta Balbi (MANACORDA et al. 1986, p. 518, Tav. III, 1-3); per un esemplare integro invetriato cfr. MAZZUCATO 1972, Fig Cfr. RODZIEWICZ 1976, Tav. 56, 214 e 217. Qualcosa di simile è attestato anche a Roma, a S. Prisca (VERMASEREN-VAN ESSEN 1965, Tav. LXXXII, 4, n. 61, da notare tuttavia che nei nostri esemplari non si riscontrano mai tracce di bruciato.

18 [367] Forti reminiscenze tardo-antiche traspaiono anche nelle numerose brocche tra cui ben attestate quelle ad orlo trilobato, riferibili almeno in parte alla produzione in fase; un po più sporadiche le brocche a collo stretto che si svasa all'estremità dopo un lieve risalto (Tav. 5,25-26) 63 o quelle a collo 63 Si veda l abbondante materiale ceramico delle necropoli d età barbarica dell Italia centro-meridionale,ad esempio le brocche di Fiesole (Firenze) (VON HESSEN 1971a, Tav. 27 2); Nocera Umbra (Perugia) e Castel Trosino (Ascoli Piceno) (BALDASSARRE 1967, nn. 1, 8, 13, 21, 32, 35, 43, 46, 51); Rutigliano (Bari) (SALVATORE 1981, p. 129, Fig. 1, a); PiccianoPorticella (Basilicata) (SALVATORE 1983, p. 118, Fig. 6.8); Sofiana (Gela) (BONOMI 1964, p. 191, Fig. 24; p. 199, Figg ); Patti (Catania) (VOZA , p. 574 ss., Tav. CXV); il tipo è ancora attestato a Costantinopoli nell VIII secolo (HAYES, c.s.)

19 molto svasato (Tav. 5,28-31) 64. Tra i contenitori di piccolo formato si deve ancora ricordare un tipo a collo cilindrico piuttosto largo confrontabile anch'esso con prototipi tardo-antichi (Tav. 5, 33-34). Un gruppo molto caratteristico e certamente ascrivibile alla produzione in fase è costituito dai contenitori di medie dimensioni, dalla bocca più o meno larga su un collo debolmente troncoconico che recano molto spesso una o più modanature al di sotto dell'orlo (Tav. 5,32,35,37-43; Tav. 4,12-15 in ceramica dipinta in rosso). Si tratta di recipienti in molti casi biansati, a fondo piano o umbonato, di cui non si è ancora potuto ricostruire un profilo completo 65. Si riallacciano alla morfologia prettamente locale dei contenitori di medie dimensioni anche una parte dei grandi contenitori, in particolare quelli realizzati con gli impasti ultra depurati della ceramica comune acroma (Tav. 2,5) che possono presentare, seppure più sporadicamente, la caratteristica modanatura sul collo. [368] Le anse, piuttosto strette, sono a sezione ovale più o meno schiacciata, lievemente articolate da una nervatura nella parte superiore. Tale tipologia è molto ben documentata anche tra la ceramica dipinta in rosso (Tav. 4, 16-17), con motivi a spirale sulla spalla, bande regolari sull'orlo e sulle anse. A proposito della decorazione è utile osservare come questa sia sempre piuttosto accurata ed organizzata in motivi leggibili e si trovi realizzata con tratti anche piuttosto sottili, come di norma nei vasi di dimensioni minori di cui la brocca illustrata alla Tav. 4, 11 offre un ottimo esempio. Il ritrovamento in questo deposito di una quantità consistente di ceramica con decorazione dipinta in rosso (3,4%) riveste particolare interesse dal momento che questa classe costituiva finora una presenza quasi evanescente in ambito romano, in netto contrasto con le altre regioni, in particolare dell'italia centro-meridionale 66. L origine di questa discrepanza va ricercata solo in parte nella carenza della documentazione archelogica 67 dal momento che la ceramica con decorazione a bande risulta ancora assente nei contesti di V-VI secolo di Roma, è documentata in misura limitatissima in quelli di VII 68 e non sembra durare molto oltre gli inizi del IX secolo. Il ruolo marginale svolto da questa classe a Roma dipende forse dalle particolari condizioni della città dove continuarono a circolare fino ad epoca tarda quantità significative di ceramiche fini da mensa importate (si vedano le numerose sigillate di VII secolo presenti tra i residui di questo contesto) che possono aver limitato la produzione in ambito urbano di prodotti surrogati 69. La rapida e larga diffusione delle invetriate tra la tarda età bizantina e la prima età carolingia può aver determinato d altro canto il precoce tramonto, nell'area romano-laziale, della più povera tradizione a bande rosse 70. [369] 64 L accentuata svasatura dell orlo ricorre in diversi esemplari delle necropoli di età barbatica dell Italia centro-meridionale, ma anche in diversi contesti bizantini. Si vedano ad esempio: VON HESSEN 1971a, Tavv. 28 e 31; SALVATORE 1981, p. 129, Fig. 1, d, SALVATORE 1983, p. 116, Fig. 4.2 e p. 118, Fig. 6.7, 9-10; VON HESSEN 1971b, p. 335, Fig. 2, 4, per l area orientale MARTINI 1975, p. 35 ss., Fig. 31, tomba 1, AUPERT 1980, p. 427, Fig. 40, 230; PULAK 1988, p. 8, Fig. 4; etc. 65 Un confronto piuttosto puntuale si ha con alcune forme in ceramica acroma o dipinta in rosso dalla villa romana del Namiglio di Gioiosa Ionica Calabria), datate al VII-VIII secolo (ARTHUR 1988, pp , Tav XII, 5-8); si segnala anche un esemplare dalla provincia di Sassari, da un poliandro detto barbarico, che può costituire un punto di riferimento per la ricostruzione del corpo (SERRA 1976, pp , Tav. XIX, 2). 66 Cfr. WHITEHOUSE 1980, p. 146, con precedente bibliografia; Crypta Balbi 3, pp ; MANACORDA et al. 1986, p. 529; Crypta Balbi 5, p. 308 con bibliografia; per la Campagna Romana il ritrovamento più importante è ora quello di Monte Gelato (informazione Helen Patterson); per l'italia meridionale si veda in particolare PATTERSON-WHITEHOUSE, c.s.; CIPRIANO et al. 1991, Fig. 8 con altra bibliografia sulle regioni meridionali; da ultimo LAGANARA FABIANO 1989, p. 53 ss., Figg L evidenza archeologica relativa al VII secolo è ancora molto limitata a Roma, periodo in cui si osserva a sud del Po una diffusione su larga scala di questa classe, documentata in particolare dai rinvenimenti tombali. 68 Ad esempio nelle attività 60 e 61 del settore VI dello scavo della Crypta Balbi (Crypta Balbi 6, c.s.); cfr. anche gli strati tardo-antichi e altomedievali dello scavo della basilica cristiana di Pianabella (Ostia Antica) (informazione di Barbara Ciarrocchi e Helen Patterson). 69 WHITEHOUSE et al. 1982, pp , Fig. 6, 5-8; CIOTOLA Una ripresa consistente della produzione con decorazione dipinta a bande rosse ha luogo a Roma solo nel tardo XlI-inizi del XIII secolo (Crypta Balbi 5, pp ).

20 [370] Un altro elemento molto caratteristico di questo complesso è rappresentato dalle lucerne, numerosissime, in ceramica acroma, fabbricate a matrice e riferibili quasi tutte ad un unico tipo (Tav. 5, 36), con largo foro di alimentazione ed ansa a nastro, recante sul fondo una palmetta o una croce

21 impressa, un tipo documentato soprattutto nell'area romana e napoletana, ma presente anche in Sicilia ed in Sardegna 71, che sembra costituire l'ultimo sviluppo del tipo cosiddetto siciliano 72. Per la loro tipicità e diffusione queste lucerne, che abbiamo già visto associate frequentemente a tipi anforici dell VIII secolo 73, possono costituire un vero e proprio fossile guida per i contesti non sempre agevolmente identificabili di questo periodo. Nella stratigrafia dell'esedra della Crypta Balbi le attestazioni delle lucerne a ciabatta o scarpa si riducono drasticamente nel corso del IX secolo, periodo che segna, almeno a Roma, la definitiva scomparsa della lucerna a matrice, manufatto tipico della tradizione classica. In conclusione, l'analisi anche piuttosto sommaria delle ceramiche di Roma documenta un caso di sostanziale continuità nella produzione ceramica di un centro urbano nei primi secoli dell'altomedioevo, un caso certamente non isolato, come dimostrano i recenti scavi in area campana 74 e come è ipotizzabile per altre città bizantine dell'italia meridionale, quali Reggio Calabria, Siracusa, Otranto etc. 75. [371] Rispetto all'area regionale è possibile rilevare fin d'ora che alcune tipologie più caratteristiche evidenziate nella Crypta Balbi si cominciano a riconoscere anche nella Campagna Romana ed in Sabina, negli strati di VIII secolo dell'abbazia di Farfa 76, ma questi sono certamente solo i primi di una serie più numerosa di siti. In tal modo il grande vuoto che aveva finora dominato questo secolo della storia altomedioevale comincia lentamente a colmarsi. Non vi è dubbio tuttavia che la difficoltà di individuazione delle produzioni di quest'epoca non è da ricondurre solo alla scarsezza dei dati archeologici e alla mancanza di elementi sicuri di riconoscimento, ma anche al processo di riconversione, se così lo vogliamo definire, degli apparati produttivi che devono aver avuto in questo periodo il momento culminante, reso tangibile dal passaggio dalle tipologie ancora prettamente classiche del VII secolo a quelle già pienamente medioevali del IX. Questo carattere transizionale si coglie in pieno nella produzione ceramica di Roma del secolo VIII, che costituisce in definitiva la cerniera tra due epoche, il momento in cui le tipologie tardo-antiche trapassano semplificandosi e riducendosi, in quelle altomedioevali destinate a sviluppi di tipo localistico. A Roma tuttavia, questa transizione è alquanto mediata, realizzandosi in un quadro di perduranti e rinnovati contatti con l'area mediterranea orientale, custode della tradizione antica, la cui influenza è chiaramente percepibile nella tipologia delle anfore e nella diffusione degli scaldasalse rivestiti di vetrina. Come è ben noto, i legami con l'area bizantina non verranno meno neanche successivamente, mostrando anzi un incremento notevole non solo in tutto il meridione, ma anche in aree più lontane, come l'alto Adriatico, etc. A Roma tuttavia, questo legame organico con la matrice tardo-antica che è ancora operante nella produzione ceramistica dell'viii secolo diviene via via più mediato lasciando spazio, nella creazione del patrimonio morfologico altomedioevale, a influssi nuovi, soprattutto dell'area carolingia, rielaborati in forme completamente autonome. Successivamente, tra il IX e l XI secolo, anche se si colgono ancora, di tanto in tanto, momenti di contatto tra l'area orientale e quella romana, come ad esempio nella coppa su alto piede di Scorano 77, nell'uso di piedistalli traforati 78 ed in fin dei conti anche nelle tazzette carenate della ceramica laziale, la misura dell'allontanamento della città dal 71 Per i ritrovamenti in area romana cfr. BONI 1901, p. 134, Fig. 130, VERMASEREN VAN ESSEN 1965, P. 503, n. 155, Tav. CXXXIV, 6; PROVOOST 1970, tipo X, MAZZUCATO 1977, Figg , Crypta Balbi 3, p. 154, Fig. 85, MANACORDA et al. 1986, p.527 Tav. VIII, 1 (da uno strato del IX secolo), nella Campagna Romana è documentata a S Cornelia in contesti di VIII-IX secolo (PATTERSON 1991) e a Rieti in Sabina (REGGIANI MASSARINI 1990, p.66 n. 104, Tav. XXXII), a Napoli e a Miseno in contesti databili intorno all VIII secolo (GARCEA 1987, pp , con ampio excursus bibliografico; ARTHUR 1989, p.85, Fig. 5), a Palermo (TULLIO 1985, p.95, Fig. 125, n. 196); per un prototipo invetriato si veda MURIALDO, La ceramica a vetrina pesante nel Finale, in questo volume. 72 Per indicazioni bibliografiche cfr. GARCEA 1987, PP Cfr. supra, note 44 e Cfr. WHITEHOUSE-ARTHUR 1982 e da ultimo per la Campania e la Calabria ARTHUR 1989, p. 82 ss. 75 PATTERSON WHITEHOUSE, c.s. per Otranto; per Reggio Calabria v. A. RACHELI, infra; per Siracusa informazione di Claudia Guastella. 76 Per Farfa e Monte Gelato informazione di Helen Patterson; per S. Cornelia PATTERSON Si veda D. ROMEI, La ceramica a vetrina pesante altomedievale e medievale dal castello di Scorano (Capena, Roma), Fig. 15, in questo volume. 78 Si vedano ad esempio i frammenti riferiti a questa forma in Crypta Balbi 5, p. 327, Tav. XXXVIII, n. 298.

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