vol. 3 poesia: origini della letteratura europea e italiana

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1 Il testo Poetico vol. 3 poesia: 1 origini della letteratura europea e italiana

2 INDICE 1. IL CONTESTO STORICO: ALTO E BASSO MEDIOEVO 3 2. LA NASCITA DELLE LINGUE VOLGARI 6 3. PRIMI DOCUMENTI IN VOLGARE IN ITALIA 9 4. GLI INTELLETTUALI E LA TRASMISSIONE DEL SAPERE ALLE ORIGINI DELLA LETTERATURA EUROPEA: LA LETTERATURA IN LINGUA D OÏL E IN LINGUA D OC IL POEMA EPICO IL ROMANZO CORTESE CAVALLERESCO Il cavaliere cortese: coraggio e culto dell amore LA LIRICA PROVENZALE LA NASCITA DELLA LETTERATURA ITALIANA LA LIRICA RELIGIOSA FRANCESCO D ASSISI 24 CANTICO DI FRATE SOLE JACOPONE DA TODI 33 O SEGNOR, PER CORTESIA LA SCUOLA SICILIANA LA CORTE DI FEDERICO II JACOPO DA LENTINI 45 AMOR È UN DESIO CHE VEN DA CORE FAMILIARIZZARE CON LA POESIA DELLE ORIGINI 9.1 CECCO ANGIOLIERI E I POETI COMICO-REALISTICI LXXXVI S I FOSSE FOCO, ARDERÉI L MONDO 50 APPENDICI 56 Appendice 1 - Letteratura delle origini/mappe Mappa 1 Sintesi storico-culturale del Medioevo 57 Mappa 2 Alto Medioevo 58 Mappa 3 La Chiesa e la cultura 59 Mappa 4 Basso Medioevo 60 Mappa 5 La scrittura in volgare 61 Mappa 6 Origini della letteratura volgare in Francia 62 Mappa 7 La poesia delle origini in Italia 63 Appendice 2 Lessico antico e classico 64 Appendice 3 Dal latino all italiano 66 Appendice 4 Poemi epici medievali 68 1 La diffusione della chanson de geste in Francia e in Italia 68 2 I cantares de gesta 70 3 L epica delle popolazioni anglosassoni e germaniche 72 2

3 1. IL CONTESTO STORICO: ALTO E BASSO MEDIOEVO Le differenze fra Alto e Basso Medioevo sono numerose e significative. Sul piano politico nell Alto Medioevo, dopo un lungo periodo di frammentazione seguito alla caduta dell Impero romano, si assiste alla creazione di due poteri universali: il Sacro romano impero, fondato da Carlo Magno, e la Chiesa di Roma. L Europa, uscita dalla crisi dell Impero romano d Occidente, era suddivisa in una molteplicità di Regni detti romano-barbarici perché contrassegnati dalla commistione di istituzioni romane e barbariche. Le componenti romane prevalevano a livello amministrativo e giuridico; quelle barbariche investivano i settori politico e militare. Tuttavia almeno due elementi accomunavano le popolazioni di questi regni: la religione e la lingua. La Chiesa aveva infatti condotto una capillare opera di evangelizzazione, cristianizzando gli invasori, e il latino continuava a essere adoperato come lingua della cultura, della religione, degli atti politici ufficiali. Un terzo elemento di unificazione, questa volta politica, fu la formazione del Sacro romano impero ad opera di Carlo Magno, re dei Franchi. Egli, nel corso di numerose imprese militari (contro: gli Arabi di Spagna, i Longobardi in Italia, i Sassoni a nord del Reno, gli Avari e gli Slavi a Oriente), unificò sotto il suo potere un vasto territorio che andava dalla Spagna all Elba, dall attuale Danimarca all ex Regno longobardo, nell Italia settentrionale, ricostituendo, almeno in parte, l unità dell Impero in Occidente. Inoltre, presentandosi come defensor fidei («difensore della fede)», diede a questo organismo politico un carattere sacro, che venne sancito con l incoronazione imperiale ad opera di papa Leone III, avvenuta a Roma la notte di Natale dell 800. Nel Basso Medioevo, l Impero, entrato in crisi già a partire dalla morte di Carlo Magno, si indebolisce sempre più, per i continui conflitti con la Chiesa e per la disgregazione interna causata dalle stesse strutture feudali, e deve confrontarsi con altri due tipi di istituzioni: le monarchie nazionali e i Comuni. Le monarchie nazionali, che si formano in Inghilterra, Francia e Spagna, sono il frutto di un graduale e costante processo di unificazione territoriale e di accentramento del potere nelle mani di un unico sovrano. I Comuni sono invece città che si autogovernano, piccole entità territoriali spesso in lotta fra loro e con l Impero. Tale situazione, presente nell Italia centrosettentrionale, e, con alcune differenze, in Germania, caratterizzerà la vita politica e culturale del Duecento. 3

4 Sul piano economico-sociale l Alto Medioevo è contrassegnato da un economia agricola alquanto arretrata, statica e tendenzialmente autosufficiente detta economia curtense, da curtis, termine con il quale si indicava un ampia estensione di terreno sottoposta al potere di un signore, nella quale venivano prodotti i beni e i servizi indispensabili per la vita di tutti coloro che vivevano al suo interno: signori, servi e contadini. La curtis costituiva la base economica della società feudale, anch essa statica, fortemente gerarchizzata e retta da vincoli interpersonali che legavano i vassalli al signore, i contadini ai padroni e così via. Il feudalesimo era una forma di organizzazione politica, amministrativa e sociale che si fondava sulla concessione di un feudo (cioè di un vasto territorio con tutto ciò che esso conteneva: animali, uomini, abitazioni, città e villaggi) da parte del sovrano a un suddito, che si dichiarava suo vassallo. Questi si impegnava a fornire al sovrano aiuti militari ed economici e si legava a lui con un rapporto di fedeltà personale; in cambio otteneva il diritto di esercitare sul feudo tutti i poteri militari, economici, amministrativi e giuridici già goduti dal sovrano. Ogni vassallo poteva concedere a sua volta porzioni del territorio da lui amministrato a propri dipendenti, i valvassori, contro analoghi obblighi di vassallaggio nei suoi riguardi, e questi potevano fare la stessa cosa con dei loro sottoposti, i valvassini. Si veniva così a formare una struttura piramidale basata su una vasta rete di vincoli di fedeltà che univa tra loro il sovrano, i suoi vassalli, i vassalli dei vassalli e così via, fino agli uomini liberi che, spinti dal bisogno, accettavano di divenire servi dei signori pur di essere protetti e ricevere il necessario per vestirsi e nutrirsi. 4

5 A partire dall XI secolo questa situazione economicosociale cominciò a subire profondi mutamenti dovuti a varie concause. Il miglioramento delle condizioni climatiche e la cessazione delle invasioni favorirono l espansione demografica. Si calcola che la popolazione europea, che era di 46 milioni verso il 1050, sia aumentata gradualmente fino a 61 milioni nel 1200 per arrivare a 73 milioni nel L aumento della popolazione indusse a migliorare le tecniche di coltivazione dei campi per ottenere un aumento della produttività delle terre e un miglioramento quantitativo e qualitativo dei regimi alimentari. I progressi dell agricoltura si legarono intimamente allo sviluppo del commercio. L aumento della produttività infatti consentiva la formazione di eccedenze che potevano essere vendute e il guadagno ricavato permetteva l acquisto di prodotti che la produzione locale non forniva. Ai piccoli scambi che durante l Alto Medioevo si svolgevano esclusivamente nei mercati locali si sostituì un commercio a lunga distanza che si muoveva lungo le direttrici nord-sud (da York a Roma, dalla Fiandra a Santiago de Compostela) ed est-ovest (dai paesi musulmani e bizantini verso l Europa). I grandi centri commerciali erano, a sud, Venezia, Amalfi, Pisa, Genova, a nord, le città della Fiandra e della Germania, Genova, a nord, le città della Fiandra e della Germania, Bruges, Brema, Lubecca. Si commerciavano merci sottili, come il pepe, le spezie, le pietre preziose, la seta, così chiamate perché poco voluminose, che venivano importate dall Oriente, e merci pesanti, come lana, stoffe, legno, ferro, cereali, provenienti dal nord. Punto d incontro dei mercanti e luoghi di scambio delle merci erano le fiere, grandi mercati temporanei che si tenevano nella zona di contatto tra il commercio mediterraneo e quello nordico: Fiandra e Champagne. 5

6 2. LA NASCITA DELLE LINGUE VOLGARI Le lingue che oggi vengono parlate nella zona sudoccidentale dell Europa, cioè italiano, francese, provenzale, spagnolo, portoghese, catalano, ladino, rumeno, si sono formate nel corso del Medioevo e da allora sono state chiamate nel loro complesso lingue romanze o neolatine o volgari. Sono dette romanze perché erano parlate nella Romània, ovvero nei territori che un tempo facevano parte dell Impero romano d Occidente; neolatine perché sono nate dall evoluzione del latino parlato; volgari perché in origine erano parlate dal popolo illetterato (in latino vulgus), mentre i dotti si servivano del latino. Esse si sono originate dalla fusione tra il latino parlato, detto latino volgare, e le lingue delle popolazioni barbariche che avevano invaso l Impero e si erano sostituite ai Romani. Il latino parlato o volgare era un po diverso dal latino scritto. La lingua scritta, infatti, pur subendo anch essa una certa evoluzione nel corso del tempo, è molto più stabile e conservatrice di quella parlata, sia perché è vincolata a un più rigoroso rispetto delle leggi grammaticali e sintattiche, sia perché accoglie le innovazioni linguistiche lentamente e solo molto tempo dopo il loro ingresso nell uso corrente. Il latino parlato invece aveva subito nel corso del tempo delle trasformazioni poiché, con l ampliarsi delle conquiste militari, si era diffuso nei territori occupati, sovrapponendosi alla lingua che ciascuna popolazione parlava prima della conquista romana. Finché l organizzazione amministrativa, militare, culturale dell Impero aveva mantenuto saldi i legami fra il centro e la periferia, queste differenze fra lingua scritta e lingua parlata e anche fra il latino parlato a Roma e il latino parlato nelle altre zone dell Impero non erano emerse. Quando però i legami si allentarono, in seguito all indebolimento dell autorità centrale, il latino parlato nelle diverse regioni si andò sempre più differenziando e frammentando. Su questa realtà linguistica si innestarono le lingue dei popoli invasori Vandali, Goti, Ostrogoti, Franchi, Longobardi, ecc. che si sovrapposero, nei diversi territori dell Impero, al latino volgare, già abbastanza differenziato, e ne spezzarono definitivamente l unità. 6

7 A questo punto si verificarono due fenomeni ugualmente importanti per la formazione delle lingue volgari. 1. Il divario fra il latino letterario, che ancora esisteva come lingua ufficiale della religione, della politica, della cultura, e le lingue parlate divenne incolmabile. Non si trattava più di due livelli della stessa lingua, come era accaduto al tempo dell Impero, ma di due lingue diverse e sostanzialmente incomunicabili fra loro. In particolare, gli incolti, che ormai costituivano la maggioranza della popolazione, non comprendevano più il latino, e quindi non erano in grado di intendere le parole della liturgia. La Chiesa allora, preso atto del solco di incomunicabilità che si era scavato con i fedeli, nel Concilio di Tours dell 813, diede disposizioni ai vescovi e ai parroci di predicare nelle lingue volgari perché tutti i fedeli potessero capire. 2. Si crearono nette differenze fra le lingue volgari parlate in regioni che, seppur vicine tra loro, avevano subito influssi di invasori diversi. Ne è testimonianza il Giuramento di Strasburgo dell 842 con il quale Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, nipoti di Carlo Magno, si giuravano reciproca fedeltà e sancivano la divisione dell Impero carolingio. Essi, per farsi comprendere dai rispettivi eserciti, dovettero giurare uno in francese e l altro in tedesco, poi ciascuno ripeté il giuramento nella lingua dell altro, segno che le due popolazioni, che pure avevano fatto parte dello stesso Impero, ormai non si intendevano più. Questo giuramento, nella versione francese, è il più antico testo scritto in una lingua romanza che noi possediamo. Manoscritti dei Giuramenti di Strasburgo (842) 7

8 Per parecchio tempo le lingue volgari furono solo parlate; la lingua scritta, adoperata sia per i documenti ufficiali sia per la cultura, era, come si è detto, il latino. Con il passar del tempo, ma in momenti diversi a seconda dei luoghi, si sentì la necessità di usare queste lingue anche per la scrittura. Dapprima esse furono utilizzate solo per scopi pratici; successivamente vennero adoperate anche per comporre opere letterarie: da questo momento ebbero inizio le letterature moderne dell Europa. Le prime lingue romanze utilizzate per scopi letterari furono la lingua d oc e la lingua d oïl, così chiamate dalle particelle affermative oc e oïl corrispondenti al nostro sì. La lingua d oc era parlata nella Francia meridionale e derivava da un evoluzione del latino volgare; la lingua d oïl era parlata nella parte settentrionale della Francia e derivava dalla fusione tra il latino volgare e la lingua degli invasori franchi. In Italia, dove il latino era più radicato, bisogna aspettare il XIII secolo per avere le prime opere letterarie scritte in lingua volgare. Più che di un unica lingua si deve parlare, però, di un «policentrismo linguistico», cioè di una pluralità di volgari utilizzati nelle diverse regioni, che persisterà per due secoli. Avremo pertanto testi letterari scritti in volgare umbro, siciliano, toscano, bolognese, lombardo e così via. Solo a partire dal Trecento il volgare toscano, nobilitato e affinato dall uso che ne avevano fatto i tre massimi esponenti della letteratura medievale, Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, si avvierà a diventare la lingua letteraria per eccellenza e sarà considerato un modello da tutti gli scrittori successivi. Le lingue d oil, d oc e del sì secondo Dante 8

9 3. PRIMI DOCUMENTI IN VOLGARE IN ITALIA Per avere un idea più precisa dell evoluzione della lingua italiana, è utile soffermarsi sui primi documenti in lingua volgare che risalgono ai secoli VIII e IX e furono scritti per scopi pratici e non letterari. 1. Il primo testo in volgare italiano è il cosiddetto Indovinello veronese, allusivo all arte dello scrivere, che recita cosí: Se pareba boves, alba pratalia araba albo versorio teneba, negro semen seminaba. [Sospingeva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, teneva un bianco aratro, seminava un nero seme.] L interpretazione è abbastanza semplice: i buoi sono le dita, i bianchi prati sono i fogli di pergamena, il bianco aratro è la penna d oca con cui si scriveva, il nero seme è l inchiostro. Nel testo sono riconoscibili numerose parole latine, come boves, semen, alba pratalia, ma si notano anche le trasformazioni che segnano il passaggio al volgare: per esempio sono cadute le desinenze dei verbi e dei sostantivi (troviamo araba, teneba, seminaba e non arabat, tenebat, seminabat; negro e non nigrum). Con questo testo siamo ancora in una fase di commistione fra italiano e latino. Indovinello veronese 9

10 2. Andando un po più avanti nel tempo ecco un altro documento in cui i legami con il latino non sono più così espliciti. Si tratta di uno dei cosiddetti Placiti cassinesi, una formula di testimonianza pronunciata e verbalizzata in occasione di una contestazione giudiziaria per terreni ecclesiastici appartenenti al convento di Montecassino. Questo il testo e la «traduzione» in italiano moderno: Sao ko kelle terre (1), per kelle fini que ki contene (2), trenta anni le possette (3) parte Sancti Benedicti. (4) [So che quelle terre, per quei confini che qui (cioè nel documento) sono indicati, le possedette per trent anni il convento di San Benedetto.] 3. Decisamente più divertente e tuttora leggibile in un affresco della basilica inferiore di San Clemente a Roma è l Iscrizione di San Clemente che accompagna una scena relativa al martirio del Santo. La scena ritrae degli uomini che con delle funi tirano una colonna. Questo il significato dell immagine: il pagano Sisinnio, adirato con San Clemente perché ha convertito al cristianesimo sua moglie, ordina a tre servi di legare e trascinare il Santo. Ma ecco che si compie il miracolo: San Clemente scompare e al suo posto rimane una pesante colonna. Sisinnio allora si rivolge ai servi chiamandoli per nome e li incita con frasi popolaresche e volgari a tirare la colonna. 10 Placito cassinese Sisinnium: Fili de le pute, traite! Albertel Gosmari tràite! Fàlite dereto colo palo, Carvoncelle! [Sisinnio: Figli di puttane, tirate! Albertello Gosmario tirate! Fai leva da dietro con il palo, Carboncello!]

11 4. GLI INTELLETTUALI E LA TRASMISSIONE DEL SAPERE In seguito alla caduta dell Impero romano d Occidente e alle invasioni barbariche la vasta organizzazione scolastica romana venne distrutta e la Chiesa rimase l unica istituzione in cui era possibile trovare uomini in grado di leggere e scrivere. Infatti i chierici, dovendo per motivi «professionali» leggere i testi sacri, che erano scritti in latino, venivano avviati alla cultura nelle scuole parrocchiali, monastiche e vescovili. Per questo motivo il termine chierico divenne l equivalente di «letterato». Nelle scuole parrocchiali e monastiche venivano fornite le competenze minime: si imparava a leggere e a scrivere, si studiava il canto e il calcolo. La didattica si basava sulla memorizzazione e sulla ripetizione dei testi sacri, in particolare dei Salmi, che venivano imparati a memoria spesso senza capire il significato delle parole. Nelle scuole episcopali, che erano situate presso le sedi vescovili, si impartivano i gradi più alti del sapere basati sulle sette Arti liberali, un insieme di discipline sulle quali si fondava il percorso formativo dell uomo già nel mondo classico. Esse erano suddivise in Arti del Trivio (la grammatica, che consisteva nello studio della lingua latina; la retorica, attraverso la quale si imparavano le tecniche per rendere più efficace e persuasivo il linguaggio; la dialettica, che coincideva con la logica) e Arti del Quadrivio (aritmetica, musica, astronomia, geometria). arti del Trivio e del Quadrivio 11

12 Questi studi non miravano alla conoscenza del patrimonio culturale antico, ma erano finalizzati esclusivamente all acquisizione delle basi culturali indispensabili per accostarsi alla conoscenza delle Sacre Scritture. Con la nascita della società borghese, nel Basso Medioevo, anche i laici, cioè gli uomini che non facevano parte delle gerarchie ecclesiastiche, cominciarono a comprendere l importanza e l utilità della cultura e si accostarono a essa. Nacquero pertanto le scuole laiche frequentate dai borghesi che vi acquisirono i primi elementi di una cultura indispensabile per l esercizio della professione e la partecipazione alla vita politica e sociale. Chi aspirava a raggiungere livelli più alti del sapere frequentava le università che si costituirono in questo periodo. All interno della società urbana comincia a delinearsi la figura dell intellettuale come oggi lo intendiamo, ovvero un uomo che lavora con la parola e con la mente, che non vive né della rendita della terra né di un lavoro manuale, che può essere sia chierico sia laico e che o si dedica esclusivamente all insegnamento oppure opera fuori dal contesto scolastico all interno della città. È questo l intellettuale cittadino, che svolge una delle professioni tipiche della società urbana notaio, giudice, mercante, ecc., partecipa alla vita politica, è plurilingue conosce infatti il latino, il volgare della sua città e regione, la lingua d oc e la lingua d oïl, si forma nelle università, scrive prevalentemente in volgare, anche se non trascura il latino e le altre lingue letterarie. Ben presto le città si popolano di notai, giudici, giuristi, predicatori, cronisti, che avranno un gran peso nel trasformare e innovare le istituzioni e affiancheranno alla loro professione un attività letteraria di tipo poetico, narrativo, saggistico che costituirà il tessuto della tradizione letteraria medievale. lezione all Università 12

13 5. ALLE ORIGINI DELLA LETTERATURA EUROPEA: LA LETTERATURA IN LINGUA D OÏL E IN LINGUA D OC Nei secoli XI-XII presso le corti della Francia centrosettentrionale si diffuse una produzione narrativa in versi in lingua d oïl, incentrata prevalentemente su due materie: quella di Francia, che narrava le imprese dell imperatore Carlo Magno e dei suoi paladini; e quella di Bretagna, che conteneva il racconto delle avventure di re Artú e dei suoi cavalieri. Nelle corti del sud della Francia fu invece elaborata, all inizio del XII secolo, una produzione lirica provenzale in lingua d oc che trattava la tematica dell amor cortese o fin amor. Questa vasta produzione, che spazia dalla narrativa alla lirica, dal poema epico al «romanzo», sta alla base di gran parte della letteratura italiana ed europea del Medioevo e dei secoli successivi. re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda 13

14 5.1 IL POEMA EPICO Con l affermarsi delle lingue volgari nazionali e di una classe nobiliare più salda nei suoi privilegi e più evoluta culturalmente, si crearono le condizioni, nelle corti feudali, per la fioritura di un nuovo epos, che fondeva i più alti valori umani dell età classica greco-romana (coraggio, onore, lealtà, determinazione nel compiere la propria missione) con la visione cristiana dell esistenza e con la remota tradizione barbarica. I PERSONAGGI EPICI agiscono in un tempo astorico e in uno spazio mitico; presentano una psicologia elementare; vivono passioni primordiali e agiscono senza dubbi e incertezze; sono quasi sempre destinati alla morte, che conferisce loro una dimensione sovrumana, un sacro alone di gloria. VARIETÀ LOCALI DEL POEMA EPICO MEDIEVALE Le canzoni di gesta (chansons de geste, XI secolo, lingua d oïl) francesi e i cantares spagnoli in lingua castigliana (XII secolo) (v. approfondimento all Appendice 4) rivisitarono in chiave leggendaria eventi storici, come le guerre di religione contro gli arabi insediati in Spagna, allo scopo di celebrare gli ideali della civiltà cristiana contrapposti ai valori di quella musulmana. Nell Italia settentrionale il modello carolingio delle chansons ispirò i poemi della letteratura franco-veneta, poemi spesso anonimi, destinati a un pubblico popolare ma anche borghese. L epica anglosassone-germanica (IX-XIII secolo) fuse gli ideali eroici di un popolo di guerrieri con elementi magico-favolistici (anelli fatati, draghi) e miti religiosi nordici (Odino, Thor, le Valchirie) in cicli come la saga dei Nibelunghi (v. approfondimento all Appendice 4) o le vicende di Beowulf. TECNICHE NARRATIVE E STILE FORMULARE Nell epica medioevale ritroviamo la struttura e le tecniche narrative dell epica omerica: la recitazione è accompagnata dalla musica (i termini chanson e cantare significano canzone ) e il ritmo del testo è lento e cadenzato; il narratore esterno è onnisciente, conosce gli stati d animo e i pensieri dei protagonisti, e alterna la narrazione dei fatti ai dialoghi dei personaggi; la sintassi è prevalentemente coordinata, semplice e lineare; la recitazione a memoria dei giullari e la diffusione orale sono facilitate da numerose espressioni formulari (modi di dire fissi), da ripetuti epiteti e da frequenti similitudini. 14

15 5.2 IL ROMANZO CORTESE CAVALLERESCO Dalla seconda metà del XII secolo, nella Francia settentrionale i valori celebrati nelle canzoni di gesta confluirono nel romanzo cortese o cavalleresco in versi (e in prosa a partire dal XIII secolo), il cui fine era la celebrazione dell amore e dell avventura. L intreccio complicato faceva sì che esso fosse destinato alla lettura più che alla declamazione e al canto. Lettura che si rivolgeva alla nobiltà raffinata delle corti e alle dame ispiratrici dell amore cortese, che è alla base di questa tipologia di romanzi. I romanzi cortesi furono inizialmente incentrati sulle vicende degli eroi dell epica classica greca e latina, quindi su quelli dell età bizantina e infine sul ciclo di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Artù è un leggendario re dell antica Britannia (VIII secolo), figlio di Uther Pendragon e marito della bella e infedele Ginevra, il quale spinge le sue conquiste fino al mar Baltico e a Roma, aiutato dagli incantesimi del mago Merlino e dai cavalieri della Tavola Rotonda (Lancillotto, Tristano, Perceval). Il ciclo bretone è ispirato a leggende popolari di origine gallese o irlandese, ambientate in Inghilterra e in Bretagna (una penisola della Francia nord-occidentale) e scritte in latino dal chierico inglese Goffredo di Monmouth (Storia dei re di Britannia, ), poi tradotte in francese e reinterpretate, nel XIII secolo, dallo scrittore inglese Guglielmo di Malmesburg, per esaltare l ideale cavalleresco, l amore, l avventura e l eroismo. I romanzi cavallereschi più significativi sono Tristano e Isotta (incompiuto), scritto da Goffredo di Strasburgo tra il 1210 e il 1220; e i cinque romanzi di Chrétien de Troyes, scrittore che alla corte di Troyes, in Champagne. Le sue opere più note sono Lancillotto o il cavaliere della carretta e Perceval o il racconto del Graal. Il primo narra l amore tra il cavaliere Lancillotto e la regina Ginevra; per ottenere di essere ricambiato l eroe dovrà affrontare una lunga quête e molte difficili prove; il secondo, Perceval, è incentrato sulla quête del Graal, il sacro calice che raccolse il sangue di Cristo. (1) (1) A partire dal XIV secolo in Italia alcuni scrittori rimasti per lo più anonimi cominciarono a fondere la materia di Bretagna con la materia carolingia, cioè con temi e personaggi tratti dalle chansons de geste. Dall intreccio di questi due filoni nacque il poema cavalleresco del 400 e del 500 le cui opere più rappresentative sono l Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, l Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. 15

16 5.2.1 Il cavaliere cortese: coraggio e culto dell amore Il romanzo cavalleresco del ciclo bretone-arturiano creò una nuova immagine di cavaliere: questi non era più il guerriero paladino della fede cristiana, simbolo di un ideale collettivo, ma l eroe interprete degli ideali nobiliari cortesi che compie avventure individuali. LA QUÊTE In questi romanzi il cavaliere dà prova del proprio coraggio e dell amore incondizionato per una dama mettendosi in viaggio alla ricerca di qualcosa, una persona o un oggetto. Nel corso di questo viaggio-ricerca (quête) affronta situazioni difficili (compresi incantesimi, fenomeni magici e soprannaturali), che esaltano le sue qualità personali, e sperimenta gli ideali a cui è stato educato. Egli perfeziona così la propria formazione e si eleva spiritualmente, per compiacere la sua dama e per incontrare se stesso: questa ricerca rende la vicenda narrata esemplare di una problematica umana universale. L AMOR CORTESE Il tema centrale nel romanzo cortese è l amore, che qui rispecchia in molti aspetti i dettami del De amore di Andrea Cappellano: non c è amore senza nobiltà d animo, generosità, lealtà e devozione, in una parola senza cortesia, una qualità che a sua volta non si realizza se non c è l esperienza amorosa. Questa visione dell amore è frutto dell ambiente di corte in cui si è formata e di una concezione aristocratica della vita. L amore di cui si parla non è quello comune, che si realizza nel matrimonio e nella procreazione. Esso mantiene il suo carattere sensuale ed erotico, è mosso dal desiderio di possedere la donna amata, ma il suo soddisfacimento è rimandato, si realizza nell attesa e nel corteggiamento, nella devozione assoluta. L amore del cavaliere per la dama rispecchia il rapporto del vassallo con il suo re: è per amore di una dama che il cavaliere va incontro alle avventure ed è disposto persino a morire. L amore può tuttavia essere così forte da spingere il cavaliere a tradire la fiducia del proprio signore, anche se al prezzo di profondi conflitti interiori. Il giovane Tristano, per esempio, s innamora, riamato, di Isotta, la promessa sposa dello zio, il re Marco di Cornovaglia, e da quel momento i due vivono una contrastata passione. Il cavaliere Lancillotto, che ha giurato fedeltà a re Artù, s innamora, riamato, di Ginevra, moglie del re, e anche in questo caso un attrazione indomabile porta i due amanti a tradire la fiducia del sovrano. 16

17 Il cavaliere cortese è il punto di arrivo dell evoluzione della figura del cavaliere che passa nel Medioevo attraverso diverse fasi: 1. il cavaliere predone (fino all VIII secolo): i suoi valori sono il coraggio, la coesione di gruppo e la fedeltà al signore. Egli però ricorre all uso della forza non solo a scopo di difesa militare, ma anche con fini di rapina, saccheggio, violenze. 2. Tra la fine del X e l inizio dell XI secolo, la Chiesa, preoccupata per il costante stato di violenza che pervadeva la società, da un lato cominciò a prendere dei provvedimenti volti a frenare l imperversare dei conflitti, ponendo sotto speciale tutela le persone indifese e i luoghi di culto e vietando in determinati periodi gli atti di guerra; dall altro, cercò di incanalare la violenza feudale contro i nemici esterni gli infedeli usurpatori dei luoghi santi e di fornire alla classe dei cavalieri bellatores un sistema di valori ispirato a principi etici e religiosi. La guerra condotta in difesa della fede e contro gli infedeli veniva in tal modo legittimata e sacralizzata e si avviava il passaggio dal protocavaliere predone al cavaliere crociato. Questo passaggio avvenne nell XI secolo quando la Cristianità occidentale attraversò una fase di vigorosa espansione nei confronti dell Islam. 17 I nuovi valori del cavaliere crociato divennero la difesa dei deboli e il martirio per la fede; le sue virtù erano la prodezza, la saggezza e la misura. 3. infine il cavaliere cortese, di cui abbiamo già detto e il cui comportamento è caratterizzato dallo spirito d avventura e dalla devozione d amore a una dama. Egli si ispira ai principi della cortesia, che consistono nel coraggio, messo al servizio degli indifesi, nella lealtà al signore e alla donna amata, nella generosità e nel senso della misura.

18 5.3 LA LIRICA PROVENZALE IL CONTESTO All inizio del XII secolo, mentre nella Francia del nord proseguiva la diffusione delle chansons de geste e in Inghilterra si andava consolidando il patrimonio di leggende a cui avrebbero attinto gli autori dei romanzi cortesi, nelle corti della Francia del sud prendeva forma la prima produzione lirica di argomento amoroso in volgare e si definiva il modello dell amore cortese o fin amor che, intrecciandosi con il tema dell avventura e della quête, avrebbe costituito il fondamento della materia di Bretagna. La lingua era il provenzale o lingua d oc, parlata nelle regioni a sud della Loira e nei territori confinanti dell Italia e della Spagna. L ambiente era quello delle grandi corti feudali che godevano di ampia autonomia rispetto al potere centrale e stavano diventando raffinati centri di cultura e di vita sociale. GLI AUTORI Gli autori della lirica provenzale erano chiamati trovatori (in lingua d oc, trobador), termine derivante dal verbo trobar che significa «comporre versi e musica». Essi scrivevano i versi e la musica delle liriche e le cantavano accompagnandosi con strumenti a corde. Spesso però l esecuzione era affidata a un giullare di fiducia che era al tempo stesso cantante e musicista. I trovatori appartenevano alle più svariate classi sociali ed erano sia chierici sia laici. Fra i circa 350 autori di cui ci sono stati tramandati il nome e le opere troviamo infatti grandi feudatari come Guglielmo d Aquitania; re e principi, esponenti della piccola nobiltà e borghesi; appartenenti a famiglie servili come Bernart de Ventadorn; chierici come Arnaut Daniel. Pur nella diversità dell estrazione sociale, tutti erano accomunati dall obbedienza a un ristretto numero di tematiche e a precise regole formali, elementi che fanno dell esperienza poetica provenzale un prodotto di scuola al cui interno sono comunque riconoscibili le personalità e gli stili dei diversi autori. I TEMI E LE TECNICHE ESPRESSIVE In una società prevalentemente guerriera e maschile, i trovatori propongono una nuova forma d amore, l amor cortese o fin amor, così chiamato perché espressione di ideali e valori propri di coloro che vivono nelle corti. Esso si basa su un repertorio di tematiche fisse che si possono così sintetizzare: 18

19 l uomo si pone in atteggiamento di sottomissione nei confronti della donna, che è solitamente la dama del castello, sposa del feudatario, e quindi superiore a lui per condizione sociale; l amore è destinato a rimanere inappagato ed è inteso come un sentimento puro, che ingentilisce colui che lo prova; il poeta innamorato serve in umiltà e obbedienza la dama (servizio d amore) la quale appare solitamente altera e ritrosa e concede, come ricompensa per la devozione, il rispetto e la lealtà, solo uno sguardo gentile, un sorriso, un cenno di saluto; per proteggere la donna dalle critiche dei malparlieri (cioè di persone invidiose e pettegole) e tenere nascosta la sua identità, il poeta, quando si riferisce a lei, si serve di uno pseudonimo, il cosiddetto senhal, un nome fittizio, allusivo a qualche caratteristica dell amata; la donna è sempre collocata sullo sfondo di un paesaggio primaverile. Accanto alla tematica amorosa i poeti provenzali affrontano anche temi politici e guerreschi che vengono trattati in componimenti specifici quali il sirventese o il planh («compianto»). La guerra non è finalizzata al perseguimento di ideali collettivi o individuali come nelle chansons de geste e nei romanzi cortesi, ma viene celebrata per se stessa, come esplosione di vitalità e mezzo per conquistare terre e bottino e per migliorare la condizione economico-sociale del cavaliere esponente di una piccola nobiltà spesso priva di grandi risorse. Sul piano formale i trovatori utilizzano tre stili: 1. il trobar clus, un poetare oscuro, chiuso, ricco di parole ricercate e di rime difficili; 2. il trobar ric, un poetare con ardite metafore e virtuosismi stilistici; 3. il trobar leu o plan, poetare leggero o piano, contrassegnato da uno stile più semplice e tradizionale. La forma metrica più diffusa è la canzone (chanso), un componimento accompagnato dalla musica, costituito da cinque o sei strofe (coblas) e concluso da una tornada, una strofa più breve delle altre che contiene solitamente la dedica o un commento dell autore. Le raccolte di liriche dei poeti provenzali erano solitamente accompagnate da due tipi di scritti in prosa: le razos, che erano dei commenti alle poesie, e le vidas, che contenevano una biografia dell autore. 19

20 6. LA NASCITA DELLA LETTERATURA ITALIANA La letteratura in lingua volgare nasce in Italia con un certo ritardo rispetto agli altri Paesi dell Europa. Mentre in Francia, già a partire dall XI secolo, si era affermata una produzione in versi nelle nuove lingue volgari d oïl e d oc, in Italia si continuava a usare il latino. La lingua volgare, o meglio i diversi volgari che si differenziavano a seconda delle regioni, vennero dapprima adoperati solo per scopi pratici: atti notarili, leggi, formule testimoniali e così via. Bisogna attendere il XIII secolo per trovare anche in Italia una produzione letteraria in lingua volgare che si affermò prima in versi e successivamente in prosa. Il panorama culturale di questo periodo risulta contrassegnato da due elementi: policentrismo e plurilinguismo. Si parla di policentrismo perché in Italia non esiste un unico centro politico e culturale che faccia capo alla corte di un sovrano, come in altri Paesi europei. La realtà politica italiana è alquanto frammentata e contrassegnata da istituzioni politiche differenti che si possono raggruppare in tre aree. L Italia centro-settentrionale vive l esperienza dei Comuni, città che, pur appartenendo almeno formalmente ai domini dell Impero o della Chiesa, si autogovernano e soprattutto sono caratterizzate da un fiorente sviluppo economico in campo commerciale, artigianale e finanziario, grazie all affermarsi di una nuova classe intraprendente e spregiudicata: la borghesia. Alla realtà comunale si affiancano le antiche istituzioni feudali che continuano a esercitare il proprio dominio su città e campagne. Roma e i territori limitrofi sono sottoposti all autorità del pontefice. Nell Italia meridionale e in Sicilia si susseguono diverse dominazioni fino a quando la situazione si stabilizza prima con la monarchia Sveva (germanica), poi con quella Angioina (francese) che in seguito alla ribellione dei Vespri Siciliani (1282) si ritirerà dall isola, mantenendo il dominio sull Italia meridionale, mentre la Sicilia passerà agli Aragonesi (spagnoli). 20

21 Questa frammentarietà politica si rispecchia nel pluralismo linguistico. Ogni regione infatti ha un proprio volgare che viene utilizzato nella scrittura non solo a fini pratici (amministrativi, politici, ecc.), ma anche per la produzione di opere letterarie. Ecco un panorama dei diversi volgari ognuno dei quali finirà per collegarsi a uno specifico filone tematico. Bisognerà attendere il Trecento perché il volgare toscano acquisti un ruolo egemone sugli altri dialetti della penisola, sia per la posizione geografica della regione, collocata al centro del Nell Italia settentrionale, soprattutto tra Lombardia e Veneto, si sviluppa una produzione in versi di tono moraleggiante ed educativo nei volgari lombardo e veneto. In Toscana vengono composte liriche d amore e, per la prima volta, anche di argomento politico, morale e giocoso nel volgare toscano. In Umbria fiorisce a partire dalla prima metà del Duecento un filone di poesia religiosa, con san Francesco d Assisi e Jacopone da Todi che scrivono in volgare umbro. In Sicilia intorno alla metà del secolo si sviluppa, presso la corte dell imperatore Federico II di Svevia, la poesia siciliana, così chiamata perché i poeti componevano in lingua siciliana. territorio italiano, sia per il prestigio economico raggiunto dai mercanti e dai banchieri toscani, sia per l opera di scrittori come Dante, Petrarca e Boccaccio i quali conferiranno a questa lingua eleganza sintattica, ricchezza lessicale e soprattutto la capacità di piegarsi a esprimere i più diversi aspetti della realtà e le più sottili sfumature del pensiero e del sentimento. 21

22 7. LA LIRICA RELIGIOSA La componente religiosa è uno dei motivi più diffusi in ogni settore della vita e della letteratura del Duecento e forse quello che più degli altri contribuisce a caratterizzare la fisionomia dell intero secolo. Essa permea la vita individuale e collettiva di tutti i ceti sociali, le arti figurative, la musica, la cultura, i trattati. Questo straordinario fervore spirituale pervade la società in un periodo in cui essa è percorsa da una profonda crisi causata dalla mondanizzazione della Chiesa e avverte il bisogno di un ritorno ai principi evangelici. Di questa esigenza si fanno portavoce a partire dal XII secolo diversi movimenti spirituali, tutti nati dal basso, che non hanno al loro vertice né teologi né uomini di cultura, ma sono formati da laici per lo più di umile estrazione sociale. Il loro riferimento è il Vangelo con l indicazione di una vita condotta all insegna della povertà, il rifiuto di ogni potere temporale, di ricchezze e privilegi. Le loro posizioni preoccupano la Chiesa ufficiale che vede messo in discussione il proprio potere temporale; essi pertanto vengono dichiarati eretici e sottoposti a una durissima repressione. Tra i gruppi ereticali vanno ricordati i Càtari (dal greco catharòs, «puro»), diffusi in molti Paesi europei ma presenti e radicati soprattutto in Francia; i Valdesi; i Gioachimiti. Le esigenze di purificazione e di ritorno ai principi evangelici che i gruppi ereticali portavano avanti in contrasto con il potere papale furono riprese e sviluppate all interno della Chiesa nel XIII secolo dagli ordini francescano e domenicano, chiamati «mendicanti» perché i loro religiosi vivevano di elemosine. Essi da un lato fecero proprie certe componenti dei movimenti ereticali, come il pauperismo (una scelta di vita ispirata alla più assoluta povertà), la predicazione, l aspirazione alla purezza, dall altro mantennero un atteggiamento di sottomissione alla Chiesa e, rimanendo al suo interno, contribuirono al rinnovamento spirituale delle gerarchie ecclesiastiche. Con gli ordini mendicanti fa la sua apparizione nella società del tempo la figura del frate, che si differenzia dal monaco perché non trascorre la sua vita chiuso in un monastero, ma vive a contatto con la gente, predica, e riesce a diffondere una devozione più vicina al popolo. Si deve infatti ai domenicani, per esempio, l introduzione della pratica del rosario e a San Francesco l istituzione del presepio. 22

23 Questa religiosità esercita una grande influenza anche sul versante letterario: l esigenza di rivolgersi ai fedeli in una lingua che permettesse loro di comprendere più agevolmente l autentico messaggio evangelico contribuì, infatti, a diffondere un uso meno istintivo e più regolare della lingua italiana, favorendo la nascita dei primi testi letterari in volgare. Alla diffusione delle confraternite laiche che intonavano canti in onore della Vergine, di Cristo e dei santi si deve l introduzione della lauda, sia lirica che dialogata. Un importante filone di poesia religiosa percorre tutta la letteratura del Duecento con personaggi come San Francesco d Assisi e Jacopone da Todi che, oltre a essere delle figure di riferimento sul piano spirituale, vengono considerati i primi importanti esponenti della letteratura italiana del XIII secolo. 23 catari condannati al rogo francescani e domenicani

24 7.1 FRANCESCO D ASSISI San Francesco d Assisi, fondatore dell ordine religioso che da lui ha preso il nome, è l iniziatore della letteratura italiana. Nato ad Assisi nel 1181 (o 1182) dal mercante Pietro Bernardone e da una donna di origine provenzale, Francesco trascorse la prima giovinezza in un ambiente ricco e non privo di cultura. Dopo una malattia fu colto da una profonda crisi spirituale e nel 1206, con un gesto clamoroso e simbolico, restituì al padre persino gli abiti che indossava, indicando in tal modo la sua rinunzia ai beni mondani. Visse per due anni in eremitaggio, quindi cominciò a predicare. Intorno a lui si raccolse ben presto una piccola comunità di seguaci che avevano scelto di vivere in povertà assoluta e di predicare il Vangelo. Francesco decise allora di scrivere per sé e per i suoi frati una Regola di vita fondata su pochi e semplici principi che furono approvati sia da papa Innocenzo III sia dal suo successore Onorio III. Nacque così il movimento francescano destinato a una rapida espansione. Nel 1224 Francesco ricevette sul monte della Verna, dove viveva in eremitaggio, le stimmate che lo resero ancor più simile a Cristo e due anni dopo morì fra atroci sofferenze, dopo aver dettato il suo testamento spirituale con il quale esortava i frati a una vita di povertà, di sofferenza gioiosamente accettata e di amore. Nel 1228 fu proclamato santo da papa Gregorio IX. Francesco rinuncia ai beni terreni Storie di San Francesco di Giotto Basilica superiore di San Francesco - Assisi 24

25 Francesco d Assisi, oltre alla Regola scritta in latino, compose, in volgare umbro, il Cantico delle creature, che è considerato il più antico componimento letterario in lingua italiana. Lo scrisse con l intenzione di offrire ai fraticelli e a tutti i fedeli un testo da cantare in lode del Signore. Si spiega così l utilizzazione di concetti semplici, facilmente comprensibili dai devoti e il riferimento alle cose piccole e grandi della natura. Dietro la semplicità dell impianto si può cogliere tuttavia una profonda cultura religiosa: il componimento infatti si ispira, sia per il contenuto sia per la struttura in versetti, ai salmi biblici e in particolare al Cantico dei tre fanciulli, un inno di lode a Dio innalzato da tre giovani in un momento di estremo pericolo. Sono inoltre presenti nel testo alcuni degli ideali di vita propri del movimento francescano: l ammirazione gioiosa per la bellezza e l armonia del creato, la necessità della pace, l accettazione umile e serena del dolore che purifica e conduce alla vita eterna. 25 Innocenzo III approva la regola francescana Storie di San Francesco di Giotto Basilica superiore di San Francesco - Assisi

26 CANTICO DI FRATE SOLE o LAUDES CREATURARUM (Cantico delle creature) Ipotesi di composizione Il Cantico di Frate Sole (o Laudes creaturarum), uno dei testi più importanti della letteratura italiana in volgare, secondo la tradizione sarebbe stato composto in tre momenti: la prima parte (vv. 1-22) nel 1224, a seguito d una notte terribile, conclusasi con una visione in cui a Francesco sarebbe stata rivelata la salvezza della sua anima; la seconda (vv , i cosiddetti versi del perdono ), in occasione del rappacificamento, per opera dello stesso Francesco, tra il podestà ed il vescovo di Assisi; la terza (vv ), nel 1226, all annuncio della morte ormai prossima di Francesco. La critica, in linea di massima, è però convinta che il Cantico abbia una perfetta tenuta contenutistica e formale: l ipotesi (ad ogni modo indimostrabile) della composizione in tempi diversi sarebbe dunque dovuta ad una differenza soltanto apparente tra temi iniziali e temi finali. 26 Il modello biblico La struttura delle Laudes creaturarum riprende il modello biblico dei cantici e dei salmi, in particolare nella ripetizione d alcuni moduli sintattici (Laudato sie ) e nell utilizzo d una prosa ritmica organizzata in versetti. Per quanto riguarda il doppio titolo Cantico e Laudes, Francesco si rifà alla tradizione paraliturgica e popolare fiorita attorno alle laudes, che inizialmente indicavano una parte dell ufficio canonico. Schema metrico La forma metrica del componimento è una prosa ritmica assonanzata (Signore / benedictione; radiante / grande; mentovare / creature / splendore; Aqua / casta; nocte / forte) oppure rimata (stelle / belle) con strofe (lasse) di due, tre o cinque versetti lunghi di dimensione non regolare.

27 anafora enumerazione per polisindeto anacoluto Altissimo, onnipotente, buon Signore, a Te spettano la lode, la gloria e l onore ed ogni benedizione. A Te solo, Altissimo, si confanno, e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome. Che Tu sia lodato, Signore, con tutte le tue creature; specialmente fratello sole, che rappresenta la luce del giorno: Tu ci illumini per mezzo suo, ed esso è bello e i suoi raggi sono molto splendenti; simboleggia Te, o Altissimo. Che Tu sia lodato, mio Signore, per sorella luna e per le stelle: in cielo le hai create lucenti, preziose e belle. 27 personificazione

28 Che Tu sia lodato, mio Signore, per fratello vento e per il cielo nuvoloso e sereno e per ogni tempo, attraverso cui dai nutrimento alle tue creature. Che Tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, che è molto utile, umile, preziosa e pura. Che Tu sia lodato, mio Signore, per fratello fuoco, con il quale illumini la notte: è bello, lieto, vigoroso e forte. Che Tu sia lodato, mio Signore, per nostra sorella la madre terra, che ci nutre e alleva e produce frutti diversi, fiori colorati ed erba. 28 enumerazione per polisindeto

29 parallelismo sintattico Che Tu sia lodato, mio Signore, per coloro che perdonano per amor tuo e sopportano malattie e sofferenze. Beati quelli che sopporteranno in pace, perché saranno premiati da Te, Altissimo. Che Tu sia lodato, mio Signore, per nostra sorella morte corporale, alla quale nessun uomo vivo può sfuggire. Guai a coloro che moriranno in peccato mortale. Beati coloro che la morte troverà nella tua santissima volontà, perché non saranno colpiti dalla condanna eterna. Lodate e benedite il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà. 29

30 GUIDA ALLA LETTURA Unità o frattura? Il Cantico di Frate Sole ha posto e pone ancora molti problemi interpretativi e filologici. La questione più importante è quella relativa alla composizione: il testo è stato scritto in una sola occasione o è frutto di circostanze e rielaborazioni diverse? In altre parole: il cambiamento di tono ai versi pregiudica l unità strutturale e contenutistica del componimento oppure no? LA LETTURA DI SPITZER Secondo Leo Spitzer, Francesco intende non solo lodare le cose in quanto tali o rispetto a Dio, ma anche (con riferimento esplicito alla Genesi) in relazione all essere umano (utile, v. 16). Al contrario delle altre creature, però, l uomo non è esaltato per la sua intrinseca bellezza e bontà: egli è immagine doppia per antonomasia, gravato com è dalla possibilità di scegliere e operare il male (v. 29). Così l ottimismo riguardo al creato si trasforma in visione pessimistica di fronte all uomo: in questo modo si determina la frattura fra le parti del Cantico, soprattutto dal punto di vista semantico (si vedano le espressioni infirmitate et tribulatione, guai a cquelli ke morranno ne le peccata mortali, la morte secunda). Lo stesso Spitzer afferma però che, sebbene non vi sia compattezza tematica, l omogeneità è garantita, a livello formale, dal ritmo quasi cantilenante del testo. LA LETTURA DI GETTO Secondo Getto, al contrario, l immagine del mondo è completamente positiva: non solo il creato tout court, ma anche la natura e le azioni umane sono in totale armonia con la volontà divina. Gli ultimi versi presentano, così, un uomo rappacificato con i suoi simili attraverso il perdono (vv ) e riconciliato con Dio attraverso l umiltà (vv e 33). Tutto, nell universo francescano porta significatione (v. 9) della bontà e della grazia divina. Il significato di per In ambito filologico, il dubbio fondamentale riguarda il significato da attribuire alla preposizione per, nelle espressioni per frate sole, per sora luna e le stelle ecc., relative ai diversi elementi del creato. La questione ha un importanza centrale in quanto, col variare del senso della preposizione, varia anche l interpretazione complessiva del brano. 30

31 Le ipotesi più rilevanti sono: per con valore causale, derivato dal latino propter (lettura tradizionale e più accreditata): Lodato sii, Signore, a causa di ciò che hai creato ; l autore loda Dio per le qualità del mondo, immagine diretta della bontà e della perfezione divine; per con valore di complemento d agente, derivato dal francese par (ipotesi proposta da Luigi Foscolo Benedetto): Lodato sii, Signore, da tutte le tue creature ; l autore invita tutte le creature a lodare Dio per il semplice fatto di essere state create; per con valore strumentale: l uomo è l agente che loda il Signore per mezzo delle sue creature (Della Giovanna, Palazzi); per con valore mediale-localistico, derivato dal greco dià (proposta di Antonino Pagliaro) come nella formula liturgica Per Christum Dominum nostrum: Lodato sii, Signore, in tutte le tue creature ; l autore può onorare Dio, pur non essendo degno di mentovar[lo] (v. 4), grazie alla lode che innalza al creato, medium tra l uomo e la divinità. L IPOTESI PIÙ CONVINCENTE L ultima ipotesi, benché sia attualmente messa da parte, sembra la più convincente: essa, oltre a non creare contraddizione con il v. 4 (et nullu homo ène dignu te mentovare), permette di comprendere appieno l espressione porta significatione. Le creature non sono solo il simbolo della potenza divina, ma anche i mezzi che consentono all uomo di raggiungere Dio con la propria voce. La divinità, infatti, non può essere né compresa né nominata direttamente: la lode al creato (un creato buono in netto contrasto con le teorie di tanti teologi medievali e, in particolare, con il del De contemptu mundi di Innocenzo III) è il solo modo con cui il credente può esaltare pienamente Dio a partire dalla presenza di Dio stesso nel mondo. GIOIA E DOLORE, SEGNI DI DIO Bisogna infine sottolineare che, sebbene le opinioni dei critici siano contrastanti, il senso generale delle Laudes creaturarum è abbastanza chiaro. Francesco, lontano da ogni forma di dolorismo, spinge l uomo a gioire per la bellezza del creato e a sopportare umilmente e con animo puro la sofferenza. Ogni cosa, anche il dolore, è manifestazione di Dio sulla terra. 31

32 Diffusione popolare e dignità letteraria Francesco concepisce il Cantico come un testo che anche le persone più umili possano comprendere, recepire e riprodurre. Ma non si tratta di una composizione ingenua o d aspetto popolare. Ha, infatti, un particolare carattere letterario, colto e ricercato. RICHIAMI BIBLICI E STRUTTURA DEFINITA In primo luogo, si ispira direttamente alla Sacra Scrittura, più precisamente al Salmo 148 e al Cantico dei tre fanciulli, contenuto nel libro di Daniele, 3, In secondo luogo, ha una struttura ben definita, con aggettivazione a tre membri (vv. 1, 8, 11, ecc.) o a quattro (vv. 16, 19), a creare un tessuto sintattico ripetuto, su cui s innestano i differenti episodi della lode a Dio. ANAFORE E ASSONANZE In terzo luogo, la prosa ritmica del Cantico è molto curata sul piano formale, arricchita con anafore (Laudato si, mi Signore), rime (stelle/belle, vv ; vento/sustentamento, vv ; rengratiate/ humilitate, vv ) e assonanze (tucte/tue/creature, v. 5; radiante/grande, v. 8; sole/splendore/ significatione, vv. 6-9), ecc. PRESENZA DEL CURSUS Infine, è rilevante la presenza del cursus, un artificio della prosa latina medievale che produce una cadenza prefissata in base all accentazione delle ultime due parole: vengono qui utilizzati il cursus planus (polisillabo piano seguito da trisillabo piano: ad esempio, peccata mortali) e il cursus velox (polisillabo sdrucciolo seguito da quadrisillabo piano: ad esempio, sanctissime voluntati). UN VOLGARE ILLUSTRE Infine, il testo è scritto in una lingua che tenta di allontanarsi dai caratteri dialettali dell umbro (uniche rimanenze la -u in fine parola, l epitesi ène, la terza persona plurale sul modello di konfano, il futuro in -ano, il verbo sostengo e la forma messor), ricorrendo a latinismi (dignu, cum, et, ecc.) e a grafie ricalcate sul latino (honore, homo ecc.). Francesco riesce così a creare non solo un testo di notevole impatto emotivo e d alta dignità letteraria, ma anche una lingua che può essere definita, a buon diritto, il primo esempio di volgare illustre. 32

33 7.2 JACOPONE DA TODI Jacopo de Benedetti Jacopone, come lui stesso preferiva farsi chiamare per una forma di auto-umiliazione nato a Todi tra il 1230 e 1240, appartenne a una nobile famiglia ed esercitò la professione di notaio. La sua vita ebbe una svolta improvvisa quando scoprì che la moglie, morta in seguito al crollo di un solaio durante una festa, portava un cilicio, cioè uno strumento di mortificazione della carne. Profondamente turbato, lasciò ogni attività ed entrò come frate laico tra i francescani. Dopo la morte di San Francesco l ordine si era diviso in due correnti: i conventuali, che avevano attenuato il rigore della regola francescana, e gli spirituali, che invece volevano mantenersi fedeli ai principi fissati dal fondatore dell ordine. Jacopone si collocò tra gli spirituali. In un primo momento i suoi rapporti con la Chiesa furono abbastanza sereni. Era allora papa Celestino V, un eremita che perseguiva ideali di povertà e di umiltà. Ma quando Celestino V fu indotto ad abdicare e salì al soglio pontificio Bonifacio VIII, Jacopone, che lo aveva pubblicamente contestato, accusandolo di tradire lo spirito evangelico e si era apertamente schierato dalla parte di coloro che si rifiutavano di riconoscerlo come pontefice, fu scomunicato e imprigionato a vita. Venne liberato dal pontefice successivo, Benedetto XI. Morì nel La produzione letteraria di Jacopone è costituita da un laudario di circa 92 componimenti in volgare umbro nei quali egli sviluppa i temi del rifiuto del mondo, dell amore per Dio talmente intenso che non può essere espresso attraverso la parola, della dura polemica nei confronti del papa Bonifacio VIII. La religiosità di Jacopone è passionale e tormentata: egli si sente lontanissimo da Dio per la sua imperfezione umana (prima fase del suo laudario) e al tempo stesso anela a lui con un amore folle e smisurato che lo porta alla ricerca di estasi mistica (seconda fase). Il linguaggio è forte, incisivo, realistico, fino a diventare talvolta crudo e duro.. 33

34 O SEGNOR, PER CORTESIA La ballata O Segnor, per cortesia s inserisce nella linea mistica del contemptus mundi di Innocenzo III, vale a dire in quella particolare tradizione medievale che vede nel disprezzo per il mondo e nella mortificazione di se stessi le condizioni necessarie per godere dell amore divino. Si tratta di una concezione chiaramente antitetica rispetto a quella espressa da Francesco d Assisi nel Cantico di Frate Sole, dove l uomo è indotto a scorgere la presenza di Dio nella perfezione del creato e a sopportare serenamente il dolore. Proprio il dolore, invece, Jacopone invoca su di sé in questi versi, chiedendo a Dio una lunga serie di malattie, da cui derivino l allontanamento dal mondo, la più cupa solitudine ed una fine ignominiosa. Neppure la morte, infatti, può riscattare, la colpa più grave dell uomo: l avere ucciso Gesù a villania, come Giuda. Schema metrico: ballata, con ripresa di 2 ottonari (xx) e 18 quartine di ottonari (aaax), talora novenari o decasillabi; le rime sono in genere perfette, con qualche assonanza, un esempio di consonanza (fistelle-quilli, vv ), una rima siciliana 1 (vendetta-ditta, vv ) e una umbra 2 (caduco-foco-luoco, vv ). 1 rima siciliana: rima imperfetta usata saltuariamente nella poesia toscana del XIII e XIV secolo, dove è permesso, sia pure eccezionalmente, unire in rima parole con terminazione in -ì ed -é, oppure in ( vedi p. 44) -ù e -ó. 2 rima umbra: permette la rima tra -ìe ed -i e tra -ùo e -u. 34

35 O Signore, per cortesia, mandami la lebbra! Mi venga la febbre quartana, la continua e la terzana, quella che appare due volte al giorno e la grande idropisia. Mi venga mal di denti, mal di testa e mal di ventre, dolore acuto allo stomaco e l angina in gola malsania: come suggerisce Contini, il termine non indica la malattia in genere, ma precisamente la lebbra. Nella Lauda 57, non a caso, l espressione malsano putulente indica il lebbroso; sarebbe strano, d altronde, che Jacopone non citasse, tra tante malattie, proprio la lebbra, piaga del Medioevo. 2. A me... etropesia: le febbri qui elencate sono tutte malariche: la quartana veniva ogni quattro giorni, la terzana ogni tre, la doppia cotidïana due volte al giorno e la contina era una febbre continua. L etropesia (idropisia), il cui sintomo è il rigonfiamento di alcune parti del corpo per la ritenzione di liquidi sierosi, è definita grande per metonimia. 3. e n canna... squinanzia: e in gola l angina; canna è dispregiativo.

36 Mi venga una malattia agli occhi e un dolore al fianco e un ascesso sul lato sinistro; mi vengano inoltre la tisi e la frenesia in ogni momento della giornata. Che io abbia il fegato infiammato, la milza grossa, il ventre gonfio; il polmone sia piagato, con gran tosse e paralisi. Mi vengano le fistole con migliaia di bubboni, e abbia tanti cancri da esserne pieno. Mi venga la gotta; il male agli occhi mimetta in pericolo di vita; la dissenteria sia ulcerosa e mi vengano le emorroidi l apostema... manco: un ascesso sul lato sinistro, cioè presso il cuore. 5. tiseco... alco: mi sopraggiunga (ionga) da qualche parte (en alco, derivato da aliquod latino; oppure col significato di inoltre ) la tisi (tiseco). Qualcuno legge en alto: nella parte alta del corpo, cioè nei polmoni. 6. fernosia: delirio. 7. parlasia: paralisi. 8. fistelle... carvoncigli: fistole con migliaia di bubboni. 9. granchi siano quilli: ci siano talmente tanti cancri. 10. podagra: gotta. 11. m agrava: mi metta in pericolo di vita (Contini). 12. la disenteria... se dia: la dissenteria sia ulcerosa e mi si diano (dia è terza persona plurale) le emorroidi. 13. mal de l asmo: l asma. 14. iongasece... pasmo: ci si aggiunga (iongasece) l angina pectoris.

37 Mi venga l asma, ci si aggiunga l angina pectoris, mi venga la rabbia come al cane ed in bocca le ulcere delle fauci. Mi venga l epilessia da farmi cadere nell acqua o nel fuoco, e non trovi mai una posizione nella quale io non sia afflitto. Che io diventi cieco, muto e sordo, misero e in povertà, e che io rimanga sempre rattrappito. Sia tale la mia fetida puzza che non ci sia uomo vivo che non fugga da me così malconcio e pieno di malanni mal de l asmo: l asma. 14. iongasece... pasmo: ci si aggiunga (iongasece) l angina pectoris. 15. al can... grancìa: il rasmo dovrebbe essere la rabbia o il cimurro, mentre la grancìa è l ulcera alle fauci. 16. lo morbo caduco: epilessia (ovvero la malattia che fa cadere). 17. che... sia: dove (che) io non sia afflitto, dolorante (affritto). 18. cechetate: cecità. 19. en trapparia: rattrappimento. 20. Tanto... fetente: tanta sia la fetida puzza che emana dal corpo colpito da così gravi malattie. 21. ipocondria: lezione molto dibattuta; alcuni propongono ypocresia, termine proprio della tradizione

38 Lontano da ogni buona compagnia, che io sia abbandonato là dove c è il terribile fosso detto di Riguerci. Gelo, grandine, tempesta, folgori, tuoni, oscurità: non ci sia nessuna avversità che non mi abbia in suo potere. I demoni dell inferno mi siano dati come servitori per colpirmi con i mali che ho meritato con la mia follia. Questa esistenza per me duri fino alla fine del mondo: poi, al momento della dipartita, mi si dia dura morte Riguerci: località presso Todi, dove venivano forse abbandonati i malati incurabili. 23. loco: qui, in questo luogo. 24. troni: tuoni. 25. ministrali: servitori personali. 26. m essercitin: mi infliggano. 27. del mondo a la finita: l espressione, come dice Contini, significa fino alla fine del mondo. 28. a la scivirita: la scivirita è la separazione; l espressione significa dunque al momento della separazione.

39 Scelgo come sepoltura il ventre di un lupo che mi divori e i miei resti, trasformati nello sterco di quella bestia, si disperdano fra spini e rovi. Ecco i miracoli che accadranno dopo la mia morte: chi viene in quel luogo abbia come compagnia gli spiriti maligni e abbia crudeli allucinazioni. Ogni uomo che sentirà parlare di me dovrà inorridire e farsi il segno della croce come chi non vuole incontrare spiriti maligni. Mio Signore, non è espiazione sufficiente tutta la sofferenza che ti ho descritto, perché mi hai creato per amore e io ti ho ucciso per mia folle ingratitudine. 29. Aleggome: mi scelgo. 30. en voratura: che mi abbia divorato. 31. l arliquie... rogaria: i miei resti siano sterco (di lupo) fra spini e rovi. Con pesante sarcasmo rivolto contro se stesso, l autore usa il termine arliquie, cioè reliquie, tradizionalmente riferito ai resti venerati dei santi 32. Li miracul... fantasia: i miracoli dopo (po ) la morte consistano nel fatto che chi giunge nel luogo dove si trovano i miei resti abbia una compagnia di spiriti maligni (scorte) e crudeli dolori uniti al delirio (fantasia). 33. mentovare: nominare; provenzalismo (cfr. Laudes creaturarum: et nullu homo ène dignu Te mentovare, v. 4). 34. se deia stupefare: deve inorridire (stupefare). 35. che rio... via: nel timore di avere un incontro malefico (rio scuntro) nel viaggio. Non, dunque, l apparizione di un santo ma di uno spirito maligno. 36. vendetta: espiazione sufficiente. 37. a villania: per mia folle ingratitudine. 39

40 GUIDA ALLA LETTURA Malattie invocate e loro conseguenze Il tema centrale di O Segnor, per cortesia è la voluptas dolendi, cioè il desiderio della sofferenza, considerata l unico mezzo di espiazione del peccato più grave dell uomo: l aver ucciso Gesù a villania (v. 74). Il motivo è sviluppato in due sezioni simmetriche, legate da uno stretto rapporto di causa-effetto. Le nove strofe iniziali (vv. 3-38, esclusa la ripresa) ruotano attorno all invocazione delle malattie: Jacopone, con un discorso accumulativo ed iperbolico, ribalta i contenuti classici della preghiera, chiedendo a Dio le peggiori sofferenze fisiche. Non si tratta di bizzarria poetica, ma di un opposizione aperta al luogo comune medievale secondo cui la malattia è il simbolo per eccellenza della punizione divina, non solo male fisico ma anche morale: per Jacopone, invece, è presupposto di un autentica esperienza mistica. Le nove strofe finali (vv ) descrivono le conseguenze dei mali precedentemente invocati: un ironico allontanamento da onne bona compagnia (v. 46), una vita fatta di stenti (vv ) e una morte ignominiosa (vv ). Il primo si ricollega al motivo della solitudine eremitica; la seconda si riallaccia alla preghiera iniziale e sviluppa il tema della sofferenza, estendendolo all intero arco della vita (Enfin del mondo a la finita / sì me duri questa vita, vv ); la terza riprende, in chiave parodica, temi cari all agiografia medievale, secondo cui i luoghi di sepoltura e le reliquie dei santi (arliquie, v. 61) sarebbero dotati di poteri benefici e miracolosi. Jacopone opera un rovesciamento anche in relazione ai valori del mondo cortese: cortesia (prima parola-rima del componimento) e villania (ultima parola della ballata) perdono i significati propri di nobiltà e di rozzezza d animo, per assumere, il primo, un valore chiaramente ironico e indicare, il secondo, il peccato di cui l umanità s è macchiata con l uccisione di Gesù. 40

41 Linguaggio realistico La lingua è fortemente espressiva e carica di vigoroso realismo, con caratteri dialettali (cfr. le storpiature di freve, etropesia, parlasia ecc. e il riferimento locale a Riguerci): l effetto è quello della forzatura grottesca, quasi che la tensione autodistruttiva di Jacopone giungesse a frantmare anche la lingua. Il componimento presenta anche riferimenti dotti, quali provenzalismi (mentovare, v. 67), latinismi (en alco, v. 13) e citazioni dalla poesia contemporanea (cfr. cortesia, v. 1, villania, v. 74 ecc.), questi ultimi inseriti però in un contesto improprio in funzione parodistica. Questi aspetti confermano l ipotesi secondo cui Jacopone, pur scrivendo per i propri confratelli, è poeta non rozzo o incolto, ma consapevole dei propri tempi. Il ribaltamento dei valori della mentalità urbana, condotto su un piano letterario, vuole infatti dimostrare quanto essi siano agli antipodi di quelli cristiani. Caratteri metrici Ad un orecchio inesperto può apparire strana l instabilità della metrica di Jacopone. In realtà, le lievi differenze (compresenza di ottonari, novenari e decasillabi) vengono riportate a normalità se si prende in analisi il fenomeno dell anacrusi. Essa consiste nell aggiunta di una o due sillabe fuori battuta all inizio della serie ritmica di un verso o di una sua parte. In base a ciò, i versi della ballata vale a dire l ottonario trocaico (accenti sulla prima, terza, quinta, settima sillaba), il novenario giambico (accenti principali sulla quarta e sull ottava, secondari sulla prima o seconda e sulla sesta o settima, e una cesura dopo la quarta o quinta sillaba) e il decasillabo anapestico (accenti sulla terza, sesta e nona sillaba) vengono tutti riconsiderati, per anacrusi, ottonari e ricalcano, come dice Contini, il modello dell octosyllabe francese a cui si rifanno. 41

42 8. LA SCUOLA SICILIANA 8.1 LA CORTE DI FEDERICO II Un centro politico e culturale L Italia meridionale entrò nell orbita dell impero germanico quando Enrico VI ( ), figlio di Federico I di Svevia (il Barbarossa), sposò Costanza d Altavilla, erede al trono normanno di Sicilia; dalla loro unione nacque il futuro Federico II ( ). Morti i genitori, Federico fu affidato a papa Innocenzo III, suo tutore fino alla maggiore età. Innocenzo III, che si considerava non solo guida spirituale ma anche capo temporale della cristianità, non voleva l unione del regno di Sicilia al Sacro Romano Impero e ai Comuni dell Italia centrosettentrionale. Per lui il regno di Sicilia era e doveva restare vassallo della Santa Sede, come al tempo dei Normanni. Alla morte del papa, Federico II manifestò invece l intenzione di creare uno Stato indipendente dalla Chiesa, che comprendesse tutta la penisola. Incoronato imperatore da Onorio III (1220), stabilì dunque la sua corte a Palermo. Il conflitto con il papato si trasformò in guerra alcuni anni dopo, allorché Federico II intervenne contro i Comuni dell Italia settentrionale riuniti nella Lega Lombarda, in difesa della loro autonomia, e li sconfisse a Cortenuova (1237). In quell occasione alcune città, che si definivano ghibelline, si erano schierate con l imperatore, altre (guelfe) con il papa. Appoggiate finanziariamente e militarmente da Genova e Venezia, le città guelfe ebbero la meglio su Federico dieci anni dopo, prima a Parma e poi nella battaglia di Fossalta (1249). Alla morte improvvisa di Federico II, nel 1250, divenne re di Sicilia il figlio Manfredi ( ). La magna curia Durante il regno di Federico II, Palermo che costituiva un ponte verso il mondo arabo, la Grecia e l Oriente divenne un grande centro culturale. La magna curia, ovvero la grande corte imperiale di Federico, favorì lo studio delle discipline scientificofilosofiche, promosse istituzioni culturali (Università di Napoli, Scuola medica di Salerno) e studi di retorica 42

43 (l arte del comporre era importante per la burocrazia imperiale). Lo stesso imperatore, colto e versatile (conosceva tedesco, francese, latino, arabo e siciliano), fu poeta in volgare, così come i figli Enzo e Manfredi, e fu mecenate di scienziati arabi e intellettuali bizantini. Il declino del dominio svevo in Italia segnò la fine di quella fioritura poetica e culturale alimentata da Federico II. La Scuola siciliana La poesia italiana in volgare nacque in Sicilia nella prima metà del Duecento ( ), alla corte di Federico II di Svevia. Qui un gruppo di rimatori (circa venticinque), provenienti anche da regioni del centro e del nord Italia, diede vita alla cosiddetta Scuola siciliana. Con il termine scuola si intende sottolineare che questi poeti presentano scelte tematiche e stilistiche comuni, anche se ciascuno conferì ai propri versi un impronta individuale. I rimatori siciliani subirono l influenza dei trovatori provenzali in lingua d oc e rappresentano l unico esempio di letteratura cortese in Italia. Anche i poeti toscani e gli stilnovisti, autori nel Duecento di versi in volgare, si rifecero ai modelli provenzali, ma questi vivevano in un contesto politico-sociale diverso. Essi erano infatti intellettuali, legati alla nuova realtà comunale, e spesso trattarono nei loro versi temi sociali e politici assenti nei componimenti dei siciliani, che cantarono esclusivamente l amore cortese. Della maggior parte dei poeti siciliani non è giunto che il nome e i testi loro attribuiti dai copisti di fine Duecento sono spesso incerti. Tra i poeti più noti, Jacopo da Lentini (1210 ca ca.), Pier della Vigna (1190 ca.-1249), Iacopo Mostacci (1240 ca.), Guido delle Colonne (1210 ca ca.) e Stefano Protonotaro (XIII secolo) scrissero liriche d amore di elevato contenuto teorico-morale; Rinaldo d Aquino (XIII secolo), Giacomino Pugliese (XIII secolo) e Cielo d Alcamo (XIII secolo) imitarono il motivo cortese in tono più colloquiale, avvicinandosi a forme intermedie tra la poesia aulica e quella popolaregiullaresca. 43

44 La lirica provenzale e la Scuola siciliana I poeti siciliani subirono un influsso determinante dalla lirica provenzale, ma la loro produzione si differenzia per molti aspetti dalla poesia in lingua d oc e può essere compresa soltanto nell ambito della politica e del clima culturale della corte di Federico. I poeti provenzali vivevano in un contesto politico-sociale contrassegnato dal feudalesimo e stabilirono una relazione fra rapporto di vassallaggio e rapporto amoroso; i siciliani, vivendo in uno Stato accentrato, abbandonarono questo approccio e si dedicarono con maggiore attenzione agli aspetti psicologici e intellettuali dell esperienza amorosa. Il volgare illustre Il linguaggio poetico si basa sul volgare siciliano impreziosito da innesti latini e provenzali. Il risultato è un volgare illustre, completamente nuovo per la tradizione letteraria della penisola. La toscanizzazione I componimenti dei siciliani ci sono giunti grazie a trascrizioni compilate in Toscana che, se hanno il merito di avere tramandato questa produzione, ne hanno anche mutato alcune caratteristiche linguistiche, traducendo il linguaggio aulico siciliano in forme toscane o toscaneggianti. I copisti, per esempio, hanno modificato la u siciliana in -o (usu / amorusu sono diventate uso / amoroso) e la -i in -e, trasformando rime regolari e raffinate in rime imperfette (ura / pintura sono diventate ora / pintura; giri / gaudiri, gire / gaudere). 44

45 8.2 JACOPO DA LENTINI La vita Jacopo da Lentini (1210 ca ca.), notaio alla corte di Federico II, può essere considerato iniziatore della Scuola siciliana. Dante lo ricorda in questo modo, citandolo come «Notaro» per eccellenza, nel canto XXIV del Purgatorio (v. 56). Le opere Le liriche (circa quaranta) di Jacopo da Lentini, composte tra il 1233 e il 1240, sono dedicate esclusivamente all amore cortese, del quale egli ripropone tutti gli stereotipi: la gioia e il dolore che provengono dal sentimento amoroso, con i suoi giochi delicati di audacia e ritrosia; la sottomissione nei confronti della donna, venerata in estatica contemplazione; la celebrazione della bellezza dell amata e i paragoni con la natura. A differenza dei poeti provenzali, questo poeta dedica i suoi versi anche ai sospiri d amore, agli sguardi fuggevoli e, soprattutto, alla natura dell amore. A lui si attribuisce l invenzione del sonetto. 45

46 Jacopo da Lentini Amor è un desio che ven da core 1-4 L amore è un desiderio che proviene dal cuore per eccesso (abondanza) di piacere (che la donna ispira); è generato prima di tutto dagli occhi e poi è alimentato (li dà nutricamento) dal cuore li occhi... nutricamento: gli occhi sono il primo strumento che fa nascere il sentimento mentre il cuore ha la facoltà di nutrire questa impressione di bellezza. 5-8 È vero (Ben è) che talvolta (alcuna fiata) è possibile innamorarsi senza vedere la persona oggetto del proprio amore (so namoramento), ma l amore che diventa passione nasce solo dalla vista dell amata. 5. om: costruzione impersonale alla francese perché gli occhi trasmettono al cuore ogni che cosa che vedono buona o cattiva che sia, come è in natura; e il cuore, che elabora ciò (di zo è concepitore), immagina e si compiace di quel desiderio: questo è l amore che regna nel mondo. 12. zo: ciò (dal provenzale zò) in natura; 46

47 L origine e le manifestazioni dell amore Il sonetto, il più famoso della Scuola siciliana, è una meditazione filosofica sull essenza dell amore. In esso si affronta la questione della natura e della fenomenologia di questo sentimento. Il poeta sostiene la natura principalmente interiore dell amore, il quale tuttavia necessita anche dell elemento visivo. I sentimenti del cuore sono suscitati dall oggetto sensibile, gli occhi sono il tramite tra l oggetto desiderato e la passione che ne segue. È una tematica già presente nei provenzali e che ritroveremo, profondamente rinnovata, negli stilnovisti e in Dante. Argomentazione e struttura del sonetto Le argomentazioni sviluppate dal poeta si adattano allo schema formale del sonetto: le quartine contengono la tesi e l antitesi, mentre le terzine sviluppano gli argomenti a sostegno della tesi. 47

48 9. FAMILIARIZZARE CON LA POESIA DELLE ORIGINI 9.1 CECCO ANGIOLIERI E I POETI COMICO-REALISTICI Cecco Angiolieri nasce a Siena intorno al 1260 da una nobile e ricca famiglia. Di parte guelfa, trascorre una giovinezza sregolata. Nel 1281, mentre milita nelle truppe senesi, viene multato due volte per essersi allontanato dall accampamento e nel 1291 viene processato e assolto per il ferimento di un uomo; qualche anno dopo lascia Siena, probabilmente diretto a Roma. Non conosciamo la data della sua morte ma deve essere avvenuta prima del 1313, come dimostra il documento con cui i suoi figli rinunciano all eredità paterna perché gravata da eccessive ipoteche. Cecco Angiolieri è autore di più di cento sonetti che, ad eccezione di qualche componimento di soggetto amoroso, sono quasi tutti ascrivibili al filone comico-realistico di cui è egli l esponente di maggior spicco. Nei suoi testi il poeta si dipinge come un donnaiolo amante del vino e del gioco e animato da un feroce odio nei confronti della famiglia, in particolare del padre, ricco banchiere senese. Oggi, tuttavia, si tende a pensare che questo colorito ritratto non vada considerato in modo autobiografico ma sia il frutto del vasto repertorio letterario dell autore. I poeti comico-realistici Cecco Angiolieri è l esponente più significativo tra i poeti comico-realistici. Il termine definisce alcuni scrittori operanti in Toscana tra Firenze, Arezzo, Lucca e soprattutto in area senese che nella seconda metà del Duecento rifiutano le convenzioni della poesia d amore e capovolgono i valori della società cortese. Alla celebrazione di situazioni e sentimenti alti e sublimi i poeti comico-realistici contrappongono la descrizione di una realtà quotidiana e triviale, di personaggi ai limiti della caricatura di cui enfatizzano i tratti più bassi e degradati mediante il meccanismo della parodia. All amore puro e nobile si sostituisce la forza del desiderio fisico, alla perfezione della dama dotata di eccelse virtù morali la meschinità della plebe rozza e venale, all elogio del coraggio l esaltazione dei piaceri offerti dal vino e dal gioco. 48

49 Queste scelte tematiche sono influenzate dalle trasformazioni delle città italiane che tra il Duecento e il Trecento vedono l emergere di un nuovo ceto sociale dinamico e spregiudicato, la borghesia mercantile, maggiormente aperta al contatto con altre realtà regionali ed europee e quindi piuttosto critica nei confronti degli ideali politici e spirituali della società antica, ormai al tramonto. Ma su questi scrittori agisce in modo determinante anche la conoscenza della poesia goliardica elaborata a partire dal XII secolo dai clerici vagantes. 1 Nonostante amino presentarsi come personaggi rozzi e incolti, i poeti comico-realistici sono letterati a tutti gli effetti e l anticonformismo dei loro testi non nasce da un istintivo gusto per la trasgressione ma, al contrario, va considerato il frutto di una scelta consapevole che pur andando nella direzione opposta a quella della poesia d amore presuppone e implica una pari perizia tecnica. 1 I clerici vagantes erano studenti e intellettuali poveri esclusi dalla carriera nelle università i quali, piegando la solenne aulicità del latino a una finalità comica, presentavano in tono burlesco e irriverente temi come la sofferenza umana causata dall avversa fortuna, la volubilità e la corruzione delle donne, l avarizia dei padri e la stupidità delle madri. Decisamente innovative sono le scelte linguistiche e lessicali di questi rimatori che, trasferendo in volgare toscano il portato della tradizione goliardica, creano una lingua assai più varia e articolata di quella selezionatissima dei poeti d amore, adattando il vocabolario cortese a situazioni ignobili e volgari e accostando il lessico di origine provenzale a termini di estrazione popolaresca con risultati di grande freschezza. Per questo motivo essi possono essere considerati dei pionieri poiché sono i primi scrittori colti ad avventurarsi nel campo inesplorato della lingua popolare e a utilizzarla intenzionalmente con finalità artistiche. 49

50 9.2 Sonetto LXXXVI S i fosse foco, arderéi l mondo S'i' fosse foco, arderéi 'l mondo; s' i' fosse vento, lo tempesterei; s'i' fosse acqua, i' l'annegherei; s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo; s'i' fosse papa, sare' allor giocondo, 5 ché tutti cristïani imbrigherei; s'i' fosse 'mperator, sa' che farei? A tutti mozzarei lo capo a tondo. S'i fosse morte, andarei da mio padre; s'i' fosse vita, fuggirei da lui: 10 similemente farìa da mi' madre. S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: e vecchie e laide lasserei altrui. 1 S i fosse foco en profondo: Se io (i ) fossi (fosse) fuoco, brucerei (arderei le forme del condizionale in -ei, oggi divenute regolari, erano tipiche nel Duecento dell area senese il mondo; se io fossi vento, lo sconvolgerei con la tempesta; se io fossi acqua, io lo sommergerei (annegherei); se io fossi Dio lo sprofonderei (mandereil en profondo; al verbo «manderei» è unito il pronome personale enclitico «lo», che diviene «l» per elisione). 2 s i fosse papa a tondo: se io fossi papa, in questo caso (allor) sarei allegro (giocondo), perché (ché) metterei nei guai (imbrigherei) tutti <i> cristiani; se io fossi imperatore, sai (sa, forma apocopata) cosa farei? Taglierei (mozzarei) la testa (lo capo) a tutti con un taglio netto (a tondo; secondo alcuni interpreti, «a tondo» non va collegato con «mozzarei», bensì con «a tutti»; il significato del verso sarebbe allora taglierei la testa a tutti quelli che mi stanno intorno ). 3 S i fosse morte da mi madre: Se io fossi morte andrei da mio padre; se io fossi vita mi allontanerei da lui: allo stesso modo mi comporterei (farìa: è, in questo sonetto, l unica forma di condizionale che adotta la forma in -ia, generalmente prevalente nella poesia del Duecento) con (da, per analogia con il v. 9) mia madre. L odio contro i genitori, in particolare contro il padre avaro, ricorre spesso nelle rime di Cecco. 4 S i fosse Cecco altrui: Se io fossi Cecco, come lo sono e lo sono sempre stato (fui), prenderei per me (torrei) le donne giovani e belle (leggiadre): e lascerei agli altri quelle vecchie e brutte (laide). 50

51 Livello metrico Sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD. La scelta delle parole-rima conferisce al testo una voluta ripetitività: le rime in B sono tutte morfologicamente affini (si tratta del condizionale presente, coniugato alla prima persona singolare, di quattro diversi verbi); le due parole-rima della prima terzina (C) sono poi strettamente connesse sul piano semantico («padre» : «madre»). Livello lessicale, sintattico e stilistico Il testo è costruito sulla alternanza tra strofe dispari (prima quartina, prima terzina) e strofe pari (seconda quartina, seconda terzina). L apertura presenta un ritmo incalzante, un succedersi di frasi brevissime che trattano enfaticamente una tematica poco meno che apocalittica. Ma questo ritmo è subito stemperato dalla seconda quartina, fin dalla prima parola-rima (l aggettivo «giocondo»). Ritmo incalzante e temi foschi e drammatici sono riproposti nella prima terzina; ma essi vengono nuovamente, definitivamente negati nella seconda terzina, che presenta un netto abbassamento del tono. Analizziamo in dettaglio gli elementi che concorrono a produrre questo effetto. Le strofe dispari (prima quartina, prima terzina) Le strofe dispari presentano una perfetta coincidenza tra ritmo e sintassi: a ogni verso (con la sola eccezione del conclusivo v. 11) corrisponde un periodo ipotetico articolato in una protasi, contenuta nel primo emistichio, e un apodosi, contenuta nel secondo. Nelle strofe dispari, i sei periodi inizianti per «s i fosse» (vv. 1-4; vv. 9-10) presentano tutti ipotesi impossibili. Ciò è evidenziato, sul piano lessicale, dall uso di sostantivi che escludono qualsiasi riferimento al mondo umano: il personaggio che dice io immagina di identificarsi con tre degli elementi costitutivi del mondo secondo la fisica classica medievale (fuoco, aria, acqua) e poi addirittura con Dio, con la morte e con la vita. La figura retorica dominante è l anafora, che lega tra loro tutti i versi della prima quartina e i primi due versi della prima terzina. La costruzione delle strofe dispari determina un effetto di ossessiva ripetizione dello stesso tema (il desiderio di distruzione). Nella prima quartina la distruzione si presenta come vera e propria fine del mondo (variata, attraverso i verbi, in quattro forme diverse a seconda della natura dell elemento o dell essere con cui l io si identifica). Nella prima terzina i vv ribadiscono il 51

52 medesimo desiderio di distruzione applicato stavolta non più al mondo, ma alla figura del padre di Cecco attraverso l incrocio di due sostantivi astratti («morte» - «vita») e di due verbi metaforicamente collegati a tali sostantivi («andarei» - «fuggirei»). Gli elementi di queste due coppie sono legati tra loro da antitesi, eppure il significato dei due versi è perfettamente identico. Versi Sostantivi Verbi Significato 9 morte andare = morte 10 vita fuggire = morte Il v. 11, pur sintatticamente isolato dagli altri, chiude e rafforza la simmetria della seconda terzina. Esso sottolinea (anche grazie alla rima «padre» «madre») come il desiderio di distruzione sia rivolto a entrambi i genitori. Da notare come, nelle strofe dispari, siano praticamente assenti gli aggettivi (l unica eccezione è costituita dalla ripetizione del possessivo «mio» - «mi» della prima terzina; il «profondo» del v. 4 è invece da considerarsi un sostantivo). Ciò rafforza ulteriormente l essenzialità della sintassi, accentuando l enfasi ossessiva. Sul piano del significato, comunque, tutti questi versi sono riconducibili all iperbole: la stessa impossibilità delle ipotetiche identificazioni del personaggio che dice io denuncia implicitamente il fatto che ci troviamo di fronte a una poetica dell eccesso; nessuna di queste affermazioni, insomma come meglio chiarirà il raffronto con le strofe pari pretende in alcun modo di esser presa sul serio. Le strofe pari (seconda quartina, seconda terzina) Le strofe pari sono occupate da periodi più articolati, che spezzano la coincidenza ritmo-sintassi caratteristica di quelle precedenti. Nella seconda quartina l alternanza protasi-apodosi si distende su due coppie di versi, con notevole allentamento della tensione. Il v. 5 sembra seguire lo schema dei precedenti (protasi + apodosi distribuite nei due emistichi), ma quello successivo non contiene un nuovo periodo ipotetico, bensì una proposizione causale subordinata all apodosi. La protasi del v. 7 trova invece la sua apodosi solo al verso successivo: tra le due componenti del periodo ipotetico si inserisce infatti l ammiccante inciso interrogativo rivolto al lettore («sa che farei?»). 52

53 Nella seconda terzina il v. 12 contiene la protasi ampliata da una incidentale che ne sottolinea la realtà, mentre l apodosi si articola a sua volta in due versi, contenenti rispettivamente la proposizione principale (v. 13) e una coordinata (v. 14). Nelle strofe pari le ipotesi umanamente impossibili lasciano spazio a ipotesi gradualmente più vicine alla realtà: la seconda quartina presenta situazioni certo estremamente improbabili (l elezione del personaggio che dice io a papa o a imperatore), ma non ontologicamente impossibili come le precedenti (grammaticalmente possiamo considerarli due periodi ipotetici della possibilità, anche se si tratta di una possibilità puramente teorica). La seconda terzina presenta invece un periodo ipotetico della realtà (e l inciso «com i sono e fui» lo sottolinea con chiarezza). Ancora una volta è indicativa la scelta lessicale, che cade ora su sostantivi connessi con la concreta realtà del mondo umano: prima il papa, i cristiani e l imperatore, poi lo stesso Cecco e le donne. L unico sostantivo che non indica una persona («capo», v. 8) si riferisce comunque a una parte del corpo umano. L anafora appare meno insistita che nelle corrispondenti strofe dispari: nella seconda quartina l emistichio «s i fosse» è presente solo ai vv. 5 e 7; nella seconda terzina soltanto al v. 12. Ciò conferisce al discorso un ritmo assai più disteso di quello delle strofe dispari. Al rallentamento del ritmo concorre il fatto che nelle strofe pari compaiano gli aggettivi. Assai importante perché può costituire una chiave di lettura della strofa è il «giocondo» del v. 5; ma non meno significative sono le due coppie di attributi del sostantivo «donne» ai vv (si tratta di due dittologie sinonimiche: «giovani e leggiadre» vs «vecchie e laide».) Queste due coppie di aggettivi (così come i verbi «torrei», v. 13, e «lasserei», v. 14) sono legate da antitesi; ma stavolta, a differenza di quanto accadeva nella prima terzina, non c è alcun incrocio degli elementi antitetici: il v. 13 contiene solo elementi positivi, tutti polarizzati intorno al personaggio che dice io ; il v. 14 solo elementi negativi, tutti polarizzati intorno al pronome indefinito «altrui». Nel complesso le strofe pari producono un effetto di continua variazione, sia ritmica che tematica, che contrasta con quello dell ossessiva ripetizione che si era osservato per le strofe dispari. La seconda quartina distingue il comportamento dell ipotetico Cecco-papa da quello del Cecco-imperatore; la seconda terzina contrappone nettamente due diversi atteggiamenti del Cecco reale: quello verso le donne belle e quello verso le donne brutte. 53

54 In definitiva, il tema della distruzione passa nettamente in secondo piano rispetto al concreto desiderio di godere più degli altri (e magari alle loro spalle); il tema distruttivo, poi, scompare del tutto nella seconda terzina. Livello tematico È evidente che queste osservazioni di ordine stilistico e retorico trovano un riscontro sul piano tematico. La sapiente elaborazione letteraria del testo chiarisce, in primo luogo, che il sonetto non è affatto lo sfogo immediato di un disperato risentimento verso Dio, il mondo, l umanità (come qualcuno, soprattutto in epoca romantica, aveva ritenuto). È vero che dietro la poesia di Cecco è sicuramente presente un fondo sincero di esperienza personale; ma è altrettanto vero che tale poesia è il risultato di una studiata e attenta elaborazione formale, che obbedisce ai canoni della poetica medievale; un gioco letterario che spesso fa il verso ai generi seri (si pensi solo all abbassamento della figura della donna rispetto a quanto avviene nello Stilnovo) e che, per ottenere quest effetto, presuppone un approfondita conoscenza di questi stessi generi. La costruzione simmetrica delle strofe dispari del sonetto, per esempio, richiama quella tipica di un genere di origine provenzale, il plazer, ma ne capovolge completamente il significato: nel plazer si elencano cose desiderate in quanto piacevoli; in questo sonetto si affastellano desideri (almeno in apparenza) violenti e distruttivi. L alternanza tra strofe dispari e strofe pari come abbiamo già accennato segue un disegno preciso: le strofe dispari presentano tematiche apocalittiche (prima quartina) o violentemente dissacratorie (prima terzina), tutte accomunate dall evidente impossibilità delle ipotesi; le strofe pari presentano tematiche meno tragiche, con ipotesi che gradualmente si avvicinano alla realtà. Nella seconda quartina, pur nel contesto di una identificazione assolutamente inverosimile, la distanza psicologica tra l io poetante e il papa è notevolmente accorciata dalla riduzione di quest ultimo a una dimensione puramente canagliesca: quello a cui pensa Cecco è un papa da mascherata o da taverna, come ben indica il dispettoso verbo «imbrigherei» del v. 6. Nel comportamento dell ipotetico Cecco-imperatore, poi, più che la violenza insita nell atto di tagliare il capo ai sudditi, balza in primo piano (grazie anche alla collocazione in rima) il compiacimento estetico, e crudelmente infantile, di fronte alla perfezione della lama mozzateste (il taglio «a tondo» del v. 8). 54

55 È del resto la prima parola-rima della quartina («giocondo», v. 5: il primo aggettivo presente nel sonetto) a dare il tono all intera strofa; mentre la congiunzione testuale «allora» (v. 5) sottolinea la contrapposizione tra questa quartina e quella che la precede. Del tutto evidente, nell ultima terzina, l abbassamento del tono rispetto alla strofa precedente: al culmine di una serie di ipotesi impossibili o improbabili che sembrano auspicare la più violenta sovversione dell ordine morale e sociale, Cecco si descrive infine qual è: un donnaiolo o aspirante tale che esprime il suo risentimento per il mondo solo con il proposito di lasciare agli altri le donne «vecchie e laide». Davanti a una conclusione del genere sembra quasi di sentire come notava Natalino Sapegno «l eco delle grasse risate che dovevano accompagnare le letture di quei sonetti nelle veglie alla taverna». Il desiderio di sovversione lascia intravedere così il suo volto bonario e godereccio; la dimensione apparentemente tragica rivela la sua natura iperbolica e caricaturale; il capovolgimento dei valori proclamato da Cecco (che dissacra volutamente i fondamenti della cultura e della società: la carità cristiana, la pietas filiale, l amore) si rivela, in definitiva, un capovolgimento carnevalesco. Una ribellione che a parole minaccia sfaceli, ma che, alla fine, lascia il mondo esattamente com è. 55

56 APPENDICI - Indice Appendice 1 - Letteratura delle origini/mappe Mappa 1 Sintesi storico-culturale del Medioevo 57 Mappa 2 Alto Medioevo 58 Mappa 3 La Chiesa e la cultura 59 Mappa 4 Basso Medioevo 60 Mappa 5 La scrittura in volgare 61 Mappa 6 Origini della letteratura volgare in Francia 62 Mappa 7 La poesia delle origini in Italia 63 Appendice 2 Lessico antico e classico 64 Appendice 3 Dal latino all italiano 65 Appendice 4 Poemi epici medievali 68 1 La diffusione della chanson de geste in Francia e in Italia 68 2 I cantares de gesta 70 3 L epica delle popolazioni anglosassoni e germaniche 72 Appendice 1 56 LETTERATURA DELLE ORIGINI mappe

57 mappa sintesi storico-culturale medioevo STORIA E SOCIETÀ CULTURA E I DEE L ETTERATURA III-VII secolo Calo demografico in Europa; aumento delle zone incolte 476 Deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore d Occidente V-VII secolo Formazione del sistema curtense 632 Morte di Maometto 732 Vittoria dei Franchi sugli Arabi a Poitiers 800 Incoronazione di Carlo Magno; nasce il Sacro Romano Impero 843 Il trattato di Verdun suddivide l impero carolingio in tre regni indipendenti Prima crociata 1122 Il Concordato di Worms tra Chiesa e Impero pone fine alla lotta per le investiture Seconda crociata 1152 Federico Barbarossa diventa imperatore Terza crociata 1216 Onorio II ufficializza l ordine domenicano fondato da Domenico di Guzmán 1220 Federico II è eletto imperatore 1223 Onorio II approva la regola francescana sancendo la nascita dell ordine 1294 Elezione al soglio pontificio di Bonifacio VIII Corpus iuris civilis di Giustiniano 643 Editto di Rotari, prima legge scritta dei Longobardi 910 Fondazione del monastero benedettino di Cluny X secolo Diffusione in Europa del mulino a vento 1088 Sorge a Bologna la prima Università italiana 1121 Pietro Abelardo pone le basi della logica medievale che si affermerà nella filosofia scolastica È costruita la cattedrale di Notre Dame a Parigi: uno dei primi esempi di Gotico Inizio del XIII secolo Viene introdotto l aratro pesante su ruote e con vomero piegato. Nella navigazione si diffonde l uso della bussola 1257 Fondazione dell Università della Sorbona a Parigi 1267 inglese Ruggero Bacone: prima formula europea per preparare la polvere da sparo Giotto affresca le Storie della vita di san Francesco nella basilica di Assisi Inizio del XII secolo Chanson de Roland: poema del ciclo carolingio in lingua d oïl Chrétien de Troyes, autore di romanzi legati al ciclo della Tavola Rotonda 1185 Andrea Cappellano scrive il De amore (L amore) e fissa i canoni dell amore cortese Prima metà del XIII secolo Fiorisce la scuola siciliana 1225 Francesco d Assisi scrive il Cantico di Frate Sole 57

58 mappa ALTO MEDIOEVO SECC. VI X Tratti fondamentali della società in Europa Conseguenze culturali Spezzettamento dell unità politica e conseguente disgregazione dell organizzazione scolastica unitaria Decadenza delle città e spostamento della popolazione in campagna: chiusura delle scuole urbane Diminuzione della popolazione Arretramento della civiltà mercantile, riduzione degli scambi e delle comunicazioni tra regioni La gente comune non parla più latino Diffusione delle parlate volgari, cioè popolari (vulgus = popolo) Il latino rimane lingua della cultura e dei documenti scritti Omogeneità culturale derivante dal Cristianesimo 58

59 mappa LA CHIESA E LA CULTURA Ruolo della Chiesa Unico centro di cultura e di istruzione Accentua il distacco con il passato tramite la lotta al paganesimo Conserva e usa il latino come lingua liturgica e della cultura Gli intellettuali appartengono alla Chiesa: clericus è sinonimo di letterato I luoghi di trasmissione della cultura sono abbazie, sedi vescovili, monasteri Si mantengono le strutture grammaticali del latino e le figure retoriche, ma si rifiutano i contenuti ritenuti errati e peccaminosi Nelle abbazie ci sono scriptoria e biblioteche dove si riproducono e si conservano testi classici 59 Si interpretano gli autori classici in chiave cristiana per dare un fondamento filosofico alla nuova religione

60 mappa BASSO MEDIOEVO SECC. XI XIV Tratti fondamentali della società in Europa Espansione del sistema feudale: cultura aristocratica Rinascita e sviluppo delle città Aumento della popolazione Decadenza delle istituzioni universali (Papato, Impero) e nascita dei particolarismi (comuni, monarchie nazionali) Ripresa dei commerci locali, regionali, continentali 60 Conseguenze culturali Riorganizzazione del sistema scolastico per preparare alle esigenze del mondo più complesso: istruzione sempre monopolizzata dalla Chiesa, ma più diffusa Trivio (grammatica, logica e retorica: studi superiori) e Quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia: studi di base) Università: strutture urbane, organizzazioni di studenti e insegnanti, uso del latino affermazione delle lingue romanze

61 mappa LA SCRITTURA IN VOLGARE Prime attestazioni in Italia Scritture di uso pratico: verbale di testimonianze in atti notarili in latino (placiti cassinensi) Documenti mercantili e libri di conto L uso del volgare scritto avviene per mediazione di persone colte, che applicano le strutture grammaticali del latino al volgare In Italia il volgare si afferma tardi come lingua letteraria, perché Influenza della lingua d oc 2. Prolungato uso del latino 3. Diffusione della civiltà urbana e non di quella feudale frammentazione politica: affermazione di molte lingue volgari diffuse in aree di estensione limitata

62 mappa ORIGINI DELLA LETTERATURA VOLGARE IN FRANCIA 62

63 mappa LA POESIA DELLE ORIGINI IN ITALIA 63

64 Appendice 2 LESSICO POETICO ANTICO E CLASSICO Aere aria Desio desiderio Labbia labbre nutricare nutrire aita aiuto doglia sofferenza, dolore lasso stanco Obliare dimenticare alma anima Egro infermo latèbra nascondiglio òmero spalla atro nero, scuro eleggere scegliere laude lode opra opera, lavoro augello uccello ermo solitario lauro alloro orbare privare aura aria, brezza etere cielo lice è lecito ovra opera, lavoro Beltade bellezza Favellare parlare loco luogo Peregrino pellegrino brando spada fello malvagio lunge, lungi lontano periglio pericolo Cale importa fiata volta Magione dimora però perciò calle strada federe ferire manco meno piaggia declivio, discesa cangiare cambiare fornire compiere meco, con me, picciolo piccolo carco carico frale delicato (fragile) teco, con te, pièta pietà chiaro illustre furare rapire seco con sé pingere dipingere clade sconfitta Garzone giovinetto mercare far commercio pondo peso commettere affidare gire andare mercè grazia, pietà possa, forza, potere conto (agg.) noto giuso giù mirare guardare possanza manifesto guardo sguardo molle bagnato prece preghiera core cuore Imo profondo Negletto trascurato pria prima cotanto tanto imperio comando nullo nessuno prisco antico crine capelli ire andare nunzio annunciatore procella tempesta 64

65 pugnare combattere Sacrare consacrare suso su veglio vecchio Querela lamento scemo privo Tapino meschino verno inverno quinci di qui secreto segreto tema timore veruno nessuno Rai raggi, occhi sembiante aspetto tenzone contrasto vertù ratto rapido speme speranza vertude virtù Unqua mai virtude reo, rio malvagio spera sfera uopo repente improvvisamente spirto spirito (è d uopo) occorre volvere volgere retaggio eredità stupido stupìto usato consueto vulgo, ruina rovina sùbito (agg.) improvviso anni ali volgo popolo V 65

66 Appendice 3 DAL LATINO ALL ITALIANO Tra le lingue romanze l italiano è quella più strettamente legata al latino. Lo dimostrano, fra l altro, le numerosissime parole e strutture morfosintattiche di origine latina che costituiscono la base del nostro lessico. Per comprendere bene come è avvenuto il passaggio dal latino all italiano, è opportuno rendersi conto di alcuni dei fenomeni linguistici più diffusi, riscontrabili anche in altre lingue neolatine, che vale la pena esaminare singolarmente. Essi sono: 1. trasformazione di alcuni dittonghi in vocale semplice: il dittongo au è diventato o, per cui da aurum si è avuto oro; oe ed ae sono diventati e, per cui da poena siamo passati a pena, da Caesar a Cesare 4. perdita delle desinenze che, trovandosi alla fine della parola, risultavano deboli nella pronuncia e quindi finirono per scomparire; pertanto, mentre in latino si declinava homo, hominis, homini, ecc., nelle lingue romanze abbiamo una sola forma: uomo, homme, ecc. 2. trasformazione della vocale semplice in dittongo, sotto la spinta dell accento, per cui petra è diventata in italiano pietra, in spagnolo piedra, in francese pierre 5. introduzione dell articolo determinativo (il da ille) e indeterminativo (un da unus) 3. scomparsa delle vocali atone, in particolare nelle parole di tre sillabe con accento sulla prima, per cui la parola latina calidum è diventata in italiano caldo, in francese chaud; bonitatem, è diventata in italiano bontà, in spagnolo bondad, in francese bonté 66

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