ECONOMIA URBANA. Valeria Costantini Facoltà di Architettura, Università Roma Tre. Contatti:

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1 ECONOMIA URBANA Valeria Costantini Facoltà di Architettura, Università Roma Tre Contatti:

2 ECONOMIA URBANA E REGIONALE Economia Urbana 2

3 TEORIA DELLA CRESCITA E DELLO SVILUPPO REGIONALE Economia Urbana 3

4 INTRODUZIONE La teoria della crescita e dello sviluppo regionale ha fondamenti tipicamente macroeconomici Il concetto di spazio uniforme-astratto identifica questo filone. La crescita economica regionale è la capacità di un sistema economico locale di trovare, e di ricreare continuamente, uno specifico e appropriato ruolo all interno della divisione internazionale del lavoro attraverso l uso efficiente delle risorse possedute. I meccanismi di sviluppo locale sono identificati solo nella diversa dotazione di risorse e di fattori produttivi, nelle ineguali condizioni di domanda e di struttura produttiva tra regioni La crescita può essere intesa sia di breve che di lungo periodo. Economia Urbana 4

5 Ha come obiettivo quello di identificare gli elementi e le determinanti che possono spiegare il sentiero di sviluppo di un sistema locale, analizzarlo sia in termini di crescita assoluta (ottica di efficiente allocazione delle risorse), sia in termini di crescita relativa tra regioni, per interpretare le disparità regionali e i possibili sentieri di convergenza o divergenza nei livelli e nei tassi di crescita del reddito (ottica di equità distributiva) L attenzione si sposta dalle scelte localizzative alla definizione dei processi di sviluppo economico su scala sub-nazionale. Analizza la capacità di un sistema locale di sviluppare le attività presenti o di attirarne di nuove dall esterno per generare benessere, ricchezza e condizioni per uno sviluppo duraturo. Capacità di un sistema regionale di trovare e mantenere uno specifico e appropriato ruolo nella divisione internazionale del lavoro. Economia Urbana 5

6 Il sottosviluppo e gli squilibri regionali emergono in presenza di una differente capacità di sfruttamento e organizzazione delle risorse locali (economiche, ambientali, fisiche e umane) e di attrazione di nuove risorse e attività. Teoria della crescita e dello sviluppo regionale: cerca di spiegare quali elementi interni alla regione determinare la capacità di crescere e quali processi esterni possono rafforzare o indebolire tale capacità. Teorie della crescita regionale: prodotto o reddito pro capite Teorie dello sviluppo locale: elementi tangibili e intangibili (fattori immateriali e capitale sociale) Economia Urbana 6

7 1) Modelli classici e neoclassici: processo di crescita in chiave di efficienza produttiva, divisione del lavoro in senso smithiano, di produttività dei fattori produttivi, dinamica dei salari, dei redditi e del benessere individuale. 2) Modelli di crescita che analizzano l uso di risorse date (nel breve periodo) considerando ampie riserve di lavoro. 3) Modelli di crescita più moderni che interpretano il sentiero di crescita come un problema di competitività, dinamica di lungo periodo, con costanti processi di innovazione. Economia Urbana 7

8 1) Obiettivo di interpretare le condizioni necessarie per innescare un processo di sviluppo e come lo sviluppo si caratterizzi in modo differenziato nel tempo (teoria degli stadi di sviluppo). 2) Obiettivo di individuare le determinanti che generano occupazione e reddito nel breve periodo, ipotizzando capacità produttiva (stock di capitale) non utilizzato e ampie riserve di lavoro. La crescita non dipende dalla struttura e dalla dinamica dell offerta (che può espandersi indefinitamente) ma dallo sviluppo della domanda di beni prodotti localmente (teoria della domanda). 3) Meccanismi economici che permettono alla regione di uscire dalla povertà, di garantir un certo livello di benessere e di reddito pro capite agli individui. Si agisce sulla produttività dei fattori con cui ottenere incrementi di salario e reddito pro capite e su processi di specializzazione produttiva con lo sfruttamento di vantaggi comparati (teoria della specializzazione). Economia Urbana 8

9 Diverse concezioni di spazio utilizzate nelle diverse teorie della crescita. Prime teorie dello sviluppo regionale: spazio uniforme-astratto, uno spazio all interno del quale le condizioni di offerta (dotazione fattoriale, struttura settoriale e produttiva) e di domanda (gusti e preferenze dei consumatori) sono identiche ovunque (teorie neoclassiche della crescita e stadi di sviluppo, teoria della base di esportazione e teoria delle dotazioni fattoriali). Uno spazio di questo tipo permette di utilizzare modelli macroeconomici aggregati. Sono teorie della crescita regionale, dove interessa interpretare l andamento del reddito come indicatore sintetico di sviluppo, perdendo però informazioni qualitative. Nelle teorie dello sviluppo locale si adotta una concezione di spazio diversificato-relazionale, che ipotizza l esistenza di polarità ben precise nello spazio geografico e di specifici rapporti tra individui, società, territorio (massima espressione nella teoria dei distretti industriali, dei milieu innevateur, delle learning regions). Economia Urbana 9

10 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo Una delle più antiche teorie dello sviluppo applicabili all economia del territorio. Nasce come primo tentativo di affiancare ad un analisi di localizzazione delle attività produttive un interpretazione delle implicazioni delle sceltelocalizzative sui meccanismi di sviluppo. Lo sviluppo regionale è costituito dal susseguirsi di fasi, successive l una all altra, ognuna delle quali caratterizzata da una produttività fattoriale e da un rapporto capitale/lavoro crescenti, che spiegano il raggiungimento di livelli di benessere e di ricchezza pro capite sempre più elevati. 1) FASE DI AUTARCHIA: in cui il sistema economico locale è in condizioni di autosufficienza in un economia di sussistenza: tutto ciò che è prodotto localmente è utilizzato per il consumo locale. Economia Urbana 10

11 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo 2) FASE DI SPECIALIZZAZIONE: si mette in moto grazie alla creazione di alcune infrastrutture di trasporto, che danno luogo alla possibilità di scambio di beni agricoli e alla specializzazione dell economia locale nella produzione di beni primari. 3) FASE DI TRASFORMAZIONE: dell economia da economia agricola a industriale, grazie al decollo di attività industriali strettamente connesse alla lavorazione di prodotti primari (prodotti agricoli e delle attività estrattive) e alle necessità di una crescente popolazione (attività edilizia) 4) FASE DI DIVERSIFICAZIONE: delle attività manifatturiere, grazie alla crescente richiesta di beni intermedi, alla crescita del reddito e alla conseguente comparsa di nuovi settori che rispondono ad esigenze di consumo della popolazione in crescita e sempre più diversificate Economia Urbana 11

12 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo 5) FASE DI TERZIARIZZAZIONE: espansione delle attività terziarie, in risposta alle esigenze di un industria avanzata. Teoria che mette in forte rilievo la specializzazione produttiva che diventa fonte di una crescente produttività del lavoro (concezione smithiana): gli incrementi di produttività derivano da processi di produzione sempre più indiretta, suddivisa in fasi, cicli e processi specializzati in senso verticale. Sottolinea l importanza nel sentiero di sviluppo di una crescita contemporanea di diversi settori e diversi investimenti infrastrutturali in un processo di sviluppo bilanciato. Nello sviluppo bilanciato risiedono vantaggi ed esternalità, fonti di rendimenti crescenti a livello territoriale e forze motrici della crescita locale. Economia Urbana 12

13 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo 1) Esternalità derivanti da meccanismi di interdipendenza tra diversi settori, attraverso legami input-output garantiscono uno sviluppo diffuso in tutta l economia locale 2) Esternalità nei meccanismi tra domanda e offerta, che permettono processi di sviluppo cumulativo, sulla base della crescita dell offerta in linea con la struttura delle preferenze dei consumatori locali 3) Esternalità che nascono dalla presenza di investimenti in infrastrutture differenti, con progetti integrati (particolare attenzione alle infrastrutture di trasporto da cui dipende l espansione del mercato. Sottosviluppo come permanenza forzata all interno di una fase Economia Urbana 13

14 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo Cause del sottosviluppo legate alle condizioni interne all area, ad esempio ridotta capacità di espansione per carenza di risparmio (vi ricordate il modello keynesiano???); oppure insufficiente domanda (dimensione ristretta del mercato). Vincoli esterni: regione integrata in un sistema di regioni più sviluppate, i meccanismi di domanda-offerta e di interdipendenza settoriale, stimolata da una domanda interna di produzioni avanzate, possano mettersi in moto nelle regioni limitrofe più avanzate (rischio di crescente divergenza). Implicazioni di policy: nelle prime fasi di sviluppo le politiche di sviluppo si devono incanalare verso investimenti pubblici in pochi grandi e diversificati settori, presenti in modo ragguardevole a livello locale per minimizzare le dispersioni verso altre regioni. Economia Urbana 14

15 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo Il circolo vizioso del sottosviluppo Economia Urbana 15

16 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo EFFETTI SULLA DISPARITÀ REGIONALE Metà anni 60. Williamson presenta una riflessione circa l evoluzione dei divari regionali all interno di un paese. Lo sviluppo si presenta nelle prime fasi concentrato e polarizzato nelle aree centrali del paese, e solo successivamente si diffonde in aree più periferiche e ai settori più deboli. Sviluppo a due velocità che comporta nelle prime fasi dello sviluppo economico di un paese il divario regionale cresce, per poi ridursi quando il reddito nazionale raggiunge un determinato livello. L aumento del divario nelle prime fasi tra regioni forti e deboli è riconducibile a effetti di spiazzamento a favore dell economia forte. Economia Urbana 16

17 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo EFFETTI SULLA DISPARITÀ REGIONALE Effetti di spiazzamento: Emigrazione di lavoro selettiva (qualificato) da aree deboli a aree forti Flussi di capitali verso le regioni più ricche, attratti da domanda più elevata, dalla presenza di infrastrutture e servizi e da un più ampio mercato potenziale Allocazione di una quota elevata di investimenti pubblici nelle aree forti Limitati scambi interregionali di risorse che non generano nei primi stadi effetti di trascinamento dell area povera da parte dell area ricca Economia Urbana 17

18 1) Struttura produttiva: Teoria degli stadi di sviluppo EFFETTI SULLA DISPARITÀ REGIONALE Meccanismi positivi: Creazione di nuovi posto di lavoro anche in aree meno sviluppate (il flusso migratorio si riduce) Minore attrattività delle aree più avanzate per effetto di saturazione dei mercati e congestione fisica (elevati costi del suolo e riduzioni del saggio di profitto) Crescita degli investimenti pubblici nelle aree deboli Nascita di effetti di trascinamento dell area forte su quella debole Economia Urbana 18

19 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share La composizione settoriale di una regione spiega il suo tasso di crescita. Regioni a prevalente attività agricola hanno produttività fattoriale più contenuta, un più basso rapporto capitale/lavoro e un tasso di crescita più limitato a differenza di regioni industrializzate che registrano elevai tassi di sviluppo. Nella teoria degli stadi di sviluppo si usano solo tre settori, agricoltura, industria e servizi e si ipotizza che all interno di ciascun settore ci sia identica produttività, valida per tutte le regioni. Sono ipotesi irrealistiche, perché all interno di un settore la produttività può essere molto diversa tra diverse attività, e la stessa attività può avere produttività diversa a seconda della regione. Economia Urbana 19

20 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share Anni 50, analisi della relazione tra struttura produttiva e crescita regionale attraverso l analisi del tasso di crescita regionale relativo di una regione, attraverso la metodologia statistica nota come SHIFT-SHARE analysis. Il tasso di crescita di una regione è influenzato da tre elementi: 1) la struttura industriale; 2) la produttività dei settori; 3) la dinamica della domanda e delle preferenze dei consumatori Nell ipotesi che una regione abbai la stessa composizione settoriale della nazione e i settori produttivi abbiano uguale produttività, allora il tasso di crescita regionale coincide con quello nazionale. Spesso invece il tasso di crescita regionale si scosta da quello nazionale. Economia Urbana 20

21 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share Tasso di crescita regionale: y r = y * + s s rappresenta il differenziale tra tasso di crescita nazionale e regionale, tale differenziale detto shift può dipendere da due effetti: Effetto di composizione della struttura settoriale della regione, detto effetto mix, che nasce dalla presenza nella regione di settori che a livello nazionale mostrano una dinamica più accentuata MIX = n i= 1 E E 0 ir 0 r E E 1 in 0 in E E 1 n 0 n Economia Urbana 21

22 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share E rappresenta la variabile settoriale analizzata (occupazione, valore aggiunto, esportazioni), i definisce i settori, n e r identificano la nazione e la regione. Tra parentesi c è la differenza tra l incremento nel periodo di tempo da 0 a 1 della variabile nel settore i a livello nazionale e l incremento medio nazionale. Questa differenza è moltiplicata per il peso relativo del settore nell economia locale Effetto di competizione della struttura settoriale regionale, effetto dif, che deriva da una maggiore capacità dell economia regionale di sviluppare in media ogni settore a tassi superiori a quelli dei corrispondenti settori nazionali DIF = n i= 1 E E 0 ir 0 r E E 1 ir 0 ir E E 1 in 0 in Economia Urbana 22

23 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share In questo caso il termine tra parentesi indica l incremento del settore i a livello regionale rispetto all incremento dello stesso a livello nazionale. L incremento è pesato con il peso relativo dl settore nell economia locale. Diversa produttività dello stesso settore in diverse aree (effetto DIF). Se applicato ad una composizione regionale molto disaggregata, l analisi shift-share permette di cogliere l apporto di ciascun settore alla determinazione del differenziale di crescita regionale. Questo approccio consente di separare gli effetti strutturali (effetto MIX) da quelli congiunturali (effetto DIF) ed evidenziare i motori dello sviluppo regionale: elementi della domanda (effetto MIX) ed elementi dell offerta e di competitività locale (effetto DIF). Economia Urbana 23

24 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share Condizioni di sviluppo favorevoli alla regione: - molti settori si trovano al di sopra della retta a 45 (aree A, D, E), rappresentano una capacità di crescita locale superiore a quella nazionale (effetto DIF favorevole) - molti settori si trovano nelle aree a destra della retta che rappresenta la media settoriale nazionale (aree A, B, C), se la regione si specializza in questi settori la crescita locale è sorretta da una domanda crescente a livello nazionale (effetto MIX favorevole) Economia Urbana 24

25 2) Struttura produttiva: analisi shift-share share Condizioni di sviluppo favorevoli alla regione: - molti settori si trovano al di sopra nell area A, registrano sia l effetto MIX che l effetto DIF favorevole, o nell area B in cui la dinamica regionale è più debole ma sufficiente a mantenere un livello di sviluppo complessivamente elevato (settori al di sopra della media regionale) - molti settori si trovano nelle aree D o E, in cui la competitività dei settori locali è così elevata da compensare la condizione di crisi in cui si trovano i settori a livello nazionale. La limitata domanda nazionale per quei beni è più che compensata dalla competitività delle imprese locali che riescono a mantenere e sviluppare quote di mercato (distretti industriali italiani che negli anni 70 sono rimasti competitivi nonostante la crisi generata dagli shock petroliferi) Situazioni di crisi per l economia locale: - molti settori si trovano nell area C, dove la crescita della domanda nazionale non è sufficiente a compensare la scarsa competitività delle imprese locali - molti settori si collocano in F e G, settori in crisi a livello nazionale e che a livello locale hanno tassi di crescita ancora più bassi Economia Urbana 25

26 2) Struttura produttiva: Centro-Periferia Approccio della centralità-perifericità che individua nella distanza dal centro delle attività economiche la causa del ritardo di svluppo. La centralità geografica rappresenta un eleemnto a favore dello sviluppo mentre la perifericità ne costituisce un ostacolo. Accesso a informazioni, conoscenza tecnologiche, mercati di sbocco dei beni, mercati dei fattori produttivi è condizione necessaria per lo sviluppo dell economia locale. In periferia ci sono maggiori costi di trasporto, di accesso alle informazioni, ritardi nell adozione delle innovazioni tecnologiche. Modello che funziona bene nell interpretare il processo di sviluppo europeo (gli USA hanno un modello di sviluppo opposto, dove le coste sono le aree più dinamiche) Economia Urbana 26

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