Influenza Aviaria e suoi riflessi zoonosici

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1 Influenza Aviaria e suoi riflessi zoonosici Attualità Maria Serena Beato, Isabella Monne, Giovanni Cattoli, Luca Busani, Manuela Dalla Pozza, Lebana Bonfanti, Nicola Ferrè I.Z.S. delle Venezie, Centro di Referenza Nazionale per l Influenza Aviaria (Direttore Sanitario: Stefano Marangon) I virus influenzali aviari sono da tempo noti per la loro potenzialità di infettare naturalmente numerose specie animali, tra cui suini, mammiferi marini, equini, mustelidi, felidi e l uomo. Nell uomo, già dalla metà degli anni 90 si sono osservate infezioni sporadiche da vari sottotipi di virus influenzali aviari in seguito all esposizione a volatili infetti. I sottotipi influenzali aviari H7N7 e H9N2 hanno causato infezioni asintomatiche o con andamento clinico lieve, manifestandosi nella gran parte dei casi come forme similinfluenzali e/o congiuntiviti acute. È comunque importante ricordare che tra i numerosi casi di infezione umana causati dal ceppo H7N7 ad alta patogenicità osservati durante l epidemia di influenza aviaria olandese del 2003, uno ha avuto esito fatale in seguito ad insorgenza di insufficienza respiratoria e renale. Nel maggio del 1997 ad Hong Kong, un virus del sottotipo H5N1 ad alta patogenicità, durante un epidemia di influenza aviaria nel pollame domestico, ha causato 18 casi di infezione nell uomo, 6 dei quali ad esito fatale. Il virus isolato dai casi umani era geneticamente indistinguibile da quello isolato dal pollame domestico locale. Dal 2003, quando questo virus è ricomparso causando nuovi focolai nei volatili in diversi paesi del Sud Est Asiatico, si è osservata una crescita allarmante di casi di trasmissione interspecie, con evidenze di gravi infezioni nell uomo, spesso ad esito fatale. La capacità dei virus influenzali aviari di infettare anche altre specie e in particolare l uomo è oggetto di studio per poter comprendere come si possono generare nuovi virus influenzali umani. Recenti osservazioni sperimentali hanno evidenziato come i virus influenzali aviari ed umani riconoscano fondamentalmente diversi recettori cellulari (_2,3 e _2,6 acidi salici, rispettivamente); questo supporta la loro specie specificità di spettro d ospite. D altra parte, si è osservato come nell uomo, entrambi i recettori siano presenti, ma distribuiti in modo quantitativamente opposto e su popolazioni cellulari diverse rispetto a quanto visto nei volatili. Si ha quindi l evidenza di una possibile compatibilità biomolecolare tra mammiferi (uomo incluso) e 5 / 203

2 Attualità virus influenzali aviari, ma a causa delle differenze nella distribuzione recettoriale, sia la possibilità d infezione umana con virus aviari, che l efficienza di trasmissione interumana dell infezione sono estremamente ridotte. Queste evidenze comunque non spiegano completamente i meccanismi di infezione dei virus aviari, che si sono dimostrati complessi e legati a numerosi fattori sia cellulari che virali. L aspetto che desta maggiori preoccupazioni è la situazione epidemiologica del virus H5N1 ad alta patogenicità. Dal 2003 questo virus ha iniziato una rapida diffusione, ed oggi la sua presenza nel pollame o nei volatili selvatici è stata confermata in oltre 40 paesi in Asia, Africa ed Europa. Probabilmente in seguito a questa sua impressionante circolazione, il virus H5N1 è andato incontro a fenomeni adattativi e a mutazioni, acquisendo caratteristiche del tutto nuove per un virus influenzale aviario. Dal punto di vista degli a- spetti patogenetici, questo virus si è dimostrato capace di determinare gravi forme cliniche non soltanto nel pollame domestico ma anche nei volatili selvatici acquatici, considerati i serbatoi naturali, e ritenuti non in grado di essere infettati e diffondere virus influenzali aviari ad alta patogenicità; inoltre si sono osservate infezioni letali anche in diverse specie di mammiferi quali felidi, mustelidi e uomo. La diffusione del virus H5N1 ad alta patogenicità, la sua endemizzazione nelle specie domestiche in alcune aree Sud Est Asiatico e le caratteristiche di sussistenza che allevamento avicolo ha nelle aree maggiormente coinvolte dall epidemia, ha favorito esposizioni umane a volatili infetti, provocando dal 2003 ad oggi (19 Aprile 2006) 196 casi di infezione nell uomo, di cui 110 ad esito fatale. La sintomatologia osservata nei pazienti infettati dal virus influenzale ad alta patogenicità H5N1 ha presentato quadri differenziati. I sintomi più ricorrenti sono stati l ipertermia e la tosse generalmente associate a linfopenia, trombocitopenia e aumento dei livelli delle transaminasi. L infezione con il virus H5N1 ha causato in più pazienti un quadro di polmonite con grave insufficienza respiratoria, ma in alcuni soggetti, la sintomatologia determinata da questo sottotipo virale non è rimasta confinata all apparato respiratorio. In particolare, in un paziente si è osservato la comparsa di gravi sintomi gastrointestinali e nervosi, ponendo l ipotesi che il virus influenzale H5N1 sia in grado di determinare un quadro sintomatologico più ampio di quanto si sia finora pensato. Inoltre, l identificazione del virus vivo nelle feci di questo paziente costringe a rivedere i criteri alla base della trasmissione e del controllo dell infezione con inevitabili riflessi sulla salute pubblica. I virus influenzali aviari si trasmettono tra i volatili per via diretta, da animali infetti che eliminano il virus attraverso le feci e le secrezioni nasali e oculo-congiuntivali o indiretta, attraverso il contatto con materiali contaminati da feci o secrezioni di animali infetti. La trasmissione dei virus influenzali aviari dai volatili all uomo sembra verificarsi con gli stessi meccanismi. Nella maggioranza dei casi umani da virus H5N1, la comparsa dei sintomi si è verificata in concomitanza di episodi di infezione in volatili domestici, e molti dei pazienti hanno riportato l esposizione diretta a volatili vivi ammalati o la manipolazione di volatili infetti morti o soppressi. Tuttavia, non tutti i casi sono stati direttamente correlati con l esposizione a volatili infetti, per cui fonti ambientali di infezione umana non 5 / 204 possono essere escluse. Anche le carni avicole o prodotti alimentari a base di carni avicole consumati crudi sono considerati potenziali vie di diffusione del virus influenzale H5N1. In alcune comunità, questi prodotti sono di largo consumo (ad es. sangue d anatra in concomitanza con riti religiosi o festività). Un evidenza della possibilità di trasmissione alimentare di tale virus si è avuta in felidi (tigri e leopardi in uno zoo in Thailandia e alcuni felini domestici) sia in condizioni sperimentali che naturali. Evidenze di trasmissione da persona a persona del virus H5N1 sono state occasionali, tutte verificatesi in seguito ad uno stretto e prolungato contatto senza mezzi di protezione con pazienti infetti. L aspetto che però preoccupa maggiormente, dal punto di vista sanitario è la possibile evoluzione del virus H5N1 in un nuovo virus pandemico. Tre sono i prerequisiti necessari affinché un qualsiasi virus influenzale sia in grado di dare origine ad una pandemia nell uomo: il virus deve avere delle caratteristiche antigeniche nuove per le quali non esista immunità nella popolazione umana, deve inoltre essere capace di replicare nell uomo dando malattia e infine deve essere in grado di trasmettersi in modo efficiente da un soggetto infetto ad un altro. Nel corso del ventesimo secolo queste condizioni si sono realizzate quattro volte generando altrettante pandemie influenzali. In tre di queste, l origine da virus dell influenza aviaria è stata confermata. Le pandemie influenzali del 1918, del 1957 e del 1968 sono, infatti, risultate dalla diffusione nella popolazione umana di 3 distinti virus originatisi dal riassortimento tra virus influenzali aviari ed umani (1957 e 1968) o dall adattamento progressivo di un virus aviario all ospite umano (1918). In particolare quest ultima evidenza, ha notevolmente aumentato il livello di attenzione sull evoluzione dei virus aviari e in particolare di H5N1 quali possibili candidati per la prossima pandemia influenzale. La base scientifica di questo fenomeno è la recente scoperta che il genoma del virus influenzale sottotipo H1N1 responsabile

3 della pandemia del 1918, nota anche come Spagnola, era interamente di origine aviaria, e non aveva, come nel caso dei virus pandemici successivi, geni acquisiti per ricombinazione con virus influenzali umani. Il virus influenzale aviario H5N1 ad alta patogenicità non è attualmente in grado di trasmettersi in modo efficiente da uomo a uomo, una delle più importanti caratteristiche che rendono un virus capace di determinare una pandemia. Tuttavia il virus H5N1 è ormai endemico nel pollame di molte regioni del Sud-Est Asiatico e il perpetuarsi della sua circolazione in paesi in via di sviluppo non fa che aumentare il rischio che il virus incrementi il suo livello di adattamento all uomo. Nei luoghi più poveri in cui mancano le condizioni igieniche di base, in cui animali e uomini condividono i medesimi spazi di vita, il virus aviario trova, infatti, le condizioni ideali per modificarsi ed adattarsi all ospite umano attraverso fenomeni di mutazione o riassortimento genetico. Per questi aspetti, un attento monitoraggio deve essere costantemente condotto al fine di identificare con tempestività un eventuale aumento del livello di adattamento del virus aviario all ospite umano. I virus influenzali aviari: eziologia ed ecologia Il virus dell influenza aviaria appartiene al genere Orthomyxovirus, famiglia Orthomyxoviridae. È un virus a RNA monocatenario a polarità negativa, dotato di envelope, di grandezza compresa tra 80 e 100 nm. Il genoma dei virus influenzali è segmentato e questa caratteristica ne condiziona le proprietà biologiche permettendo il fenomeno del riassortimento genico. Gli otto segmenti genici del virus codificano per 10 proteine 3 delle quali, comprese nell envelope, ricoprono un ruolo importante perché stimolano, in vario grado, la principale risposta immunitaria neutralizzante dell ospite. Esse sono l emoagglutinina (HA) che media l interazione tra virus e recettori della cellula ospite, la neuraminidasi (NA) che facilita il rilascio della progenie virale dalle cellule infette e la proteina di matrice 2 (M2) che funziona da canale ionico regolando il ph interno del virus. Sulla base delle differenze antigeniche delle proteine interne NP ed M1, i virus dell influenza possono essere divisi in tre tipi: A, B e C. Tutti i virus dell influenza aviaria sono classificati come tipo A. A loro volta i virus del tipo A possono essere suddivisi in 16 sottotipi sulla base dell antigene emoagglutinante (HA). Si conoscono inoltre 9 sottotipi di neuraminidasi (NA) antigenicamente differenti. Tutte le combinazioni degli antigeni HA e NA sono state isolate dai volatili selvatici a testimonianza dell estrema variabilità genetica ed antigenica dell agente eziologico. 5 / 205 Dal punto di vista della patogenicità nei volatili, i virus dell influenza aviaria vengono classificati in virus influenzali a bassa patogenicità (LPAI, dall inglese Low Pathogenicity Avian Influenza) causata dai ceppi virali appartenenti a tutti i sottotipi conosciuti (H1-H16) e virus ad alta patogenicità (HPAI, dall inglese High Pathogenicity Avian Influenza) causata da alcuni virus appartenenti solo ai sottotipi H5 e H7. Questi ceppi virali derivano da progenitori H5 e H7 a bassa patogenicità attraverso fenomeni di mutazione genetica, che sono il risultato di un tentativo di adattamento del virus dall ospite naturale (uccello selvatico) all ospite domestico (pollo-tacchino). Dal punto di vista molecolare, i ceppi virali del sottotipo H5 e H7 ad alta patogenicità contengono molteplici aminoacidi basici (MBAA) a livello del sito di clivaggio della molecola della emoagglutinina. Questa glicoproteina è presente nell envelope del virus come precursore H0. Il clivaggio di questa molecola in due subunità (H1 e H2) è un passaggio essenziale per conferire infettività alle particelle virali. La presenza o l assenza di MBAA nel sito di clivaggio condiziona la scissione enzimatica della molecola. Infatti, la presenza di MBAA permette il clivaggio del precursore H0 da parte di proteasi ubiquitarie (tra cui la furina) largamente presenti nei tessuti dell ospite. La replicazione virale può quindi avvenire in numerosi organi determinando un infezione generalizzata che conduce a morte il soggetto. Nei ceppi virali a bassa patogenicità, che non contengono MBAA nel sito di clivaggio, il precursore H0 può essere scisso solo dalla tripsina o da enzimi tripsino-simili. Ne consegue che la replicazione di questi ceppi virali risulta limitata ai tessuti dove questi enzimi sono presenti, principalmente l epitelio del tratto intestinale e respiratorio. In questo ultimo caso la sintomatologia clinica rimane localizzata a questi apparati. L ecologia dell influenza aviaria coinvolge prevalentemente i volatili acquatici, ospiti naturali dei virus dell influenza tipo A. In diverse aree geografiche il ruolo delle varie specie selvatiche può essere più o meno rilevante, ma in generale Anseriformi (anatre e oche), Caradriformi (gabbiani, cormorani) e Limicoli (pivieri, piovanelli) sono quelli più rilevanti. In queste specie i virus influenzali sono in equilibrio con l ospite e in una stasi evolutiva; l infezione si mantiene col passaggio attraverso la contaminazione delle acque di superficie dagli adulti infetti ai giovani recettivi. Dai volatili selvatici, attraverso il contatto diretto o per contaminazione delle acque superficiali, i virus influenzali possono passare ad altre specie avicoli domestiche. Dai volatili selvatici si sono isolati virus influenzali con prevalenze che variano in funzione delle specie campionate, del perio-

4 Attualità do e dell area geografica. Fino ad oggi, dai volatili selvatici si erano isolati solo virus a bassa patogenicità e, a parte un episodio nel 1968 in Sud Africa, in tali volatili non si erano osservate forme cliniche o mortalità. Il virus H5N1 ad alta patogenicità, che dal 2003 circola nel Sud Est Asiatico e che oggi ha raggiunto anche Europa ed Africa, ha però notevolmente modificato il ruolo dei volatili acquatici selvatici. Prima della diffusione di questo virus, la comparsa di sintomi e lesioni negli uccelli acquatici in seguito ad infezione con virus influenzali HPAI era considerato un evento estremamente raro. Oggi si è costretti a rivedere questo dato perché H5N1 ha provocato e continua a provocare la morte di migliaia di uccelli acquatici migratori da oriente ad occidente e sempre più proprio queste specie assumono il significato di campanelli d allarme per segnalare l arrivo del virus in nuovi paesi. Ma ancor più preoccupante è il fatto che i risultati di alcune indagini portano ad ipotizzare che i volatili acquatici migratori siano coinvolti nella diffusione del virus H5N1 nella forma altamente patogena da Oriente ad Occidente favorendo l introduzione del virus nel pollame domestico dei paesi posti lungo le rotte migratorie. È stato dimostrato che, benché l infezione da virus influenzali aviari sia stata osservata in circa 100 diverse specie di volatili sia domestici che selvatici, non tutte le specie hanno la stessa sensibilità all infezione. In particolare, tra le specie domestiche il tacchino ha manifestato un estrema sensibilità venendo infettato anche con basse cariche virali, mentre il piccione ha dimostrato una resistenza elevata all infezione e una scarsa capacità di diffusione dei virus influenzali. Tra le specie non aviarie suscettibili all infezione, il suino svolge un ruolo di rilievo; esso presenta una costellazione recettoriale, a livello dell epitelio respiratorio, che rende possibile l infezione e la replicazione sia dei virus influenzali aviari che dei virus influenzali dei mammiferi. Questa caratteristica rende il suino una fonte potenziale di nuovi ceppi virali pandemici, dal momento che mediante la coinfezione di una medesima cellula con virus influenzali di origine umana ed aviaria si potrebbe generare, mediante riassortimento, una progenie virale con geni provenienti da ambedue i progenitori, capace di replicare nell uomo e con caratteristiche antigeniche e di patogenicità non prevedibili. Di recente è stato osservato che anche la quaglia possiede delle caratteristiche recettoriali, a livello tracheale e intestinale, che rendono possibile l interazione con virus influenzali di origine non solo aviaria ma anche umana, e può quindi fornire un ambiente idoneo alla creazione di nuovi riassortanti influenzali. Di recente, in seguito alla diffusione di H5N1, si sono osservati casi d infezione anche in felidi. Il virus H5N1 HPAI è, infatti, in grado di infettare animali di questa famiglia determinando gravi forme cliniche, in molti casi letali. Casi di infezione sono stati registrati in felini selvatici (tigri e un leopardo) in Tailandia e in tre gatti domestici in Germania. Uno studio condotto nel 2004 in Olanda ha evidenziato che, in condizioni sperimentali, il gatto si infetta con il virus H5N1, si ammala e può trasmettere il contagio ad altri gatti. I risultati di questa indagine rendono necessarie ulteriori studi volti a definire il ruolo del gatto nella diffusione del virus H5N1, seppure è bene ricordare che ad oggi nessun caso umano di infezione è stato ricondotto all esposizione a gatti infetti. Attualmente, gli aspetti ecologici di maggior interesse per avere indicazioni sulla diffusione e la persistenza dei virus influenzali, in particolare di H5N1, riguardano i volatili selvatici migratori. La carenza di informazioni sulle rotte di migrazione, sulla consistenza delle popolazioni e sul livello di diffusione di H5N1 HPAI non consente di effettuare stime del rischio attendibili, ma ulteriori dati sono attesi dall attività di monitoraggio in corso. Caratteri clinici ed anatomopatologici Influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI) I virus influenzali a bassa patogenicità determinano nelle specie avicole una malattia con bassa mortalità caratterizzata da sintomi respiratori, calo dell ovodeposizione e depressione. Questo quadro varia a seconda del ceppo virale implicato, dell età e della specie dell ospite. Infatti tra polli e tacchini, le specie maggiormente allevate 5 / 206 nel nostro territorio nazionale, i tacchini risultano essere molto più sensibili alla malattia con un tasso di mortalità oscillante dal 5 al 97% in funzione dell età dei soggetti colpiti, ma anche di fattori ambientali, quali condizioni igieniche dell allevamento, ricambio d aria, temperatura e presenza contemporanea di altri agenti infettivi. La sintomatologia clinica esordisce in questa specie con depressione, penne arruffate, riluttanza a muoversi ed assenza di vocalizzazione all interno del capannone. I tacchini rimangono immobili con tendenza dei più giovani ad ammassarsi sotto le cappe riscaldanti. Il consumo di alimento risulta diminuito in modo drastico ed immediatamente seguito dalla comparsa di sintomi respiratori. La sintomatologia respiratoria è caratterizzata da rantoli, grave dispnea accompagnata da tumefazione dei seni infraorbitali e da congiuntivite. In alcuni casi il quadro può essere così grave da determinare la rottura dei sacchi aerei e la comparsa di enfisema sottocutaneo. In soggetti giovani si può osservare la presenza di diarrea verdastra o giallastra caratterizzata dalla presenza di materiale indigerito. Nei tacchini riproduttori la sintomatologia respiratoria è più lieve. Tuttavia, anche l apparato riproduttore può apparire seriamente interessato dall infezione. Durante la fase acuta l ovodeposizione si può registrare un calo dal 30 all 80%. Il calo dell ovodeposizione è accompagnato anche da una riduzione della qualità delle uova prodotte caratterizzato da guscio deforme, fragile e visibilmente decolorato. La mortalità varia dal 5 al 20%, mentre la morbilità è anche del 100%. Nei broiler, l infezione sostenuta dal virus LPAI è, nella maggior parte dei casi, del tutto asintomatica. L infezione è caratterizzata da anoressia, lievi sintomi respiratori ed una mortalità generalmente bassa, nell ordine del 2-3%. I sintomi clinici che più frequentemente si rilevano sono rantoli e lieve tosse, associati in alcuni casi a congiuntivite. Nei riproduttori broiler sessualmente maturi invece si può rilevare uno stato febbrile associato a depressione, sonnolenza e perdita dell appetito seguito da un calo dell ovodeposizione del 5-20%. Cianosi della cresta e dei bargigli sono osservabili in un numero limitato di soggetti, oltre ad una

5 lieve sintomatologia respiratoria. La morbilità può raggiungere il 100%, mentre la mortalità varia generalmente dal 3 all 8%. Nella fase acuta della malattia possono essere prodotte numerose uova deformi e decolorate. I focolai di infezione nelle ovaiole possono risultare di minore gravità rispetto a quelli nei riproduttori broiler ed inoltre, nelle ovaiole allevate in gabbia, la progressione della sintomatologia risulta più lenta. La sintomatologia clinica che si osserva sono perdita dell appetito e depressione, accompagnati da lievi sintomi respiratori e congestione della cresta e dei bargigli. Il calo dell ovodeposizione va dal 2 al 10%. Reperti anatomo-patologici Sia nei tacchini adulti sia nei giovani il reperto necroscopico più caratteristico è costituito dalla presenza di coaguli fibrinosi nei seni infraorbitali e nella trachea che, in molti casi, sono la causa di morte per soffocamento. Trachea e polmoni si presentano congesti e talvolta emorragici. Nei tacchini adulti si può riscontrare una aerosacculite fibrinosa che interessa i sacchi aerei toracici e addominali, quale conseguenza di infezioni batteriche secondarie. La milza si presenta aumentata di volume e congesta. Il pancreas risultava particolarmente colpito sia negli adulti sia nei giovani. Nei tacchini giovani il quadro può presentarsi più grave con aumento di volume e consistenza, e con la superficie spesso interessata da emorragie e necrosi. Negli adulti, il fegato può presentarsi congesto con emorragie petecchiali sulla superficie e congestione dell ansa duodenale. In alcuni casi, epicardio e tonsille cecali sono interessati da emorragie. L ovaio è interessato da congestione ed emorragie dei follicoli ovarici, congestione e edema dell ovidotto che può contenere spesso un essudato catarrale-caseoso. Si possono osservare tuorli d uovo presenti liberi in cavità addominale. Nei broiler e nei giovani riproduttori le lesioni anatomo-patologiche sono generalmente assenti o molto lievi e comunque limitate a congestione della trachea e del polmone, talvolta accompagnate da tracheite catarrale. I follicoli ovarici si presentano emorragici ed edematosi ed a volte colliquati. Frequentemente si è potuta osservare congestione ed edema dell ovidutto. Il riscontro della peritonite da uovo è spesso associata alla presenza di follicoli ovarici liberi in cavità addominale. Occasionalmente si sono possono rilevare emorragie puntiformi sull epicardio, sul fegato e sulla sierosa intestinale. e risultando costretti al decubito forzato con movimenti di pedalamento. Si possono spesso osservare anche contrazioni spastiche delle ali associate a movimenti di volo ed opistotono. Nei polli anoressia, depressione ed interruzione dell ovodeposizione sono seguiti da sintomi nervosi quali prostrazione, immobilità, tremori della testa, paralisi delle ali ed incoordinazione dei movimenti delle zampe quando stimolati a muoversi. I soggetti muoiono in decubito laterale ed il decesso è preceduto da movimenti di pedalamento e da respiro affannoso. Nelle ovaiole allevate in batteria, la malattia può manifestarsi con una diffusione molto più lenta all interno del capannone. Inizialmente si osserva una grave depressione o la morte di un solo soggetto per gabbia in una parte limitata del capannone. Il diverso comportamento che si registra nella diffusione dell infezione nei volatili allevati a terra e in quelli in batteria è probabilmente legato alla quantità di feci infette a diretto contatto con gli animali stessi. Reperti anatomo-patologici - Gli organi interni appaiono congesti. La lesione di più frequente riscontro è la pancreatite. Accanto a questo reperto si osservano congestione ed aumento di volume della milza, emorragie delle tonsille cecali ed emorragie petecchiali sull epicardio. All esame necroscopico, la pancreatite risulta il reperto comune a tutte le categorie sopra citate. Il pancreas si presenta aumentato di volume, di consistenza ed emorragico. In alcuni casi sulla sua superficie sono evidenti focolai di necrosi. Oltre a questi reperti, in alcuni casi, la milza appare aumentata di Influeza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) L infezione sostenuta da virus HPAI è caratterizzata da mortalità nei soggetti colpiti, che può anche raggiungere il %, nei tacchini entro ore dalla comparsa dei sintomi clinici mentre nei polli può avvenire nelle ore successive. Nei tacchini la sintomatologia nervosa è caratterizzata da incoordinazione e tremori seguita ad un improvvisa e drammatica diminuzione dell assunzione dell alimento. I tacchini ruotano la testa all indietro, presentano paralisi delle ali, andatura anormale e spesso non sono in grado di mantenere la stazione, perdendo l equilibrio

6 Attualità volume e sulla sua superficie sono presenti focolai di necrosi, mentre le tonsille cecali sono emorragiche. Petecchie interessano l epicardio, il grasso addominale ed occasionalmente la muscolatura. Nel rene si rileva talvolta la presenza di depositi di urati. Diagnosi di laboratorio 5 / 208 Le tecniche disponibili per la diagnosi dell influenza aviaria in laboratorio sono in costante evoluzione. Un numero sempre maggiore di test diagnostici vengono, infatti, messi a punto e commercializzati per far fronte alla necessità di disporre di metodi rapidi e sensibili per individuare in modo precoce l infezione in allevamento. Le tecniche diagnostiche disponibili possono essere suddivise in metodiche per la diagnosi sierologica e per la diagnosi virologica a cui si affianca quella biomolecolare. Diagnosi sierologica. Una delle tecniche più semplici utilizzabile come test di screening è la prova di immunodiffusione in gel di Agar (AGID). Questo test è in grado di individuare positività sierologiche a virus influenzali di tipo A. Non è in grado di dare informazioni più dettagliate ma solo che l animale è venuto in contatto, sviluppando anticorpi, con uno dei virus dell influenza aviaria da H1 a H16 con tutte le possibili combinazioni di Neuroaminidasi (N1-N9). Il principio di questo test di laboratorio è la formazione di linee di precipitazione tra siero in esame e antigene di riferimento. Questa tecnica ha il limite di non poter essere eseguita per testare sieri di anatidi, mancando questi ultimi di anticorpi precipitanti. A seguito comunque di tale positività l iter diagnostico deve procedere con il test di inibizione dell emoagglutinazione. Anche questo metodo, insieme all AGID, è riconosciuto dall Unione Europea come metodo ufficiale per rilevare la presenza di anticorpi nei confronti dell influenza nelle specie avicole. La prova di inibizione dell emoagglutinazione (HI) si basa sulla capacità che gli Orthomyxovirus, a cui appartiene il virus dell influenza aviaria, hanno di agglutinare i globuli rossi di pollo, e su una semplice reazione antigene (noto)- anticorpo (incognito) il cui sistema di rilevazione dell avvenuta reazione sono i globuli rossi. Questo esame è in grado di svelare positività sottotipo-specifiche ovvero se sono presenti anticorpi anti-h5 o H7 o ad esempio H9. Questa tecnica, a differenza dell AGID, si può eseguire su sieri di tutte le specie avicole. Accanto a questi due test, che si possono definire classici, si affiancano altri tipi di test, quali l ELISA di tipo indiretto e competitivo. L ELISA di tipo indiretto necessita dell utilizzo di anticorpi antispecie e quindi non è applicabile a tutte le specie avicole è quindi specie specifico. Al contrario l ELISA competitivo si avvale di anticorpi monoclonali e la sua applicazione è valida per i sieri di tutte le specie. L ELISA al momento più utilizzato, è quello in grado di svelare gli anticorpi contro una proteina molto conservata tra tutti i virus dell influenza aviaria, la nucleoproteina (NP), dando quindi un esito di positività ad influenza tipo A. In fase di sviluppo e validazione vi sono test ELISA che si avvalgono dell uso di anticorpi monoclonali contro il tipo di emoagglutinina (ad es. H5 o H7) o contro il tipo di neuroaminidasi (ad es. N1 o N3). Generalmente il test ELISA affianca o sostituisce l AGID per l esecuzione dello screening sierologico essendo una tecnica più sensibile, e in grado di sostenere carichi di lavoro più elevati. Diagnosi virologica. Alla diagnosi sierologica segue o si affianca quella virologica. Questa procedura è considerata il gold standard ed è la procedura riconosciuta dalla Direttiva Europea in vigore. Questo metodo permette di isolare il virus e quindi di caratterizzarlo identificando il sottotipo di emoagglutinina e di neuroaminidasi. Il substrato ideale per la crescita in laboratorio dei virus influenzali sono le uova embrionate di pollo SPF (Specific Pathogen Free) di 9-11 giorni di età. Il materiale patologico che comprende organi e tamponi tracheali e cloacali, viene inoculato in cavità allantoidea e successivamente le uova infettate vengono incubate per un periodo di 7 giorni a 37 C. Questi primi sette giorni costituiscono il primo passaggio a cui fa seguito un secondo passaggio cieco sempre in uova embrionate di pollo SPF. Qualora il materiale patologico campionato fosse infetto, nelle uova embrionate il virus ha le condizioni ottimali per crescere e replicarsi. Una volta isolato il virus si deve procedere alla sua tipizzazione attraverso HI e test di inibizione della neuroaminidasi (NI). L HI si svolge con la stessa procedura dell HI per la ricerca degli anticorpi ma con la differenza che in questo caso il virus è incognito e i sieri noti. Dopo che si è individuato il tipo di emoagglutinina (H) si procede all identificazione della neuroaminidasi (N). Il test di NI è una reazione sempre basata sul legame antigene-anticorpo il cui sistema di rivelazione è dato da una reazione colorimetrica innescata dall enzima neuroaminidasi con azione enzimatica e un adeguato substrato. L isolamento virale è una tecnica di laboratorio che può durare dai 3 ai 15 giorni. Vi sono però disponibili in commercio dei metodi rapidi per la diagnosi di influenza. Sono test rapidi eseguibili in campo e soprattutto in grado di dare un risultato in

7 pochi minuti. Sono per lo più test immunoenziamitici in grado di individuare la presenza del virus influenzale direttamente nei campioni clinici. In genere sono tipospecifici e non forniscono indicazioni sul sottotipo virale. La sensibilità e specificità di questi test varia da prodotto a prodotto, ma in genere è minore rispetto all isolamento virale e ai test biomolecolari. Diagnosi molecolare. Di recente sviluppo, sicuramente le tecniche molecolari sono state di enorme supporto per la gestione delle epidemie e l esatta caratterizzazione e identificazione del patotipo dei virus influenzali. La RT-PCR (reverse transcripatase Polymerase Chain Reaction), in grado di amplificare l RNA virale e di dare un risultato in poche ore, è diventato un test di screening al quale fa seguito, in caso di positività l isolamento virale per la conferma. La PCR è in grado di individuare positività ad influenza tipo A e anche di identificare in modo specifico la presenza di RNA virale dei sottotipi più importanti per il settore avicolo, quali H5, H7, H9. A questa tecnica biomolecolare si aggiunge il sequenziamento del genoma virale, strumento ormai divenuto indispensabile per seguire l evoluzione di tali virus con applicazione anche nel campo della epidemiologia. Il sequenziamento dell intero genoma e la sua comparazione con genomi di altri virus è infatti in grado di fornire informazioni circa la possibile fonte di introduzione di un virus o sulla sua origine. Accanto a questi aspetti, il sequenziamento del gene della emoagglutinina rende possibile l identificazione del patotipo, ovvero se si tratta di un virus a bassa patogenicità (LPAI = Low Pathogenicity Avian Influenza) o ad alta patogenicità (HPAI = High Pathogenicity Avian Influenza), nel giro di poche ore. Epidemiologia e sorveglianza L influenza aviaria è una malattia infettiva dei volatili selvatici e, sporadicamente di quelli domestici. Tutti i volatili, anche se in modo diverso, sono suscettibili all infezione. I volatili selvatici, in particolare Anseriformi (anatre e oche) e Caradriformi (gabbiani, cormorani, pivieri...), sono i serbatoi naturali dei virus influenzali e hanno un ruolo importante nell epidemiologia ed ecologia dell influenza aviaria. Questi uccelli in natura si infettano attraverso il contatto diretto (via orofecale), oppure dall ambiente (acque superficiali contaminate). Gli uccelli selvatici infettati raramente presentano sintomi clinici, ma attraverso le feci possono liberare nell ambiente grandi quantità di virus. Il virus si può trasmettere anche ai volatili domestici, per contatto diretto con uccelli selvatici o indirettamente attraverso le acque contaminate dalle loro feci. Oltre agli uccelli selvatici 5 / 209 e domestici, i virus influenzali aviari si possono trasmettere anche a diverse specie di mammiferi, in particolare il suino. In questo ciclo può rientrare anche l uomo, che sporadicamente si può infettare per esposizioni a volatili domestici ammalati. Considerazioni a parte devono essere fatte per i virus influenzali aviari dei sottotipi H5 e H7. La circolazione di tali sottotipi nei serbatoi selvatici ed il passaggio di questi nei volatili domestici può indurre la trasformazione dei virus influenzali aviari da agenti di infezione lievi o asintomatiche (virus a bassa patogenicità LPAI), in virus ad alta patogenicità (HPAI), in grado di causare forme generalizzate ad elevata mortalità. Questa trasformazione è l effetto di mutazioni adattative a cui vanno incontro i virus influenzali aviari sottotipo H5 e H7 nei volatili domestici. Tale evenienza si è verificata negli anni recenti anche in Italia ( ). Un virus influenzale sottotipo H7N1 LPAI, dopo aver circolato per circa 10 mesi nelle popolazioni di volatili domestici delle regioni Veneto e Lombardia, è mutato in uno stipite ad alta patogenicità dando origini ad una delle più devastanti epidemie di influenza aviaria ad alta patogenicità che si siano mai verificate in Europa (413 focolai in allevamenti prevalentemente industriali, soprattutto localizzati nelle 2 regioni sopra menzionate e con sporadiche segnalazioni anche in Friuli, Piemonte e Sardegna). In seguito a quest evento, nelle successive epidemie a bassa patogenicità che si sono verificate in Veneto e Lombardia dal 2000 al 2005 anche per i virus LPAI si sono applicate adeguate misure di eradicazione/controllo (abbattimento, macellazione controllata, e vaccinazione) che hanno impedito l attiva circolazione di tali virus nelle popolazioni di volatili e la possibile mutazione in stipiti ad alta patogenicità. Nel corso degli ultimi mesi si è assistito ad eventi rilevanti per l epidemiologia e l ecologia dei virus influenzali aviari; l epidemia causata dal virus aviario HPAI sottotipo H5N1 ha presentato in particolare due aspetti: l endemizzazione dell infezione nelle popolazioni avicole domestiche (anatre e oche) in Sud Est Asiatico e la sua diffusione su lunghe distanze attraverso uccelli selvatici migratori. Il coinvolgimento dei volatili migratori ha posto nuovi problemi per il controllo dell infezione. Il sottotipo H5N1 ha provocato infezioni gravi e mortalità nelle popolazioni selvatiche di uccelli migratori acquatici, come segnalato in diverse parti del Sud Est Asiatico e dell Europa. In Europa, dall inizio del 2006, in seguito anche a straordinarie condizioni climatiche osservate in Russia e nei Balcani, si è assistito ad una migrazione imprevista di specie selvatiche, tra cui cigni reali (Cygnus olor) che hanno provocato casi di influenza aviaria in volatili selvatici in vari paesi dell U-

8 Attualità nione Europea, tra cui l Italia e, in alcuni casi, con coinvolgimento di allevamenti domestici (Francia, Germania e Svezia) Al fine di poter tempestivamente identificare focolai di influenza aviaria, in particolare da sottotipi H5 e H7, si sono sviluppati sistemi di sorveglianza a livello comunitario. Tale sorveglianza ha coinvolto diversi soggetti, tra i quali i servizi veterinari, esperti di fauna selvatica ed ornitologi, ed ha riguardato sia i volatili domestici sia i selvatici. L Italia, in seguito alla decisione comunitaria 2006/101/CE del 6 febbraio 2006 ha attivato anche per il 2006 il piano di sorveglianza nazionale con l obiettivo generale di garantire un sistema di allerta rapido per la precoce identificazione di focolai da virus dei sottotipi H5 ed H7 negli allevamenti e l immediata adozione di misure di controllo, considerando i rischi per la salute umana e degli animali, e le conseguenze e- conomiche e sociali collegate alle epidemie d influenza aviaria. L attività di sorveglianza, già avviata da alcuni anni, ha coinvolto varie istituzioni, tra cui l Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), il Centro di Referenza Malattie degli Animali Selvatici (CeRMAS) ed i servizi veterinari regionali, con il coordinamento del Centro di Referenza Nazionale dell Influenza Aviaria presso l Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Gli aspetti operativi della sorveglianza hanno riguardato la definizione della popolazione avicola da sorvegliare ed i criteri di selezione degli allevamenti a maggiore rischio di infezione. Per i volatili domestici si sono incluse tutte le specie di volatili d allevamento: pollo, tacchino, faraona, selvaggina (quaglia, starna, fagiano, ecc.) ratiti, oche ed anatre e gli allevamenti di svezzamento; per tutte le specie si sono considerati i riproduttori, gli allevamenti da carne e le ovaiole per uova da consumo. Per la scelta degli allevamenti sono stati considerati i seguenti fattori di rischio: allevamenti free range e all aperto, che sono considerati i punti a maggior rischio per i possibili contatti con volatili selvatici potenzialmente infetti; allevamenti multietà; allevamenti multispecie; animali a lunga vita produttiva. Negli allevamenti selezionati, su un campione rappresentativo di volatili sono effettuati controlli sierologici e virologici per evidenziare l eventuale presenza dell infezione. I volatili selvatici, inclusi nella sorveglianza in seguito alle osservazioni di infezione in varie specie migratrici e al loro coinvolgimento nella diffusione del virus H5N1, sono stati soprattutto quelli acquatici (Anatidi, i Caradriformi e i Limicoli) per il loro ruolo di serbatoi dei virus influenzali aviari. Oltre al monitoraggio attivo nelle specie selvatiche acquatiche, la sorveglianza ha riguardato la raccolta di uccelli morti o ammalati, con il contributo della cittadinanza e di varie istituzioni (Forze dell ordine, vigili del fuoco). Quest ultima attività è stata particolarmente intensa ed ha consentito l individuazione dei casi di infezione da H5N1 osservati in Italia in cigni selvatici. I risultati dell attività di sorveglianza 2005/2006 sui domestici supportano la tesi che gli allevamenti all aperto, in particolare quelli rurali e gli agriturismi, rappresentano un fattore di rischio di introduzione di virus influenzali aviari dalle popolazioni selvatiche alle domestiche. Pertanto l adozione di rigorose misure di biosicurezza, negli allevamenti industriali, risulta una misura indispensabile per la riduzione di tale rischio. L identificazione dei casi di influenza aviaria da H5N1 nei cigni selvatici, pone in evidenza il ruolo dei migratori quali veicoli del virus e richiede un attenzione continua alle popolazioni di selvatici sia migratori che stanziali, al fine di evidenziare tempestivamente qualunque evento anomalo riferibile ad infezione da virus aviari ed intervenire per impedire all infezione di diffondersi nei domestici. Al momento, i punti critici del sistema sono rappresentati dalla difficoltà di attuazione di efficaci misure di biosicurezza negli allevamenti rurali, dalla scarsità di informazioni sul ruolo dei volatili selvatici nel trasportare il virus H5N1 e nel mantenere il virus nell ambiente. La sorveglianza ha dovuto rapidamente adattarsi alle nuove situazioni di rischio, estendendosi a tutto il territorio nazionale, richiedendo il censimento del patrimonio avicolo e impegnando intensamente tutti i soggetti coinvolti, ma nonostante il notevole impegno richiesto, al momento ha dimostrato di poter individuare e gestire le situazioni di rischio. 5 / 210 Strategie di controllo L influenza aviaria, soprattutto nella sua forma ad alta patogenicità (HPAI), una volta introdotta nel comparto produttivo industriale, è una malattia estremamente contagiosa e diffusiva. In genere la malattia si diffonde all interno di uno stesso allevamento per contatto diretto, mentre si propaga da allevamento ad allevamento attraverso la circolazione, il movimento o gli spostamenti di uccelli infetti, attrezzature contaminate, contenitori delle uova, veicoli per il trasporto dei mangimi e personale. Non sempre è possibile identificare con certezza le fonti di contagio per le aziende e le vie di diffusione della malattia in un territorio. Gli effetti dell influenza aviaria sulle produzioni avicole, soprattutto in aree densamente popolate di allevamenti, sono devastanti: In Italia nel sono stati abbattuti o sono morti in totale 16 milioni di volatili, in Olanda nel 2003 i volatili morti o abbattuti sono stati circa 30 milioni. In entrambi gli episodi l impatto economico è stato enorme. In Italia, oltre all episodio causato da HPAI, si sono verificate successive epidemie di virus aviari a bassa patogenicità (LPAI) di sottotipo H5 e H7. In generale, il controllo dell influenza aviaria nelle aree ad elevata densità di allevamenti avicoli (DPPA), riguarda misure di prevenzione nei confronti dell introduzione di virus negli allevamenti e misure di controllo/eradicazione della malattia una volta identificata. Le misure di prevenzione si basano sull applicazione rigorosa delle norme di biosicurezza negli allevamenti. Con l O.M. 10 Ottobre 2005, vengono indicate le misure di biosicurezza da applicare e in particolare si identificano requisiti strutturali e norme di comportamento che si devono garantire in allevamento. In seguito alle recenti evoluzioni della situazione internazionale dell epidemia da virus HPAI H5N1, che ha visto la sua rapida diffusione in Europa attraverso i volatili migratori, le norme di biosicurezza sono state estese anche agli allevamenti rurali, identificati come momento di rischio per l introduzione del virus nel circuito degli avicoli domestici in seguito a contatti con uccelli selvatici. In associazione alle norme di biosicurezza, l attuale direttiva 2005/94/CE del 20 dicem-

9 bre 2005 sulle misure di controllo dell influenza aviaria contempla anche l uso della vaccinazione. La vaccinazione in situazioni d emergenza è stata applicata nell area ad elevata densità di allevamenti avicoli (DPPA) delle province di Verona, Brescia e Mantova, durante le precedenti esperienze di epidemie di LPAI. Il programma di vaccinazione DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals) utilizzato in tali situazioni, è basato sulla vaccinazione eterologa. In sintesi, poiché l antigene che induce la produzione di anticorpi neutralizzanti è rappresentato da una emoagglutinina, è stato usato un vaccino marker naturale contenente un isolato con un gruppo omologo H ed uno eterologo N, ottenuto dal ceppo di campo. Negli allevamenti vaccinati si applicano test sierologici sugli animali sentinella e un test discriminatorio capace di distinguere i diversi tipi di anticorpi anti-neuraminidasi (ad esempio: anti-n1 e anti-n3), allo scopo di monitorare la situazione epidemiologica. Oltre alla vaccinazione in emergenza, l attuale normativa prevede anche l applicazione di una vaccinazione preventiva, da prendere in considerazione sulla base dell analisi del rischio. Nelle aree a rischio, con le norme di biosicurezza e l eventuale vaccinazione, è fondamentale la sorveglianza attiva negli allevamenti, per identificare tempestivamente ogni introduzione virale sia in allevamenti vaccinati, nei quali i controlli devono essere fatti con test discriminatori adeguati, sia in allevamenti non vaccinati. La sorveglianza è anche uno strumento essenziale per valutare la circolazione di virus influenzali nelle specie avicole selvatiche. Dall attività di sorveglianza si devono ottenere le informazioni necessarie a condurre l analisi del rischio e ad identificare tempestivamente situazioni critiche. Le misure di controllo/eradicazione della malattia una volta accertata la sua presenza sono indicate nella Direttiva 2005/94/CE e si basano sull abbattimento o la macellazione controllata degli avicoli presenti nelle aziende infette e sul divieto di accasamento delle aziende avicole, accompagnate da misure di restrizione sulla movimentazione degli animali vivi, veicoli e personale all interno delle aree a rischio. L aspetto innovativo introdotto da questa normativa è la comparazione in termini di intensità di misure d intervento, delle infezioni a bassa e ad alta patogenicità causate da sottotipi H5 e H7. Il controllo delle infezioni di influenza aviaria nelle DPPA è una sfida impegnativa e l efficacia delle misure di controllo è legata ad una serie di variabili. Queste includono principalmente le caratteristiche biologiche del ceppo virale coinvolto, la specie avicola e la sua densità al momento dell introduzione dell AI, e l organizzazione funzionale sia dell industria avicola che dei servizi veterinari nell area. L esperienza scaturita dalle epidemie italiane suggerisce che i Paesi a rischio di infezione dovrebbero possedere delle procedure di emergenza prestabilite e una preparazione generale allo scopo di affrontare l influenza aviaria in modo efficace. Comunque, la disponibilità di una base legale ben strutturata per il controllo della LPAI, la pronta disponibilità di vaccino, la situazione economica generale e la motivazione di allevatori e ditte ad eliminare l infezione giocano un ruolo predominante nell eradicazione dell infezione.

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