Torino tra Lione e Milano: politiche e istituzioni di livello metropolitano

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1 Torino tra Lione e Milano: politiche e istituzioni di livello metropolitano Luigi Bobbio Università di Torino lubobbio@libero.it Elisa Rosso Torino Internazionale e.rosso@torino-internazionale.org Paper preparato per il convegno: Alta capacità Lione - Torino - Milano: cooperazione o competizione fra aree metropolitane europee? Torino, 21 febbraio 2003 La capacità competitiva di una città non dipende solo dalle risorse economiche, produttive, imprenditoriali, culturali o dal capitale umano di cui dispone, ma anche dalle sue risorse istituzionali, ossia dal modo con cui sono strutturati i suoi processi di governo (o di governance). Numerose ricerche hanno infatti mostrato che la capacità di un area metropolitana di presentarsi, in quanto tale, come un attore sulla scena internazionale può fare la differenza nel rapporto con le altre metropoli (Bagnasco e Le Galès 2001). Un efficace struttura di governance può infatti mobilitare e coordinare le risorse presenti nell area metropolitana, creare valore aggiunto e proporsi come interlocutore credibile al di fuori dei sui confini. È da questo punto di vista che intendiamo esaminare il caso di Torino in rapporto ai casi di Milano e Lione. La distanza tra le tre città è destinata a diminuire notevolmente con la linea ferroviaria ad alta velocità. Questo è sicuramente un vantaggio. Ma per una di esse, Torino, può costituire anche un problema. Torino si trova infatti nel mezzo tra Milano e Lione e la sua area metropolitana presenta obiettivamente caratteristiche di maggiore debolezza rispetto agli altri due poli. Sarà in grado Torino di reggere la competizione all interno di uno spazio che si rimpicciolisce? Oppure di stabilire rapporti di cooperazione (non troppo penalizzanti) con le due aree metropolitane maggiori che si troveranno a una minore distanza a ovest e a est? Lo svantaggio competitivo di Torino, sul terreno economico, produttivo e finanziario, può essere, almeno in parte, recuperato attraverso l efficacia della propria struttura di governance? A che punto si trova la metropoli torinese su questo fronte? Due tipi di risorse istituzionali: il governo verso l esterno e il governo verso l interno. La forza istituzionale di un area metropolitana può dipendere da due aspetti diversi. Il primo aspetto consiste nelle relazioni che essa è in grado di intrattenere all esterno, soprattutto, ma non solo, in verticale con gli altri livelli di governo (regionali, nazionali, europei), allo scopo di attrarre risorse pubbliche e investimenti privati. Il secondo aspetto consiste nelle relazioni che essa è in grado di intrattenere all interno, ossia tra i poli (produttivi, re-

2 2 sidenziali ecc.) di cui essa si compone o, per dirla in termini più semplici (e forse un po semplicistici), tra il comune centrale e i comuni che gli stanno attorno. I due tipi di capacità istituzionale (quella esterna e quella interna) non sono necessariamente correlate. Una città può essere in grado di sviluppare una presenza molto attiva nei rapporti con lo stato nazionale, l Unione europea e le altre metropoli, pur trascurando il proprio hinterland. E viceversa una città può essere dotata di un buon livello di programmazione dei servizi e di pianificazione urbanistica su scala metropolitana ed avere, ciò malgrado, una debole proiezione esterna. Non è detto, in altre parole, che la costruzione della città-capitale vada di pari passo con la costruzione della città-regione (Dente 1989). Per esempio Barcellona è diventata una delle metropoli europee più dinamiche, malgrado che il suo governo metropolitano sia stato sciolto nel 1987 e non sia stato più ricostituito. Secondo alcuni studiosi il primo aspetto (la proiezione esterna) è più importante del secondo (la gestione unitaria dell area): al limite la cura del proprio hinterland potrebbe rivelarsi un impaccio, come secondo Bruno Dente e Paolo Fareri (1997) - è avvenuto a Milano a partire dagli anni 60. Alla lunga, però, l integrazione tra due tipi di risorse istituzionali (il governo verso l esterno e il governo verso l interno) dovrebbe costituire un fattore favorevole alla competizione. Ciò è probabilmente vero nel caso della metropoli torinese in cui il comune centrale perde da tempo abitanti e soprattutto insediamenti produttivi e in cui si sta quindi accentuando la complementarità tra il nucleo centrale e i comuni limitrofi (che era molto minore nei decenni passati). Se, come sostengono in molti, la vocazione della metropoli torinese continuerà ed essere specificamente industriale, non si può trascurare il fatto che la produzione industriale si è ormai prevalentemente spostata all esterno della cinta daziaria di Torino e che i nuovi insediamenti saranno destinati a rafforzare questa configurazione. Il tessuto produttivo torinese è tipicamente di scala metropolitana. In siffatte condizioni, si può supporre che il confronto con le altre metropoli possa avere un esito diverso se ad esso partecipa l area metropolitana torinese nel suo complesso, piuttosto che la città di Torino in senso stretto. Nell uno o nell altro caso le risorse che possono essere messe in campo sono molto diverse, sia per quanto riguarda il numero di abitanti coinvolti, sia per quanto riguarda le strutture produttive, i centri tecnologici e le aree disponibili. Nel caso di Torino il rapporto tra i due aspetti (le relazioni esterne e le relazioni interne) appare attualmente squilibrato a favore del primo. Torino ha puntato più sul ruolo di cittàcapitale che su quello di città-regione. I passi compiuti in direzione dell integrazione verticale verso l esterno sono stati più decisi e convinti di quelli compiuti verso l integrazione orizzontale all interno dell area. Lo stesso progetto Torino Internazionale era nato più nella prima direzione che nella seconda (come denuncia la stessa denominazione del progetto), anche se poi ha scelto di ridefinirsi anche come progetto di scala metropolitana. Dobbiamo, quindi, chiederci: a che punto è il processo di integrazione orizzontale del governo (o della governance) nella metropoli torinese? E, soprattutto, a che punto si trova rispetto ai processi in corso negli altri due poli metropolitani di Milano e Lione? Modelli di governo metropolitano La costruzione delle istituzioni di governo di scala metropolitana è stata, nel panorama europeo dell ultimo mezzo secolo, una delle vicende istituzionali più tormentate e controverse. Tutte le aree metropolitane si sono poste il problema. Le soluzioni sono state assai difformi tra di loro. Molte di esse sono risultate instabili nel tempo: i passi in avanti sono stati almeno altrettanto frequenti dei passi indietro.

3 3 I modelli istituzionali effettivamente realizzati possono essere classificati nei cinque tipi proposti nella tab. 1 (Bobbio 2002, p. 113). Nella tabella i modelli di governo metropolitano sono ordinati secondo la loro forza istituzionale. Scendendo dall alto al basso troviamo soluzioni via via più morbide. Questo non è un giudizio di valore: non è affatto detto che le soluzioni hard siano più efficaci delle soluzioni soft. Al contrario l esperienza ha mostrato che non esiste alcun modello che possa ambire a presentarsi come one best way. Tab. 1 - Il governo delle aree metropolitane: le soluzioni istituzionali Soluzioni istituzionali hard Soluzioni istituzionali soft Soluzione istituzionale Caratteristiche Esempi 1 Annessione Il comune centrale si espande assorbendo i comuni minori Soluzione dominante nella prima metà del Novecento. In tempi più recenti: Anver- 2 Governo metropolitano di secondo livello direttamente elettivo 3 Governo metropolitano di secondo livello espresso dai comuni dell area metropolitana 4 Associazione volontaria di comuni 5 Agenzie funzionali di scala metropolitana e altre forme di governance metropolitana Nell area metropolitana, è istituito un governo direttamente elettivo. Sopravvivono i governi comunali al suo interno sia pure con poteri ridotti. Talvolta il comune centrale viene suddiviso in comuni più piccoli. Nell area metropolitana è istituito un governo non direttamente elettivo che si configura come un associazione obbligatoria dei comuni che ne fanno parte. Dispone di poteri legali e talvolta di una propria fiscalità. Il governo metropolitano si configura come un associazione volontaria tra i comuni che accettano di farne parte. È dotato dei poteri legali che gli vengono delegati. Non esiste alcun governo metropolitano generalista, ma esistono agenzie specializzate in alcune politiche che agiscono su scala metropolitana e associazioni, formate da diversi soggetti pubblici e privati, che si occupano di discutere e sostenere progetti di scala metropolitana. sa (1983), Toronto (1998). Londra dal 1965 al 1986 e dal 2000 Toronto dal 1988 al Italia: Le 9 città metr., previste dalla 142, ma mai realizzate. Rotterdam dal 1964 al Stoccarda dal Francia: le Communautés urbaines dal 1966 (Lione, Bordeaux, Lille, Strasburgo) e poi in altre dieci aree metropolitane. Lisbona e Porto dal 1991 Bologna (dal 1994) e Torino (dal 2000) dopo il fallimento della città metropolitana prevista dalla legge. Manchester dopo la soppressione della contea metropolitana (1986). Stati Uniti: è una soluzione molto frequente: special districts su scala metropolitana Gran Bretagna: joint committees per specifiche politiche nelle ex contee metropolitane. Barcellona dopo la soppressione dell autorità metropolitana nel legge 142/1990 Lione Torino Milano In realtà ogni modello presenta vantaggi e svantaggi. Le forme istituzionali morbide (intercomunali e non elettive) rischiano di dare troppo spazio alle istanze localistiche, di essere paralizzate dai veti e di impedire il raggiungimento di una visione d insieme, se non sono sostenute da una forte regia. A loro volta le forme istituzionali dure (sovracomunali e elettive) vanno incontro a ogni genere di difficoltà (e non hanno quasi mai vissuto a lungo). I governi metropolitani sono istituzioni ingombranti per la loro dimensione e per il peso politico che esercitano. Essi tendono a incontrare ostilità e diffidenze da parte governi di rango provinciale o regionale e non sono ben visti neppure dai governi locali che stanno sotto. I comuni delle periferie possono temere che l autorità metropolitana tenderà a fare gli

4 4 interessi del comune centrale, e a relegarli in una posizione marginale. D altra parte il comune capoluogo può vedere il governo metropolitano come un rivale. Possiamo concludere, con Lawrence Sharpe (1995, p. 27), che nessuno ama davvero i governi metropolitani. Lione, Torino e Milano si trovano su punti diversi della scala. L area metropolitana di Lione presenta la soluzione istituzionale più hard e soprattutto più stabile nel tempo. È infatti governata da un istituzione di tipo 3, la Communauté urbaine, istituita con legge nazionale nel 1966, che è dotata di competenze amministrative puntuali in diversi settori, di risorse finanziarie proprie (oltre mln l anno) e di consistenti apparati tecnicoamministrativi (4.300 funzionari). È un istituzione non elettiva formata da 55 comuni, per un totale di 1 milione 200 mila abitanti, di cui solo il 37,5% risiedono nel territorio del comune centrale (la città di Lione). La Comunità urbana lionese è stata sempre presieduta dal sindaco di Lione, che ha garantito una continua ed autorevole opera di arbitrato e di regia tra i diversi interessi dei comuni metropolitani. Per l attuazione delle sue politiche e dei suoi interventi sul territorio, la Comunità si serve di un alto numero di agenzie specializzate (una sessantina) spesso gestite in partenariato con altri livelli di governo (dipartimento o regione) o con soggetti privati. A questo modello istituzionale indubbiamente duro, corrispondono i modelli alquanto soffici delle metropoli torinese e milanese. In teoria entrambe avrebbero dovuto accedere a un modello di governo ancora più hard, di tipo 2, quale era stato previsto dalla legge 142 del 1990 che, proprio per le sue eccessive ambizioni, non è stata attuata da nessuna parte in Italia (da questo punto di vista, l inclusione delle Città metropolitane nel nuovo testo del Titolo V della Costituzione rappresenta una mossa decisamente avventurista, ma destinata a rimanere senza grandi conseguenze). L area milanese dispone di alcune agenzie di scala metropolitana: ha dunque un modello di governo metropolitano di tipo 5. Torino si trova in una situazione non molto dissimile, ma ha da poco tempo intrapreso un processo che dovrebbe portarla a un modello di governo di tipo 4. La scala metropolitana delle politiche nell area torinese Al di là delle forme istituzionali (hard o soft), che cosa possiamo dire dell effettiva capacità di integrazione orizzontale dell area metropolitana torinese? Esistono politiche che sono effettivamente gestite su scala metropolitana? con quali risultati? e, soprattutto, in che direzione stanno andando i mutamenti in corso? Su quest ultimo aspetto può essere utile prendere come termine di confronto lo studio di Stefano Piperno e Maurizio Maggi (1999) che ha fatto il punto sulle politiche di rango metropolitano a Torino nella seconda metà degli anni 90. La tab. 2 elenca le competenze esercitate dalla Comunità urbana di Lione. Nei medesimi settori, qual è attualmente la situazione in cui si trova l area metropolitana di Torino? Un analisi del caso torinese mostra che nei diversi settori esiste un grado molto diseguale di metropolitanizzazione. Alcune politiche hanno ormai raggiunto (o stanno raggiungendo) una dimensione metropolitana, per altre la situazione è più problematica. Ci sono anche settori in cui si è sviluppata una forte cooperazione intercomunale, ma le aggregazioni che si sono costituite tra comuni tendono più a dividere che a unire l area metropolitana. Nel complesso, le principali politiche che a Lione sono gestite a livello metropolitano, possono essere distinte, nel caso di Torino, in quattro gruppi: politiche di scala sovra-metropolitana

5 5 politiche di scala metropolitana politiche intercomunali che dividono l area metropolitana politiche in cui il coordinamento metropolitano appare particolarmente difficile Tab. 2 Competenze della Comunità urbana di Lione Area servizi costruzione e mantenimento del patrimonio viario (arredo urbano, alberi) raccolta, trattamento, distribuzione dell acqua potabile e della rete di corsi d acqua pulizia delle strade, raccolta e trattamento dei rifiuti difesa del suolo trasporti urbani Area urbanistica indirizzo delle politiche urbanistiche dell agglomerazione pianificazione territoriale (grandi opere) redazione del Piano regolatore (Schéma Directeur de l Agglomeration, Plan d Occupation des Sols), edilizia sociale creazione e il rinnovamento delle zone residenziali o delle zone di insediamento produttivo (redazione di Piani d area) assistenza tecnico-amministrativa ai comuni Area sviluppo economico attrazione attività economiche politiche di sviluppo industriale valorizzazione della ricerca e della formazione superiore (Piano Lyon technopole) coordinamento delle azioni di sviluppo locale e politiche di prossimità Redazione dello Schéma Directeur d Urbanisme Commercial assistenza alle imprese per progetti che necessitano di un alto livello di coordinamento degli interventi locali (aiuto nella ricerca delle possibilità localizzative, assistenza burocratica e tecnica) Area fondiaria acquisizione e disposizione dei terreni per le operazioni di sviluppo urbano gestione del patrimonio immobiliare della comunità urbana Politiche di scala sovra-metropolitana La principale politica di questo gruppo è quella che riguarda il ciclo delle acque. Se nello studio di Piperno e Maggi (1999) si rilevava già la tendenza da parte dell azienda municipale torinese dell acquedotto a servire un numero crescente di comuni dell area metropolitana, negli ultimi anni la situazione si è ulteriormente evoluta. L applicazione (sia pure tardiva) della legge Galli ha definito la provincia di Torino (quasi nella sua interezza) come un ambito ottimale; è stata costituita l autorità d ambito; la fusione tra l acquedotto torinese e il consorzio Po-Sangone ha dato vita a un nuovo soggetto, la Smat, che è in grado di candidarsi come gestore dell intero ciclo delle acque in tutto l ambito. Ci sono ancora ritardi e resistenze (soprattutto da parte di alcuni piccoli comuni), ma nel complesso la politica delle acque si sta avviando ad assumere una scala nettamente sovra-metropolitana. Si potrebbe collocare nella medesima classe anche la politica di marketing territoriale che è gestita dall agenzia ITP (Investimenti Torino Piemonte) per l intera regione. Politiche di scala metropolitana I due settori in cui il processo di coordinamento metropolitano è andato più avanti sono quelli della viabilità e dei trasporti. Si tratta, evidentemente, di politiche cruciali per l assetto dell area metropolitana e infatti le troviamo tra le specifiche competenze della Comunità urbana di Lione. Qui i passi fondamentali sono stati due:

6 6 l approvazione (novembre 2000) del Piano Generale Traffico Urbano (PGTU) di rango metropolitano, mediante un accordo di programma sottoscritto da 26 comuni dell area metropolitana torinese; il protocollo di intesa per la nascita (luglio 2002) dell Agenzia per la Mobilità Metropolitana, cui possono aderire 31 comuni, la Regione Piemonte e la Provincia di Torino (sulla base di una legge regionale). Questa seconda innovazione è particolarmente importante perché l Agenzia si configura come un autorità posta al di sopra dei comuni e ne sostituisce integralmente le funzioni in materia di programmazione dei trasporti e di assegnazione delle concessioni. Le due innovazioni sono troppo recenti per poter valutare la loro portata effettiva. L esistenza di un agenzia o di un piano di scala metropolitana non garantisce di per sé che le rispettive politiche vengano effettivamente gestite in modo integrato e cooperativo. Per esempio, le recenti misure di limitazione del traffico sono state applicate nell area metropolitana a macchia di leopardo (16 Comuni compreso Torino), segno che il coordinamento in materia di traffico è ancora carente all interno dell area. Nel complesso però, sia il piano del traffico che l agenzia per la mobilità sono scelte istituzionali molto impegnative, che dovrebbero modificare sensibilmente il comportamento dei singoli comuni e favorire un approccio d area ai problemi della viabilità e dei trasporti. Va aggiunto che un risultato molto importante è stato raggiunto nel campo dell integrazione tariffaria dei trasporti. Il progetto Formula, nato nel 1996 dall intesa tra Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino, ATM, SATTI, Trenitalia è stato recentemente esteso ad altre 27 aziende di trasporto pubblico e privato della provincia di Torino: oggi è possibile viaggiare nell area sulla base di un abbonamento integrato il cui prezzo dipende solo dalla zona di origine e dalla zona di destinazione e non dall azienda che gestisce il servizio. Inoltre la fusione a partire dal 1 gennaio 2003 delle due principali aziende di trasporto urbano e extraurbano, Atm e Satti, in un unica realtà, GTT Gruppo Torinese Trasporti, dovrebbe consentire una gestione integrata delle linee di trasporto pubblico in buona parte dell area metropolitana. Potrebbe essere classificata in questo gruppo anche la politica del turismo (a Lione affidata ad un organismo esterno, l Office du Tourisme e des Congrès du Grand Lyon, che svolge attività di promozione e marketing turistico per l intera Comunità Urbana). Per iniziativa della regione (legge regionale 75/1996) il territorio regionale è stato suddiviso in dodici a- ree, ciascuna delle quali è presidiata da un Azienda Turistica Locale (ATL). L azienda dell area torinese (ATL1), Turismo Torino, copre un territorio comprendente 90 comuni, decisamente più esteso dell area metropolitana (comunque la si voglia intendere), ma sicuramente più piccolo della Provincia (315 comuni). Questa agenzia dovrebbe garantire la promozione turistica unitaria e servizi di accoglienza al turista nell intera area metropolitana (e qualcosa di più). È però da notare che soltanto undici comuni sono soci del consorzio Turismo Torino (accanto alla Provincia, e a partners privati). Tra di essi vi sono sette comuni dell area metropolitana (Torino, Piossasco, Chieri, Nichelino, Rivoli, Venaria e Moncalieri). Hanno ormai una scala metropolitana anche alcuni programmi nell ambito delle politiche giovanili e culturali. E il caso del programma PASS 15, che consiste nell offrire ai ragazzi che compiono 15 anni una tessera che gli permette di accedere gratuitamente a una serie di servizi culturali e sportivi gratuiti. Promosso dal Comune di Torino nel 1998, il programma è ora esteso a 35 comuni. Un altra importante iniziativa consiste nella carta musei, ossia di un abbonamento ai musei che attualmente è valido per 80 musei tra Torino e Piemonte. 41

7 7 sono considerati musei di area metropolitana (la stragrande maggioranza è a Torino), gli altri 39 sono sparsi nel territorio provinciale e regionale. È più dubbio se includere in questa classe la politica del commercio ( che a Lione è gestito dalla Comunità Urbana per quanto concerne la redazione dello Schéma Directeur d Urbanisme Commercial, che pianifica il commercio nei centri urbani e regola lo sviluppo dei poli commerciali periferici). Ai fini della programmazione commerciale la regione ha infatti individuato, nel 1999, ventotto aree di programmazione. L area di Torino comprende 34 comuni dell area metropolitana, ma è difficile dire se si tratta semplicemente di un ambito individuato dalla regione per la propria attività di programmazione o se si suppone che vi si possa sviluppare qualche forma di cooperazione tra i comuni coinvolti, per esempio attorno ai nodi, molti rilevanti, della grande distribuzione e della localizzazione dei centri commerciali nell area metropolitana. Politiche intercomunali che dividono l area metropolitana Ci sono almeno due settori in cui esiste una forte cooperazione intercomunale, accompagnata dalla creazione di istituzioni sovracomunali, ma in cui le ripartizioni adottate dividono l area metropolitana, anziché unirla. Si tratta di politiche che vengono gestite per porzioni di area metropolitana e in cui manca un coordinamento e una visione d insieme. Il primo di questi settori è costituito dalla politica dei rifiuti (raccolta e smaltimento). Il Piano Provinciale dei rifiuti del 1998 ha infatti scelto di suddividere il territorio della provincia in tre aree di programmazione con lo scopo di superare l attuale gestione, frammentata in 13 consorzi-aziende, e di ricondurla, mediante accorpamenti, sotto la guida di tre soggetti gestori, uno per area e di garantire che ciascuna delle tre aree fosse autosufficiente per quanto riguarda lo smaltimento. Questa suddivisione in tre aree ha però spaccato l area metropolitana. La città di Torino è stata aggregata ad altri 50 comuni nell area di Pianificazione Sud Est che comprende i comuni della cintura est e sud, più altri comuni decisamente esterni all area metropolitana (Chivasso, Carmagnola ecc.). I comuni della cintura ovest fanno parte di un altra area di pianificazione. Poiché ogni area deve provvedere ai propri impianti di smaltimento, ciò significa che i rifiuti della città di Torino sono destinati a essere smaltiti solo nei comuni che si trovano a sud-est e non in quelli che si trovano a nordovest. Data la delicatezza della questione della localizzazione degli impianti di smaltimento (inceneritori o discariche) è evidente come questa scelta depotenzi gli elementi di responsabilità e di solidarietà all interno dell area metropolitana. L area di pianificazione Sud-Est (di cui fa parte Torino) è quella che ha raggiunto il maggior livello di istituzionalizzazione: nel 2002 sono state costituite due nuove società pubbliche, SETA e TRM, che hanno il compito di curare rispettivamente i servizi di igiene ambientale e gli impianti di smaltimento per l intera area (o quasi). Ciò malgrado, una visione d insieme sullo spinosissimo tema dei rifiuti fatica a farsi strada tra i comuni coinvolti, dove tendono a prevalere rivalità e conflitti. Basti pensare alla difficoltà da parte della città di Torino di accettare che l inceneritore fosse localizzato al di fuori dei propri confini (nei comuni di Chivasso o di Volpiano), per il timore di perdere il controllo sulla sua gestione (senza peraltro essere in grado di individuare, all interno del suo territorio, un sito socialmente accettabile). Questa vicenda che si trascina senza esito da più di un anno, mostra che l area metropolitana (o almeno, in questo caso, la sua porzione sud-est) è ben lungi da essere considerata come una casa comune. Il secondo settore è costituito dalle politiche per lo sviluppo locale e più precisamente dai patti territoriali. Attualmente sono attivi nella provincia otto patti territoriali che coprono

8 8 l intero territorio della provincia ad eccezione del Comune di Torino. Anche in questo caso l area metropolitana è doppiamente divisa. Da un lato il comune centrale non partecipa a nessun patto. Dall altro i comuni della cintura sono associati a patti diversi. Alcuni patti (Torino Ovest, Torino Sud) comprendono esclusivamente (o prevalentemente) comuni dell area metropolitana. Altri (Patto del Po, Patto del Sangone, Patto della Stura) si configurano come alleanze tra comuni metropolitani e comuni non metropolitani. La spaccatura dell area metropolitana creata dai patti territoriali, non andrebbe considerata di per sé un fenomeno negativo. È nella logica dello strumento, che la città di Torino non partecipi ad alcun patto territoriale e può essere del tutto accettabile che, in base al principio di sussidiarietà, gli specifici problemi dello sviluppo locale siano gestiti in ambito locale piuttosto che in ambito metropolitano. Restano però due problemi: in primo luogo non è chiaro se esista nella metropoli torinese una sede istituzionale per affrontare i grandi temi dello sviluppo industriale (come invece avviene a Lione); in secondo luogo le aggregazioni di comuni raccolte attorno ai patti, tendono almeno in alcuni casi a stabilizzarsi e istituzionalizzarsi e a trasformarsi in sedi permanenti di confronto e di iniziativa e ciò potrebbe accentuare un illusione di autosufficienza delle aree coinvolte e indebolire il confronto su scala metropolitana. Presenta caratteristiche morfologiche simili la politica socio-assistenziale che è gestita da diversi consorzi disposti a corona attorno a Torino. Ma in questo caso si tratta di una politica che difficilmente può essere considerata di rango metropolitano e che probabilmente può essere meglio gestita a livello locale (o meglio: intercomunale). Politiche in cui il coordinamento metropolitano appare particolarmente difficile Rientra in quest ultima classe una delle politiche sicuramente più rilevanti per l area metropolitana, ossia la politica urbanistica e della pianificazione territoriale. In questo settore il coordinamento tra i piani regolatori adottati da ogni singolo comune, indipendentemente dagli altri, è sempre risultato difficile. Negli ultimi anni la Provincia, si è notevolmente impegnata in questo settore giungendo alla definizione del Piano Territoriale di Coordinamento (PTC), varato nel 1999 (il piano a- spetta però da ormai quattro anni la successiva approvazione da parte della Regione). Il PTC fornisce indicazioni di riferimento per i piani regolatori comunali (PRG) per quanto riguarda il coordinamento delle interrelazioni territoriali di area vasta. Per quanto attiene alle interrelazioni urbanistiche sovracomunali appare sovradimensionato e impreparato a coordinare i più specifici e minuti contenuti dei PRG Per il coordinamento e l'armonizzazione urbanistica tra i PRG è emersa, pertanto, la necessità di individuare aree di aggregazione sovracomunale fra l'area vasta (provinciale e/o circondariale) della pianificazione territoriale e l'area comunale della pianificazione urbanistica. L'individuazione di queste aree, non necessariamente deve comportare l'adozione e l'approvazione di un nuovo livello di pianificazione sovracomunale, quanto piuttosto creare un livello di cooperazione tra i due livelli istituzionali (Relazione illustrativa del Piano territoriale di coordinamento, p. 46). Il PTC individua quindi 22 sub aree territoriali, di cui una è costituita dalla conurbazione di Torino, che rappresenta, secondo il PTC, la concreta realtà dell area metropolitana prevista dall`art. 17 della legge 142, e viene assunta come unitaria Area di interrelazioni sovracomunali, urbanistiche e territoriali. Essa comprende 32 comuni. Ai fini della analisi delle trasformazioni della promozione della elaborazione e delle azioni di pianificazione urbanistica sovracomunale di base, può essere articolata in quattro sottosistemi: zona Sud, Sud- Ovest, Nord- Ovest, Nord, individuabili attorno a Torino.

9 9 Le iniziative della Provincia sono subordinate alla stipulazione di appositi protocolli di intesa tra gli enti locali delle singole aree, oppure, per quelle di maggiori estensioni o per sub aree disaggregate (come potrebbe essere per l'area di Torino) e per aggregazioni ulteriori nel caso delle aree minori, a seconda delle esigenze di merito che potranno insorgere. Obiettivo del PTC è di esercitare azione di indirizzo, dando vita a un azione permanente di pianificazione, aggiornamento, approfondimento e completamento, in cooperazione con i comuni e le comunità montane. La funzione di indirizzo è attuata dai Comuni nelle fasi proprie di aggiornamento e revisione dei PRG.. Essa non cancella automaticamente le indicazioni contenute nei PRG.; avvia il rapporto cooperativo tra la Provincia e il Comune o i Comuni interessati per definire a livello urbanistico la loro applicazione. In alcuni casi può esercitare funzione di prescrizione e determinare l'obbligo del Comune alla modifica del PRG. Nel caso dell area metropolitana torinese i nodi urbanistico-territoriali sono numerosi (p.es. corona verde e parchi fluviali, corso Marche, nodi di interscambio ecc.) e assai complessi e richiederebbero sedi opportune di coordinamento. La conferenza metropolitana Abbiamo sinora esaminato lo stato di alcune specifiche politiche. Nell area metropolitana torinese esistono però anche processi di costruzione istituzionale di carattere generale. È il caso dell elaborazione del piano strategico Torino internazionale che, come abbiamo già visto, ha costituito un occasione di discussione su scala metropolitana. È interessante notare che tra i soci dell associazione Torino Internazionale, nata dopo l approvazione del piano strategico, figurano 22 comuni (soprattutto della prima cintura) che, in questo modo, si assumono il compito di contribuire a una visione strategica condivisa per l intera area. Proprio nel processo di elaborazione del piano, una delle sei linee strategiche era stata dedicata alla discussione sul governance metropolitana e ne era uscita la proposta di istituire una sede stabile di confronto e di elaborazione, la conferenza metropolitana, basata sulla partecipazione volontaria dei comuni dell area. Non è senza interesse osservare come il dibattito sulle ipotesi di governo metropolitano, che aveva finito per esaurirsi negli anni precedenti per l impossibilità o l indisponibilità a mettere in atto il modello molto ambizioso previsto dalle legge 142, si sia riaperto in occasione della nuova riflessione di tipo strategico sul piano Torino internazionale. L idea proposta dal piano strategico è poi stata raccolta dalla provincia di Torino che ha avviato nel 2000 un percorso di costituzione di una conferenza metropolitana su base volontaria, che coinvolge 37 comuni della prima e della seconda cintura torinese, oltre al Comune e alla Provincia di Torino. All inizio del 2002 è stato creato un gruppo di lavoro permanente composto da Provincia, Comune di Torino e Torino Internazionale, che ha lo scopo di sostenere e organizzare le attività della conferenza. Nel corso del 2002 è stata elaborata e sottoposta all assemblea dei sindaci una proposta organizzativa che prevede la formalizzazione dell adesione da parte dei soggetti coinvolti, tramite la deliberazione nei consigli comunali e provinciale dell accordo di costituzione della conferenza metropolitana Torinese. Al momento attuale l accordo è stato approvato da 20 comuni dell area metropolitana ed è in discussione all interno del consiglio comunale di Torino e del consiglio provinciale.

10 10 Nell accordo si prevede che la conferenza metropolitana operi anche attraverso la costituzione di gruppi di lavoro tematici, composti da rappresentanti tecnici dei comuni, che analizzino le problematiche e elaborino proposte da sottoporre alla Conferenza. Nel corso del 2002 si sono svolti alcuni incontri dei gruppi di lavoro relativi a: mobilità internazionale; alta velocità/alta capacità; mobilità regionale e locale; agenzia dei trasporti; coordinamento delle politiche urbanistiche e di pianificazione territoriale; gestione e coordinamento delle politiche sanitarie. La conferenza metropolitana torinese sta muovendo quindi i suoi primissimi passi. Il processo per la sua istituzione e formalizzazione è stato particolarmente lento (due anni) ed è difficile dire quale ruolo riuscirà ad assumere. Essa riprende le esperienze già realizzate in altre città italiane su base pattizia e volontaria (come alternativa alla mancata istituzione delle città metropolitane di cui alla legge 142) e con alterne fortune. A Firenze e a Roma la medesima esperienza ha avuto vita breve e può considerarsi sostanzialmente esaurita. A Bologna, che è stata la prima città a muoversi su questa strada già nel 1994 sotto l egida della Provincia (Comune di Bologna e Provincia di Bologna, 1994), l accordo città metropolitana ha dato vita a istituzioni più stabili (ha avviato in particolare un processo di pianificazione metropolitana), ma si è poi arenato negli ultimi anni di fronte a un crescente conflitto tra il comune capoluogo e gli altri comuni dell area (che è stato amplificato da ragioni politiche). Insomma anche se i precedenti non sono molto incoraggianti, il caso di Torino può essere considerato come un tentativo interessante di dotare l area metropolitana di una luogo istituzionale di confronto e di cooperazione. Resta il nodo, ancora irrisolto, delle strutture tecniche che dovrebbero sostenere i lavori della conferenza. Il caso di Lione mostra l importanza decisiva di apparati tecnici posti direttamente al servizio della Comunità urbana. Si può infatti supporre che la coesione all interno dell area sia destinata a rafforzarsi, nella misura in cui esistono analisi, progetti e proposte elaborati da tecnici che sono professionalmente tenuti ad assumere un punto di vista metropolitano. Questo passo era stato compiuto a Bologna. Non è ancora previsto per Torino e ciò rischia di rendere assai fragile quest ultima esperienza. La questione dei confini Il principale ostacolo che l ipotesi della città metropolitana ha incontrato in Italia è stata la questione della delimitazione dell area. Questo era il primo passo richiesto dalle legge (142/1990) e su questo punto tutte le regioni (con qualche eccezione) si sono arenate. E in effetti decidere, una volta per tutte, quali comuni includere e quali escludere è un operazione quasi impossibile se viene lasciata, come di fatto è stato, alla negoziazione tra le istituzioni locali. Ci sono troppi criteri e troppe tensioni che si incrociano: dai criteri tecnici (economico - territoriali) che ovviamente non possono dare risultati univoci, alle questioni di identità, alle convenienze. La legge italiana ha finito (involontariamente, ma non senza colpa) per proiettare le istituzioni in un gioco a somma zero, senza vie d uscita. In realtà l operazione di delimitazione può riuscire quando è imposta dall alto, come è avvenuto a Lione nel lontano 1966 o come è stato ripetuto più recentemente per le aree metropolitane di Lisbona e di Porto dove una legge nazionale del 1991 ha enumerato, uno per uno, i comuni che dovevano farne parte. Ma siamo poi così sicuri che un area metropolitana possa essere delimitata da precisi confini? Le recenti riflessioni dei geografi, dei sociologi e degli economisti urbani tendono a sconsigliare quella strada. Le metropoli hanno una dimensione territoriale fluida. Sono entità policentriche e poco compatte. I loro confini sono imprecisi e tendono a variare a se-

11 11 conda del problema specifico che si intende considerare (p.es. il rifornimento idrico, lo smaltimento dei rifiuti, i trasporti ecc.). Perché non accettare allora che le istituzioni che le governano possano assumere una geografia variabile o mutevole? Questo è tra l altro uno dei vantaggi che i modelli istituzionali morbidi hanno nei confronti di quelli rigidi. A che punto si trova la metropoli torinese rispetto alla vessatissima questione dei confini? Nel passato sono stati fatti molti studi, mai risolutivi, che hanno provato a delimitare l area sulla base di criteri tecnici. Oggi possiamo provare a fare un altra operazione. Siccome, nel frattempo, le relazioni tra i comuni metropolitani si sono sviluppate e stabilizzate, almeno su certe politiche, possiamo esaminare quali sono le dimensioni territoriali che l area metropolitana tende di fatto ad assumere, sulla base delle reti effettivamente esistenti. Se osserviamo le cartine allegate a questa relazione e la sintesi che proponiamo nella tab. 3, la situazione può apparire confusa e addirittura sconcertante. Abbiamo preso in considerazione sette diversi club o aggregazioni di scala metropolitana: 1) La conferenza metropolitana; 2) Torino internazionale; 3) L ambito di Torino del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia; 4) L Agenzia per la Mobilità Metropolitana; 5) Il Piano Generale Traffico Urbano; 6) L area di programmazione del commercio di Torino; 7) L ATL1 Turismo Torino; 8) Il programma PASS E per ognuna di esse abbiamo indicato i comuni che ne fanno parte. È da notare che le aggregazioni hanno natura diversa: alcune sono volontarie e indicano pertanto una scelta compiuta dai comuni; altre sono disposte dall alto (Regione o Provincia) ed indicano piuttosto una scelta tecnica di programmazione. I risultati di questo confronto si trovano nella tab. 3. Quello che si può facilmente notare è ciascuna delle sette aggregazioni è formata da un insieme diverso di comuni, il cui numero oscilla da 22 (adesioni a Torino Internazionale) a 47 (Turismo Torino). Ogni politica o o- gni club ha finito per definire diversamente la dimensione dell area metropolitana. E per giunta le inclusioni e le esclusioni appaiono per lo più casuali, arbitrarie e, si potrebbe quasi dire, capricciose. L impressione è che si sia stratificato un quadro insensato e caotico, senza alcuna ragione precisa. 1 Non abbiamo ovviamente considerato i club che dividono l area metropolitana, come i patti territoriali o le aree di programmazione della politica dei rifiuti.

12 12 Tab. 3 La presenza dei comuni metropolitani in otto aggregazioni Comune Abitanti Conf. Torino PTC Agenzia Piano Commercio Turismo Pass Istat 2001 metrop. Internaz. Ambito mobilità generale Area Torino 15 Torino metrop. traffico Torino ALPIGNANO X X X X X X X BALDISSERO X X X X X X BEINASCO X X X X X X X X BORGARO X X X X X X X X BRANDIZZO X X BUTTIGLIERA X X BRUINO X X X X CAMBIANO X X X X CARMAGNOLA X X CANDIOLO X X X X X CARIGNANO X X CASELETTE X X CASELLE X X X X X X X X CASTIGLIONE X X X X CHIERI X X X X X X COLLEGNO X X X X X X X X DRUENTO X X X X X X X X GASSINO X X X GRUGLIASCO X X X X X X X X LA LOGGIA X X X X X X LEINÌ X X X X X X X LOMBARDORE X X MONCALIERI X X X X X X X X NICHELINO X X X X X X X X NONE X X ORBASSANO X X X X X X X X PECETTO X X X X X PIANEZZA X X X X X X X PINO TORINESE X X X X X X X PIOBESI X X X PIOSSASCO X X X X X X POIRINO X X RIVALTA X X X X X X X X RIVOLI X X X X X X X X ROSTA X X X X SAN BENIGNO X SAN GILLIO X X X X SAN MAURO X X X X X X X X SAN RAFFAELE X X SANTENA X X X X SETTIMO X X X X X X X X TORINO X X X X X X X X TROFARELLO X X X X X X X X VENARIA REALE X X X X X X X X VILLASTELLONE X VILLARBASSE X X X X VINOVO X X X X X X X VOLPIANO X X X X VOLVERA X X X X TOTALE

13 13 A guardare meglio, però, le cose appaiono decisamente meno drammatiche. Se è difficile rintracciare una logica specifica in ciascuna di queste aggregazioni, la logica complessiva che risulta dal quadro d insieme risulta abbastanza chiara. Come si vede nella tab. 4 esiste un ristretto numero di comuni che fa parte di tutte le otto aggregazioni metropolitane. Si tratta del nocciolo duro dell area metropolitana torinese: esso è composto da 16 comuni, ossia da Torino e da tutti i più importanti comuni della prima cintura (più Trofarello). Quello che più conta è che in questo gruppo di comuni vivono 1,2 milioni di abitanti (tanti quanti vivono nell area metropolitana di Lione che però è più frammentata, essendo suddivisa in 55 comuni). Se includiamo la seconda fascia di comuni (presenti in 7 aggregazioni su 8) il numero complessivo dei comuni passa a 21 e il numero degli abitanti a 1,3 milioni. Con la fascia successiva si passa a 25 comuni e quasi 1,4 milioni, e così via. Com è lecito aspettarsi la partecipazione dei comuni alle aggregazioni metropolitane si dirada man mano che ci si allontana dal centro. Stando quindi alle attuali appartenenze dei comuni ai club o alle aggregazioni metropolitana, ci troviamo in un quadro abbastanza plausibile di relazioni a geografia variabile. Ogni singola aggregazione ha probabilmente poco senso (per esempio, perché gli attuali comuni della conferenza metropolitana sono proprio 38, mentre quelli dell ambito torinese del PTC sono 30?) e potrebbe essere utilmente rivista. Ma nell insieme la situazione è abbastanza chiara. E probabile che con l andar del tempo si potranno correggere i difetti delle attuali aggregazioni, rivedere le inclusioni e le esclusioni, senza peraltro essere costretti ad assumere forzatamente una dimensione metropolitana unica. La flessibilità delle aggregazioni territoriali potrebbe costituire addirittura un vantaggio. Tab. 4 Numero di adesioni alle aggregazioni metropolitane per ogni comune N. comuni Somma progressiva Abitanti Somma progressiva Comuni presenti in 8 aggregazioni Comuni presenti in 7 aggregazioni Comuni presenti in 6 aggregazioni Comuni presenti in 5 aggregazioni Comuni presenti in 4 aggregazioni Comuni presenti in 3 aggregazioni Comuni presenti in 2 aggregazioni Comuni presenti in 1 aggregazione Lo squilibrio tra gli attori Se l attuale configurazione dei confini non sembra costituire un vero problema, assai più preoccupante appare lo squilibrio tra gli attori che hanno finora promosso le politiche di integrazione metropolitana. Questo squilibrio spiega infatti la lentezza e la farraginosità dei processi aggregativi fin qui realizzati e getta più di un ombra sul loro futuro. Lo squilibrio riguarda il diverso ruolo finora giocato dalla Provincia e dal Comune di Torino. I processi di costruzione metropolitana hanno avuto infatti come principale sostenitore la Provincia di Torino, che ha raccolto la palla lanciata dal piano strategico e proposto l istituzione della conferenza metropolitana. È stata la provincia a profondere energie per tentare di stabilire un coordinamento tra le scelte urbanistiche dei comuni, a sollecitare e promuovere i patti territoriali e la nascita delle nuove società sovracomunali per la gestione dei rifiuti (nell area Sud est). Questo impegno è stato sostenuto in qualche caso dalla Re-

14 14 gione (in particolare nella politica dei trasporti) e da alcuni comuni della prima cintura (in particolare: Collegno, Rivoli, Settimo, Moncalieri e pochi altri). Al contrario, il Comune di Torino, pur avendo partecipato costantemente nelle sedi e negli organismi collegiali e pur essendo ovviamente parte di tutte le aggregazioni metropolitane, non ha mai svolto un ruolo propulsore. Ci sono molti motivi che portano a dubitare che a questa configurazione squilibrata degli attori sia una buona forma di governance. La Provincia è istituzionalmente poco adatta a reggere il gioco nel lungo periodo. Essenzialmente per due ragioni. Innanzi tutto, per la sua stessa natura di ente preposto al governo di un area vasta, la Provincia ha un intrinseca vocazione egualitaria, tende cioè a trattare allo stesso modo i territori sotto la sua cura, indipendentemente dai loro effettivi bisogni, e non può permettersi di concentrare i suoi sforzi e i suoi impegni finanziari sull area metropolitana torinese (anche quando essa, per la sua importanza e i problemi che la affliggono, lo meriterebbe). È significativo che quando la proposta della conferenza metropolitana è giunta in consiglio provinciale, i consiglieri rappresentanti di altre circoscrizioni abbiano ottenuto che si proponesse di costituire contemporaneamente analoghe conferenze per gli altri raggruppamenti territoriali della provincia. Le caratteristiche della Provincia, e la composizione politico-rappresentativa del suo consiglio, non favoriscono la possibilità di dare un rilievo specifico ai temi dell area metropolitana. In secondo luogo, lo sviluppo di un autorità di tipo metropolitano rappresenta obiettivamente per la Provincia una minaccia che finirebbe per svuotarne i compiti. La Provincia può promuoverne la formazione, come ha fatto finora, ma difficilmente potrebbe assecondarne una forte istituzionalizzazione. Alla lunga il patrocinio provinciale potrebbe rivelarsi come un fattore di freno. Viceversa, l esperienza internazionale e, quella francese in particolare, mostra che il successo del governo metropolitano dipende dall esplicita mobilitazione delle risorse politiche del comune centrale e, in primo luogo, del suo sindaco (Lefèvre 1998). L istituzionalizzazione delle comunità urbane francesi è strettamente legata al nome di sindaci come Chaban-Delmas e Juppé a Bordeaux, Mauroy a Lille, Pradel, Noir e Barre a Lione, che non solo ne hanno retto la presidenza per lunghi anni, ma che hanno soprattutto usato il loro prestigio per superare la conflittualità tra i comuni dei propri hinterland. Non si può dire la stessa cosa di Castellani o di Chiamparino. Non è qui in gioco la personalità dei sindaci e non si tratta neppure di un problema esclusivamente torinese. Anche a Roma e a Bologna l iniziativa della conferenza metropolitana è stata patrocinata dalla Provincia, mentre il comune centrale è risultato un po a rimorchio (ed è stato poi pronto a tirarsi indietro quando sono mutate le maggioranze politiche, come è avvenuto a Bologna). Non è impossibile spiegare la ritrosia dei comuni italiani ad assumersi la leadership della propria area metropolitana. Essi sono stati tradizionalmente abituati a scaricare i problemi sui comuni circostanti ed hanno potuto farlo contando su rapporti di forza assolutamente favorevoli e su una presunzione di autosufficienza: è possibile che la costruzione della comunità urbana lionese si sia avvantaggiata della posizione meno forte della città centrale (che conta solo il 37,5% degli abitanti). Di conseguenza le relazioni tra comuni centrali e comuni dell hinterland si sono per lo più costituite in Italia su pessime basi. È più difficile comprendere come questo atteggiamento tradizionale tenda a permanere in una situazione notevolmente mutata in cui cresce la complementarità tra il cuore e la cintura metropolitana e in cui si acuiscono i problemi di competizione internazionale. Si ha comunque l impressione che senza una deciso riequilibrio della costellazione di attori, è improbabile che il progetto metropolitano di Torino possa fare improvvisi balzi in avanti (anche se può continuare a procedere faticosamente, come è avvenuto finora).

15 15 Conclusione A che punto è la costruzione di un governo di scala metropolitana a Torino? ci eravamo chiesti all inizio. In sintesi le risposte che abbiamo dato sono le seguenti: 1) il processo di costruzione di politiche su scala metropolitana è risultato finora molto diseguale: ha raggiunto o sta raggiungendo alcuni traguardi in qualche settore (acque, viabilità, trasporti), procede per parti o per porzioni in altri (sviluppo locale, rifiuti), appare debole nei settori chiave dell urbanistica e della pianificazione territoriale; 2) alcuni temi di vitale importanza presenti tra le funzioni della comunità lionese (politiche di sviluppo industriale, valorizzazione della ricerca e della formazione superiore, assistenza alle imprese per progetti che necessitano di un alto livello di coordinamento degli interventi locali) sono del tutto assenti dall agenda metropolitana torinese (il che rivela una certa arretratezza); 3) e tuttavia, nell ultimo quinquennio i passi avanti sono stati notevoli e continui, anche se non particolarmente veloci; la tendenza principale è verso una crescente integrazione metropolitana; 4) numerose agenzie, spesso di recente istituzione, gestiscono ormai servizi o politiche nell area metropolitana o in sue consistenti porzioni (Autorità d ambito, Agenzia della mobilità, Smat, Seta, Trm, Turismo Torino, Torino Internazionale, ITP); 5) le aggregazioni dei comuni metropolitani sono molto variabili e spesso casuali, ma esiste un nocciolo duro consistente all interno del quale le relazioni sono ormai abbastanza stabili e fitte; esso rappresenta 1,2 milioni di abitanti (ossia il 50% in più della città di Torino); 6) il principale attore istituzionale che ha scelto di agire su scala metropolitana è la Provincia; questo è un fattore di debolezza, dal momento che il Comune di Torino non sembra sufficientemente risoluto sulla medesima strada; 7) la conferenza metropolitana si è costituita con fatica ed è tuttora una struttura istituzionale molto fragile, soprattutto perché non si prevede per il momento di dotarla di apparati tecnici che si abituino ad analizzare i problemi su scala metropolitana. Finora a Torino si era pensato che, data l impossibilità di istituire il Governo Metropolitano (con le maiuscole), fosse meglio procedere attraverso forme duttili di governance consensuale, magari con arrangiamenti diversi a seconda delle politiche. Visto che la soluzione hard era indisponibile, tanto valeva buttarsi sul soft. Il caso di Lione, dove esiste da tempo una formula dura che pare funzionare, dovrebbe indurre a un mutamento di prospettiva? La nostra opinione è che la Comunità Lionese, per il contesto storico in cui è nata (la Francia gollista degli anni 60) è un esempio assolutamente improponibile. È anzi probabile che nella Francia di oggi, assai meno coesa di un tempo, sarebbe impossibile ripetere un simile impresa. Può essere quindi opportuno proseguire nel percorso soft finora intrapreso, che tutto sommato ha prodotto sia pure a fatica qualche risultato. Ma comunque dalla Francia si può imparare qualcosa, nel senso della costruzione di istituzioni, non solo politiche ma anche tecnico-burocratiche, che inducano gli attori (e in primo luogo il Comune di Torino) a ragionare in termini metropolitani e a valutare i vantaggi di lungo periodo della cooperazione all interno dell area.

16 16 Riferimenti bibliografici Bagnasco, A. e Le Galès, P. (a cura di), 2001, Le città nell'europa contemporanea, Napoli, Liguori. Bobbio, L., 2002, I governi locali nelle democrazie contemporanee, Bari-Roma, Laterza. Comune di Bologna e Provincia di Bologna, 1994, Governare le città. L accordo per la città metropolitana di Bologna, Bologna, Il Mulino. Dente, B., 1989, Del governare le metropoli: obiettivi sostanziali e strumenti istituzionali, in «Stato e mercato», n.26, pp Dente, B. e Fareri, P., 1997, Milano capitale dell innovazione, in Id. (a cura di), Innovazione amministrativa a Milano, Milano, Associazione Interessi Metropolitani, Quaderno n. 34, pp Lefèvre, C., 1998, Gouvernements métropolitains et gouvernance dans les pays occidentaux, in «Politique et management public», 16, pp ; trad.it. Governi metropolitani e gouvernance nei paesi occidentali, in «Metronomie», n. 15, 1999, pp Piperno S. e Maggi, M., 1999, Turin: la quête vaine de Gargantua, in B. Jouve e C. Lefèvre (a cura di), Villes, metropoles, Paris, Anthropos, pp Sharpe, L.J. (a cura di), 1995, The Government of World Cities. The Future of Metro Model, New York, John Wiley. 1. Torino internazionale e PTC 2. Commercio 3. Patti territoriali 4. Rifiuti 5. Trasporti 6. Turismo 7. Numero di aggregazioni per comune Appendice Le aggregazioni metropolitane (file carte.zip)

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