Limiti e continuità di funzioni di una variabile reale

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1 Capitolo 3 3. Introduzione Il cuore dell Analisi Matematica, e una delle principali caratteristiche che distinguono l Analisi da altre aree della Matematica, come l Algebra, è il concetto di ite. Esistono diversi tipi di iti: iti di funzioni (di cui ci occupiamo in questo capitolo), e iti di successioni (che discuteremo più avanti, nel capitolo 6). Dopo aver introdotto definizioni e proprietà dei iti di funzioni, studieremo la continuità delle funzioni di una variabile reale, che costituisce la prima applicazione del concetto di ite. 3.2 Limiti in un punto In generale l idea intuitiva di ite di una funzione f quando x tende ad un numero x 0 nel dominio di f è che il valore di f(x) si avvicina sempre più ad un numero l mentre il valore di x si avvicina sempre più a x 0. Non tutte le funzioni hanno un ite in ogni punto x 0. È importante sottolineare che, mentre guardiamo i valori di f(x) quando x si avvicina a x 0, non consideriamo mai il valore di f in x 0 ; in realtà, non è affatto necessario che la funzione f sia definita in x 0 perché esista il ite di f quando x tende a x 0. In modo più formale, possiamo dire che quando consideriamo i iti di funzioni, noi consideriamo generalmente funzioni della forma f : I {x 0 } R, dove I R è un intervallo aperto e x 0 I è un numero reale. Ovviamente, se una funzione è definita su tutto I, noi possiamo sempre pensarla come definita su I {x 0 }, rendendo del tutto ininfluente il fatto che la funzione sia definita anche in x 0, ma la cosa importante è che, comunque, non è richiesto che la funzione sia definita in x 0. E, se la funzione è definita in x 0, allora è importante osservare che il valore di f(x 0 ) non giuoca alcun ruolo nel ite di f quando x tende a x 0. La frase si avvicina sempre più che è utilizzata nell approccio informale ai iti, non è utilizzabile in una definizione rigorosa, e abbiamo bisogno di sostituirla con qualcosa di più preciso. In realtà, non solo la frase si avvicina sempre più è una descrizione poco rigorosa di ciò che accade nei iti, ma è proprio non corretta. Consideriamo infatti la funzione h : R {0} R definita da h(x) = x 2 +, x R {0}. Il grafico di questa funzione è mostrato in figura 3.. Per vedere se il ite di h esiste in x = 0, osserviamo che h(x) si avvicina sempre più a quando x si avvicina sempre più a 0, esattamente nel senso in cui la frase si avvicina sempre più viene compresa intuitivamente. Quale che sia la definizione rigorosa di ite, è certo che il ite di h per x che tende 0 sia. D altra parte, consideriamo la funzione g : R {0} R definita da { x 2 +, se x > 0 g(x) = x 2, se x < 0 Il grafico di questa funzione è mostrato in figura 3.2. Quale che sia la definizione rigorosa di ite, il grafico di questa funzione ci dice che il ite di g per x che tende a 0 non 3-

2 Capitolo 3. esiste. Tuttavia, è ancora vero che quando x si avvicina sempre più a 0, anche il valore di g(x) si avvicina sempre più a. Il fatto è che non è sufficiente che i valori di g(x) si avvicinino sempre più ad un certo numero, ma debbono invece poter essere arbitrariamente vicini a quel dato numero, ed è la misura dell arbitraria vicinanza cha manca dalla frase si avvicina sempre più. 5 y y = x x Figura 3.: Grafico della funzione f(x) = x 2 +. y y = x 2 +, x > x y = x 2, x < Figura 3.2: Grafico della funzione g(x) = x 2 + per x > 0, g(x) = x 2 per x <

3 3.2. Limiti in un punto Per misurare l arbitraria vicinanza utilizziamo numeri positivi scelti arbitrariamente, che indicheremo con ε e δ. Riscriviamo allora la frase il valore di f(x) si avvicina sempre più ad un numero l mentre il valore di x si avvicina sempre più a x 0 utilizzando misure della vicinanza. Cominciamo con la prima parte, che riguarda la vicinanza di f(x) a l, per la cui misura useremo il numero ε. L idea che esista un ite si può formulare come segue: se per ogni possibile scelta di ε > 0, comunque piccolo, possiamo mostrare che, per ogni x sufficientemente vicino a x 0 (ma ancora diverso da x 0 ), il valore di f(x) risulterà entro una distanza ε da l, allora diremo che il ite di f(x) per x che tende a x 0 è l. Useremo δ per indicare la misura della vicinanza di x a x 0. Allora, se per ogni possibile scelta di ε > 0, comunque piccolo, possiamo mostrare che esiste un numero δ > 0 tale che per ogni x entro una distanza δ da x 0 (ma ancora diverso da x 0 ), il valore di f(x) risulterà entro una distanza ε da l, allora diremo che il ite di f(x) per x che tende a x 0 è l. Dire che f(x) è entro una distanza ε da l equivale a dire che f(x) l < ε, e dire che x è entro una distanza δ da x 0, essendo ancora x x 0 equivale a dire che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Vediamo allora che il modo rigoroso di dire il valore di f(x) si avvicina sempre più al numero l quando il valore di x si avvicina sempre più a x 0 è quello di dire che per ogni ε > 0, esiste un δ > 0 tale che per ogni x I {x 0 } tale che x x 0 < δ, risulta che f(x) l < ε. L espressione per ogni x I {x 0 } tale che x x 0 < δ, risulta che f(x) l < ε può essere visualizzata dicendo che f(x) cade all interno di una banda di ampiezza 2ε centrata in l per ogni x I {x 0 } che si trovi all interno di una banda di ampiezza 2δ centrata in x 0. Le considerazioni illustrate fin qui ci conducono alla seguente definizione. Definizione 3.. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I, sia f : I {x 0 } R una funzione, sia l R. Il numero l è il ite di f per x che tende a x 0, e si scrive f(x) = l, se per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano che f(x) l < ε. In modo equivalente diciamo anche che f converge a l per x che tende a x 0. Se f converge ad un numero reale quando x tende a x 0, diciamo che il ite di f(x) per x che tende a x 0 esiste. La Definizione 3. deve essere utilizzata esattamente nel modo in cui è enunciata. Per prima cosa, un simbolo come ε potrebbe rappresentare un qualunque numero reale positivo, e non un particolare valore. Se trovassimo δ soltanto in corrispondenza di specifici valori di ε, non potremmo dire che il ite esiste. Secondo, l ordine logico delle affermazioni contenute nella definizione di ite è cruciale non può essere modificato. Se vogliamo dimostrare che f(x) = l, la dimostrazione deve iniziare scegliendo un arbitrario valore di ε > 0. Quindi, attraverso opportune argomentazioni, si deve trovare un valore di δ > 0, dove δ dipenderà in generale da ε, x 0 e f. Sceglieremo quindi un arbitrario x I {x 0 } tale che x x 0 < δ (osserviamo come dire che x x 0 < δ non garantisca che x I né che x x 0, e dobbiamo quindi dire x I {x 0 } tale che x x 0 < δ quando descriviamo x). Infine, ancora mediante opportune argomentazioni, dobbiamo dedurre che f(x) l < ε. È importante che le scelte di ε e δ siano effettivamente arbitrarie. 3-3

4 Capitolo 3. Vedremo tra breve alcuni esempi, ma prima dobbiamo mostrare un importante risultato. Sebbene non sia esplicitamente affermato nella Definizione 3. che il numero l è unico, risulta vero che se f(x) = l per l R, c è soltanto un tale numero l. In alte parole, se una funzione ha ite per x che tende a x 0, ciò vuol dire che c è un singolo numero l cui f(x) si avvicina sempre più; se non esiste un tale numero, allora non esiste ite. Teorema 3.. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I e sia f : I {x 0 } R una funzione. Se f(x) = l per qualche l R, allora l è unico. Dimostrazione. Supponiamo che f(x) = l e f(x) = l 2, per l, l 2 R, con l l 2. Sia ε = l l 2 /2. Allora ε > 0. Per la definizione di ite, esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l < ε, ed esiste δ 2 > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ 2 implicano f(x) l 2 < ε. Sia δ = min{δ, δ 2 }. Scegliamo x I {x 0 } tale che x x 0 < δ. Allora x x 0 < δ e x x 0 < δ 2, e quindi l l 2 = l f(x)+f(x) l 2 l f(x) + f(x) l 2 = f(x) l + f(x) l 2 < 2ε = l l 2 che è una contraddizione. Deduciamo quindi che se per qualche l R, allora l è unico. Esempio 3.. Facciamo vedere che f(x) = l (5x + ) = 2. x 4 Vogliamo giungere alla conclusione che, comunque scegliamo ε > 0, possiamo trovare un δ > 0 tale che se x 4 < δ possiamo rendere (5x + ) 2 < ε, cioè 5x 20 < ε, che è equivalente a 5 x 4 < ε. In definitiva, ciò significa che vogliamo che sia x 4 < ε/5. Vediamo allora che ciò sarà possibile scegliendo δ = ε/5. Con questa scelta possiamo procedere come segue. Preso ε > 0, sia δ < ε/5. Allora, se x 4 < δ avremo Esempio 3.2. Vogliamo mostrare che (5x + ) 2 = 5x 20 = 5 x 4 < 5 δ = 5 ε 5 = ε. x 3 (x2 ) = 8. Ora, per x 3 < δ vogliamo che sia (x 2 ) 8 < ε. Ciò significa x 2 9 = (x 3)(x + 3) < ε, vale a dire x 3 < ε/ x + 3. In questo caso non possiamo scegliere δ = ε/ x + 3, poiché δ deve essere un numero, mentre x non ha un valore fissato. Il numero δ può dipendere da ε e da 3 (cioè da x 0 ), ma non può dipendere da x. Però possiamo aggirare questa itazione, e definire δ in modo proprio attraverso la relazione che c è tra le variazioni di x 3 e x + 3. Supponiamo infatti che x 3 <. Allora < x 3 <, vale a dire 2 < x < 4, e quindi 5 < x + 3 < 7, cioè 5 < x + 3 < 7. Ora possiamo scegliere δ = min{, ε/7}. Possiamo dunque procedere come segue. 3-4

5 3.2. Limiti in un punto Preso ε > 0, sia δ = min{, ε/7}. Allora, se x 3 < δ avremo (x 2 ) 8 = x 2 9 = x 3 x + 3 < δ 7 = ε 7 7 = ε. Esempio 3.3. Mostreremo ora che x 0 x non esiste. Dal grafico (figura 2.7) della funzione f : R {0} R definita da f(x) = /x per ogni x R {0} risulta evidente che quando x tende a 0 da destra, i valori f(x) tendono a, e che per x che tende a 0 da sinistra, i valori f(x) tendono a. Vediamo ora due ragioni intuitive per cui x 0 x non esiste. Per prima cosa, è importante sottolineare che quando scriviamo f(x) = l, intendiamo sempre che l sia un numero reale. Anche se utilizziamo il simbolo per rappresentare infinito, questo simbolo non è un numero reale. Se si scrive f(x) = (ciò che faremo più avanti in questo capitolo), non si sta scrivendo un ite nel senso che stiamo attualmente attribuendo a questo concetto; il simbolo in questo contesto significa che f(x) cresce senza alcun ite. La seconda ragione intuitiva per cui il /x non esiste è che per x x 0 tendente a 0 da destra i valori di f(x) si comportano in un certo modo, e per x tendente a 0 da sinistra essi si comportano in un modo diverso. Affinché un ite esista, è necessario che i valori di f(x) si comportino nello stesso modo, indipendentemente da come x si avvicina a x 0. La dimostrazione che un ite non esiste utilizza lo stesso tipo di argomentazione ε-δ, che si impiega per dimostrare che un ite esiste. In questo caso una dimostrazione per contraddizione. Precisamente, supponiamo che /x = l per l R. Troveremo allora ε > 0 per cui non esiste x 0 alcun δ appropriato nel senso fin qui visto. Accadrà, infatti che per ogni δ > 0, esisterà qualche x R {0} che soddisfi x 0 < δ e, purtuttavia, /x l ε. Sia δ > 0. Osserviamo che ciò di cui abbiamo bisogno è che che risulti /x l ε oppure /x l ε. Quindi è sufficiente trovare x che soddisfi una di queste disuguaglianze. Si hanno tre casi, a seconda che sia l > 0 o l = 0 o l < 0. Supponiamo l > 0. Vogliamo allora /x l ε, vale a dire /x l + ε, e deve essere quindi x /(l + ε). Quest ultimo passo funziona con qualunque scelta di ε poiché l > 0. Deve anche essere x 0 < δ, e quindi sceglieremo x = min{δ/2, /(l + ε)}. Tralasciamo i dettagli dei casi in cui l < 0 e l = 0, tranne che per osservare che quando l < 0 dobbiamo scegliere ε > 0 in modo tale che l + ε < 0; potremmo, ad esempio, scegliere ε = l /2 (e potremmo usare lo stesso ε anche nel caso l > 0. Nel caso l = 0 non possiamo utilizzare ε = l /2, poiché deve essere ε > 0, ma qualunque ε positivo funzionerà, ad esempio ε =. La dimostrazione si articola allora come segue. Supponiamo che x 0 x = l con l R. Sia ε = l /2 se l 0, e sia ε = se l = 0. Consideriamo il caso l > 0; gli altri casi sono simili e tralasceremo i dettagli. Sia δ > 0. Poiché l > 0, allora l+ε > 0. Sia x = min{δ/2, /(l+ε)}. Allora x (0, ) e x 0 δ/2 < δ. D altra parte, poiché x /(l + ε), segue che l + ε /x, e quindi /x l ε, che implica /x l ε. Esempio 3.4. Come ultimo esempio, mostriamo che ( ) sin x 0 x 3-5

6 Capitolo 3. non esiste. La figura 3.3 mostra il grafico della funzione f(x) = sin(/x) definita per ogni x R {0}. Supponiamo che sin(/x) = l per l R. Sia ε = /2. Allora esiste δ > 0 tale che x 0 x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l < /2. Per il Corollario.2, esiste n N tale che /n < 2δπ. Quindi /(2nπ) < δ. Siano x = 2nπ + π/2 e x 2 = 2nπ + 3π/2. Allora /x < δ e /x 2 < δ. Quindi ( ) ( ) 2 = ( ) = sin x sin x 2 = sin sin /x /x 2 quindi ( ) ( ) ( ) ( ) 2 = sin l + l sin /x /x 2 sin l /x + l sin < /x =, che è una contraddizione. Concludiamo quindi che x 0 sin(/x) non esiste. y y = sin ( ) x π π 2 π 2 π x Figura 3.3: Grafico della funzione f(x) = sin(/x). Negli esempi 3.3 e 3.4 abbiamo visto due iti che non esistono. Osserviamo, comunque, che si tratta di situazioni abbastanza diverse. Nel primo caso il problema è dato dal fatto che, per x che tende a 0, la funzione tende a da una parte e a dall altra parte, mentre nel secondo caso la funzione oscilla sempre più rapidamente con valori compresi tra e mentre x si avvicina a 0, e quindi non esiste un singolo valore a cui la funzione si avvicina mentre x si avvicina a 0. La definizione ε-δ di ite di una funzione non è sempre facile da usare in pratica, e nel seguito di questa sezione vedremo alcuni risultati che ci consentono di calcolare i iti più facilmente in certe situazioni. Le dimostrazioni di questi risultati impiegano l approccio ε-δ ma, una volta dimostrati, possiamo utilizzarli senza ulteriore riferimento ad esso. Inizieremo con alcuni risultati preinari. Il prossimo risultato afferma che se una funzione ha un ite diverso da zero in x 0, allora la funzione deve avere lo stesso segno del ite vicino a x 0. Teorema 3.2 (Permanenza del segno). Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I e sia f : I {x 0 } R una funzione. Supponiamo che esista il f(x) = l. 3-6

7 3.2. Limiti in un punto () Se l > 0, allora esistono p > 0 e δ > 0 tali che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) > p. (2) Se l < 0, allora esistono q < 0 e δ > 0 tali che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) < q. Dimostrazione. Dimostriamo soltanto la parte (); la parte (2) è simile e ne tralasciamo i dettagli. () Supponiamo che l > 0. Sia p = l/2. Allora è p > 0. Per la definizione di ite, esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l < l/2. Allora x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano che l/2 < f(x) l < l/2, e quindi l/2 < f(x), cosicché f(x) > p. Ricordiamo dalla Definizione.3 il concetto di sottoinsieme itato di R. In modo equivalente si può dire che un sottoinsieme A R è itato se e solo se esiste p R tale che x p per ogni x A. Definiremo ora cosa intendiamo per funzione itata. Definizione 3.2. Sia A un insieme, sia B R, e sia f : A B una funzione. La funzione f è itata se l immagine di f, f(a), è un insieme itato; vale a dire, se esiste p R tale che f(x) p per ogni x A. Esempio 3.5. Sia h : [0, ] R una funzione definita da, se x = 0 h(x) =, se x (0, ] x Intuitivamente è evidente che h non è itata, ma dobbiamo dimostrarlo. Lo facciamo mostrando che per ogni p R, esiste x [0, ] tale che p < f(x). Sia p R. Ci sono due casi possibili. Primo, supponiamo che p 0. Allora p < = h(0). Secondo, supponiamo che p > 0. Sia x = p +. Allora x >, e quindi /x (0, ]. Vediamo quindi che h(/x) = x > p. Dunque h non è itata. Vediamo ora due lemmi che hanno a che vedere con i iti e la itatezza delle funzioni. Ovviamente una funzione può avere ite in un punto x 0 anche se essa non è itata, come la funzione nell Esempio 3., e una funzione può essere itata e non avere ite in qualche punto x 0, come la funzione f(x) = sin(/x) nel punto x = 0. Come vedremo, comunque, ci sono alcune relazioni tra i iti e la itatezza. Lemma 3.. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I e sia f : I {x 0 } R una funzione. Se f(x) esiste, allora esiste δ > 0 tale che la restrizione di f a (I {x 0 }) (x 0 δ, x 0 +δ) è itata. Dimostrazione. Sia l = f(x). Allora esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l <. Supponiamo che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Dalla parte (7) del 3-7

8 Capitolo 3. Lemma.4 vediamo che f(x) l <, e quindi f(x) < l +. Quindi, la restrizione di f a (I {x 0 }) (x 0 δ, x 0 + δ) è itata da l +. Il prossimo lemma è un utile risultato sui iti che fa uso della itatezza. Lemma 3.2. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I, e siano f, g : I {x 0 } R due funzioni. Supponiamo che f(x) = 0, e che g sia itata. Allora f(x)g(x) = 0. Dimostrazione. Sia ε > 0. Poiché g è itata, esiste p R tale che g(x) p per ogni x I {x 0 }; Supponiamo che p > 0. Poiché f(x) = 0, esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) 0 < ε/p. Supponiamo che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Allora f(x)g(x) 0 = f(x)g(x) = f(x) g(x) < ε p p = ε. Uno dei casi più favorevoli per mostrare che un ite esiste (e anche per calcolarne il valore) è quello in cui la funzione è costruita mediante funzioni più semplici, i cui iti sono molto più facili da calcolare. Risulta utile a tale scopo la seguente definizione, che dice appunto come costruire funzioni utilizzando funzioni più semplici. Definizione 3.3. Siano A, B due insiemi, siano f : A R and g : B R due funzioni e sia k R.. La funzione f + g : A B R è definita da [f + g](x) = f(x) + g(x), per ogni x A B. 2. La funzione f g : A B R è definita da [f g](x) = f(x) g(x), per ogni x A B. 3. La funzione kf : A R è definita da [kf](x) = kf(x), per ogni x A. 4. La funzione fg : A B R è definita da [fg](x) = f(x) g(x), per ogni x A B. 5. Sia C = (A B) {b B g(b) = 0}. La funzione f/g : C R è definita da [f/g](x) = f(x)/g(x), per ogni x C. 6. La funzione f : A R è definita da f (x) = f(x), per ogni x A. Il seguente teorema ci dice in che modo il ite si comporta rispetto a funzioni costruite come nella definizione precedente. Teorema 3.3. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I, siano f, g : I {x 0 } R due funzioni e sia k R. Supponiamo che esistano i iti f(x) e g(x) 3-8

9 3.2. Limiti in un punto () Esiste [f + g](x) e risulta [f + g](x) = f(x) + g(x). (2) Esiste [f g](x) e risulta [f g](x) = f(x) g(x). (3) Esiste [kf](x) e risulta [kf](x) = k f(x). [ ] [ ] (4) Esiste [fg](x) e risulta [fg](x) = f(x) g(x) (5) Se g(x) 0, esiste [f/g](x) e risulta [f/g](x) =. f(x) g(x). Dimostrazione. Daremo qui dimostrazione soltanto dei punti (), (3) e (4). l f = f(x) e l g = g(x). Siano ora () Sia ε > 0. Allora esistono δ f > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ f implicano f(x) l f < ε/2, e δ g > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ g implicano f(x) l g < ε/2. Sia δ = min{δ f, δ g }. Supponiamo che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Allora [f +g](x) (l f +l g ) = [f(x) l f ]+[g(x) l g ] f(x) l f + g(x) l g < ε 2 + ε 2 = ε. (3) Si dimostra facilmente che f(x) = l f se e solo se [f(x) l f ] = 0. Sia h : I {x 0 } R definita da h(x) = k per ogni x I {x 0 }. Allora h è itata. Dunque, il Lemma 3.2 implica che k[f(x) l f ] = 0, vale a dire [kf(x) k l f ] = 0. Se ne deduce quindi che kf(x) = k l f. (4) Sia ε > 0. Dal Lemma 3. sappiamo che esiste δ > 0 tale che la restrizione di g a (I {x 0 }) (x 0 δ, x 0 + δ ) è itata. Dunque esiste b R tale che g(x) b per ogni x (I {x 0 }) (x 0 δ, x 0 + δ ). Possiamo supporre che sia b > 0. Allora b + l f > 0. Esiste dunque δ f > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ f implicano f(x) l f < ε/(b+ l f ), ed esiste δ g > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ g implicano g(x) l g < ε/(b + l f ). Sia δ = min{δ, δ f, δ g }. Supponiamo che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Allora [fg](x) l f l g = f(x)g(x) l f l g = f(x)g(x) g(x)l f + g(x)l f l f l g g(x) f(x) l f + l f g(x) l g ε < b b + l f + l ε f b + l f = ε. 3-9

10 Capitolo 3. Esempio 3.6. Utilizzando il punto (4) del Teorema 3.3, il risultato dell Esempio 3.2 può essere calcolato facilmente [ ] [ ] x 3 x2 = (x + )(x ) = (x + ) (x ) = 4 2 = 8. x 3 x 3 x 3 Vediamo ora, senza dimostrazione, altri due teoremi. Il primo riguarda il rapporto che esiste tra i iti e la composizione di funzioni. Teorema 3.4. Siano I, J R due intervalli aperti, sia x 0 I, sia y 0 J e siano f : I {x 0 } J {y 0 } e g : J {y 0 } R due funzioni. Supponiamo che f(x) = y 0 e che esista g(y). Allora (g f)(x) esiste, e risulta y y 0 (g f)(x) = g(y). y y 0 Il secondo teorema riguarda la relazione esistente tra i iti e le disuguaglianze tra funzioni. Teorema 3.5. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I e siano f, g : I {x 0 } R due funzioni. Supponiamo che f(x) g(x) per ogni x I {x 0 }. Se esistono i iti f(x) e g(x), allora f(x) g(x). Il prossimo risultato fornisce un modo conveniente per dimostrare l esistenza del ite di una funzione intrappolandola tra due funzioni i cui iti, coincidenti, possano essere calcolati facilmente. Teorema 3.6. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I e siano f, g, h : I {x 0 } R tre funzioni. Supponiamo che f(x) g(x) h(x) per ogni x I {x 0 }. Se f(x) = l = h(x), l R, allora esiste il g(x) e risulta g(x) = l. Dimostrazione. Supponiamo che f(x) = l = h(x), l R. Sia ε > 0. Dunque esiste allora δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l < ε, ed esiste allora δ 2 > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ 2 implicano h(x) l < ε. Sia δ = min{δ, δ 2 }. Supponiamo che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Allora f(x) l < ε e h(x) l < ε. Segue che l ε < f(x) < l + ε e l ε < h(x) < l + ε. Quindi l ε < f(x) g(x) h(x) < l + ε, che implica g(x) l < ε. 3-0

11 3.2. Limiti in un punto Esempio 3.7. Consideriamo la funzione f : R {0} R definita da f(x) = sin x x. Vogliamo dimostrare che si ha sin x =. (3.) x 0 x Possiamo itarci a considerare la funzione per 0 < x < π/2. In tali condizioni, guardando la figura 2. si vede facilmente che: sin x < x < sin x cos x ; inoltre è evidentemente sin x x > 0, cioè sin x x sin x =, e cos x > 0. x Segue cos x < sin x x <. Poiché cos x =, e =, x 0 x 0 applicando il Teorema 3.6 la (3.) risulta dimostrata. Concludiamo questa sezione con una breve discussione sui iti a destra e a sinistra, che sono i iti di una funzione in un punto x 0 che si trovano avvicinandosi a x 0 dall una ovvero dall altra parte, da destra (cioè, passando per numeri maggiori di x 0 ) o da sinistra (cioè, passando per numeri minori di x 0 ). Questi iti risultano utili agli estremi di intervalli chiusi. Consideriamo, ad esempio, la funzione g : R R definita all inizio di questa sezione, il cui grafico è mostrato in figura 3.2. Mentre il ite di questa funzione per x tendente a zero non esiste, se restringiamo l attenzione ai valori x > 0, allora il ite di quella parte della funzione per x tendente a 0 risulta essere ; questo è il ite destro. Analogamente, se restringiamo la nostra attenzione ai valori x < 0, allora il ite di quella parte della funzione per x tendente a 0 risulta essere ; questo è il ite sinistro. Osserviamo anche che l intervallo I nella seguente definizione non è necessariamente aperto. Definizione 3.4. Sia I R un intervallo, sia x 0 I, Sia f : I {x 0 } R una funzione e sia l R.. Supponiamo che x 0 non sia l estremo destro di I. Il numero l è il ite destro di f in x 0, e si scrive f(x) = l, x x + 0 se per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } and x 0 < x < x 0 + δ implicano f(x) l < ε. Diciamo anche che f converge a l per x tendente a x 0 da destra. 3-

12 Capitolo Supponiamo che x 0 non sia l estremo sinistro di I. Il numero l è il ite sinistro di f in x 0, e si scrive f(x) = l, x x 0 se per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } and x 0 δ < x < x 0 implicano f(x) l < ε. Diciamo anche che f converge a l per x tendente a x 0 da sinistra. Esempio 3.8. Esaminiamo i tre iti x x 0 + x, x x 0 x, x x 0 x. La funzione che consideriamo qui è f : R {0} R definita da f(x) = x /x per ogni x R {0}. Osserviamo che { x, se x > 0 x =, se x < 0 Segue allora che x x 0 + x = =, e che x 0 + x D altra parte, possiamo mostrare che x 0 x x x 0 x = =. x 0 non esiste. Supponiamo, al contrario che x = l, l R. x 0 x Il ite l non può essere uguale sia a che a. Ipotizziamo, senza perdita di generalità, che sia l. Sia ε = l /2. Allora ε > 0. Per ogni δ > 0, possiamo scegliere x (0, δ), e quindi f(x) =, che implica f(x) l = l = 2ε > ε. Quindi non possiamo trovare il richiesto δ corrispondente al dato ε, il che contraddice l ipotesi che il ite esista e sia uguale a l. Ne segue quindi che il ite non esiste. L Esempio 3.8 mostra che il ite destro ed il ite sinistro possono esistere entrambi ed essere diversi. Vediamo ora cosa accade quando i due iti esistono e sono uguali. Lemma 3.3. Sia I R un intervallo aperto, x 0 I e sia f : I {x 0 } R una funzione. Allora f(x) esiste se e solo se f(x) e f(x) esistono e sono uguali. Se questi x x + 0 x x 0 tre iti esistono essi sono uguali. Dimostrazione. Supponiamo che f(x) esista e sia l = f(x). Sia ε > 0. Allora esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l < ε. Supponiamo che x I {x 0 } e x 0 < x < x 0 + δ. Allora x x 0 < δ, e segue che f(x) l < ε. Ne deduciamo che f(x) = l. x 0 + Una simile argomentazione mostra che f(x) = l, x 0 3-2

13 3.3. Continuità e ne omettiamo i dettagli. Supponiamo ora che f(x) e f(x) esistano e siano uguali. Sia x x + 0 x x 0 l = f(x) = f(x). x x + 0 x x 0 Sia ε > 0. Esiste δ > 0 tale che x I {x 0 } e x 0 < x < x 0 + δ implicano f(x) l < ε, ed esiste δ 2 > 0 tale che x I {x 0 } e x 0 δ 2 < x < x 0 implicano f(x) l < ε. Sia δ = min{δ, δ 2 }. Supponiamo che x I {x 0 } e x x 0 < δ. Allora x 0 δ < x < x 0 + δ e x x 0, e quindi x 0 δ 2 < x < x 0 ovvero x 0 < x < x 0 + δ. In ambo i casi case ne deduciamo che f(x) l < ε. Segue che f(x) = l. Si può verificare che valgono per i iti a destra e per i iti a sinistra tutti i lemmi e i teoremi di questa sezione; le dimostrazioni in questi casi non differiscono in modo sostanziale da quelle viste, e ne omettiamo quindi i dettagli. 3.3 Continuità L idea di una funzione continua è, intuitivamente, abbastanza familiare, ed è spesso descritta come una funzione il cui grafico y = f(x) può essere disegnato senza sollevare la matita dal foglio. Vale a dire, una funzione è continua se il suo grafico non presenta buchi o salti. Il grafico mostrato in figura 3. rappresenta una funzione continua. Il grafico mostrato in figura 3.2 rappresenta una funzione discontinua; solo in un punto questa funzione non è continua, cioè x 0, ma ciò è sufficiente perché la funzione sia considerata discontinua. Molte delle più familiari funzioni che ricorrono nell Analisi Matematica, come i polinomi, e x, log x, sin x e cos x, sono continue. D altra parte, non possiamo ignorare le funzioni discontinue, poiché alcune applicazioni della Matematica nella Scienze e nell Ingegneria richiedono l uso di funzioni discontinue. Un trattamento rigoroso della continuità richiede lo stesso tipo di argomentazioni ε-δ che sono usate nel trattamento rigoroso dei iti di funzioni. Esiste infatti una stretta relazione tra i iti e la continuità. Esiste, comunque, una differenza fondamentale tra le definizioni di ite e continuità. Supponiamo di avere un intervallo aperto I R, un numero x 0 I e una funzione f : I R. Se vogliamo sapere se esiste il ite di f per x tendente a x 0, non teniamo conto del valore di f(x 0 ). In realtà, non è neanche necessario che la funzione f sia definita in x 0 perché il ite esista. Per studiare la continuità di f in x 0, invece, siamo direttamente interessati al valore di f(x 0 ). Per dire che f è continua in x 0, c è bisogno che, intuitivamente, la funzione non salti in x 0. Più precisamente, abbiamo bisogno di sapere che il valore di f(x 0 ) sia esattamente ciò che ci aspetteremmo guardando i valori di f(x) quando x tende a x 0. In altre parole, per dire che f è continua in x 0, riprendiamo il ragionamento ε-δ del ite dato nella Definizione 3., e sostituiamo l con f(x 0 ). 3-3

14 Capitolo 3. Definizione 3.5. Sia A R un insieme, e sia f : A R una funzione.. Sia x 0 A. La funzione f è continua in x 0 se per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che x A e x x 0 < δ implicano f(x) f(x 0 ) < ε. La funzione f è discontinua in x 0 se non è continua in x 0 ; in tal caso diciamo che f ha una discontinuità in x La funzione f è continua se è continua in ogni punto di A. La funzione f è discontinua se essa non è continua. Osserviamo che, mentre nella definizione di ite restringiamo la nostra attenzione a funzioni i cui domini sono intervalli aperti con (al più) un punto mancante, nella definizione di funzione continua possiamo considerare funzioni che hanno come dominio arbitrari sottoinsiemi di R. Nel prendere il ite in un punto x 0 R, dobbiamo essere sicuri che ci siano valori di x nel dominio della funzione che effettivamente si possano avvicinare arbitrariamente a x 0 ; avere x 0 in un intervallo aperto serve a garantire proprio questo. Al contrario, per avere la più generale definizione possibile di funzione continua, possiamo considerare domini arbitrari. Può accadere che il dominio di una funzione abbia un punto isolato, nel qual caso la funzione è sempre continua in quel punto, indipendentemente dal valore che essa assume in quel punto. Quando restringiamo la nostra attenzione a funzioni i cui domini sono intervalli aperti, allora il seguente lemma ci mostra quanto sia stretta la relazione tra i concetti di ite e di continuità. Ne omettiamo la dimostrazione, che discende immediatamente dalle definizioni di ite e di continuità. Lemma 3.4. Sia I R un intervallo aperto, sia x 0 I e sia f : I R una funzione. Allora f è continua in x 0 se e solo se f(x) esiste e risulta f(x) = f(x 0 ). Vediamo ora alcuni esempi di funzioni continue e discontinue. Esempio 3.9. Sia A R un intervallo aperto, e sia f : A R definita da f(x) = ax + b per ogni x A, con a, b R. Mostreremo che f è continua. Dalla definizione di ite segue che, preso δ = ε/ a, si ottiene cioè ax + b (ax 0 + b) = a(x x 0 ) = a x x 0 < a δ = a (ax + b) = ax 0 + b ε a = ε, che, insieme al Lemma 3.4, mostra che f è continua in x 0. Poiché x 0 è stato scelto arbitrariamente, possiamo dire che f è continua. Con qualche ulteriore argomentazione si può mostrare che f è continua in ogni arbitrario sottoinsieme di R. Esempio 3.0. Sia B R {0} un insieme, e sia p : B R definita da p(x) = /x per ogni x B. Mostreremo che p è continua. Sia x 0 B. Mostriamo che f è continua in x 0. Supponiamo che x 0 > 0. Sia ε > 0. Sia δ = min{x 0 /2, εx 2 0/2}. Supponiamo che x B e x x 0 < δ. Allora x x 0 < x 0 /2, e quindi x 0 /2 < x x 0 < x 0 /2, che implica x 0 /2 < x < 3x 0 /2, vale a dire x 0 /2 < x. Segue allora che x x 0 = x 0 x x 0 x = x 0 x x 0 x < εx2 0/2 x 0 x 0 /2 = ε. 3-4

15 3.3. Continuità Concludiamo che p è continua in x 0. Nel caso in cui sia x 0 < 0 si procede in modo analogo al precedente, e omettiamo quindi i dettagli. Poiché x 0 è stato scelto arbitrariamente, possiamo dire che p è continua. Esempio 3.. Sia k : R R definita da ( ) sin, se x 0 k(x) = x 0, se x = 0 Il grafico di k è mostrato in figura 3.3. Abbiamo visto nell Esempio 3.4 che non esiste il x 0 k(x). Dal Lemma 3.4 segue quindi che k è discontinua in 0. La funzione k è continua in tutti gli altri punti di R. Esempio 3.2. Sia g : R R definita da g(x) = x x, se x 0 0, se x = 0 La funzione g è discontinua in 0. Per verificarlo osserviamo che, se x > 0 g(x) = 0, se x = 0, se x < 0 Per vedere che g è discontinua in 0 basta osservare che nell Esempio 3.8 abbiamo visto che non esiste il x 0 g(x), e quindi applicare il Lemma 3.4. La funzione g è continua in tutti gli altri punti di R. Il risultato che segue è l analogo per le funzioni continue del Teorema 3.2, che mostrava la proprietà di permanenza del segno per i iti. Ne omettiamo la dimostrazione. Teorema 3.7 (Permanenza del segno per le funzioni continue). Sia A R un insieme, sia x 0 A e sia f : A R una funzione. Supponiamo che f sia continua in x 0. () Se f(x 0 ) > 0, allora esistono p > 0 e δ > 0 tali che x A e x x 0 < δ implicano f(x) > p. (2) Se f(x 0 ) < 0, allora esistono q < 0 e δ > 0 tali che x A e x x 0 < δ implicano f(x) < q. Il prossimo teorema mostra il comportamento della continuità rispetto all addizione, alla sottrazione, alla moltiplicazione e alla divisione di funzioni, ed è molto utile per stabilire la continuità di funzioni costruite a partire da funzioni più semplici. Teorema 3.8. Sia A R un insieme, sia x 0 A, siano f, g : A R due funzioni e sia k R. Supponiamo che f e g siano continue in x

16 Capitolo 3. () [f + g] è continua in x 0. (2) [f g] è continua in x 0. (3) [kf] è continua in x 0. (4) [fg] è continua in x 0. (5) Se g(x 0 ) 0, allora [f/g] è continua in x 0. Dimostrazione. Se A fosse un intervallo aperto questo teorema si potrebbe dedurre immediatamente combinando il Lemma 3.4 e il Teorema 3.3. Nel caso più generale si possono utilizzare le stesse argomentazioni con appropriate modifiche. Omettiamo i dettagli. Il prossimo risultato è immediata conseguenza del Teorema 3.8, e ne omettiamo la dimostrazione. Corollario 3.. Sia A R un insieme, siano f, g : A R due funzioni e sia k R. Supponiamo che f e g siano continue. Allora [f + g], [f g], [kf] e [fg] sono continue, e se g(x) 0 per ogni x A allora [f/g] è continua. Esempio 3.3. Sia A R un insieme. Per ogni n N, sia f n : A R definita da f n (x) = x n per ogni x A. Mostreremo che f n è continua per ogni n N per induzione su n. Sia n =. Allora f n (x) = f (x) = x per ogni x A, e abbiamo visto nell Esempio 3.9 che questa funzione è continua. Ora poniamo n N, e supponiamo che f n sia continua. Allora f n+ (x) = x n+ = x n x = f n (x)f (x) per ogni x A, e quindi f n+ = f n f. Segue dal Teorema 3.8 che f n+ è continua. Per induzione, deduciamo che f n è continua per ogni n N. L Esempio 3.9 mostra che tutte le funzioni costanti A R sono continue, e allora segue da quanto sopra e dal Teorema 3.8, che tutte le funzioni polinomiali sono continue. Esempio 3.4. Sia p : R {0} R definita da p(x) = /x per ogni x R {0}. Abbiamo visto nell Esempio 3.0 che p è continua, facendo uso della definizione ε-δ di continuità. Si può ora costruire una dimostrazione molto più semplice utilizzando il Teorema 3.8 osservando che le funzioni h, k : R {0} R definite da h(x) = per ogni x R e k(x) = x per ogni x R sono continue, come mostrato dall Esempio 3.9. Vediamo ora come la continuità si comporta rispetto alla composizione di funzioni. Teorema 3.9. Siano A, B R due insiemi, sia x 0 A e siano f : A B e g : B R due funzioni. () Supponiamo che A sia un intervallo aperto. Se f(x) esiste ed è in B, e se g è continua in f(x), allora ( ) g(f(x)) = g f(x). (2) Se f è continua in x 0, e se g è continua in f(x 0 ), allora g f è continua in x 0. (3) Se f e g sono continue, allora g f è continua. 3-6

17 3.3. Continuità Dimostrazione. () Supponiamo che f(x) esista e sia in B, e che g sia continua in f(x). Sia l = f(x). Sia ε > 0. Allora esiste η > 0 tale che y B e y l < η implicano g(y) g(l) < ε, ed esiste δ > 0 tale x A {x 0 } e x x 0 < δ implicano f(x) l < η. Supponiamo che x A {x 0 } e x x( 0 < δ. Allora ) f(x) l < η, e quindi g(f(x)) g(l) < ε, che significa g(f(x)) g f(x) < ε. Segue che ( ) g(f(x)) = g f(x). (2) Poiché A non è necessariamente un intervallo aperto, questo punto del teorema non può essere dedotto dal punto (). Comunque, la dimostrazione di questo punto è molto simile alla dimostrazione del punto (), ma con f(x 0 ) in sostituzione di f(x); omettiamo i dettagli. (3) Questo punto del teorema segue immediatamente dal punto (2). Mentre la composizione di funzioni continue funziona bene, come mostrato dal Teorema 3.9, la composizione di funzioni discontinue può comportarsi in modo strano. Esempio 3.5. Siano h, k : R R definite da h(x) = {, se x 0 0, se x = 0 and k(x) = { 2, se x 3 0, se x = 3. È immediato verificare che h è discontinua in 0, ma continua altrove, e che k è discontinua in 3, ma continua altrove; Omettiamo i dettagli. Osserviamo che (k h)(x) = 2 per ogni x R, così che k h è una funzione costante, e quindi, dall Esempio 3.9, è continua. Vediamo allora che la composizione di funzioni discontinue può essere continua. Il prossimo risultato mostra che due funzioni continue su intervalli chiusi e itati adiacenti possono essere incollate per formare una funzione continua se assumono lo stesso valore nel punto comune ai due domini. Lemma 3.5. Siano [a, b] R e [b, c] R due intervalli chiusi itati, e siano f : [a, b] R e g : [b, c] R due funzioni. Supponiamo che f e g siano continue, e che f(b) = g(b). Allora la funzione h : [a, c] R definita da h(x) = { f(x), se x [a, b] g(x), se x [b, c]. è continua. 3-7

18 Capitolo Uniforme continuità La continuità è una proprietà molto importante delle funzioni, ma in molte occasioni, ad esempio le dimostrazioni di alcuni teoremi sull integrazione, è richiesta una versione rinforzata della continuità, che chiameremo uniforme continuità. Per comprendere il senso della uniforme continuità, ricordiamo cosa significa per una funzione essere continua. Supponiamo che f : A R sia una funzione continua nell insieme A R. Allora f è continua in ogni punto x 0 A. Informalmente, dire che f è continua in ogni punto x 0 A, significa che per ogni scelta di x 0 A, e per ogni ε > 0, dobbiamo trovare δ > 0 tale che se x A e x è a distanza minore di δ da x 0, allora f(x) è a distanza minore di ε da f(x 0 ). La scelta di δ dipende qui sia da x 0 che da ε, oltre che ovviamente dalla funzione f. Valori più piccoli di ε richiedono valori più piccoli di δ, cioè, in generale, δ dipende da ε. Ci chiediamo se sia possibile che, fissato ε, possiamo usare lo stesso valore di δ per tutti i punti x 0. La risposta, in generale, è negativa, sebbene per alcune funzioni ciò possa accadere. Siano g e f le funzioni i cui grafici sono mostrati nelle figure 3.4 e 3.5, rispettivamente. Se confrontiamo ciò che accade nei due punti x e x nel dominio della funzione g, vediamo che per lo stesso valore di ε, abbiamo bisogno di un δ molto più piccolo in x di quanto non accada in x. Se prendiamo valori di x sempre più vicini a 0, allora abbiamo bisogno di valori sempre più piccoli di δ per lo stesso valore di ε. Nel grafico della funzione f, invece, è evidente che per ogni fissato ε, è possibile scegliere un valore di δ che funziona per quel valore di ε qualunque sia il punto x 0 (intuitivamente, scegliamo il δ che corrisponde ad un punto in cui il grafico ha la massima pendenza). Ovviamente, guardare ai grafici delle funzioni ci aiuta a costruire un idea intuitiva: abbiamo visto che in linea di principio la scelta di δ nel dimostrare che una funzione è continua dipende dal punto x 0 e da ε, mentre per alcune funzioni la scelta di δ dipende solo da ε. La differenza sostanziale tra queste due situazioni è formalizzata nella seguente definizione. Definizione 3.6. Sia A R un insieme, e sia f : A R una funzione. La funzione f è uniformemente continua se per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che x, x A e x x < δ implicano f(x ) f(x ) < ε. Osserviamo che, in contrasto con la nozione di continuità che è definita separatamente per ogni numero reale nel dominio della funzione, l uniforme continuità non si riferisce ad un singolo punto ma è una proprietà globale della funzione, poiché l idea su cui si basa è che lo stesso δ funziona per un dato ε in tutti i punti del dominio. Nella definizione di uniforme continuità abbiamo chiamato i due punti considerati x e x, anziché x e x 0, sottolineando così il ruolo equivalente che essi giuocano in questa formulazione. Le definizioni di continuità e uniforme continuità implicano immediatamente il seguente lemma, di cui omettiamo la dimostrazione. Lemma 3.6. Sia A R un insieme, e sia f : A R una funzione. Se f è uniformemente continua, allora f è continua. 3-8

19 3.4. Uniforme continuità y y = g(x) g(x ) ε ε g(x ) ε ε x x x δ δ δ δ Figura 3.4: Grafico di una funzione non uniformemente continua. y y = f(x) x Figura 3.5: Grafico di una funzione uniformemente continua. 3-9

20 Capitolo 3. Esempio 3.6. Sia f : R R definita da f(x) = ax + b per ogni x R, con a, b R. Abbiamo visto nell Esempio 3.9 che f è continua, e mostreremo ora che f è uniformemente continua. Ci sono due casi. Supponiamo prima che a = 0. In questo caso f è una funzione costante, e f(x ) f(x ) = 0 per ogni x, x R. Quindi qualunque δ funziona per ogni ε > 0. Supponiamo ora che a 0. Sia ε > 0. Scegliamo δ = ε/ a. Supponiamo che x, x R, e x x < δ. Allora f(x ) f(x ) = (ax + b) (ax + b) = a x x < a δ = ε. Esempio 3.7. Sia g : R {0} R definita da g(x) = /x per ogni x R {0}. Abbiamo visto nell Esempio 3.0 che g è continua. Mostreremo ora che g non è uniformemente continua, il che corrisponde a ciò che, intuitivamente, concludiamo guardando alla figura 3.4, in cui è rappresentata una parte del grafico di g. Per dimostrare che g non è uniformemente continua, facciamo vedere che esiste ε > 0 tale che per ogni δ > 0, esistono x, x R {0} tali che x x < δ e g(x ) g(x ) ε. Sia ε =. Sia δ > 0. Sia x = δ e x = δ/( δ + ). Allora x x δ δ = δ = < δ, δ + δ + e g(x ) g(x ) = x x = δ δ + δ = = ε. Quindi g non è uniformemente continua. Esempio 3.8. Sia h : (, ) R definita da h(x) = /x per ogni x (, ). Osserviamo che h è proprio la restrizione a (, ) della funzione g dell Esempio 3.7. Come vedremo, la restrizione del dominio di g a (, ) produce una funzione uniformemente continua. Sia ε > 0. Sia δ = ε. Supponiamo che x, x R e x x < δ. Allora h(x ) h(x ) = x x = x x x x = x x x x < δ = ε. Le funzioni continue non sono sempre uniformemente continue, ma c è una situazione piuttosto diffusa, e molto utile, in cui la continuità implica la uniforme continuità, come ci dice il prossimo teorema, la cui dimostrazione omettiamo. Teorema 3.0. Sia C R un intervallo chiuso, e sia f : C R una funzione. Se f è continua, allora f è uniformemente continua. Ricordiamo la definizione di funzione itata. Ci chiediamo se esiste una relazione tra la continuità, o la uniforme continuità, e la itatezza. Chiaramente, una funzione può essere continua e non itata, come la funzione nell Esempio 3.7. Una funzione può anche essere uniformemente continua e non itata, come la funzione nell Esempio 3.6. Comunque c è una sostanziale differenza tra questi due esempi. Per la funzione nell Esempio 3.6 il fatto che la funzione non sia itata è dovuto al fatto che il dominio non è itato; cioè, se consideriamo la restrizione della funzione ad un intervallo itato, allora la funzione ristretta è itata. Per contro, se consideriamo la restrizione della funzione nell Esempio 3.7 all intervallo (0, ), la funzione ristretta non è itata, anche se ora il dominio è itato. La differenza tra questi due casi è esattamente la differenza tra la uniforme continuità e la semplice continuità. Se una funzione è uniformemente continua, 3-20

21 3.5. Teoremi dei valori estremi e del valore intermedio allora, intuitivamente, f(x) non può cambiare troppo rapidamente se x non cambia troppo rapidamente, quindi l unica possibilità che la funzione risulti non itata è legata al fatto che il dominio non sia itato. Il prossimo teorema, di cui omettiamo la dimostrazione, enuncia formalmente questa circostanza. Teorema 3.. Sia A R un insieme, e sia f : A R una funzione. Supponiamo che A sia itato. Se f è uniformemente continua, allora f è itata. Per concludere, una immediata conseguenza degli ultimi due teoremi. Corollario 3.2. Sia C R un intervallo chiuso e itato, e sia f : C R una funzione. Se f è continua, allora f è itata. Dimostrazione. Supponiamo che f sia continua. Dal Teorema 3.0 sappiamo che f è uniformemente continua. Poiché C è itato, possiamo applicare il Teorema 3. per dedurre che f è itata. 3.5 Teoremi dei valori estremi e del valore intermedio Siamo ora pronti per enunciare e dimostrare due importanti teoremi che riguardano le funzioni continue su intervalli chiusi e itati: il teorema dei valori estremi e il teorema del valore intermedio. Il primo teorema riguarda l esistenza del massimo e del minimo valore di una funzione. Ci chiediamo se tutte le funzioni hanno un massimo ed un minimo valore. La risposta è chiaramente no, basti pensare a funzioni come f : R R definita da f(x) = x per ogni x R. Possiamo allora trovare criteri in grado di garantire che una funzione abbia un massimo ed un minimo valore? La funzione f ha un dominio che non è itato, e allora è naturale chiedersi se funzioni che hanno un dominio itato abbiano sempre un massimo ed un minimo valore, ma la risposta è ancora negativa. La funzione g : (0, ) R definita da g(x) = /x per ogni x (0, ) non ha un massimo né un minimo valore. Il problema sembra dovuto al fatto che la funzione g ha come dominio un intervallo aperto. Sarà sufficiente restringere la nostra attenzione a funzioni che hanno come dominio intervalli chiusi e itati? La risposta è no. La funzione h : [0, ] R definita da, se x (0, ] h(x) = x 0, se x = 0 ha il valore minimo in x = 0, ma non ha un valore massimo. Il problema della funzione h è che non è continua. Come è mostrato nel seguente teorema, abbiamo ora trovato, e sappiamo come superare, tutte le difficoltà: le funzioni continue in un dominio chiuso e itato hanno un valore massimo ed un valore minimo. Teorema 3.2 (dei valori estremi). Sia C R un intervallo chiuso e itato, e sia f : C R una funzione. Supponiamo che f sia continua. Allora esistono x min, x max C tali che f(x min ) f(x) f(x max ) per ogni x C. 3-2

22 Capitolo 3. Dimostrazione. Dal corollario 3.2 sappiamo che f è itata, il che significa che l insieme f(c) è itato. Poiché C, allora f(c). Le proprietà dell estremo superiore e dell estremo inferiore implicano che f(c) ha un estremo superiore ed un estremo inferiore. Mostreremo che esiste x max C tale che f(x max ) = sup f(c). Ne consegue che f(x) f(x max ) per ogni x C. Con una dimostrazione simile, che qui omettiamo, si può trovare che esiste x min C tale che f(x min ) = inf f(c), cioè f(x) f(x min ) per ogni x C. Sia p = sup f(c). Allora f(x) p per ogni x C. Supponiamo che f(x) < p per ogni x C. Sia g : C R definita da g(x) = p f(x) per ogni x C. Poiché f è continua, e poiché il denominatore nella definizione di g non è mai zero, segue dall Esempio 3.9 e dal Teorema 3.8 che g è continua. Dal corollario 3.2 sappiamo che g è itata. Quindi esiste q R tale che g(x) q per ogni x C. Osserviamo che q > 0. Inoltre, poiché abbiamo ipotizzato che f(x) < p per ogni x C, segue che g(x) > 0 per ogni x C. Dunque g(x) q per ogni x C, il che significa che p f(x) q per ogni x C. Quindi f(x) p q per ogni x C. Ne deduciamo che p /q è un maggiorante di f(c), che è in contraddizione con la supposizione che p = sup f(c). Non è quindi vero che f(x) < p per ogni x C. Poiché f(x) p per ogni x C, deve esistere un x max C tale che f(x max ) = p. È importante notare che i numeri x max e x min, la cui esistenza è garantita dal Teorema 3.2, non sono necessariamente unici. Inoltre, il teorema dei valori estremi non ci dice come trovare x max e x min, ma ci dice soltanto che essi esistono: si tratta di un esempio di teorema di esistenza, come è anche il teorema del valore intermedio, di cui ora ci occuperemo. Supponiamo che f : [a, b] R sia una funzione in un intervallo chiuso e itato [a, b] R. Ci chiediamo se f assume tutti i valori compresi tra f(a) e f(b). La risposta, in generale, è chiaramente negativa. Sia k : [0, ] R definita da {, se x (0, ] k(x) = 0, se x = 0 Allora k(0) = 0 e k() =, ma k non assume tutti i valori compresi tra 0 e. Ovviamente, la funzione k non è continua, e questa è l origine del problema. Il seguente teorema afferma che una funzione continua f : [a, b] R assume tutti i valori compresi tra f(a) e f(b). Teorema 3.3 (del valore intermedio). Sia [a, b] R un intervallo chiuso e itato e sia f : [a, b] R una funzione. Supponiamo che f sia continua. Sia r R. Se f(a) < r < f(b), allora esiste c (a, b) tale che f(c) = r. 3-22

23 3.6. Limiti all infinito Dimostrazione. Supponiamo che f(a) < r < f(b). Sia S = {x [a, b] : f(x) < r}. Allora S [a, b]. L insieme S è non vuoto, poiché a S, e S è itato superiormente da b. La proprietà dell estremo superiore implica che S ha un estremo superiore. Sia c = sup S. Poiché a S, allora a c, e poiché b è un maggiorante di S, allora c b. Quindi c [a, b]. Mostreremo ora che f(c) = r, facendo vedere che f(c) r e che f(c) r. Poiché S, allora f(s). È evidente dalla definizione di S che f(s) è itata superiormente da r. La proprietà dell estremo superiore di nuovo implica che f(s) ha un estremo superiore. È poi facile vedere che f(sup S) sup f(s). Quindi f(c) sup f(s). Poiché r è un maggiorante di f(s), segue che sup f(s) r, e quindi f(c) r. Poiché f(c) r < f(b), vediamo che c b. Quindi c < b. Segue che l intervallo (c, b] è non degenere. Sia B = (c, b]. Allora f(b). Chiaramente c = inf B. Inoltre, poiché c = sup S, segue che B [a, b] S. Da cui segue che f(x) r per ogni x B. Quindi f(b) è itato inferiormente da r. La proprietà dell estremo inferiore implica che f(b) ha un estremo inferiore. È poi facile vedere che f(inf B) inf f(b). Da cui segue che f(c) inf f(b). Poiché r è un minorante di f(b), ne consegue che inf f(b) r, e quindi f(c) r. Ne deduciamo che f(c) = r. Infine, poiché r f(a) e r f(b), ne consegue che c a e c b. Quindi c (a, b). Analogamente al teorema dei valori estremi, anche il teorema del valore intermedio è un teorema di esistenza: ci garantisce l esistenza del punto c ma non ci dice come trovarlo. Un altra analogia è che il numero c non è necessariamente unico. 3.6 Limiti all infinito Nello studio dei iti delle funzioni, abbiamo fin qui considerato espressioni della forma f(x) = l dove i simboli x 0 e l indicavano entrambi numeri reali. Considereremo ora iti a e, che si scrivono f(x) = l e f(x) = l, e ancora f(x) = x x e f(x) =. Ed è anche possibile trovare espressioni in cui compaiono i simboli di infinito sia nell indicazione del numero cui x tende che nel valore del ite, ad esempio f(x) =. In tutti i tipi di iti che implicano e è importante riconoscere che x i simboli e non sono numeri reali, ma soltanto un modo abbreviato di indicare che una certa grandezza sta crescendo senza iti nella direzione positiva o in quella negativa. Definiamo due tipi di iti all infinito. Nel primo tipo, che chiameremo iti all infinito di tipo e scriveremo f(x) = l o x f(x) = l, x x tende a o a, mentre il valore di f(x) tende ad un numero reale l. Nel secondo tipo, che chiameremo iti all infinito di tipo 2 e scriveremo f(x) = o f(x) =, 3-23

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