Aldo Schiavello Accettazione del diritto e positivismo giuridico

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1 Aldo Schiavello Accettazione del diritto e positivismo giuridico 1. Premessa La tesi della separazione tra diritto e morale viene spesso considerata l assunzione concettuale fondamentale del positivismo giuridico tradizionale. Tale tesi è ben espressa da John Austin quando scrive: «L esistenza del diritto è una cosa, i suoi meriti o demeriti un altra. Se esso esista o meno, costituisce un certo tipo di indagine, se esso si conformi o meno a uno standard assunto, costituisce un altro tipo d indagine. Una legge che effettivamente esista, è tale anche quando non ci piaccia o sia difforme dal parametro sul quale regoliamo la nostra approvazione o disapprovazione» 1. Anche Norberto Bobbio, come è noto, invita a non confondere i piani della validità e della giustizia: «Il problema della validità è il problema dell esistenza della regola in quanto tale, indipendentemente dal giudizio di valore se essa sia giusta o no. Mentre il problema della giustizia viene risolto con un giudizio di valore, il problema della validità viene risolto con un giudizio di fatto» 2. 1 J. Austin, Delimitazione del campo della giurisprudenza (1832; trad. it. dalla edizione del 1954 a cura di H.L.A. Hart), trad. di G. Gjylapian (a cura di M. Barberis), Il Mulino, Bologna 1995, p Cfr. H.L.A. Hart, Il positivismo e la separazione tra diritto e morale (1958), trad. di V. Frosini, in H.L.A. Hart, Contributi all analisi del diritto, Giuffrè, Milano, 1964, pp , in particolare pp Anche la celebre distinzione di Jeremy Bentham tra expository e censorial jurisprudence presuppone la tesi della separazione tra diritto e morale. Cfr. J. Bentham, A Fragment on Government, in J. Bentham, A Comment on the Commentaries and A Fragment on Government, J.H. Burns e H.L.A. Hart (ed.), University of London, The Athlone Press, London, 1977, p N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Giappichelli, Torino, 1958, ora ripubblicato in N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino, 1993, p. 24. Cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Edizioni di Comunità, Milano, 1972, pp Joseph Raz parla a questo proposito di strong social thesis: «A jurisprudential theory is acceptable only if its tests for identifying the content of the law and determining its existence depend exclusively on facts of human behaviour capable of being described in value-neutral terms, and applied without resort to moral argument». [J. Raz, Legal Positivism and the Sources of Law, in J. Raz, The Authority of Law. Essays on Law and Morality, Clarendon Press, Oxford, 1979, pp ]. Analisi e diritto 2001, a cura di P. Comanducci e R. Guastini

2 296 Klaus Füßer ha opportunamente messo in luce che nel panorama giusfilosofico contemporaneo è possibile rinvenire (almeno) due versioni diverse della tesi della separazione 3. Secondo la prima versione, che Füßer chiama Fallibility Thesis (FT), non è una verità necessaria che il diritto riproduca determinate convinzioni morali 4. La seconda versione, che Füßer chiama Neutrality Thesis (NT), sostiene che non è necessario (e, soprattutto, non è opportuno) fare riferimento alla giustizia o ad altri valori morali per definire o individuare il diritto. Anche se il positivismo giuridico ha difeso entrambe le versioni della tesi della separazione, tuttavia FT e NT sono logicamente indipendenti l una dall altra: è possibile sostenere l una e negare l altra, e viceversa. Non sempre i giuspositivisti hanno riflettuto a sufficienza sull importanza della distinzione logica tra FT e NT. Herbert Hart, ad esempio, ha sottolineato come l esistenza del diritto presupponga la sua accettazione almeno da parte di alcuni individui, in particolare dei giudici. Tale affermazione rappresenta certamente una minaccia incombente per FT, ma non necessariamente per NT: se è vero che l esistenza di un sistema giuridico dipende, almeno in parte, dal fatto che i partecipanti lo considerino giusto, allora non si potrà più sostenere che non è una verità necessaria che il diritto riproduca certe esigenze morali. Ciò non implica, tuttavia, l impossibilità, per lo studioso, di distinguere metodologicamente tra validità e giustizia. Hart, non avendo tenuto nel debito conto la possibilità di separare FT ed NT, si è trovato nella scomoda posizione di dover scegliere tra caratterizzare l accettazione del diritto in modo molto debole ovvero rinunciare al dogma positivista della separazione tra diritto e morale. Egli ha optato per la prima possibilità: accettare il diritto non significa altro che considerare il comportamento prescritto dalle regole giuridiche come un modello comune di comportamento 5. 3 K. Füßer, Farewell to Legal Positivism : The Separation Thesis Unravelling, in R.P. George (ed. by), The Autonomy of Law. Essays on Legal Positivism, Clarendon Press, Oxford, 1996, pp , in particolare pp Cfr. V. Villa, Legal Theory and Value Judgements, Law and Philosophy, 16(4), 1997, pp FT può a sua volta essere intesa in senso debole o in senso forte. Nel primo caso, si nega l esistenza di un rapporto necessario tra il diritto ed una morale qualsivoglia. Nel secondo caso, si nega invece che il diritto debba necessariamente riprodurre una determinata morale universale. Anticipando le conclusioni di questo saggio, si può dire che la versione debole di FT non costituisce una tesi costitutiva del positivismo giuridico. 5 Roger Shiner ad esempio scrive: «Sophisticated positivism sees that the theory of law as a set of social rules requires in some form the presence of the internal point of view as well as convergent patterns of behaviour. However, in the spirit of the separation of the existence of law and the merit of law, sophisticated positivism makes the specification of the content of the internal point of view as thin and formal as possible». [R.A. Shiner, The Acceptance of a Legal System, in D.M. Patterson (ed. by), Wittgenstein and Legal Theory, Westview Press, Oxford, 1992, p. 65]. Cfr. anche R.A. Shiner, Norm and Nature. The Movements of Legal Thought, Clarendon Press, Oxford, 1992, in particolare pp

3 297 Il modo in cui Hart affronta e risolve il problema dell accettazione del diritto non appare pienamente convincente neanche a chi accoglie senza riserve la prospettiva giusfilosofica positivista. Autori come Neil MacCormick, Joseph Raz ed altri sottolineano che l accettazione del diritto implica che almeno alcuni tra i membri della comunità preferiscano, da un punto di vista morale, lo schema di comportamento individuato dalle norme giuridiche rispetto a schemi alternativi di comportamento 6. Tali versioni più recenti del positivismo giuridico accolgono, anche se spesso solo implicitamente, la distinzione tra FT e NT. Il fatto che il teorico del diritto 7 debba rendere conto dei valori condivisi dai partecipanti ad una determinata pratica giuridica sembra non fare problema per una concezione epistemologica che propugna l avalutatività della conoscenza: è possibile descrivere i valori come se si trattasse di fatti. Anche nel caso in cui uno studioso non condivida affatto i valori di un sistema giuridico, egli può riconoscerli e renderne conto in modo descrittivo. La situazione è a mio avviso leggermente più complicata. Basti pensare, ad esempio, al fatto che non tutti i partecipanti ad una pratica giuridica (faccio qui riferimento a coloro che accettano in senso morale il diritto) attribuiscono lo stesso valore alla pratica in questione 8. Di conseguenza, lo studioso si trova costretto ad operare delle scelte, basate su giudizi di valore ed opzioni teoriche, per potere individuare i valori ed i princìpi che permettono di ricostruire nel modo migliore la pratica de quo. Come sostengono, da prospettive diverse, John Finnis e Ronald Dworkin, uno studioso può spiegare in modo compiuto un sistema giuridico concreto solo a condizione di prendere posizione circa gli scopi che un sistema giuridico ideale deve tutelare. Una conseguenza inevitabile di ciò è la negazione, o comunque l indebolimento, della tesi della separazione tra diritto e morale in entrambe le sue ver- 6 Cfr. N. MacCormick, Legal Reasoning and Legal Theory, Clarendon Press, Oxford, ed. riv. 1994, pp ; N. MacCormick, H.L.A. Hart, Edward Arnold (Publishers), London, 1981, pp ; J. Raz, Authority, Law, and Morality, in J. Raz, Ethics in the Public Domain. Essays in the Morality of Law and Politics, Clarendon Press, Oxford, 1994, pp Con teoria del diritto intendo, seguendo Vittorio Villa: «la sotto-disciplina della scienza giuridica che si colloca al più alto livello di generalità. [ ] Il suo campo di riferimento è rappresentato, non già [ ] da una esperienza giuridica positiva, ma, piuttosto, da un insieme di esperienze giuridiche positive fra loro, in qualche senso, comparabili». [V. Villa, Conoscenza giuridica e concetto di diritto positivo, Giappichelli, Torino, 1993, p Corsivi dell autore. Cfr. anche il recente V. Villa, Costruttivismo e teorie del diritto, Giappichelli, Torino, 1999, pp ]. In questa sede uso le espressioni teoria del diritto e studio del diritto (e le espressioni derivate) come sinonimi. 8 Cfr. J.C. Bayón, Partecipanti, osservatori, e identificazione del diritto, in P. Comanducci e R. Guastini (a cura di), Struttura e dinamica dei sistemi giuridici, Giappichelli, Torino, 1996, pp

4 298 sioni. Questo non significa, tuttavia, che bisogna rinunciare alla grande divisione tra positivismo giuridico e giusnaturalismo: è sufficiente impostare in modo nuovo e più debole la distinzione in questione. In breve, la ragione profonda della dicotomia giuspositivismo/giusnaturalismo si risolve come sosteneva peraltro Guido Fassò già nei primi anni 60 9 nell opposizione tra oggettivismo e relativismo meta-etico. Il giusnaturalismo individua alcuni valori universali di cui il diritto dovrebbe favorire il perseguimento. Il positivismo giuridico rifiuta questa posizione e, di conseguenza, anche l idea che ogni sistema giuridico debba tutelare gli stessi valori (assoluti). In conclusione, anche se una teoria del diritto non può evitare di interrogarsi sui fini di un sistema giuridico e, dunque, non può limitarsi ad una mera analisi formale o descrittiva, tuttavia ciò non impedisce di distinguere tra giudizi di valore di tipo diverso, in particolare tra giudizi di valore che svolgono prevalentemente una funzione esplicativa e giudizi di valore che svolgono prevalentemente una funzione giustificativa. Il presente lavoro è suddiviso abbastanza chiaramente in due parti. Nella prima, a cui dedico i prossimi quattro paragrafi, delineo le concezioni dell accettazione del diritto di Hart e dei suoi seguaci e metto in evidenza i limiti di entrambe. Nella seconda parte, che occupa gli ultimi tre paragrafi, individuo le caratteristiche salienti che a mio avviso dovrebbe possedere una teoria del diritto giuspositivista che voglia prendere sul serio il rapporto tra esistenza del diritto ed accettazione. 2. L accettazione del diritto nel pensiero di Hart Il contributo principale di Hart alla tradizione del positivismo giuridico è quello di avere mostrato, sviluppando ed adattando alla scienza giuridica le riflessioni di Weber, di Winch e del secondo Wittgenstein, che una teoria del diritto non può limitarsi alla mera descrizione dei comportamenti esterni, ma deve rendere conto del significato attribuito a tali comportamenti da coloro i quali li pongono in essere 10. Anche per questa ragione egli ritiene che la concezione austiniana del diritto, incentrata sull idea di abitudine all obbedienza e su quella di comando del sovrano, non possa essere accolta. «Il motivo fondamentale del fallimento [di Austin]», scrive Hart, «deriva dal fatto che gli elementi sui quali la 9 G. Fassò, Che cosa intendiamo con «diritto naturale»? (1961), ora in G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, a cura di E. Pattaro, C. Faralli, G. Zucchini, Giuffrè, Milano, 1982, pp Hart per la verità non si rifà esplicitamente a Weber, ma soltanto a Peter Winch e Ludwig Wittgenstein. Cfr., in particolare, P. Winch, Il concetto di scienza sociale e le sue relazioni con la filosofia (1958), trad. it. di M. Mondadori, Il Saggiatore, Milano, 1972; L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche (1953), trad. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino, 1967.

5 299 teoria è stata costruita, cioè i concetti di ordine, obbedienza, abitudine, minaccia, non includono, e non possono produrre con la loro combinazione, la nozione di norma, senza la quale non si può sperare di spiegare nemmeno le forme più elementari di diritto» 11. In verità, già Hans Kelsen aveva individuato questo limite della teoria austiniana. Egli, in un saggio dedicato ad un analisi comparata della sua propria concezione del diritto e di quella di Austin, scrive chiaramente: «si può dire che dove non coincidono la dottrina pura del diritto ha sviluppato il metodo della giurisprudenza analitica in modo più rigoroso di quanto non siano riusciti a farlo Austin e i suoi continuatori. Questo è vero specialmente in rapporto al concetto centrale della giurisprudenza: la norma. Austin non usa questo concetto e non prende in considerazione la differenza fra essere e dover essere, che costituisce la base del concetto di norma» 12. Da questo punto in poi, però, le strade di Kelsen e di Hart divergono. Kelsen è infatti d accordo con Austin nel ritenere che la peculiarità del diritto debba essere individuata nell atto coattivo posto in essere dallo stato, in altre parole nella sanzione. A tal proposito è appena il caso di ricordare l affermazione kelseniana secondo la quale: «il diritto potrebbe essere denominato un comando privato di contenuto psicologico (depsychologized)» 13. Hart, al contrario, ritiene che le teorie imperativistiche, assimilando l intero fenomeno giuridico allo schema del diritto penale, non riescono a rendere conto in modo soddisfacente di alcune caratteristiche peculiari del diritto in particolare delle norme che conferiscono poteri. L imperativismo non permette, tra l altro, di cogliere la distinzione tra la situazione in cui si pongono in essere i comportamenti richiesti dal diritto, dalla situazione del bandito armato di pistola che intima di consegnare i soldi. Chi è minacciato dal bandito, infatti, è obbligato a consegnare i soldi, ma non ha l obbligo di farlo; al contrario, chi accetta il diritto riterrà di avere l obbligo di uniformare il proprio comportamento a quanto prescritto dalle norme giuridiche. A partire da questa constatazione Hart, distinguendo le regole sociali dalle mere abitudini, mette in evidenza alcune importanti caratteristiche della norma giuridica. I comportamenti regolari e quelli regolati hanno in comune l aspetto esterno, vale a dire la regolarità (empiricamente rilevabile) di comportamenti convergenti. Di conseguenza, un analisi meramente behaviourista non è in grado di distinguere tra abitudini e regole. Le regole, però, a differenza delle abitudini, presentano anche un aspetto interno, che consiste in «un atteggiamento critico 11 H.L.A. Hart, Il concetto di diritto (1961), trad. di M. Cattaneo, Einaudi, Torino, 1991, p. 97. Cfr. anche H.L.A. Hart, Introduzione a J. Austin, Delimitazione del campo della giurisprudenza, cit., p H. Kelsen, La dottrina pura del diritto e la giurisprudenza analitica, Appendice di H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto (1934), trad. di R. Treves, Einaudi, Torino, 1952, p H. Kelsen, ivi, pp

6 300 riflessivo nei confronti di certi modelli di comportamento intesi come criteri comuni di condotta [che] si manifest[a] nella critica (compresa l autocritica), nelle richieste di conformità, e nel riconoscimento che simili critiche e richieste sono giustificate: tutto questo trova la sua espressione caratteristica nella terminologia normativa di dovere, obbligo, giusto e sbagliato» 14. Hart, per spiegare in cosa consiste l aspetto interno delle norme, ricorre al ben noto esempio del gioco degli scacchi 15. Affermare che i giocatori di scacchi hanno l abitudine di muovere i pezzi sulla scacchiera in un certo modo non costituisce una descrizione adeguata della loro attività. I giocatori, infatti, non si limitano a compiere certe mosse, ma hanno anche delle idee, delle convinzioni, riguardo a ciò che le regole del gioco permettono o proibiscono di fare. Tali idee si manifestano attraverso la richiesta di conformità e l accettazione delle critiche altrui nel caso in cui si sia deviato dalla regola. Le frasi usate in questi casi appartengono al linguaggio normativo: non avresti dovuto muovere in questo modo, questa mossa è sbagliata e così via. Per quanto riguarda più specificamente il diritto, Hart sostiene che «l affermazione che un ordinamento giuridico esiste è [ ] un asserzione bifronte che è rivolta sia all obbedienza dei privati cittadini sia all accettazione da parte dei funzionari delle norme secondarie come criteri comuni di giudizio del comportamento ufficiale» 16. In altri termini, è perfettamente plausibile che il punto di vista interno riguardi solamente i funzionari e che i cittadini conformino il proprio comportamento a quanto prescritto dalle norme primarie solamente per paura della sanzione. Il punto di vista interno, comunque, per Hart non presuppone necessariamente l accettazione morale di un sistema giuridico e dei suoi princìpi fondamentali, ma soltanto un atteggiamento critico riflessivo, empiricamente verificabile. Tale verifica empirica consiste sia nell analisi delle espressioni linguistiche che accompagnano gli obblighi giuridici, sia nella osservazione del fatto che i funzionari, i giudici in particolare, agiscono conformemente alle 14 H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, cit., pp Cfr. A. Catania, L accettazione nel pensiero di Herbert L.A. Hart, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1971, pp H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, ult. cit., p. 69. Un esempio analogo è in A. Ross, Diritto e giustizia (1958), trad. e cura di G. Gavazzi, Einaudi, Torino, 1965, pp H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, cit., p Prima de Il concetto di diritto Hart attribuiva al cittadino ordinario un ruolo meno passivo; in particolare, egli parlava di accettazione da parte dei cittadini delle disposizioni costituzionali fondamentali. L intento hartiano era evidentemente quello di enfatizzare la volontaria cooperazione dei cittadini e di ridurre l importanza dell aspetto coercitivo. Hart rinuncia a caratterizzare in questo modo l accettazione del diritto da parte dei cittadini ordinari in seguito all obiezione, sollevata da Graham Hughes, secondo cui la possibilità di comprendere le disposizioni costituzionali fondamentali travalica le capacità dei cittadini comuni. Il dibattito Hart-Hughes è ben ricostruito in R.A. Shiner, The Acceptance of a Legal System, cit., pp

7 301 norme secondarie. In conclusione, come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, Hart intende l accettazione del diritto in un senso debole e per molti versi vago: accettare il diritto significa considerare il comportamento prescritto dalle regole giuridiche come un modello comune di comportamento. Hart è ancora più esplicito a questo riguardo nei suoi Essays on Bentham 17, ove affianca alla nozione di regola sociale quella più specifica di authoritative legal reason 18. Il diritto fornisce ragioni per agire le cui caratteristiche salienti sono la perentorietà e l indipendenza dal contenuto. Una ragione per agire è perentoria quando permette di escludere ulteriori valutazioni per decidere se porre in essere o meno il comportamento previsto. La caratteristica dell indipendenza dal contenuto consiste nel fatto che le authoritative legal reasons svolgono il ruolo di ragioni per l azione indipendentemente dalla natura o dal tipo di azione richiesta. Le ragioni ultime che spingono i partecipanti ad un sistema giuridico ad attribuire queste caratteristiche al diritto possono essere le più diverse: ragioni morali, conformismo, paura di essere puniti, speranza di essere ricompensati. Hart, infine, ribadisce che questo atteggiamento normativo nei confronti del diritto può essere ampiamente diffuso tra i membri del gruppo. Tuttavia, perché un sistema giuridico venga o permanga in esistenza, è sufficiente che tale atteggiamento sia condiviso da una minoranza ben organizzata che riesca ad ottenere l acquiescenza della maggioranza con la forza. 3. Limiti della concezione hartiana dell accettazione del diritto Il timore di violare il dogma positivista della separazione tra diritto e morale è certamente il principale responsabile dell eccessiva prudenza mostrata da Hart nel delineare la sua tesi relativa alla connessione necessaria tra esistenza del diritto ed accettazione 19. Il desiderio di giungere ad un compromesso è com- 17 H.L.A. Hart, Essays on Bentham. Studies in Jurisprudence and Political Theory, Clarendon Press, Oxford, 1982, p. 18, 253 e ss. Cfr. G.J. Postema, The Normativity of Law, in R. Gavison (ed. by), Issues in Contemporary Legal Philosophy. The Influence of H.L.A. Hart, Clarendon Press, Oxford, 1987, pp Tale nozione è per certi versi assimilabile a quella raziana di exclusionary reason. Tuttavia l analisi comparata di tali nozioni non rientra tra gli obiettivi di questo saggio. Cfr. J. Raz, Legitimate Authority, in J. Raz, The Authority of Law. Essays on Law and Morality, cit., pp Le critiche più radicali ed acute alla concezione hartiana delle regole sociali sono state sollevate da Dworkin. Anche se tali critiche non sono direttamente collegate al tema di questo saggio, tuttavia esse svolgono un ruolo fondamentale per comprendere la maggior parte degli argomenti presentati in questo paragrafo. In breve, Dworkin sostiene che l atteggiamento critico riflessivo non dipende dalla mera esistenza delle regole sociali. Più precisamente, egli rifiuta la tesi secondo cui vi è una corrispondenza biunivoca tra doveri ed obblighi da un lato, e regole sociali dall altro. Secondo Dworkin, un individuo può

8 302 prensibile; tuttavia i tentativi di assecondare desideri di tale natura spesso si risolvono in cocenti delusioni, vale a dire nel mancato raggiungimento degli obiettivi perseguiti. In un certo senso, neanche Hart sfugge a tale destino. Roger Shiner, ad esempio, ha messo in luce un importante incoerenza insita nel discorso hartiano 20. Hart sostiene contemporaneamente le seguenti tre tesi: a) se una regola impone un obbligo, allora significa che tale regola è accettata (ciò segue, come sottolinea opportunamente Shiner, dall analisi hartiana del punto di vista interno); b) in un sistema giuridico minimo 21 le regole primarie non sono accettate da nessuno; c) in un sistema giuridico minimo le regole primarie impongono obblighi. Ora, queste tre affermazioni, considerate insieme, sono palesemente autocontraddittorie. Tale incoerenza può comunque essere sanata attraverso il sacrificio di una di esse. Nell ottica hartiana, tuttavia, questo sacrificio rischia di rivelarsi un rimedio peggiore del male. Analizziamo quindi nel dettaglio quali conseguenze scaturiscono dalla rinuncia ad ognuna di queste tre tesi. Se si rinuncia ad a), la conseguenza è che in un sistema giuridico minimo la teoria del diritto di Hart coinciderebbe in tutto e per tutto con quella di Austin. Difficilmente egli sarebbe disposto a sottoscrivere questa conclusione. La concezione austiniana del diritto come comando del sovrano sostenuto da minacce è infatti strenuamente avversata ne Il concetto di diritto: «comandare significa e- sercitare autorità sulle persone, non già avere potere di infliggere del male, e, benché possa essere unito a minacce di male, un comando è essenzialmente un richiamo non alla paura ma al rispetto dell autorità» 22. La rinuncia a b) imporrebbe di concedere che le condizioni per avere un sistema giuridico minimo sono più forti rispetto a quelle indicate da Hart. In questo caso, il rischio è quello di dovere rinunciare alla tesi della separazione e, ritenere di avere un obbligo a prescindere dall esistenza di una regola sociale. Un buon esempio è rappresentato dal vegetariano il quale ritiene che nessuno dovrebbe mangiare carne, anche in assenza di qualsiasi regola sociale o, addirittura, anche in presenza di una regola sociale che prescriva di mangiare carne. Collegare, come fa Hart, la normatività delle regole sociali (e, quindi, anche delle regole giuridiche) al consenso di fatto dei membri del gruppo impedisce di cogliere che le ragioni ultime dell ubbidienza alla legge hanno natura morale. Cfr. R. Dworkin, I diritti presi sul serio (1977), trad. par. di F. O- riana, Il Mulino, Bologna, 1982, pp R.A. Shiner, The Acceptance of a Legal System, cit., pp L analisi di Shiner è una riproposizione di una critica mossa ad Hart da Michael Payne. Cfr. M. Payne, Hart s Concept of a Legal System, William and Mary Law Review, 18, 1976, pp Shiner usa l espressione minimal legal system in riferimento a quelle situazioni in cui il punto di vista interno è circoscritto all accettazione delle norme secondarie da parte dei funzionari. 22 H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, cit., p. 25. È forse il caso di ricordare che Hart, per marcare la profonda differenza tra la sua concezione del comando e quella di Austin, presenta come casi paradigmatici di comandi quelli che Gesù impartiva ai discepoli.

9 303 in particolare, a NT 23 : se c è differenza tra un sistema giuridico ed il mero esercizio della forza da parte di una minoranza nei confronti della maggioranza, allora l accettazione del diritto da parte dei cittadini rappresenta una condizione necessaria per l esistenza di un sistema giuridico. Se questo è vero, la conseguenza ulteriore è che l esistenza del diritto non può essere ridotta ad una questione di fatto. Non è infatti pensabile distinguere tra diritto ed esercizio arbitrario della forza senza ricorrere preliminarmente a valutazioni di tipo etico-politico 24. Come abbiamo visto, l inviolabilità della tesi della separazione è uno dei punti cardine della concezione del diritto di Hart. Infine, la rinuncia a c) produrrebbe effetti analoghi a quelli prodotti dalla rinuncia ad a): in un sistema giuridico minimo la concezione dell obbligo di Austin ed Hart coinciderebbero. Anche in questo caso valgono quindi le osservazioni presentate a proposito di a). I limiti dell analisi hartiana non sono tuttavia circoscritti al caso estremo del sistema giuridico minimo, ma presentano un carattere di maggiore generalità. In particolare, è proprio la caratterizzazione in senso debole dell accettazione del diritto e del punto di vista interno a fare problema. Seguendo Hart, il punto di vista interno individua la prospettiva di coloro che accettano le regole giuridiche. Accettano il diritto tutti coloro che ritengono che le regole giuridiche forniscono ragioni per l azione. Abbiamo visto nel paragrafo precedente che tali ragioni non sono necessariamente di tipo morale. Il punto di vista esterno individua invece la prospettiva dell osservatore che non accetta in prima persona il diritto 25. Hart 23 La rinuncia a b) non riguarda FT in quanto Hart caratterizza l accettazione del diritto in senso debole. È utile ribadire che in questo paragrafo l intento è semplicemente quello di mettere in luce alcune difficoltà ed incongruenze interne allo stesso discorso hartiano. In seguito si argomenterà a favore dell opportunità di caratterizzare l accettazione del diritto in modo più forte. 24 Si badi che questa affermazione non presuppone necessariamente che si neghi la tesi hartiana secondo cui l accettazione del diritto è verificabile empiricamente. Il problema, in questo caso, riguarda infatti l individuazione del grado di accettazione sufficiente perché un sistema giuridico venga o permanga in esistenza. È quindi l individuazione dei criteri per stabilire se l accettazione è sufficientemente diffusa tra la popolazione a non poter prescindere da preliminari valutazioni di tipo etico-politico. 25 Hart scrive chiaramente: «è possibile occuparsi delle norme, sia soltanto come osservatore che non le accetta egli stesso, sia come membro del gruppo che le accetta e le usa come criteri di condotta». [H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, cit., p. 106]. È interessante notare che, appena una pagina dopo, Hart scrive: «Il punto di vista esterno può rappresentare quasi perfettamente il modo in cui le norme operano nella vita di certi membri del gruppo, e cioè di quelli che rifiutano le sue norme e si preoccupano di esse soltanto quando e perché ritengono che probabilmente certe conseguenze spiacevoli succederanno alla violazione». Tale riflessione può essere condivisa solo a condizione di caratterizzare in senso forte l accettazione del diritto. In caso contrario, il desiderio di evitare spiacevoli conseguenze è una ragione come un altra per accettare il diritto.

10 304 critica la teoria di Austin e, più in generale, tutte le teorie predittive, in quanto a suo dire sottovalutano l importanza dell aspetto interno delle norme giuridiche. In realtà, tali teorie non sono meno internaliste della teoria hartiana. L unica differenza è che Hart prende in considerazione la prospettiva dei giudici, mentre le teorie predittive quella del bad man. Sarebbe un errore ritenere che il bad man si pone da un punto di vista esterno: anche per lui il diritto produce ragioni per agire 26. L unico modo per escludere dal novero delle teorie internaliste le teorie predittive è quello di caratterizzare in senso forte l accettazione del diritto. 4. Accettazione del diritto in senso forte Alcuni limiti delle riflessioni hartiane sul punto di vista interno e sull accettazione del diritto sono stati parzialmente riconosciuti anche da autori che appartengono alla medesima tradizione giusfilosofica di Hart e che si rifanno e- spressamente al suo pensiero. MacCormick si è dedicato più di altri ad approfondire e migliorare la concezione hartiana del diritto. Egli ha messo in luce con estrema chiarezza che il limite principale dell analisi che Hart fa delle regole sociali è rappresentato proprio dalla caratterizzazione troppo debole dell accettazione del diritto. L esistenza di alcune norme giuridiche anziché di altre dipende dal fatto che almeno alcuni tra i membri della comunità preferiscono lo schema di comportamento individuato da tali norme rispetto a schemi alternativi di comportamento. Per dirla con Mac- Cormick: «that there can be common patterns of criticism of conduct or states of affairs depends upon our conceiving that some patterns are willed as common patterns for all people in given circumstances. We can conceive of that independently of our own will in the matter, but not independently of our beliefs about the will of other members of our social group» Cfr. S.R. Perry, Interpretation and Methodology in Legal Theory, in A. Marmor (edited by), Law and Interpretation. Essays in Legal Philosophy, Clarendon Press, Oxford, 1995, pp e, in particolare, pp Per un articolata analisi della distinzione hartiana tra punto di vista interno ed esterno si veda L. Gianformaggio, La critica morale del diritto: critica esterna o critica interna?, in L. Gianformaggio, Filosofia e critica del diritto, Giappichelli, Torino, 1995, pp e, in particolare, pp N. MacCormick, Legal Reasoning and Legal Theory, cit., pp ; E. Garzón Valdés, Algo más acerca de la relación entre Derecho y Moral, in E. Garzón Valdés, Derecho, Ética y Politica, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid, 1993, pp È opportuno sottolineare che l accettazione in senso forte è un presupposto necessario ma non sufficiente per l esistenza di una norma giuridica. In breve, ogni norma giuridica esiste solo se è stata posta in essere rispettando i criteri previsti dalla norma di riconoscimento; tuttavia, la promulgazione di una norma presuppone necessariamente che vi sia qualcuno che apprezzi positivamente il modello di condotta individuato da essa. Insomma,

11 305 Sostenere che l esistenza di una regola sociale implica che vi sia qualcuno che ritenga il comportamento prescritto dalla regola preferibile rispetto ai comportamenti alternativi, non significa, ovviamente, che si neghi la possibilità che alcuni seguano tale regola per pigrizia o ipocrisia, ovvero che altri si ribellino ad essa. Queste ultime situazioni, tuttavia, possono essere comprese solamente presupponendo l esistenza di un gruppo rilevante che accetta le norme da un punto di vista morale. Tutti gli atteggiamenti che si possono immaginare in relazione alle norme sono parassitari rispetto a quello di coloro i quali ritengono le norme opportune da un punto di vista morale 28. In breve, mentre è possibile ipotizzare il caso in cui una determinata regola sociale sia accettata in senso forte da tutti, non è pensabile invece che il comportamento prescritto da una regola non sia effettivamente approvato da alcuno. Ad esempio, il fatto che in Italia vi sia una legge che consente di divorziare implica che un certo numero di persone ritenga tale legge opportuna e preferibile rispetto ad una legge che vieti il divorzio. Anche Raz in un recente saggio sull interpretazione giuridica sembra accogliere, sia pure en passant, una concezione dell accettazione del diritto non dissimile da quella difesa da MacCormick 29. In particolare egli è convinto dell impossibilità di rendere conto del diritto e dell interpretazione giuridica, mettendo tra parentesi le ragioni che inducono le persone a ritenere che il diritto del proprio paese sia accettabile da un punto di vista morale. Presupposto imprescindibile del suo ragionamento è la negazione di FT: ogni sistema giuridico riproduce necessariamente le convinzioni morali della maggioranza, ovvero quelle di una minoranza che ha la capacità e la forza di imporsi sulla maggioranza. Secondo MacCormick e Raz, riconoscere che dal punto di vista del partecipante esiste una connessione necessaria tra diritto e morale non impone tuttavia di rinunciare anche ad NT. L esistenza del diritto rimane pur sempre un dato di fatto empiricamente verificabile: i valori morali che stanno a fondamento di ogni sistema giuridico possono essere descritti senza alcuna difficoltà come se si trattasse di fatti 30. Su questo punto Raz è particolarmente chiaro: «even if the law non basta che vi sia una maggioranza che approvi un determinato modello di condotta per affermare l esistenza di una norma giuridica che prescrive tale condotta. 28 Una tesi analoga è sostenuta anche da Carlos S. Nino. Cfr. C.S. Nino, Breve nota sulla struttura del ragionamento giuridico, Ragion Pratica, 1, 1993, pp , in particolare, pp e S. Pozzolo, Note su Derecho, moral y política di Carlos S. Nino, in P. Comanducci e R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto Ricerche di giurisprudenza a- nalitica, Giappichelli, Torino, 1998, pp J. Raz, Intention in Interpretation, in R.P. George (ed. by), The Autonomy of Law. Essays on Legal Positivism, cit., pp , in particolare pp ; cfr. J. Raz, Authority, Law, and Morality, cit., pp Silvana Castignone ad esempio scrive: «(...) La normatività, l obbligatorietà vengono sperimentate solo assumendo l atteggiamento interno, che in definitiva consiste in una

12 306 is essentially moral it is clear that establishing the moral merit of a law is a different process relying on different considerations, from establishing its existence as a social fact» 31. Insomma, come abbiamo anticipato nel primo paragrafo, rinunciare ad FT non rappresenta un sacrificio troppo gravoso per il positivismo giuridico. Lo stesso Hart, ad esempio, nel Postscript alla seconda edizione di The Concept of Law, in relazione alla critica di avere caratterizzato l accettazione del diritto in modo troppo blando, afferma: «Even if (as Neil MacCormick and many other critics have argued) the participant s internal perspective manifested in the acceptance of the law as providing guides to conduct and standards of criticism necessarily also included a belief that there are moral reasons for conforming to the law s requirements and moral justification of its use of coercion, this would also be something for a morally neutral descriptive jurisprudence to record but not to endorse or share» 32. Insomma: «description may still be description, even when what is described is an evaluation» 33. Hart ed i suoi seguaci intendono quindi l attività conoscitiva in ambito giuridico in modo pressoché analogo. Le loro riflessioni teoriche sul diritto si basano sulla tesi secondo cui è possibile ed opportuno distinguere in modo netto la descrizione del diritto dalle valutazioni sul diritto. Questa convinzione rappresenta la caratteristica principale di un epistemologia descrittivista 34. Per grandi linee si può definire il descrittivismo come quella concezione epistemologica secondo la quale il compito del linguaggio della conoscenza è quello di rappresentare il mondo così com è. Richard Rorty afferma che i descrittivisti valutazione, in una scelta operata dai singoli soggetti. Da essa occorre distinguere nettamente il fatto esternamente rilevabile del verificarsi di tale accettazione». [S. Castignone, Punto di vista interno ed efficacia, in U. Scarpelli (a cura di), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Edizioni di Comunità, Milano, 1983, p. 15]. Cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, cit., pp J. Raz, Legal Validity, in J. Raz, The Authority of Law. Essays on Law and Morality, cit., p H.L.A. Hart, The Concept of Law (Second Edition), With a Postscript edited by P.A. Bulloch and J. Raz, Clarendon Press, Oxford, 1994, p Corsivo nell originale. Cfr. S. Guest, Two Strands in Hart s Theory of Law: A Comment on the Postscript to Hart s The Concept of Law, in S. Guest (edited by), Positivism Today, Dartmouth, Aldershot, 1996, pp H.L.A. Hart, The Concept of Law (Second Edition), cit., p Il descrittivismo corrisponde per molti versi alla prospettiva epistemologica che Hilary Putnam chiama realismo metafisico. Cfr. H. Putnam, Ragione, verità e storia (1981), trad. di A.N. Radicati di Brozolo, Il Saggiatore, Milano, 1985, pp Per una presentazione adeguata di questa concezione epistemologica si veda V. Villa, Conoscenza giuridica e concetto di diritto positivo, cit., pp ed anche V. Villa, Costruttivismo e teorie del diritto, cit., pp

13 307 ritengono che la mente umana funzioni come uno specchio capace di rispecchiare la realtà 35. MacCormick condivide la tesi di Hart secondo cui la corretta collocazione dello studioso del diritto è quella esterna moderata. Egli tuttavia sottolinea più di quanto non faccia Hart la natura ermeneutica della conoscenza giuridica. Il compito dello studioso è ermeneutico in quanto egli deve prendere in considerazione il significato che tale pratica ricopre per coloro che vi partecipano. Insomma, l hermeneutic point of view è: «(...) the viewpoint of one who without, or in scientific abstraction from, any volitional commitment of his own, seeks to understand, portray or describe human activity as it is meaningful from the internal point of view» 36. In altre parole, lo studioso deve avere un elevato grado di dimestichezza con la pratica oggetto di studio. MacCormick, per esemplificare la differenza rispetto ad una prospettiva del tutto esterna, si serve della famosa descrizione che i Lillipuziani fanno dell orologio di Gulliver 37. Tale descrizione è incompleta proprio perché i Lillipuziani non conoscono la funzione che tale oggetto svolge nella comunità degli esseri umani. Anche Raz, come del resto abbiamo anticipato, si attesta su posizioni analoghe. Egli è convinto tuttavia che la distinzione tra punto di vista interno e punto di vista esterno non esaurisca le prospettive da cui è possibile guardare al diritto: vi è spazio per una prospettiva mediana. Raz chiama questa prospettiva from a point of view o detached 38. È il punto di vista di chi informa qualcun altro dei suoi obblighi normativi all interno di un determinato contesto, pur senza sentirsi obbligato in prima persona. Ad esempio, è la prospettiva dell ateo che informa l amico cattolico del suo obbligo di partecipare alla messa domenicale, ovvero del non vegetariano che comunica all amico vegetariano che alla luce delle sue stesse convinzioni non deve mangiare una determinata pietanza. In relazione al diritto, può essere considerata detached la prospettiva dell avvocato che informa il proprio cliente dei suoi obblighi in base alla legge e al contempo ritiene che la legge sia ingiusta, ovvero la prospettiva dell anarchico che insegna diritto costituzionale 39. Chi si pone nei confronti del diritto da tale prospettiva non si sente 35 Cfr. R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura (1979), trad. di G. Millone e R. Salizzoni, Bompiani, Milano, N. MacCormick, H.L.A. Hart, Edward Arnold, London, 1981, p N. MacCormick, Legal Reasoning and Legal Theory, cit., p. 275 e ss. 38 Raz in particolare parla di detached legal statement e ne da la seguente definizione: «A detached legal statement is a statement of law, of what legal rights or duties people have, not a statement about people s beliefs, attitudes, or actions about the law. Yet a detached normative statement does not carry the full normative force of an ordinary normative statement. Its utterance does not commit the speaker to the normative view it expresses. Lawyers advice to their clients, law teachers expositions in front of their students often belong to this category». [J. Raz, Legal Validity, cit., p. 153]. 39 Raz a questo proposito scrive: «Legal scholars and this includes ordinary practising law-

14 308 quindi vincolato in prima persona dalle norme, alla stregua di chi si colloca all esterno. A differenza di quest ultimo, però, chi si pone da una prospettiva detached non si limita a descrivere i comportamenti, gli atteggiamenti o le credenze dei partecipanti a pieno titolo, ma stabilisce come bisogna comportarsi, sia pure dal punto di vista di chi accetta la validità di un determinato sistema normativo 40. Queste riflessioni di Raz meriterebbero un analisi ben più articolata, tuttavia in questa sede è sufficiente ribadire che esse sono perfettamente compatibili con NT Limiti della concezione post- hartiana dell accettazione del diritto La presa di coscienza, da parte del giuspositivismo, del fatto che l esistenza di un sistema giuridico presuppone che almeno alcuni tra i partecipanti attribuiscano ad esso un valore morale è certamente degna di nota. Tuttavia, tale consapevolezza, da sola, non permette di fare grandi passi avanti. A riprova di tale affermazione si può innanzitutto notare come alcune delle critiche mosse alla concezione dell accettazione del diritto proposta da Hart possono essere estese, senza bisogno di troppe modifiche, anche alla concezione post-hartiana. Ad esempio, l analisi di Shiner, tendente a mostrare l inadeguatezza della teoria del diritto di Hart nel caso di un sistema giuridico minimo, rimane perfettamente in piedi anche ove si perfezioni la teoria hartiana caratterizzando in senso forte l accettazione del diritto. In particolare, il giuspositivismo post-hartiano continua a sostenere la tesi secondo cui un sistema giuridico esiste anche se nessun cittadino comune accetta le regole primarie e se solo i funzionari accettano le regole secondarie. Stando così le cose, le differenze tra il cosiddetto positivismo ingenuo, rappresentato ad e- sempio da Austin, ed il positivismo sofisticato, rappresentato in particolare da Hart e dai suoi seguaci, tendono ad azzerarsi, a prescindere dal fatto che il positivismo sofisticato caratterizzi l accettazione del diritto in senso debole ovvero in senso forte. Nel caso del sistema giuridico minimo, infatti, i giuspositivisti, senza distinzione, ammettono che i cittadini comuni conformano i propri comportamenti alle prescrizioni delle norme primarie esclusivamente per paura della sanzione. yers can use normative language when describing the law and make legal statements without thereby endorsing the law s moral authority». [J. Raz, Legal Validity, cit., p. 156]. 40 Così G.J. Postema, The Normativity of Law, cit., p Villa sostiene che alcune riflessioni recenti di Raz potrebbero indurre a pensare che egli ammetta la presenza di giudizi di valore etici nei discorsi descrittivi dei giuristi. Se questa fosse effettivamente la posizione di Raz, essa sarebbe chiaramente incompatibile con NT. Lo stesso Villa riconosce tuttavia che tali osservazioni sparse contraddicono le principali tesi sostenute da Raz nei suoi lavori fondamentali. Cfr. V. Villa, Legal Theory and Value Judgements, cit., pp

15 309 Ciò equivale a dire che, nel caso di un sistema giuridico minimo, non vi è alcuna differenza qualitativa tra le prescrizioni giuridiche e gli ordini sostenuti da minacce del bandito. Evidentemente, l accettazione da parte dei funzionari, debole o forte che sia, non consente, in questa situazione limite, di distinguere tra positivismo ingenuo e positivismo sofisticato 42. Peraltro, i giuspositivisti che intendono l accettazione del diritto in senso forte non sono disposti ad inserire tra le condizioni dell esistenza del diritto anche l accettazione da parte dei cittadini comuni non di tutti, evidentemente, ma almeno di alcuni per la stessa ragione che aveva impedito ad Hart di compiere il medesimo passo. In breve, come abbiamo visto, se l accettazione da parte dei cittadini è una condizione necessaria per l esistenza di un sistema giuridico, allora l individuazione del diritto non può più essere considerata una questione di fatto. L individuazione del grado di accettazione sufficiente perché un sistema giuridico venga o permanga in esistenza non potrebbe infatti prescindere da preliminari valutazioni etico-politiche. Ciò significherebbe dovere rinunciare a NT. Anche per i giuspositivisti post-hartiani violare la tesi della separazione tra diritto e morale, almeno in questa versione, rappresenta un ostacolo insormontabile. L argomento positivista è presentato in modo mirabile da Ricardo Caracciolo 43. Egli sostiene che l esistenza di credenti, cioè di persone che ritengono giusto il loro sistema giuridico, non fa problema per la tesi secondo cui l esistenza del diritto è empiricamente verificabile. Le affermazioni del partecipante in senso forte e dello studioso del diritto positivista sono infatti del tutto compatibili. Il primo afferma che il suo sistema giuridico è conforme ad uno o più princìpi morali. Egli comunque condivide con lo studioso positivista la tesi secondo cui esistono anche criteri non morali per determinare il contenuto del diritto. Lo studioso positivista, a sua volta, può non condividere la credenza del partecipante riguardo alla correttezza morale del suo sistema giuridico. Alla luce di ciò, Caracciolo conclude che: «... non vi è alcuna ragione per dare preferenza, da un punto di vista epistemico, a quelli che adottano il punto di vista interno. Ciò segue dal fatto che la credenza in p non serve come argomento in favore di p» Una versione di questo argomento è utilizzata da Robert Alexy a sostegno della sua teoria anti-positivista del diritto. Cfr. R. Alexy, Concetto e validità del diritto (1992), trad. di F. Fiore, Einaudi, Torino, 1997, pp Per un analisi di questo passaggio del pensiero di Alexy si veda G. Pino, Il positivismo giuridico di fronte allo Stato costituzionale, in P. Comanducci e R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 1999, p R. Caracciolo, L argomento della credenza morale, in P. Comanducci e R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 1994, pp Cfr. P. Comanducci, Diritto, morale e politica, in P. Comanducci, Assaggi di metaetica due, Giappichelli, Torino, 1998, pp R. Caracciolo, ult. cit., p Una tesi analoga è sostenuta anche da Philip Soper: «that conscientious persons believe that they act correctly does not prove that they do,

16 310 Secondo Caracciolo, dunque, il fatto che i partecipanti siano convinti che il proprio sistema giuridico si basi su alcuni princìpi morali da loro condivisi, non costituisce un argomento adeguato per difendere la connessione concettuale tra diritto e morale. Tale argomento, infatti, dimostra semplicemente che coloro i quali sono giuridicamente obbligati a porre in essere un determinato comportamento credono di essere obbligati anche moralmente. Esso, tuttavia, non impedisce di predicare, nel medesimo tempo, l esistenza di un sistema giuridico e la sua immoralità, a meno di non accogliere una prospettiva morale di tipo universalistico 45. Per usare le stesse parole dell autore: «quando si tratta di identificare un ordinamento giuridico empiricamente esistente un diritto positivo o una qualsiasi delle sue norme, i criteri concettuali corrispondenti si riferiscono a fatti e non comprendono giudizi o valutazioni morali» 46. La tesi di Caracciolo è condivisibile, tuttavia riguarda un aspetto in qualche modo marginale o comunque circoscritto del problema della relazione tra diritto e morale 47. Basti dire che anche chi si pone da una prospettiva dichiaratamente giusnaturalista potrebbe sottoscriverla senza eccessive difficoltà. Finnis, ad e- sempio, sostiene che la classica affermazione lex injusta non est lex non significa che l esistenza di una norma giuridica è condizionata al suo essere giusta ma soltanto che: «una legge ingiusta non è legge nel senso principale del termine [cioè, simpliciter], nonostante lo sia in un senso secondario [cioè, secundum quid]» 48. È dunque banalmente vero che l esistenza di un sistema giuridico (o, and this distinction between what is claimed (or believed) and what is the case is all that the modern positivist needs for his continued denial of a necessary connection between law and morality». [Ph. Soper, Law s Normative Claims, in R.P. George (ed. by), The Autonomy of Law. Essays on Legal Positivism, cit., p. 220]. 45 R. Caracciolo, ult. cit., p Cfr. N. MacCormick, Comment a G.J. Postema, The Normativity of Law, cit., p A proposito dei diversi sensi del termine morale, si veda S. Pozzolo, Rifllessioni su inclusive e soft positivism, in P. Comanducci e R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 1999, pp e, in particolare, pp R. Caracciolo, ult. cit., p La nota distinzione concettuale di Luigi Ferrajoli tra il vigore e la validità delle leggi è particolarmente idonea a mettere in luce i limiti della posizione difesa da Caracciolo. Una norma è in vigore quando è stata prodotta in modo formalmente ineccepibile dall organo preposto, mentre è valida quando è congruente con il contenuto delle norme di grado superiore ed in particolare con il contenuto dei principi giuridici fondamentali. Le riflessioni di Caracciolo presuppongono quindi la convinzione, assai discutibile, che uno studio teorico del diritto debba occuparsi esclusivamente del vigore e non anche della validità [cfr. L. Ferrajoli, La semantica della teoria del diritto, in U. Scarpelli (a cura di), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio. Edizioni di Comunità, Milano, 1983, pp ]. 48 J.M. Finnis, Legge naturale e diritti naturali (1980), trad. di F. Di Blasi (a cura di F. Viola), Giappichelli, Torino, 1996, p Più in generale, si vedano pp In

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