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Transcript:

Test di secondo livello per la valutazione della coagulazione I test di cui vi parlo oggi sono test di secondo livello, che si fanno quando i test di primo livello sono risultati negativi ma il paziente presenta sintomi clinici di compromissione del sistema emostatico, o quando i test di primo livello sono alterati ma si vuole indentificare meglio quale può essere l alterazione del paziente. Questo perchè oggi è possibile soprattutto in presenza di carenza di uno dei fattori della coagulazione supplementare il paziente con terapia esterna, quindi è importante sapere qual è la carenza e perchè ha la carenza, che in alcuni casi può essere determinata da un problema immunologico, ad esempio alcuni pazienti possono avere una carenza di fattore VIII perchè sviluppano autoanticorpi contro il fattore VIII e quindi prima di fare terapia eventualmente sostitutiva con i fattori è necessario capire quale fattore è coinvolto e poi ovviamente cercare di delineare la causa. Questi test di secondo livello non sono meno importanti dei primi ma vanno ad identificare alterazioni che sono un po più rare nella popolazione e che quindi statisticamente sono meno frequenti e solo per questo non vengono utilizzati come routine in grossi campioni di popolazione. Quali sono i test? Possono riguardare uno o tutti i fattori. In realtà visto che sono di secondo filtro vuol dire che il medico ha già il suo sospetto diagnostico, quindi a differenza di quello che succede con i test di primo livello non vengono fatti tutti in batteria, perché non avrebbe alcun senso. Il medico si orienta verso una via piuttosto che l altra. Per quanto riguarda il Fattore XIII è il fattore che determina la polimerizzazione corretta della fibrina, quindi il paziente può avere tutto il profilo emostatico e coagulativo intatto, quello che salta è l ultimo momento della formazione del coagulo, che è importante perchè formare una fibrina anomala significa compromettere la parte terminale della coagulazione, cioè la formazione di un coagulo stabile. Questo significa ad esempio dare la possibilità alle piastrine aggregate di disaggregarsi o al coagulo di non rimanere dove deve stare per tutto il tempo richiesto, che abbiamo detto è quello necessario affinchè l endotelio si ricostituisca. L antiplasmina - lo dice il nome - è un inibitore della plasmina, quindi sue alterazioni (in genere questi test sono quantitativi, cioè il laboratorio identifica se c è una carenza di uno di questi fattori, che possono essere quasi mai in eccesso, spesso in difetto) determinano compromissione del processo della fibrinolisi. Il tpa e il PAI sono entrambi prodotti dalla cellula endoteliale, uno è però uno stimolatore della plasmina, che quindi favorisce il processo di fibrinolisi (è l attivatore tissutale del plasminogeno), l altro è un inibitore dell attivatore del plasminogeno, quindi aumenta sicuramente in una condizione di coagulo già formato. Il PAI da solo è un marcatore importante di rischio trombotico: ci dice che il paziente ha sicuramente fatto un coagulo e che quindi in qualche modo la plasmina è inibita. Vi ricordo che il PAI può aumentare in tutte quelle condizioni in cui il paziente è a rischio di fare una patologia di tipo trombotico. Questo è uno di quei test di laboratorio che sembra così importante e significativo, ma di fatto non viene mai richiesto e quindi spesso il laboratorio non è neanche attrezzato per farlo. Il Fattore III è un fosfolipide della membrana piastrinica. È ritrovato solubile nel plasma solo quando c è stata un attivazione piastrinica, quindi non è una sostanza che normalmente trovate. Diventa di fatto quindi un marcatore di attivazione piastrinica, ci dice che da qualche parte c è in atto un attivazione piastrinica ed eventualmente conseguente aggregazione. Ovviamente questo ha un significato in condizioni non fisiologiche. In una condizione in cui cioè ci deve stare in atto un aggregazione piastrinica, è normale che ci sia Fattore Piastrinico III attivato il circolo, diventa anomala la sua presenza se non c è almeno apparentemente lesione dell endotelio quindi non ci dovrebbe essere attivazione piastrinica e questa molecola in circolo. Il Tempo di Trombina rientrava tra i test di primo livello, assieme al PT, al PTT e al fibrinogeno. In realtà è uno di quei test che forse non vi troverete mai a richiedere, ma può essere importante in alcune condizioni. Il tempo di trombina misura il tempo di formazione di un coagulo quando viene aggiunta trombina esogena o reptilase al plasma citrato (vi ricordo che tutti i test di laboratorio che

riguardano la coagulazione vengono fatti su plasma reso incoagulabile con citrato. Plasma è un sangue povero di piastrine). La trombina vi ricordo che è il fattore II ed è quell ultimo enzima che permette la trasformazione del fibrinogeno in fibrina. Quando vi può essere un allungamento del tempo di trombina? In tutte quelle condizioni - abbastanza rare - in cui vi è una carenza di fibrinogeno, proprio perché la trombina va ad agire sul fibrinogeno trasformandolo in fribrina. Ma è importante soprattutto in tutte le condizioni di disfibrinogenemia, cioè quando la concentrazione di fibrinogeno è assolutamente normale e quindi se andate a fare i test di primo livello non avete una significativa alterazione. Questo vuol dire che la disfibrinogenemia è un anomalia non quantitativa ma strutturale dove il fibrinogeno può diventare meno sensibile all azione della trombina. La trombina è un enzima proteolitico quindi trasforma il fibrinogeno in fibrina perché ne attacca parte della sua molecola. È ovvio quindi che se c è un alterazione della sequenza del fibrinogeno o della sua configurazione tridimensionale per cui il sito catalitico viene modificato o mascherato, la trombina non è più in grado di funzionare. Possiamo avere inoltre allungamento del tempo di trombina in presenza di eparina (e qui viene ad essere importante la variante del test con la reptilase), perché gli eparani delle cellule endoteliali sono in grado di legare la trombina, ed il complesso eparano-trombina è in grado di attivare la proteina C che rende inattiva la trombina. Quindi la trombina come tale viene bloccata nella sua funzione proteolitica e diventa anzi un coadiuvatore della via anticoagulativa. Questo vuol dire che tutti i pazienti che fanno terapia eparinica potrebbero avere alterato il tempo di trombina. Però può anche capitare che un paziente accidentalmente fa eparina, ma ha un difetto intrinseco del tempo di trombina ad esempio per una disfibrinogenemia, allora come faccio a distinguere? Come faccio a capire se il tempo di trombina è allungato perché il paziente ha una disfibrinogenemia o no? Si fanno entrambi i test, cioè il test di trombina che probabilmente mi esce allungato perché il paziente fa eparina, ma se voglio mettere in evidenza anche la disfibrinogenemia che io ho ipotizzato ho bisogno di fare anche il test di reptilase, che è un enzima che altro non fa che agire come la trombina agendo sul fibrinogeno, MA non è bloccato dall eparina. Se quindi in paziente ha il tempo di reptilase normale, ma ha il tempo di trombina alterato, allora l alterazione è tutta dovuta al farmaco. Mentre invece se escono alterati entrambi vuol dire che il paziente ha anche una disfobrinogenemia. Per identificare invece una ipofibrinogenermia non è necessario fare questi due test, perché basta quello di primo livello. È difficile comunque avere un paziente con una ipofibrinogenemia, sono molto più comuni le iperfibrinogenemie perché ci sono una serie di condizioni cliniche che portano ad innalzamento del fibrinogeno e quindi ovviamente anche a rischio di fare trombosi. Una ipofibrinogenemia possiamo trovarla ad esempio in un paziente in fase terminale di insufficienza epatica, in cui c è però una compromissione generalizzata della sintesi di tutti i fattori della coagulazione e quindi anche del fibrinogeno. Il tempo di reptilase è allora importante quando mi trovo davanti un paziente che fa terapia eparinica. In quel caso io posso anche non farlo proprio il tempo di trombina e chiedere al laboratorio direttamente il tempo di reptilase. Non so se avete mai sentito parlare della Malattia di Von Willebrand. Ricordiamo molto brevemente che il Fattore di Von Willebrand che nell emostasi l abbiamo visto coinvolto nella capacità di permettere alle piastrine di aderire al sottoendotelio, quindi è quella molecola che fa da ponte tra la cellula piastrinica e il sottoendotelio. Abbiamo anche detto che il Fattore di Von Willebrand è il partner naturale del Fattore VIII, perché protegge il Fattore VIII dall attacco della proteina C. Quindi una carenza del Fattore di Von Willebrand vi può dare manifestazione emorragica molto grave quasi simile a quella di un paziente emofilico perché se c è carenza del Fattore di Von Willebrand, il Fattore VIII, non protetto da questa molecola molto grande, viene attaccato dalla Proteina C che lo degrada. Il Fattore VIII vi ricordo che è il responsabile della più grave malattia emorragica umana. Allora per capire la malattia di Von Willebrand bisogna ricordare che questa molecola che viene sintetizzata a livello epatico è molto grande forse assieme al fibrinogeno è la più grande che c è nel sangue e può determinare patologia sia per un deficit

quantitativo che per anomalie qualitative. Per capire le anomalie qualitative - che sono molto più gravi - è necessario ricordare molto brevemente che questa molecola appena prodotta dalla cellula non è in grado di funzionare. Per poter diventare attiva deve subire una serie di modificazioni e queste modificazioni la portano a diventare una molecola matura. La molecola matura è costituita da una serie di subunità di diverso peso molecolare e che noi possiamo identificare mediante un elettroforesi, che ci permettere di capire di quante subunità è fatta questa molecola nella sua forma matura ed i pesi relativi. Questo è importante per la diagnosi (la prof poi mostra le bande elettroforetiche). In realtà esistono varie forme della malattia di Von Willebrand, più o meno gravi, e sono dovute essenzialmente ai diversi deficit qualitativi. A seconda di come si presenta all elettroforesi il Fattore di Von Willebrand si può classificare la patologia. In realtà è una malattia rara che può dare al paziente grossi problemi emorragici e a volte anche trombotici. Se c è un deficit funzionale e quindi la molecola non ha tutte le bande e non è in grado di svolgere né la sua funzione durante l adesione piastrinica né di proteggere il fattore VIII si avrà una patologia essenzialmente emorragica. Alcuni pazienti però hanno una condizione diversa, dove non sono presenti le subunità a basso peso molecolare, quindi non si arriva alla forma matura della molecola, ma viene comunque sintetizzata come grossa struttura e rimane come grossa struttura. Poiché vi ho detto che qualunque cosa perturbi l endotelio nel passaggio del sangue può attivare l endotelio in senso pro trombotico, si è visto che pazienti che hanno questa anomalia sono pazienti che fanno trombosi ripetute, intravascolari, che portano come conseguenza anche ad una gravissima piatrinopenia E questa è la malattia trombotica trombocitopenica, malattia molto molto grave. Questa è dovuta ad un difetto genetico per cui questi pazienti non sintetizzano una proteasi specifica responsabile della maturazione del fattore di Von Willebrand. Di qui la presenza di grossi multimeri ecc.ecc. I fibrinopeptidi sono invece uno di quei test che viene richiesto molto spesso dal medico al laboratorio. È importante che cerchiamo di distinguere quali fibrinopeptidi vogliamo chiedere al laboratorio. Questo perché nel suo passaggio dalla trasformazione del fibrinogeno in fibrina e poi nella fase di degradazione dei polimeri di fibrina a monomeri di fibrina si possono formare fibrinopeptidi che possono avere funzioni completamente diverse, ma da un punto di vista diagnostico possono aiutare il medico a capire il paziente in che fase sta, cioè se ha fatto o se sta facendo una trombosi. Innanzitutto ci sono frammenti che si formano per azione della trombina durante la fase di trasformazione del fibrinogeno in fibrina. Questi fibrinopeptidi vengono chiamati Fibrinopeptidi A, e ci dicono che il paziente sta facendo un coagulo. Si possono formare invece altri fibrinopeptidi nella fase in cui la fibrina - per azione del Fattore XIII - da monomero si trasforma in polimero. Quindi durante la fase di polimerizzazione la fibrina in realtà non viene polimerizzata come tale, ma perde qualche altra cosa e ad opera di questa perdita può polimerizzare. Questi Fibrinopeptidi vengono chiamati Fibrinopeptidi B e sono l indicazione della fase di polimerizzazione della fibrina. Questi in genere non vengono chiesti molto al laboratorio, mentre diventa importante andare a vedere i fibrinopeptidi che si liberano in relazione alla plasmina, quindi durante la fibrinolisi. Questi sono i Fibrinopeptidi D, che sono quindi espressione dell azione della plasmina, e ci dicono che il paziente effettivamente ha fatto un processo coagulativo trombotico, ma sta risolvendo il coagulo perché la plasmina in pratica funziona. Si possono generare ancora altri frammenti definiti D-Dimeri che sono frammenti che si producono dal fibrinogeno come prodotti di degradazione. Allora mentre i Fibrinopeptidi D sono quelli che mi dicono che il coagulo si sta dissolvendo, perché mi può servire invece riconoscere i D-Dimeri? Perché in qualche modo hanno una funzione nella regolazione del processo infiammatorio e perché hanno un potente potere anticoagulante e quindi come tali se vengono fortemente espressi possono mettere il paziente a rischio di fare trombosi (questa frase mi sembra un controsenso perché se sono anticoagulanti dovrebbero far venire emorragia e non trombosi ma la prof così ha detto e così vi scrivo ^_^). Mi voglio però soffermare un attimo sui Fibrinopeptidi D, perché sono quelli che poi alla fine - di tutti questi frammenti sono quelli più richiesti dai medici e che hanno significato più clinico, perché vi ho detto che ritrovarli alti significa che il paziente sta in uno stato di fibrinolisi, quindi è

una cosa positiva. Ci sono alcune condizioni in cui il medico non può aspettare che la risoluzione del coagulo avvenga naturalmente, ma è necessario che il coagulo si dissolva nella maniera più veloce possibile. Questo giustifica il motivo per cui alcuni pazienti, in alcune condizioni, fanno un trattamento farmacologico con l urochinasi o con la streptochinasi, che sono degli enzimi che hanno funzione identica a quella della plasmina, però chiaramente utilizzati come farmaci raggiungono concentrazioni tali da rendere inutile la plasmina. A che cosa può servire allora dosare i Fibrinopeptidi D? Se io ho un paziente trombotico, faccio il test di laboratorio, il laboratorio mi dà conferma della diagnosi, ma mi dice anche che il paziente sta risolvendo facendo fibrinolisi, io ho la necessità di metterlo in terapia, quindi gli aggiungo streptochinasi o urochinasi e dopo qualche ora ripeto il test per capire se risponde alla terapia. Se risponde i Fibrinopeptidi D devono diventare più alti, perché vuol dire che l urochinasi agendo come la plasmina mi sta digerendo la fibrina. Tutto questo diventa importantissimo in alcune condizioni quali infarto, ictus ecc.ecc. in cui c è la necessità di valutare la risposta alla terapia e di risolvere il coagulo per evitare la definitiva necrosi dei tessuti. CID: sindrome caratterizzata da coagulazione intravascolare disseminata con tutto quello che ne consegue. Quindi il paziente ha da un lato una condizione trombotica vascolare con consumo di tutti i fattori della coagulazione e di piastrine, dall altro (proprio perché consuma fattori della coagulazione e piastrine) ha un forte rischio di emorragia. Generalmente il paziente con una CID avanzata è un paziente molto difficile da governare, perché non sai come trattarlo. Non sai se dargli fattori (la qual cosa potrebbe aumentare la trombosi pur prevenendo l emorragia) o se dargli degli anticoagulanti contro la trombosi visto che è già un paziente emorragico. È un paziente difficile da recuperare. Test genetici per la malattia trombotica Ce ne sono molti. Oggi esistono kit con striscette attraverso cui è possibile individuare le mutazioni genetiche di circa 13 fattori. Mentre per alcuni è chiara la correlazione tra alterazione genetica e rischio di fare trombosi, per altri le cose sono molto più sperimentali. Il clinico, infatti, generalmente chiede solo 4 (vi farò vedere) di questi 13 fattori perché questi sono definiti dalla letteratura mondiale come sicuramente validi per valutare il rischio di malattia trombotica, mentre per gli altri c è una concertazione. Gli stati di ipercoagulabilità possono essere distinti essenzialmente in due grossi gruppi. Possiamo affidarci infatti al laboratorio per individuare uno stato pre-trombotico, e poi ci sono delle condizioni cliniche che mettono il paziente ad un più alto rischio di sviluppare trombosi, cioè che di per sé sono trombotiche (es.diabete, ipertensione, pazienti renali, grossi fumatori, donne che fanno terapia sostitutiva, interventi chirurgici, malattie neoplastiche). Ma se su questo substrato patologico si aggiunge una componente genetica, ovviamente il rischio diventa molto più alto. Quindi il test di laboratorio andrà fatto non nella persona sana, ma nella persona che ha una condizione patologica che la predispone già al rischio, poiché in questo caso è fondamentale stabilire se non ha ANCHE una modificazione genetica, perché in questo caso la profilassi o il follow-up di questo paziente devono essere diversi. La trombosi di per sé è una patologia multifattoriale ed è per questo che è difficile stabilire chi è il paziente che farà sicuramente una trombosi, anche se oggi con i test genetici ci sono un paio di situazioni in cui possiamo dire con grossa certezza che quel determinato paziente è ad alto rischio, quindi andrebbe messo in profilassi. I test di laboratorio che possono essere in qualche modo predittivi della condizione trombotica devono partire ovviamente per tutto quello che ci siamo detti dallo studio della coagulazione e degli anticoagulanti naturali e dalla interazione piastrine-vasi. Vediamo qual è il significato, perché bisogna in questo essere ben chiari. A cosa può servire un esame di laboratorio in uno stato trombofilico? Sicuramente per identificare la comparsa di modificazioni che possono portare ad una condizione di trombosi. Ci può permettere ovviamente approfondire un sospetto diagnostico, ci può permettere di seguire pazienti ad altro rischio e poi

soprattutto nella pratica clinica ci permette di razionalizzare gli interventi terapeutici e monitorare le terapie con anticoagulanti o fibrinolitici o antiaggreganti piastrinici. Come vi ho detto la malattia trombotica è una malattia multifattoriale in cui quasi sempre giocano fattori genetici e fattori non genetici. Si discute molto se una singola alterazione di un singolo gene della coagulazione possa di per sé mettere il paziente in una condizione di rischio trombotico ed alla fine sono tutti d accordo nel sostenere che la condizione di stato pre-trombotico o pro-trombotico è dovuta ad una condizione MULTIGENICA, cioè il paziente ha variazioni di più geni. Come posso capire nella popolazione chi è eventualmente il paziente che può avere una trombofilia su base genetica? Il paziente che ha avuto episodi trombotici al di sotto dei 50 anni ricordate che in alcune situazioni ci sono addirittura bambini in età pediatrica con infarto ictus sicuramente è da indagare ed ha spesso una storia familiare. Anche le forme in eterozigosi sono molto frequenti nella popolazione, addirittura alcune mutazioni arrivano ad essere rappresentate dal 30-40% della popolazione e quindi è possibile che dal padre o dalla madre si erediti uno dei due alleli e che nel figlio la mutazione si manifesti poi in omozigosi. Quindi la giovane età, la familiarità e la ricorrenza degli episodi devono farvi sospettare che questo paziente può avere una condizione di predisposizione genetica. A chi fare il test? Non va fatto di routine a tutti e per i costi e per motivi etico-legali richiede sempre il consenso informato, il paziente può rifiutarsi di sapere la risposta, che va sempre data eventualmente solo al paziente. Dicevamo, a chi fare il test? Sono da indagare tutti i pazienti che hanno una storia familiare di trombosi, inoltre l età è un fattore determinante ed anche la comparsa dei sintomi in una sede inusuale, quindi una trombosi in una vena cerebrale ad esempio (perché le forme più comuni di trombosi riguardano gli arti). Se compaiono sintomi in età pediatrica è assolutamente necessario fare il test, sia al bambino che ai genitori e agli eventuali fratelli/sorelle. Tra tutte le alterazioni genetiche una delle più frequenti e quella che riguarda la capacità dell individuo di utilizzare proteina C, che è uno degli anticoagulanti di cui abbiamo parlato. Ed è questa una carenza genetica abbastanza frequente, così come è frequente la presenza del Fattore V di Leiden. Il Fattore V abbiamo detto che è uno dei substrati della proteina C. Un paziente può essere ad alto rischio di malattia trombotica non tanto per la deficienza funzionale o quantitativa della Proteina C, ma per l alterazione del Fattore V. La mutazione del Fattore V, che definisce il Fattore V di Leiden o di Leida, è molto caratteristica e questa mutazione che è una mutazione puntiforme determina il fatto che il Fattore V non è più attaccabile dalla Proteina C. Esiste un test di laboratorio che si chiama APC Resistent (test della proteina C attivata) che consiste nel mettere in evidenza (anche se oggi viene più usata la biologia molecolare) che il paziente ha un rischio trombotico non tanto perché la sua Proteina C non funziona, ma perché il suo Fattore V non viene attaccato, perché resistente appunto all azione della Proteina C. Il test consiste nel saggiare il Fattore V del paziente con una Proteina C esogena - che sicuramente è funzionante - e nell andare a dimostrare se questa Proteina C è stata in grado o meno di attaccare il Fattore V. Vi dicevo che in realtà oggi questo test è superato o meglio si possono fare tutti e due e sicuramente attraverso la biologia molecolare possiamo andare a fare l analisi genetica del Fattore V, visto che la mutazione puntiforme che lo riguarda è conosciuta e quindi possiamo fare la sequenza del pezzettino del Fattore V per vedere se c è o meno la mutazione. Ci sono alcune situazioni in cui non è opportuno eseguire l indagine se non in una condizione che potrebbe portare di per sé a una trombosi come può essere un grosso intervento chirurgico (il trauma del tessuto attiva la via estrinseca, per questo viene fatta profilassi con eparina). Per alcuni interventi ortopedici si fa profilassi addirittura un mese prima dell intervento per portare il paziente ad una condizione di ipocoagulabilità. Ci sono alcuni tumori come la leucemia promielocitica o il carcinoma della mammella, in cui si è visto che le complicanze che spesso portano a morte il paziente sono proprio di tipo trombotico. Il paziente non muore tanto per la neoplasia,ma appunto per gli eventi trombotici, perché alcune cellule neoplastiche hanno la capacità di produrre sulla loro membrana fattori che portano all attivazione della coagulazione. Generalmente tutti i pazienti neoplastici per questo motivo sono a rischio di fare trombosi. Tutte le condizioni di stasi o di rallentamento del flusso ematico possono portare in qualche modo all attacco delle piastrine sulla parete. E questo è il motivo per cui oggi

anche i pazienti che hanno subito grossi interventi si cerca di mobilizzarli il prima possibile, anche nelle protesi d anca in cui si cerca di farli alzare addirittura il giorno dopo. Le prove diagnostiche non vanno eseguite ai pazienti sani che non hanno una storia familiare di rischio trombotico o che non hanno una condizione congenita che possa portare ad una patologia trombotica, mentre invece lo studio va fortemente raccomandato previo consenso informato (spiegando il perché e a cosa può servire) anche a parenti asintomatici di pazienti che invece sono già stati definiti anche da un punto di vista genetico. I test che possono servire oggi sono: - Il Fattore V di Leiden (e abbiamo detto perché), che ha la mutazione puntiforme in posizione 503 (quindi è molto definita). - La Protrombina, con mutazione in posizione 20210, che è talmente importante che la condizione omozigote di questa condizione non è compatibile con la vita. Quindi è molto rara da ritrovare, quando la ritrovate è nel 100% dei casi eterozigote. La mutazione porta ad una protrombina molto molto più attiva, che è in grado di formare molto più velocemente fibrina, e quindi il paziente ha l equilibro della coagulazione spostato verso la formazione della fibrina. La mutazione non è quindi silente. - La MTHFR, con mutazione in posizione 677. Sapete che la condizione di aumento dell omocisteina in circolo espone il paziente a patologia trombotica. La omocisteina che è tossica per la cellula endoteliale è un prodotto del metabolismo proteico che viene normalmente metabolizzata in metionina. La via metabolica che porta a questa modificazione è abbastanza complessa e richiede l attività di una serie di enzimi. Ora si è visto che uno degli enzimi che è coinvolto in questa via metabolica è la metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR appunto). In più oltre agli enzimi, la conversione dell omocisteina in metionina richiede anche la cooperazione di vitamine e folati. Quindi carenze di folati, B 12 e B 6 che sono le tre vitamine coinvolte possono in qualche modo alterare il metabolismo dell omocisteina e dare un iperomocisteinuria. Quindi prima di andare a fare un test genetico, se ho un paziente con un iperomocisteinemia cerchiamo di capire se non ha una condizione secondaria a carenza di folati o vitamine B12 e 6. Questo è facile da definire perché o le posso dosare queste vitamine o posso dargliele ex adiuvantibus, tanto male non gli fanno e vedo poi se l omocisteina è calata. Quindi il dosaggio della metilentetraidrofolato reduttasi è sicuramente uno dei test che devo chiedere al laboratorio. L altra mutazione che leggete sotto (qualeeee?) non è tanto coinvolta nel rischio trombotico dell adulto ma sembra essere correlata e presente molto spesso negli aborti spontanei con difetti del tubo neurale, quindi spesso i ginecologi richiedono, nelle donne che hanno avuto poliabortività, a parte il test genetico anche questo MTHFR.