Dalla Letteratura - GIS Gruppo Giovani Internisti SIMI



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Dalla Letteratura - GIS Gruppo Giovani Internisti SIMI 11 febbraio 2013 A cura di Paola Ilaria Bianchi, Andrea Denegri, Alessandro Grembiale Insulina da sola o mantenendo la metformina? Hemmingsen B,Christensen LL, Wetterslev J, et al. Comparison of metformin and insulin versus insulin alone for type 2 diabetes: Systematic review of randomised clinical trials with meta-analyses and trial sequential analyses. BMJ 2012 Apr 19; 344:e1771 In molti diabetici di tipo 2 la terapia, dopo un periodo iniziale di metformina, deve essere integrata con il ricorso a insulina, per cui si pone il problema se continuare o meno la metformina. Con questa metanalisi riguardante 23 studi randomizzati con un campione di oltre 2.100 soggetti è stata confrontata l associazione metformina più insulina con l insulina sola, in un periodo che è arrivato a 24 mesi. I pazienti trattati con l associazione hanno richiesto meno insulina (in genere una differenza media di 19 unità in meno al giorno), hanno realizzato un miglior controllo glicemico (con una differenza nell HbA1c di -0.6%) ed una maggior perdita di peso corporeo (differenza media -1.7 kg). In questo gruppo sono stati però più frequenti gli episodi di ipoglicemia, mentre non si è registrata alcuna differenza per quanto riguarda la mortalità cardiovascolare, quella globale, gli effetti macro e microvascolari, la qualità della vita. L abbandono della metformina, passando ad un regime insulinico, non produce vantaggi nei diabetici di tipo 2, anzi. L outcome principale (mortalità) non risulta modificato, ma alcuni studi presi in considerazione dalla metanalisi erano di durata molto breve (alcuni mesi), per cui occorrerà verificare sul lungo periodo se il mantenimento della metformina produce risultati clinici rilevanti, oltre ai vantaggi secondari elencati. Ovviamente, se si continua l associazione, occorre prestare attenzione agli episodi ipoglicemici.

Studio FREEDOM: nella malattia coronarica multivasale del diabete il bypass coronarico ha esiti migliori dello stent Farkouh ME, Domanski M, Sleeper LA, et al. Strategies for Multivessel Revascularization in Patients with Diabetes. N Engl J Med. 2012 Nov 4. [Epub ahead of print]pmid: 23121323 In alcuni studi randomizzati di confronto tra strategie di rivascolarizzazione in pazienti con diabete, il bypass coronarico (CABG) ha avuto un risultato migliore rispetto all intervento coronarico percutaneo (PCI). In questo studio gli autori hanno cercato di scoprire se una terapia medica aggressiva, insieme con l'uso di stent medicati, avesse potuto migliorare gli esiti di rivascolarizzazione per i pazienti con diabete e malattia coronarica multivasale. L'endpoint primario era un composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale. Dal 2005 fino al 2010 sono stati arruolati 1900 pazienti in 140 centri internazionali. L età media dei pazienti era 63,1 ± 9,1 anni, il 29% erano donne, e l 83% aveva una malattia trivasale. L'endpoint primario si è verificato più frequentemente nel gruppo PCI (p = 0,005), con una frequenza a 5 anni del 26,6% nel gruppo PCI e del 18,7% nel gruppo CABG. Il vantaggio di CABG è principalmente legato alle differenze nelle incidenze di infarto del miocardio (entrambi p <0.001) e di morte per qualsiasi causa (p = 0.049). Al contrario l ictus è stato più frequente nel gruppo CABG. Per i pazienti con diabete e malattia coronarica avanzata CABG è superiore a PCI, con riduzione significativa nelle incidenze di morte e di infarto miocardico, anche se con un più alta incidenza di ictus.

Ipoacusia e diabete mellito Horikawa C, Kodama S, Tanaka S, et al. Diabetes and risk of hearing impairment in adults: a metaanalysis. JCEM 2012, November 12 jc.2012-2119 Una metanalisi giapponese basata su 13 diversi studi effettuati tra il 1977 e il 2011 (20194 partecipanti e 7377 casi), confrontando le condizioni di pazienti con e senza diabete mellito, ha trovato una prevalenza superiore di problemi di udito in questi ultimi, costanti per età e sesso. L odds ratio globale di ipoacusia nei diabetici (intervallo di confindenza al 95%) era di 2,15 (1,72 2,68) ed ancora maggiore l OR tra i pazienti giovani (meno di 60 anni). La riduzione dell udito e stata definita sulla base di test audiometrici di almeno 2 khz come range di frequenze, come perdita neurosensoriale, progressiva, cronica e senza altre cause specificate. Il meccanismo d azione potrebbe essere quello di un danno vascolare dei vasi auricolari provocato dall iperglicemia. Sembra, quindi, che il diabete causi sordità molto più frequentemente del rumore, del fumo di sigaretta o dell utilizzo di stupefacenti. Comunque, tali risultati necessitano di essere confermati da studi più dettagliati che prendano in considerazione altri fattori come una misurazione precisa del livello di rumore e dei differenti tipi di diabete.

Dalle linee guida dell American Diabetes Association (ADA) Standards of Medical Care in Diabetes 2011 American Diabetes Association doi: 10.2337/dc11-S011 Diabetes Care January 2011 vol. 34 no. Supplement 1 Criteri diagnostici del diabete tipo II: la determinazione della glicemia a digiuno e l esecuzione di un carico orale di glucosio. Almeno due riscontri di glicemie a digiuno (almeno 8 ore) misurate su plasma venoso uguali o superiori a 125 mg/dl consentono di formulare la diagnosi di diabete. In condizioni normali, la glicemia deve essere inferiore a 100 mg/dl. Glicemie comprese fra 100 e 125 mg/dl definiscono una condizione di alterata glicemia a digiuno. È implicito che, laddove si riscontri la presenza di una alterata glicemia a digiuno, è necessario procedere con l esecuzione di un test di carico. In condizioni normali, la glicemia due ore dopo il carico orale di glucosio (75 g) deve essere inferiore a 140 mg/dl. Valori eguali o superiori a 200 mg/dl fanno porre diagnosi di diabete, mentre valori intermedi fra 140 e 199 mg/dl indicano una ridotta tolleranza glucidica. Sia l alterata glicemia a digiuno sia la ridotta tolleranza glucidica predispongono, se non corrette da una adeguata terapia, alla insorgenza di diabete e delle complicanze aterosclerotiche cardiovascolari. Studi clinici come il Diabetes Prevention Program o DPP hanno chiaramente dimostrato che semplicemente adottando modificazioni dello stile di vita è possibile ridurre di quasi il 60% la comparsa di diabete in soggetti affetti da ridotta tolleranza glucidica e/o alterata glicemia a digiuno. Si è molto discusso se, in questi soggetti, sia opportuno intervenire, oltre che con le modificazioni dello stile di vita, con un trattamento farmacologico. Questa eventualità - secondo le linee guida dell ADA - deve essere esclusa con l eccezione dei soggetti ad alto rischio come quelli portatori di intolleranza al glucosio o di alterata glicemia a digiuno e di almeno un ulteriore fattore di rischio. Limitatamente a questi casi, può essere valutata l opportunità di somministrare la metformina. Lo screening per la diagnosi di diabete dovrebbe essere compiuto in tutti i soggetti adulti, anche se privi di sintomi, qualora siano in sovrappeso e portatori di uno o più fattori di rischio fra quelli di seguito indicati: Familiarità di primo grado per diabete Donne che abbiano partorito feti macrosomici (peso eguale o superiore a 4 kg) o alle quali sia stato diagnosticato, in passato, un diabete gestazionale Ipertensione arteriosa con valori eguali o superiori a 140/90 mmhg o in trattamento anti-ipertensivo Valori di colesterolo HDL inferiore a 35 mg/dl o di trigliceridi superiori a 250 mg/dl Rilevazione in passato di elevati valori di glicemia anche se sporadici Anamnesi di malattie cardiovascolari Donne con sindrome dell ovaio policistico. Poiché l età è di per sé un fattore di rischio, un test di screening dovrebbe essere comunque eseguito in tutti i soggetti al di sopra dei 45 anni anche in assenza dei fattori di rischio specifici. Lo screening diagnostico deve essere esteso anche all età infantile, a partire dai 10 anni o dalla pubertà se questa interviene a una età inferiore, in presenza di obesità e di due fattori di rischio aggiuntivi fra quelli di seguito indicati:

Storia di diabete nei familiari di primo e di secondo grado Storia materna di diabete gestazionale Dislipidemia, ipertensione o sindrome dell ovaio policistico

Trattamento farmacologico orale del diabete tipo 2: linee guida cliniche pratiche dall American College of Physicians (dal National Guideline Clearinghouse, http://guideline.gov/) Qaseem A, Humphrey LL, Sweet DE, et al. Oral pharmacologic treatment of type 2 diabetes mellitus: a clinical practice guideline from the American College of Physicians. Ann Intern Med 2012;156:218-31. Popolazione target: adulti affetti da diabete mellito tipo 2 Interventi considerati: - trattamento con metformina qualora il cambiamento dello stile di vita fallisca nel controllo dell iperglicemia - trattamento con metformina piu un secondo agente qualora la monoterapia fornisca un controllo inadeguato Nota: Agenti secondari includono i tiazolodinedioni, le sulfaniluree, gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4), meglitinidi e inibitori del glucagon-like peptide-1 (GLP-1). Raccomandazione 1: iniziare la terapia farmacologica orale nei pazienti con diagnosi di diabete tipo 2 quando le modificazioni dello stile di vita, inclusi la dieta, l esercizio fisico e il calo ponderale, abbiano fallito nell adeguato controllo dell iperglicemia (Grado della raccomandazione: forte, evidenza di alta qualità). Raccomandazione 2: monoterapia con metformina come terapia farmacologica iniziale per trattare i pazienti con diabete mellito tipo 2 (Grado della raccomandazione: forte, evidenza di alta qualità). Raccomandazione 3: aggiunta di un secondo agente alla metformina per trattare l iperglicemia persistente in pazienti in cui le modificazioni dello stile di vita e la monoterapia abbiano fallito nel controllo glicemico (Grado della raccomandazione: forte, evidenza di alta qualità). Controindicazioni: - la metformina è controindicata nei pazienti con ridotta funzionalità renale, ridotta perfusione tissutale o instabilità emodinamica, epatopatia, abuso alcolico, insufficienza cardiaca e altre condizioni che possono indurre acidosi lattica. - I tiazolidinedioni sono associati ad un aumentato rischio di insufficienza cardiaca e sia il rosiglitazione che il pioglitazione sono controindicati nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca grave.