La prova ontologica di Sant Anselmo Premesse e definizioni TAUTOLOGIA: Proposizione che esprime nel predicato una o più proprietà già implicite nella definizione dell essenza del soggetto [N.B.: questa non è l unica definizione possibile del concetto di tautologia ma tutte, in ultima analisi, possono alla fine essere ricondotte ad essa] Per esempio: Un triangolo è trilatero è una tautologia poiché nella definizione del concetto di triangolo è inclusa l idea che si tratta di una figura geometrica chiusa composta da tre lati ( è trilatero ). Ora, è possibile dimostrare che anche la proposizione La somma degli angoli interni di un triangolo è pari a 180 è una tautologia (nel senso che tale proprietà è implicita nel concetto di triangolo ): tuttavia il grado di evidenza di tale proposizione è ben differente da quella dell esempio, nel senso che mentre la prima sostanzialmente non ci dice nulla di nuovo, la seconda esprime una proprietà del triangolo assolutamente non trasparente e certamente di evidenza non immediata. Più in generale, possiamo dire che ogni teorema è, alla fin fine, una tautologia. PROPRIETA POSITIVA: possiamo definire il concetto di proprietà positiva tramite due caratterizzazioni: 1. In senso qualitativo: possiamo ritenere una proprietà positiva se, concordemente, si conviene che tale qualità esprima una perfezione, un dato caratteristico concordemente giudicato favorevolmente. 2. In senso logico-grammaticale: una proprietà positiva è una proprietà espressa senza far ricorso alla particella (o all operatore) di negazione e una proprietà negativa, per contro, viene espressa nominando la qualità positiva preceduta dalla negazione. Con un esempio: se bello è una proprietà qualitativamente positiva, il suo contrario qualitativamente negativo, com è ovvio verrà espresso con il termine non-bello (anziché con il termine sinonimo brutto che, privato della particella non, risulterebbe sul piano logico e grammaticale positivo). Qualsiasi proprietà è poi e di conseguenza - positiva o negativa: tertium non datur. Non esistono proprietà neutre. In generale, tuttavia, possiamo sottolineare che il carattere di positività è definito soprattutto dall accezione qualitativa, che consente di superare l accezione logico-grammaticale tramite una semplice definizione/assioma: Posta una qualunque proprietà φ, se φ è una proprietà positiva allora ~φ è una proprietà negativa [non-positiva]: P(φ) ~P(~φ) Es.: se bello è positivo, allora non-bello è negativo se φ è una proprietà negativa [non-positiva], allora ~φ è una proprietà positiva: ~P(φ) P(~φ) Es. se brutto è negativo, allora non-brutto è positivo. E, in sintesi, Data una qualsiasi proprietà, o è positiva la proprietà stessa o è positiva la sua negazione P(φ) V P(~φ) Es.: o brutto è positivo o non brutto è positivo La prova ontologica In sintesi, possiamo sostenere che l obiettivo di Anselmo è di dimostrare che l asserzione Dio esiste è una tautologia: nel senso che l intera prova verte sull idea che l esistenza è una proprietà implicita nel concetto e nella definizione di Dio, esattamente come - nell esempio sopra la proprietà di essere trilatero è implicita nel concetto e nella definizione di triangolo.
La strategia dimostrativa di Anselmo consiste nella reductio ad absurdum. Seguiamo il testo del Proslogion: 1. Ora crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi piú grande. O che forse non esiste una tale natura, poiché lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste? (Ps., 13, 1 e 52, 1). Ma certo, quel medesimo stolto, quando sente ciò che io dico, e cioè la frase qualcosa di cui nulla può pensarsi piú grande, capisce quello che ode; e ciò che egli capisce è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro infatti è che una cosa sia nell intelletto, altro intendere che la cosa sia. Infatti, quando il pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell intelletto l opera sua, ma non intende ancora che esista quell opera che egli non ha ancor fatto. Quando invece l ha già dipinta, non solo l ha nell intelletto, ma intende che l opera fatta esiste. Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi piú grande, poiché egli capisce questa frase quando la ode, e tutto ciò che si capisce è nell intelletto. 2. Ma, certamente, ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell intelletto. Infatti, se esistesse solo nell intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe piú grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell intelletto e nella realtà. 3. E questo ente esiste in modo cosí vero che non può neppure essere pensato non esistente. Infatti si può pensare che esista qualche cosa che non può essere pensato non esistente; e questo è maggiore di ciò che può essere pensato non esistente. Perciò, se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, esso non sarà piú ciò di cui non si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio. Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste in modo cosí vero, che non può neppure essere pensato non esistente. 4 E questo sei tu, o Signore Dio nostro. Anselmo parte dalla citazione del salmo 13 in cui - parafrasando lo stolto asserisce Dio non esiste. Ora, argomenta Anselmo, asserendo la non esistenza di Dio lo stolto deve comunque possedere quantomeno nel solo intelletto il concetto e la definizione di Dio. Perché, in caso contrario, come possiamo negare l esistenza di qualcosa di cui non conosciamo neppure il concetto? Con un esempio: se nego, poniamo, l esistenza degli unicorni è perché ho nell intelletto il concetto e la definizione degli unicorni (supponiamo, cavalli con un corno sul muso ) e nego che, nella realtà, esistano enti che corrispondono a tale concetto e definizione. Dire gli unicorni non esistono significa dire, equivalentemente, non esistono cavalli con un corno sul muso. Se è così, analogamente, negare l esistenza di Dio significa negare l esistenza di un ente che corrisponda al concetto di Dio. Detto questo, si pone il problema di definire il concetto di Dio e Anselmo opta per la definizione Dio è ciò di cui non si può immaginare nulla di più grande che, tradotto in senso metafisico e con il linguaggio introdotto sopra relativo alle proprietà, significa che Dio è la positività assoluta. Dio è l essere che gode di tutte e sole le proprietà positive. Dire quindi Dio non esiste significa dire che
l essere che gode di tutte e sole le proprietà positive non esiste. E questo significa che lo stolto ha, nell intelletto, il concetto di Dio. Ma a questo punto Anselmo pone la domanda cruciale: Dio, così definito, esiste solo nell intelletto o esiste anche nella realtà? E sviluppa la sua argomentazione: 1. Se l essere che gode di tutte e sole le proprietà positive esistesse solo nell intelletto e non nella realtà, significherebbe che sarebbe privo di una qualità positiva essenziale, ossia l esistenza reale. Ossia non sarebbe l essere che gode di tutte e sole le proprietà positive, perché possiamo sempre immaginare un essere che abbia tutte quelle qualità positive e, in più, l esistenza reale. Di fatto significherebbe che non abbiamo nell intelletto la vera idea di Dio. 2. Questo significa che il concetto di Dio come l essere che gode di tutte e sole le proprietà positive implica logicamente l esistenza come una (e la più importante) di quelle proprietà. 3. Ma se il concetto di una cosa implica l esistenza della cosa stessa come suo fondamento essenziale, allora quella cosa esiste. 4. Quindi Dio esiste, e lo stolto è tale perché negandone l esistenza sta sostanzialmente affermando che non esiste ciò che necessariamente esiste. Ossia cade in un paradosso. La prova di Anselmo viene storicamente chiamata prova a-priori perché muove da un concetto e non da dati osservativi (come avveniva invece nella prova dei gradi); e viene chiamata ontologica perché afferma la possibilità (e anzi la necessità) che l essenza implichi l esistenza, che un concetto possa trasferirsi d emblée nella dimensione dell on to on. Il suo fascino è giunto sino a noi nonostante le numerosissime critiche che all argomento vennero mosse dai contemporanei di Anselmo (e segnatamente dal monaco Gaunilone, di cui vedremo la controargomentazione) e un paio di secoli dopo da Tommaso. Verrà poi ripresa nel 600 da Cartesio, da Spinoza, da Leibniz e, a fine 700, da Kant (che la confuterà con argomenti molto persuasivi). Un fascino che deriva essenzialmente dalla sua apparente cogenza logica, che negli anni 30 del Novecento ammalierà persino Kurt Gödel, forse il più grande e profondo matematico del secolo scorso, che ne elaborerà una nuova interessantissima dimostrazione logico-matematica. Il nodo intorno al quale verte l intera prova di Anselmo ancor più della possibile ambiguità implicita nell assunzione del carattere positivo dell esistenza (perché mai infatti, ci direbbe Amleto, l essere dovrebbe essere preferibile al non essere?) ruota essenzialmente su una questione già esplicitamente affrontata, e risolta negativamente, da Aristotele: l essere è una categoria? L esistenza è un predicato, ossia una proprietà? Aristotele, nel concettualizzare le categorie come i generi sommi a cui in ultima analisi sono riconducibili tutte le proprietà e i predicati delle proposizioni, rifiutò di considerare l essere come una di queste perché le categorie hanno esattamente il compito di distinguere e differenziare le diverse forme in cui l essere si manifesta, i molti modi con cui l essere può essere detto, ossia di introdurre e definire specificità e alterità nel reale. L essere in sé, al contrario, è potremmo dire la categoria dell indifferenziazione, ossia non è una categoria poiché tutto ciò che gode di una proprietà è. Ossia tutto ciò che è qualcosa, è. L essere extralinguistico, nella prospettiva aristotelica, è quindi la condizione che consente (a un ente, ossia a qualcosa che è) di godere di qualche proprietà, di essere soggetto di un predicato.
Anzi, la verità stessa di una proposizione ha un senso logico solo se esiste prima e oltre il linguaggio una realtà della quale la proposizione costituisce una descrizione, vera o falsa. Il linguaggio si limita ad esprimere l essere: l esistenza di un ente, dunque, non è una proprietà dell ente ma la premessa per poter esprimere qualsiasi predicato riferito a quell ente. L essere è logicamente e ontologicamente anteriore al concetto e non può dunque essere dedotto dal concetto stesso. Nella prova di Anselmo, al contrario, l esistenza viene considerata esplicitamente come una proprietà, ossia come un predicato (essenziale e definitorio di un concetto) e questo consente nella sua dimostrazione il passaggio dalla dimensione concettuale alla dimensione ontologica, dal pensiero all essere, dal razionale al reale. Ma, come dimostrerà Gaunilone, introdurre il predicato dell esistenza, in forma implicita od esplicita, nella definizione essenziale di un concetto significa sostanzialmente presupporlo per poi (fingere di) dimostrarlo. L argomentazione di Anselmo, in ultima analisi, asserisce la proposizione vuota Dio, che per definizione esiste, esiste. Obietterà infatti Gaunilone che a questa stregua potremmo tranquillamente dimostrare l esistenza dell isola perfetta, la mitica Eldorado, definendola come l isola che (in quanto perfetta) gode di tutte le proprietà positive e quindi anche dell esistenza. La sostanza dell obiezione (che Anselmo aggirerà sdegnosamente senza coglierne la profondità) consiste nell evidenziare l inammissibilità di principio dell inclusione implicita o esplicita della proprietà dell esistenza nella definizione degli enti: l esistenza non può essere una proprietà ma il dato preliminare cui altre proprietà o predicati vengono riferiti. Leggiamo il Liber pro insipiente di Gaunilone: Per esempio: dicono alcuni che vi è in qualche parte dell'oceano un'isola che chiamano isola perduta, per la difficoltà, o piuttosto per l'impossibilità di trovare ciò che non esiste, e raccontano che è piena di una inestimabile abbondanza di ricchezze e di delizie, molto più di quel che si dice delle isole fortunate, e, pur non avendo nessun possessore o abitatore, supera tutte le altre terre abitate per abbondanza di beni. Se uno mi dice questo, io capisco facilmente le sue parole, nelle quali non c'è nessuna difficoltà. Ma se poi come conseguenza aggiunga: non puoi dubitare che quell'isola migliore di tutte le altre terre, che sei sicuro di avere in mente, esista veramente in realtà; e, poiché è meglio esistere nella realtà che esistere solo nell'intelletto, è necessario che quest'isola esista, poiché, se non esistesse, qualsiasi altra terra esistente sarebbe migliore di lei, e quell'isola già pensata da te come migliore non sarebbe più tale. Se, dico, costui con queste parole volesse dimostrarmi che non si può dubitare dell'esistenza di quest'isola, o crederei che colui che mi parla scherzi, o non so se dovrei reputare più sciocco me che gli credo o lui che crede di avermi dimostrato l'esistenza di quell'isola, a meno che egli non mi faccia vedere che l'eccellenza di quell'isola è una cosa reale e non è come le cose false ed incerte che possono essere nel mio intelletto. Questo risponderebbe lo stolto alle obiezioni. E quando gli si asserisce poi che quell'essere maggiore di tutti è tale da non potere neppure esser pensato non esistente, e anche questo lo si dimostra solo dicendo che altrimenti quell'ente non sarebbe più il più grande di tutti, lo stolto potrebbe rispondere così: quando mai ho detto che esista in realtà l'ente maggiore di tutti, sì che si possa dimostrarmi che esso esiste in modo tale da non poter neppure esser pensato non esistente? Perciò, prima di tutto bisogna dimostrare con un argomento certissimo che esiste una natura superiore, cioè maggiore e migliore di tutto ciò che esiste, e poi da questo si potranno dimostrare tutti quegli attributi che deve avere necessariamente l'ente maggiore e migliore di tutti. La conclusione logica, ci dirà poi sostanzialmente Tommaso, è in realtà una proposizione condizionale: se Dio esiste, allora è indubbiamente l essere che gode di tutte e sole le proprietà positive, ma la verità della conseguenza dipende dalla verità della premessa, che non può essere dimostrata a partire dalla conseguenza stessa. Con Tommaso, nella Summa Theologiae: Forse, colui che sente il nome Dio non comprende che con esso si designa ciò di cui non si può pensare il maggiore; tanto è vero che alcuni hanno creduto che Dio sia corpo. [ ]. Anche se si ammette che ognuno comprende che, con il nome Dio si designa... ciò di cui non si può pensare il maggiore, nondimeno, da ciò non segue che ognuno comprenda che, ciò che viene designato con tale nome, esiste nella realtà, bensì [che esiste soltanto] nella
rappresentazione dell'intelletto. Né si può affermare che esso esiste in realtà se non [si è ammesso] che esiste nella realtà ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore; ma ciò non viene ammesso da quanti sostengono che Dio non esiste.