ITIS G.Galilei Lab. Biochimica GASCROMATOGRAFIA

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GASCROMATOGRAFIA Nella tecnica gascromatografica, detta anche cromatografia in fase gassosa, la fase mobile è un gas che fluisce attraverso una colonna, in cui si trova la fase stazionaria, la quale può essere un solido granulare oppure un liquido. Con questo tecnica è possibile analizzare campioni gassosi, liquidi o solidi. Le specie chimiche che escono dalla colonna possono venire inoltre recuperate allo stato puro e sottoposte ad analisi di vario genere allo scopo di individuarne natura e composizione. I meccanismi di separazione che si sfruttano in gascromatografia sono sostanzialmente tre: adsorbimento, ripartizione e, a volte, esclusione molecolare. Tutte le varie tecniche cromatografiche possono essere ricondotte ad un cosiddetto esperimento fondamentale, che illustra il principio su cui si basa la cromatografia. Supponiamo di avere una colonna riempita uniformemente di un materiale solido in granuli di dimensioni omogenee (la cosiddetta fase stazionaria, o fase fissa). All'inizio della colonna si deposita la miscela contenente le sostanze da separare. Si fa scorrere poi un solvente (la fase mobile, detta eluente): la fase mobile trascinerà in modo diverso le diverse sostanze lungo la colonna, a seconda della loro affinità verso le due fasi. Tale effetto può essere ricostruito, anche numericamente, immaginando che nei vari strati della colonna si effettui una serie di estrazioni successive in cui si raggiunge l'equilibrio corrispondente al coefficiente di distribuzione. Effettuando infatti una simulazione numerica di tale successione di micro-equilibri si ottengono facilmente grafici che mostrano il procedere della separazione, con la distribuzione di ogni sostanza secondo i picchi di concentrazione tipica dei cromatogrammi. Con il procedere della separazione, le sostanze usciranno dalla colonna dopo il passaggio di un certo tempo (tempo di ritenzione) durante il quale è fluito un certo volume di solvente (volume di ritenzione). Se si misura la concentrazione delle sostanze in uscita dalla colonna si ottiene il cosiddetto cromatogramma (che riporta le concentrazioni di sostanza in uscita in funzione del tempo o del volume di eluente) TEMPO DI RITENZIONE Il tempo di ritenzione di una determinata specie chimica in colonna dipende in modo diretto dalla sua affinità per la fase stazionaria o, più esattamente, dal coefficiente di distribuzione (adsorbimento e ripartizione) tra le due fasi. C K = C s m 1

Il tempo di ritenzione di una sostanza viene indicato con t 0 o t m (tempo morto) perché coincide con il tempo che, in ogni caso, una qualunque specie chimica deve spendere in colonna prima di raggiungere l uscita. VOLUME DI RITENZIONE Il volume di ritenzione del composto non trattenuto viene indicato con V m e denominato volume morto o anche volume della fase mobile in colonna ed è collegato al flusso di carrier F c dalla relazione V m (ml) = t 0 (min) * F c (ml/min) FASE STAZIONARIA Nella cromatografia gas-solido la separazione dei vari componenti la miscela in esame dipende dalla diversa forza dei legami con cui le molecole del campione sono trattenute sulla superficie delle particelle solide che riempiono la colonna. I materiali adsorbenti più usati sono: Gel di silice (fase piuttosto polare, adatta per analisi di idrocarburi leggeri fino al propano. Allumina (materiale con caratteristiche simili al gel di silice, oggi poco usato) Carbone attivo (riempimento poco polare, separa miscele di sostanze aventi tra loro polarità analoga, in ordine crescente rispetto alle temperature di ebollizione. Trova impiego nell analisi dei gas) Setacci molecolari (in questo caso la fase stazionaria è costituita da microparticelle caratterizzate da avere una struttura a pori molto piccoli ed in grado di accogliere e di trattenere, in modo differenziato, le molecole aventi ingombro inferiore al diametro dei pori stessi, escludendo tutte le altre, le quali perciò vengono eluite con il gas di trasporto. I criteri di scelta di una fase stazionaria dipendono essenzialmente dalla polarità delle molecole del campione. In particolare, molecole molto polari richiederanno una fase poco adsorbente; molecole non polari fasi molto adsorbenti. La granulometria della fase stazionaria infine non ha molta importanza, in quanto la buona separazione dei componenti una miscela dipende molto più dalla selettività che non dall efficienza della fase. FASE MOBILE Il gas di trasporto (carrier) deve essere caratterizzato da un elevata inerzia chimica nei confronti della fase stazionaria, del materiale con cui è costruita la colonna e infine del campione. Le principali caratteristiche di un gas di trasporto sono: Costo Purezza (il carrier deve essere esente da impurezze che potrebbero danneggiare la fase stazionaria, reagire con il campione o interferire nei processi cromatografici. In particolare è richiesta l assenza di umidità, ossigeno e idrocarburi. La presenza di acqua può provocare la parziale o totale distruzione della fase stazionaria o causare problemi al rivelatore, soprattutto a basse temperature. L ossigeno deve essere assente per evitare processi ossidativi della fase stazionaria o danni al rivelatore. Anche gli idrocarburi devono risultare praticamente assenti soprattutto se si lavora con un FID. Per eliminare le impurezze vengono poste, prima della colonna, adeguate trappole o filtri.) Inerzia chimica Densità e viscosità (da questi parametri dipende la maggiore o minore diffusione del campione nella fase mobile, ma anche la velocità del carrier. In particolare i gas più pesanti consentono una minore diffusione, ma permettono velocità più basse dei gas leggeri.) 2

Compatibilità con il rivelatore (è il fattore decisivo perché il gas, al di là delle impurezze presenti, non deve essere rilevabile dal rivelatore. In altre parole deve fornire un rumore di fondo molto basso. I più comuni gas usati in gascromatografia sono: Azoto Idrogeno - buona conducibilità termica, combustibile Elio notevolmente inerte Argo più denso dell elio, è utilizzato di preferenza con rivelatori a ionizzazione Anidride carbonica facilmente assorbibile, deve essere eliminata rapidamente e completamente quando la tecnica di rivelazione lo richiede. STRUMENTAZIONE 2 7 1 3 4 5 6 Schema a blocchi di un gascromatografo: 1.Sistema di alimentazione del carrier; 2.sistema di alimentazione del gas del rivelatore; 3.iniettore; 4.colonna; 5.rivelatore; 6.camera termostatica; 7.registratore. Anche l iniettore ed il rivelatore sono termostatati, ma in modo autonomo rispetto alla colonna Iniettore: l accesso alla colonna è costituito dalla camera di iniezione (o vaporizzazione) che confina con l esterno tramite un setto di gomma siliconata o teflonata. Compito del sistema di vaporizzazione è quello di consentire l istantanea vaporizzazione del campione che poi passerà in colonna nella forma più compatta possibile. La camera di iniezione è corredata quindi di un sistema di resistenze variabili attraverso le quali è possibile fissare la temperatura più adatta per la vaporizzazione della miscela. Il dispositivo è caratterizzato da una camera opportunamente riscaldata, nella quale si trova un tubicino di vetro o di d acciaio. In esso il campione subisce l istantanea vaporizzazione. In testa al tubicino viene inviato il carrier che quindi trascina con sé il campione vaporizzato nella colonna sottostante. I campioni vengono iniettati direttamente attraverso il setto poroso mediante un apposita siringa. Iniettore per colonne tradizionali impaccate 1. Siringa; 2. Setto poroso; 3. Ingresso del carrier; 4. Inserto di raccordo (tubicino); 5. Corpo dell iniettore termostatato; 6. Testa della colonna. 3

Colonne: le colonne per GC possono essere costruite in metallo, o in vetro. Hanno lunghezza e diametro molto variabili (fino a 15m la prima e 10mm la seconda), anche se la tipica colonna ha un diametro di 2-4mm e una lunghezza di 1-3m. Data la loro notevole lunghezza vengono normalmente forgiate a forma di U o di W oppure di spirale circolare (se hanno diametro abbastanza elevato). Se da un lato questo accorgimento permette di ridurre notevolmente le dimensioni della camera termostatica, dall altro genera difficoltà di impaccamento e talvolta perdita di efficienza. Concettualmente diverse sono le colonne capillari aperte le quali, oltre ad avere un diametro esterno nell ordine del millimetro, e lunghezze decisamente superiori (fino a 80-100m), sono caratterizzate dalla particolare collocazione della fase stazionaria. Le colonne capillari sono in genere costruite in acciaio inox, nichel, vetro e silice fusa (quarzo). Le colonne capillari, come del resto quelle impaccate, sono indicate da sigle alle quali corrisponde un particolare tipo di colonna e di fase stazionaria. Analizziamo adesso i vari tipi di colonne capillari aperte: W.C.O.T. (Wall Coated Open Tubular) in questo caso la fase stazionaria è costituita da un sottile film di liquido di ripartizione depositato all interno di un tubo capillare. Queste colonne consentono, grazie all agevole contatto gas-liquido, una più rapida diffusione del campione nella fase stazionaria. D altra parte, siccome il gas corre lungo il canale centrale della colonna, lasciato libero dalla fase stazionaria, ne consegue una permeabilità maggiore, cioè una ridotta resistenza al flusso del gas di trasporto. Hanno avuto miglioramenti notevoli con la comparsa sul mercato di fasi legate chimicamente (Bonded Phase Cross Linked Immobilized). Vengono usate con campioni con ampio intervallo di punti di ebollizione ed in cui sia necessario separare soprattutto i composti altobollenti. S.C.O.T. (Support Coated Open Tubular) in questo caso la fase stazionaria è costituita da un sottilissimo film di liquido di ripartizione depositato su uno strato di supporto poroso, a granulometria molto fine, il tutto viene fatto aderire alle pareti interne del tubo capillare. Sono indicate per sostanze bassobollenti, analisi di tracce. P.L.O.T. (Porous Layer Open Tubular) la fase stazionaria, formata da materiale poroso, viene fatta aderire alle pareti in modo da realizzare una cromatografia di adsorbimento. Trovano un impiego limitato, ad esempio per l analisi degli idrocarburi leggeri. W.S.C.O.T. (Wall Coated Superior Capacity Open Tubular) sono colonne con foro largo e spessore interno del film nettamente più alto di quelle tradizionali. Queste colonne sono per molti versi intermedie tra le W.C.O.T. e le S.C.O.T., ma offrono, in molti casi, prestazioni superiori. Le S.C.O.T. e le P.L.O.T. offrono il vantaggio di possedere una maggiore superficie di contatto gasfase stazionaria. Le lunghezze delle colonne variano dai 15 ai 100m, mentre il diametro interno si aggira tra 0,25 e 0,75mm. Con questo tipo di colonne, grazie alla particolare collocazione della fase stazionaria, si riescono ad ottenere separazioni migliori e tempi di analisi più brevi, si può infine lavorare a temperature più basse rispetto a quelle usate con le colonne impaccate. A parità di spessore le narrow bore (foro stretto) assicurano prestazioni inferiori rispetto alle wide bore (foro largo). 4

Camera termostatica: in GC la temperatura rappresenta un parametro determinante per ottenere una buona separazione. Per questa ragione le colonne vengono termostatate alla temperatura prefissata. Diversi dispositivi sono stati usati in passato, ma i risultati migliori si ottengono sicuramente con la camera termostatica a circolazione d aria calda che assicura una stabilità della temperatura dell ordine di ±0,1 C. un apposita ventola garantisce l uniformità delle temperatura in ogni punto della camera, nonché un opportuna gradualità nelle fasi di raffreddamento e di riscaldamento. Per non rovinare la camera e le colonne che vi sono inserite, è meglio evitare di aprire lo sportello, soprattutto se si opera a temperature alte. Rivelatori: sono dei dispositivi in grado di segnalare la presenza di una sostanza estranea nel gas di trasporto e possono essere suddivisi in due grandi categorie: rivelatori universali e selettivi. I primi consentono di individuare tutti i componenti una miscela, i secondi rivelano invece solo particolari tipi di composti. I rivelatori più diffusi sono quelli del tipo differenziale, ovvero quelli che forniscono il segnale di zero (linea di base piatta) quando il carrier esce dalla colonna puro, mentre danno un picco più o meno simmetrico in corrispondenza del passaggio di una banda di eluizione. La risposta, ovvero il segnale in millivolt, fornita dal rivelatore, può essere proporzionale alla concentrazione o alla massa di campione eluita nell unità di tempo. Il rumore di fondo è il segnale fornito dal rivelatore quando nel gas di trasporto non è presente nessuna sostanza. Il segnale elettrico del rivelatore può essere amplificato a piacere, ciò permette di rilevare anche piccole quantità di campione 5

Rivelatore a ionizzazione di fiamma (Flame Ionisation Detector FID): il FID è un rivelatore universale ma distruttivo in quanto i campioni vengono bruciati per ottenerne la trasformazione in ioni allo stato gassoso. Schema di un rivelatore FID 1. Ingresso dell idrogeno; 2. Ingresso del carrier della colonna; 3. Ingresso dell aria; 4. Ugello; 5. Resistenza elettrica per l accensione della fiammella; 6. Collettore; 7. Scarico; 8. Batteria di alimentazione ( 300volt); 9.Elettrometro; 10. Registratore o integratore Il carrier, generalmente N 2, viene convogliato verso un ugello a cui giungono anche idrogeno e aria, necessari per alimentare una piccola fiammella. Una resistenza posta di lato all uscita dell ugello provoca l accensione della fiamma. Quest ultima si trova circondata da un collettore cilindrico caricato positivamente; il secondo elettrodo del circuito è spesso costituito dall ugello stesso. La microfiamma provoca una debolissima corrente ionica fra gli elettrodi, che vengono mantenuti costantemente sotto una differenza di potenziale di circa 300volt. Questa corrente viene opportunamente raccolta, trasformata in tensione e amplificata tramite un trasformatore elettrometrico. Il segnale viene poi mandato ad un registratore. Quando il gas di trasporto non contiene alcun composto, viene registrata una corrente di fondo più o meno fluttuante, a seconda delle impurezze che inevitabilmente possono essere presenti nel carrier e che per lo più sono costituite da tracce di fase stazionaria. Quando invece un componente della miscela analizzata raggiunge la fiamma, viene subito ionizzato e l aumento dell intensità di corrente che passa tra i due elettrodi viene comunicato al registratore. Le prestazioni di FID dipendono in misura preponderante dalla resa del processo di ionizzazione che avviene nella fiamma, tra i due elettrodi. Tale rendimento dipende dalla temperatura, dal flusso dell aria e dell idrogeno. La temperatura deve essere mantenuta tanto più alta quanto più altobollenti sono i composti da rivelare. Il flusso dell aria invece deve essere tanto elevato da procurare una combustione completa dei composti senza però raffreddare la fiamma. Per l idrogeno infine sarebbe opportuni trovare di volta in volta il flusso ottimale in quanto esso dipende da numerosi fattori come la qualità e quantità delle sostanze iniettate e la portata del carrier. Il FID è un rivelatore quasi universale in quanto sono pochissime le specie chimiche aventi potenziali di ionizzazione così elevati da non poter essere ionizzate nelle condizioni di lavoro. È inoltre il rivelatore ideale per l analisi dei solventi nell aria. 6

ANALISI QUANTITATIVA I PICCHI E IL CROMATOGRAMMA Ogni sostanza in uscita dalla colonna genera un segnale che verrà registrato sotto forma di picco. Ogni picco è caratterizzato da: - Altezza del picco. E la distanza fra il massimo del picco e la sua base, misurata perpendicolarmente all asse dei tempi. - Ampiezza del picco. E il segmento delimitato sulla base del picco dai punti di intersezione delle tangenti tracciate nei punti di flesso di ambedue i lati. La successione dei vari picchi, corrispondenti alle varie sostanze in uscita dalla colonna, costituisce il cromatogramma. Il cromatogramma si presenta come in figura, dove in ordinate è riportata la risposta del rivelatore e in ascisse i tempi di uscita delle varie sostanze. Una buona separazione deve fornire picchi simmetrici, senza fenomeni di tailing (quando il tracciato sale bruscamente e raggiunge rapidamente il punto massimo, da cui discende verso la linea di base in modo lento) o di fronting (quando il tracciato sale lentamente fino al punto massimo e scende rapidamente verso la linea di base) accentuati. Le cause di asimmetria più probabili sono: 1. introduzione scorretta del campione 2. particolari caratteristiche chimico-fisiche della fase stazionaria (per esempio il picco dell acqua si presenta codato con molte fasi polari, come quelle a base di polietilenglicole) 3. sovrassaturazione della fase stazionaria, che si verifica quando viene superata la capacità intrinseca della colonna. Ciò può influire negativamente sulla riproducibilità dei tempi di ritenzione e sull efficienza della colonna. La gascromatografia è usata soprattutto per l analisi quantitativa. Infatti l altezza o l area dei picchi possono essere correlate con la quantità dei diversi componenti la miscela analizzata. 7

CALCOLO DELL AREA DEI PICCHI. a. Picco simmetrico: tracciando le tangenti ai punti di flesso, si ottiene un triangolo di area simile a quella del picco. Le tre superfici ombreggiate in colore scuro si compensano parzialmente tra di loro. b. Picco alto e stretto: si ottiene l area del picco moltiplicando l altezza per la base a metà altezza (i triangoli CRS e CMN sono triangoli simili). La misura deve tener conto dello spessore della linea del picco. c. Picco che cresce sulla coda dell altro: il triangolo ABC è il più adatto al calcolo dell area. d. Picchi non ben separati: la superficie estrapolata (in colore più scuro) comporta un errore significativo. e. La separazione dei picchi è tale che EG < ½ RH: si possono estrapolare i due triangoli senza commettere errori significativi. f. In questo caso la figura che meglio approssima il picco è un trapezio. Il metodo geometrico consiste nel costruire la figura geometrica che meglio approssima la forma reale del picco; in genere si tratta di triangoli o di trapezi e quindi il calcolo dell area è molto semplice. Spesso, durante la registrazione dei cromatogrammi, occorre cambiare l attenuazione per mettere in evidenza componenti presenti in piccola concentrazione o per mantenere in scala i picchi dei componenti più abbondanti. In questi casi l area effettiva dei picchi si ottiene moltiplicando il valore misurato per il rispettivo valore di attenuazione. Oppure, più semplicemente, si assume come riferimento l area del picco più piccolo con la minima attenuazione e si moltiplicano le aree dei picchi per i rispettivi rapporti di attenuazione. Esempio di cromatogramma registrato con diversi valori di attenuazione. In figura le aree sono: S 1 = S 1 MIS * 1280 S 2 = S 2 MIS * 6400 S 3 = S 3 MIS * 160 I rapporti di attenuazione sono: (1280/160) per S 1 e (6400/160) per S 2. 8

RISOLUZIONE, SELETTIVITÀ ED EFFICIENZA IN UNA SEPARAZIONE CROMATOGRAFICA ITIS G.Galilei Dall esame del cromatogramma possiamo definire la selettività, l efficienza e la risoluzione di una colonna Selettività. E definita come la capacità di una colonna di fornire picchi distanziati e dipende dalla temperatura e dalla natura della fase stazionaria. A fianco sono riportati due cromatogrammi, di una miscela di due composti, ottenuti con due diverse fasi stazionarie: nel secondo caso si ha una maggior selettività. Efficienza. E' la capacita del sistema cromatografico di mantenere compatta la banda di eluizione di una sostanza lungo tutto il percorso della fase mobile. Ciò significa ottenere picchi alti e stretti all uscita della colonna. La cosa e di grande importanza, perche qualora due sostanze avessero tempi di ritenzione molto vicini se ne potrebbe ottenere ugualmente la separazione. Quindi, quanto più stretti sono i picchi tanto più efficiente risulta la colonna. A fianco sono riportati due cromatogrammi di una miscela di due sostanze effettuati con colonne diverse; in ambedue i casi si ha la stessa selettività, ma nel secondo caso si ha una maggior efficienza. Risoluzione. Questo fattore tiene conto sia della selettività che dell efficienza, ed indica il grado di effettiva separazione ottenuto per due sostanze in un processo cromatografico. Dal punto di vista numerico si ottiene dalla relazione: Per avere una buona separazione, dal punto di vista quantitativo, si deve avere risoluzione almeno 0,8. 9

Per capire il significato di tale relazione si considerino questi due esempi: L esame di questi parametri (selettivita, efficienza, risoluzione) e fondamentale per la scelta delle colonne e della temperatura. 10