Finanza e crescita dopo la crisi

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CommunityCib della SdaBocconi Relazione Conclusiva del Cib 2013 Management Executive Program di SdaBocconi Finanza e crescita dopo la crisi Intervento del Direttore Generale della Banca d Italia Salvatore Rossi Milano, 14 novembre 2013

Indice 1. Finanza di lungo termine per lo sviluppo economico 5 2. La struttura finanziaria italiana 7 3. Far evolvere, insieme, la struttura finanziaria delle imprese e il modello di business delle banche 10 4. Conclusioni 14

1. Finanza di lungo termine per lo sviluppo economico Se vi sia un nesso tra sviluppo finanziario e sviluppo economico e quale ne sia la direzione di causalità è tema che anima da anni un dibattito vivacissimo. La sfida è empirica: trovare evidenza, nei dati e nei fatti storici, dell'ipotesi teorica che un più alto grado di sviluppo del sistema finanziario favorisca una maggior crescita economica generale. Se la letteratura empirica disponibile, pur orientata a sostenere quell'assunto, non è conclusiva, ci può soccorrere l'analisi storica: una finanza sviluppata è centrale per far funzionare e crescere le economie moderne, per aumentare le opportunità di benessere di tutti. Purché si riesca a controllarne l'intrinseca instabilità. Nel momento in cui i postumi della crisi finanziaria globale si attenuano, molte economie sono avviate a una nuova stagione di sviluppo, altre vi aspirano, in tutto il mondo si fronteggia lo stesso problema: come finanziare gli investimenti di lungo termine, in particolare i progetti innovativi. Secondo uno studio recente, in nove grandi paesi, avanzati ed emergenti, che nel complesso rappresentano il 60 per cento del PIL mondiale, nel 2010 la spesa per investimenti ammontava a quasi 12 trilioni di dollari; entro il 2020 se ne attende un aumento a 19 1. 1 Group of Thirty, Working Group on Long-term Finance, Long-term Finance and Economic Growth, Washington, DC, 2013 (http://www.group30.org/rpt_65.shtml). 5

Per finanziare le grandi opere pubbliche è essenziale attrarre capitali privati. Sono per questo fondamentali una buona programmazione delle iniziative e piena trasparenza su modi e tempi. Agli investitori istituzionali (fondi pensione, compagnie di assicurazione, fondi sovrani) va offerta l opportunità di diversificare i rischi ottenendo flussi stabili di reddito su orizzonti temporali lunghi. La disponibilità di risorse finanziarie a lungo termine è precondizione per gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) e per la promozione di progetti imprenditoriali innovativi. Ma finanziare l attività innovativa è arduo. I progetti sono molto rischiosi e spesso difficili da spiegare a investitori esterni; le imprese preferiscono mantenere riservatezza sulle attività svolte per evitare che i concorrenti si approprino dell idea. Le risorse interne costituiscono la principale fonte di finanziamento della R&S nella gran parte dei paesi. Si tratta però di una forma di finanziamento condizionata dal ciclo economico e indisponibile alle imprese di nuova costituzione, che spesso sono proprio quelle che sviluppano le innovazioni di frontiera. Quando l impresa che innova ha bisogno di risorse esterne, il ricorso al capitale azionario è preferibile a quello di debito. Il capitale azionario non richiede garanzie e consente agli investitori di beneficiare interamente dei rendimenti dei progetti in caso di successo; il problema delle forti asimmetrie informative è attenuato dalla presenza attiva di investitori in capitale di rischio. Numerosi studi mostrano come il ricorso al capitale azionario aumenti 6

considerevolmente l attività innovativa delle imprese 2. Analisi recenti condotte in Banca d'italia confermano questo risultato nel nostro paese: l emissione di azioni accresce di circa un terzo la probabilità di svolgere attività di R&S nelle imprese high-tech 3. 2. La struttura finanziaria italiana Il sistema finanziario italiano è però peculiare fra quelli dei paesi avanzati a causa della dominanza del credito bancario tra le fonti di finanziamento delle imprese. Guardiamo alcuni dati rilevanti, iniziando dalla struttura finanziaria delle imprese. Rispetto a tutti gli altri principali paesi europei, le imprese italiane si distinguono per avere meno capitale e più debito bancario (fig. 1). Nel 2012 in Italia erano quotate 200 aziende non finanziarie, contro le 700 di Francia e Germania; il valore di mercato complessivo delle società non finanziarie quotate era inferiore da noi al 20 per cento del prodotto interno, a fronte del 40 e del 50 per cento, rispettivamente, in Germania e in Francia (fig. 2). 2 Atanassov J., V. K. Nanda e A. Seru, Finance and innovation: the case of publicly traded firms, «University of Michigan. Ross School of Business Paper», No. 970, 2007; J. R. Brown, S. M. Fazzari e B. C. Petersen, Financing innovation and growth: cash flow, external equity, and the 1990s R&D boom, «Journal of Finance», 64, 1, 2009 3 Magri S., Does issuing equity Help R&D Activity? Evidence from Non-Public Italian High-Tech Manufacturing Firms, 2013. L effetto è significativo solo per le imprese di piccole dimensioni, per quelle giovani e con un maggior grado di leverage. 7

Anche i mercati obbligazionari sono poco sviluppati. All emissione di titoli di debito ricorrono in Italia poche grandi imprese: tra il 2007 e il 2012 solo 29 gruppi industriali italiani hanno emesso titoli sul mercato internazionale. I prestiti obbligazionari rappresentano meno del 10 per cento dei debiti finanziari delle imprese (fig. 3). La vulnerabilità finanziaria delle imprese italiane si era già accentuata negli anni precedenti la crisi. Il calo della competitività, la difficoltà di adattamento ai cambiamenti dell economia mondiale negli ultimi due decenni si riflettevano in una progressiva riduzione della redditività operativa. Il rapporto tra margine operativo lordo e valore aggiunto si riduceva da circa il 40 per cento alla metà degli anni 90 al 36 nel 2008 (fig. 4). La spesa per investimenti, tuttavia, rimaneva elevata grazie a un forte ricorso al debito, sospinto da condizioni di mercato favorevoli. Tra il 2000 e il 2008 il credito bancario alle imprese cresceva in media a un ritmo di oltre l 8 per cento l anno, più del 12 per cento nel solo 2007; i tassi di interesse bancari si riducevano gradualmente, dopo l adozione dell euro, fino al 4,2 per cento nel 2005; il differenziale con i corrispondenti tassi medi europei si annullava. Secondo l indagine Invind condotta dalla Banca d Italia la percentuale di imprese razionate, quelle che chiedevano ma non ottenevano finanziamenti dalle banche, si riduceva a meno del 3 per cento in media tra il 2006 e il 2008. In quegli anni il grado di copertura degli 8

investimenti con fonti interne si dimezzava, raggiungendo nel 2008 il minimo storico del 36 per cento. Alla vigilia della crisi le imprese italiane si ritrovavano quindi con un grado di indebitamento molto più elevato che in passato; la dipendenza dal sistema bancario era maggiore per le imprese di minore dimensione. Nei cinque anni trascorsi da allora il problema si è approfondito. L alta intensità di debito bancario che caratterizza le imprese italiane riflette anche loro specifici tratti strutturali. Le imprese sono da sempre riluttanti ad accrescere il capitale di rischio, in particolare ad allargare l azionariato, per la natura familiare non solo dei loro assetti proprietari ma anche di quelli gestionali 4. Il ricorso al mercato dei capitali, la quotazione in borsa, implicano costi di trasparenza elevati e permanenti. Il sistema tributario ha poi storicamente assegnato un largo vantaggio al debito rispetto al capitale di rischio. Questo modello presenta due rilevanti debolezze. La prima, sotto i nostri occhi in questo periodo, è che rende vulnerabili le imprese nelle fasi negative del ciclo o nel caso di uno shock che colpisca il sistema bancario. Tensioni nei bilanci degli intermediari si traducono in peggiori condizioni di offerta del credito, che pesano su imprese già provate dalla recessione; ne consegue una 4 Bianco M, S.Giacomelli, e S.Rossi, L impresa familiare: un anomalia italiana?, il Mulino 1/12, pagg. 56-64. 9

loro minore capacità di ripagare i debiti, che mina a sua volta gli equilibri dei bilanci bancari. È un circolo vizioso dal quale si esce con difficoltà. Il flusso annuo di nuove sofferenze delle imprese è su livelli prossimi al 5 per cento, la consistenza dei prestiti con rimborsi non regolari è poco meno di un quarto del totale. L aumento dei rischi non può non tradursi in maggiore prudenza da parte delle banche nella selezione del merito di credito. La seconda debolezza di questo modello è che limita la capacità del sistema finanziario nel suo complesso di destinare risorse alle imprese dal potenziale più alto, in particolare a quelle in prima linea nel generare innovazione. 3. Far evolvere, insieme, la struttura finanziaria delle imprese e il modello di business delle banche Il percorso verso una struttura finanziaria più equilibrata deve iniziare da un rafforzamento patrimoniale delle imprese, che ne porti il grado di leverage - oggi al 48 per cento - più vicino alla media dell area dell euro (42 per cento). Passati interventi volti a favorire la quotazione in borsa delle imprese italiane hanno avuto scarso successo. Ridurre i costi della quotazione attraverso la creazione di mercati dedicati alle piccole e medie imprese, semplificare gli oneri amministrativi, introdurre sgravi fiscali per la quotazione o l emissione di azioni, tutto questo non è bastato a controbilanciare il principale onere della quotazione dal 10

punto di vista delle imprese: la trasparenza, nei confronti del fisco, delle autorità di controllo, degli azionisti di minoranza. Negli ultimi due anni sono stati adottati alcuni interventi potenzialmente più efficaci: la deduzione dal reddito imponibile del rendimento figurativo dei nuovi apporti di capitale, secondo il modello dell allowance for corporate equity (ACE); misure per incentivare l investimento in capitale di rischio, tramite fondi di venture capital e nelle start-up, che hanno avvicinato la normativa italiana a quella degli altri paesi europei. Alcune di queste misure, come quella sull investimento in start-up, sono peraltro inoperanti per l assenza di alcuni regolamenti attuativi e dell autorizzazione della Commissione europea. Il mercato del private equity resta piccolo: 3 miliardi nel 2012, secondo i dati dell Aifi. Nonostante la crescita recente, gli investimenti in imprese neonate (early stage) in rapporto al PIL sono un terzo di quelli che si osservano in Francia e il 60 per cento di quelli in Germania; poco più di un decimo rispetto agli Stati Uniti (fig. 5). In passato non c era offerta perché non c era domanda. La minore disponibilità di credito bancario sta ora spingendo alcune aziende a ricercare nuove soluzioni di finanza esterna. Il Fondo Italiano di Investimento, di recente creazione, sta intercettando parte di questa nuova domanda. Private equity, venture capital, collocamenti privati di obbligazioni non quotate, credito non bancario (private debt) sono mercati e strumenti indispensabili per accompagnare l evoluzione 11

della struttura produttiva italiana: consentire alle idee innovative di incardinarsi in un impresa nascente; far crescere nella dimensione quelle imprese piccole e medie che ne hanno l opportunità tecnologica e di mercato. Non è sempre mestiere per banche. Occorrono competenze speciali e, spesso, una inclinazione al rischio che le banche è bene non abbiano. Per sviluppare mercati e strumenti non bancari è necessario l appoggio di investitori istituzionali robusti e dallo sguardo lungo: assicurazioni, fondi pensione, fondi di investimento. Essi vi troveranno utili fonti di diversificazione dei loro portafogli. Se si troveranno ad assumere più rischi, dovranno saperli controllare e gestire, con assetti di governance adeguati, capacità professionali, presidi organizzativi. La crisi finanziaria globale ha suscitato generali anatemi contro le cartolarizzazioni. Ma si tratta di uno strumento utile, se si riesce a evitarne l abuso. Esse liberano risorse nelle banche per originare nuovi prestiti, riducono la concentrazione del rischio di credito, favoriscono lo sviluppo dei mercati obbligazionari. Compito dei regolatori è quello di impedirne l opacità, di far restare in capo alle banche che concedono il prestito il grosso dell onere di selezione e controllo dei debitori. Lo sviluppo della finanza non bancaria sarebbe molto pericoloso senza un rafforzamento dell azione di vigilanza su scala internazionale. Chiunque intermedi risparmio, banca o non banca, deve essere soggetto a regole e a supervisione rigorose e coerenti, 12

pena la formazione di isole ombra dense di rischi per il sistema e per i singoli risparmiatori. Questo è il modello di vigilanza in uso nel nostro paese. E le banche? Che ruolo potranno giocare in una struttura finanziaria che ne veda ridotta la dominanza nel finanziamento diretto dell economia? Un ruolo molto importante, se affronteranno i necessari cambiamenti. Esse possiedono strutture, conoscenze e competenze tali da consentire loro di compensare le elevate asimmetrie informative rispetto alle imprese, soprattutto le più piccole. Ma la capacità delle banche di leggere il potenziale di crescita di un azienda, captando anche i segnali deboli della cosiddetta soft information, sembra essersi indebolita durante la crisi: nostre analisi suggeriscono che le difficoltà di accesso al credito delle imprese più vulnerabili si sarebbero estese anche ad alcune aziende dalle buone potenzialità 5. Saper valutare le opportunità di crescita delle piccole e medie aziende è un abilità che va pienamente recuperata nelle nostre banche. Lo può favorire un rapporto più solido fra ciascuna banca e ciascuna impresa. Le relazioni bancarie in Italia sono caratterizzate da un alta frammentazione; durante la crisi, questa ha acuito i problemi di finanziamento delle imprese 6. Ridurre quella frammentazione va a vantaggio, in particolare, delle imprese innovative, la cui valutazione 5 Albareto G., e P. Finaldi Russo, Fragilità finanziaria e prospettive di crescita: il razionamento del credito alle imprese durante la crisi, Banca d Italia, Questioni di economia e finanza, n. 127, 2012. 6 De Mitri, S., G. Gobbi e E. Sette, Relationship lending in a financial turmoil, Banca d Italia, Temi di Discussione, n. 772 (2010) 13

da parte di finanziatori esterni è tipicamente molto più difficile. Vi è evidenza empirica del fatto che una relazione di lungo periodo con una banca accresca la probabilità che un impresa svolga attività innovativa, in particolare di R&S 7. Le banche possono conservare un ruolo importante anche nel sostegno di imprese di dimensioni medio-grandi che intendano diversificare le proprie fonti di finanziamento accedendo direttamente al mercato dei capitali. L offerta delle banche va spostata, dal credito verso quei servizi ad alto valore aggiunto che preparano e assistono le imprese nel collocare titoli sul mercato. Le relazioni con le imprese potrebbero alla fine uscirne rafforzate anziché indebolite. 4. Conclusioni L'anno scorso è stato pubblicato un libro che ha avuto grande diffusione in tutto il mondo e ha suscitato accese discussioni: "Why nations fail", di due studiosi americani, Daron Acemoglu e Jim Robinson. Il libro ambisce a fornire la spiegazione ultima del perché, nel corso dell'intera vicenda umana, alcune comunità o nazioni abbiano prosperato economicamente e altre no, anche a parità di caratteristiche geografiche e di dotazioni naturali. La spiegazione 7 Herrera A. M. e R. Minetti (in Informed finance and technological change: evidence from credit relationships, «Journal of Financial Economics», 83, 2007) osservano un aumento della probabilità di innovazione; G. Micucci e P. Rossi (in Financing R&D investments: relationship lending or financial markets?, 2012), trovano che un aumento della durata delle relazioni con il cliente dal primo al terzo quartile della distribuzione (da tre a sei anni) è associato a un incremento della probabilità di svolgere ricerca e sviluppo di oltre il 10 per cento 14

offerta sta nella qualità delle istituzioni nazionali costruite nel tempo e dei processi politici che le hanno generate. In un capitolo del loro libro A&R descrivono l'essenza dello sviluppo economico. Il titolo stesso del capitolo la riassume cosí: "come farsi venire un'idea, fondare un'impresa e ottenere un prestito". In Italia la principale fabbrica delle idee innovative (l'università) è appesantita da vincoli legali e gravami burocratici e ideologici; la fabbrica delle nuove imprese è ostacolata innanzitutto da ritardi culturali, nell'ordinamento giuridico e nel costume nazionale; la fabbrica della finanza per le imprese (soprattutto quelle nascenti) è strutturalmente piccola e risente pesantemente della crisi. Bisogna uscire dalla crisi rapidamente, per limitare i danni alla struttura produttiva presente. Ma bisogna al tempo stesso pensare al futuro, pensare il futuro. In questa riflessione deve trovare un posto centrale il sistema finanziario, essenziale alla vita economica come il sistema circolatorio lo è alla vita umana. Un sistema finanziario da mantenere stabile, tenendo a bada la sua naturale tendenza alla instabilità; ma da far evolvere per renderlo più adatto a sostenere il rinnovo della struttura produttiva, vitale per il nostro paese. 15

Figura 1 COMPOSIZIONE DELLE PASSIVITÀ FINANZIARIE DELLE IMPRESE (valori percentuali) Fonte: Banca d Italia per l Italia; BCE per i paesi dell area dell euro; Banca d Inghilterra per il Regno Unito; Federal Reserve System per gli Stati Uniti 16

Figura 2 CAPITALIZZAZIONE DI BORSA DELLE IMPRESE IN RAPPORTO AL PIL (valori percentuali) Fonte: elaborazioni su dati Datastream 17

Figura 3 OBBLIGAZIONI IN RAPPORTO AI DEBITI FINANZIARI DELLE IMPRESE (valori percentuali) Fonte: Banca d Italia per l Italia; BCE per i paesi dell area dell euro; Banca d Inghilterra per il Regno Unito; Federal reserve System per gli Stati Uniti 18

Figura 4 REDDITIVITÀ DELLE IMPRESE (valori percentuali) Fonte: Banca d Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi, e Istat. (1) Dati provvisori. Il MOL e il valore aggiunto sono riferiti al secondo trimestre dell anno. 19

Figura 5 INVESTIMENTI DELLE SOCIETÀ DI VENTURE CAPITAL E PRIVATE EQUITY (in percentuale del PIL) Fonte: AIFI per l'italia, AFIC per la Francia, EVCA-BVKA per la Germania e NVCA per gli Stati Uniti 20

Stampato presso la Divisione Editoria e stampa della Banca d Italia