Paradosso EPR e Disuguaglianze di Bell

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Università Cattolica del Sacro Cuore Sede di Brescia Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea di Primo Livello in Fisica Paradosso EPR e Disuguaglianze di Bell Relatore: Dott. Fausto Borgonovi Correlatore: Dott. Giuseppe Nardelli Laureando: Alessandro Raffelli mat. 3405014 Anno Accademico 007/008

Ai miei genitori e alle mie sorelle

Indice 1 Introduzione 1.1 Non separabilità quantistica................... 3 1. Insiemi puri e miscele....................... 4 1.3 Riduzione del pacchetto d onda................. 10 Paradosso EPR 1.1 Formulazione del paradosso................... 1. L esempio di Bohm - Aharonov................. 17 3 Disuguaglianze di Bell e verifiche sperimentali 0 3.1 Teorema di Bell.......................... 0 3. Gli esperimenti di Aspect.................... 33 3.3 Esperimenti recenti........................ 40 4 Conclusioni 43 1

Capitolo 1 Introduzione Fin dalla sua nascita la Meccanica Quantistica ha posto seri problemi di interpretazione, che ancora oggi sono oggetto di dibattito. La sua caratteristica fondamentale consiste nel fatto che tutto ciò che si può fare è assegnare, per ciascun possibile risultato di una singola misurazione, una probabilità che esso si verifichi. In questo senso si dice che la Meccanica Quantistica è una teoria irriducibilmente statistica. Di fronte a questo quadro teorico possiamo raggruppare i fisici in due correnti di pensiero. Secondo la prima corrente, che fa capo alla scuola di Copenhagen, l obbiettivo di una teoria fisica è la previsione dei risultati degli esperimenti. Mentre la seconda corrente privilegia l aspetto descrittivo di una teoria rispetto a quello predittivo, cioè i fisici appartenenti a tale corrente richiedono che una teoria, oltre che fornire previsioni sul comportamento di un sistema, sia soprattutto in grado di dare un immagine di ciò che accade. In particolare i sostenitori di tale punto di vista per molto tempo hanno pensato che l indeterminismo quantistico fosse segno dell incompletezza della Meccanica Quantistica stessa, rifiutando l idea che la realtà fosse non deterministica. Secondo loro questo indeterminismo nascerebbe dal fatto che la Meccanica Quantistica non tiene conto di gradi di libertà addizionali, le variabili nascoste, noti i quali la descrizione della realtà fisica sarebbe completamente deterministica. In questo contesto si inseriscono i lavori che analizzerò in questa mia tesi. Nel loro famoso lavoro del 1935, Einstein, Podolsky e Rosen dimostrano che assumendo due principi 1 il formalismo della Meccanica Quantistica porta ad una contraddizione, a meno che non si ammetta l esistenza delle variabili nascoste. Ad Einstein e collaboratori questi due principi apparvero così naturali da non poter essere messi in discussione, in realtà il dibattito 1 Principio di realtà e principio di località. Vedremo in seguito la loro formulazione.

ha mostrato che probabilmente quei due principi non sono così evidenti e naturali come sembrerebbe a prima vista. Nel 1964 Bell pubblicò un importantissimo lavoro in cui si dimostra che le teorie a variabili nascoste non possono essere equivalenti alla Meccanica Quantistica né costituirne un completamento deterministico. Infatti se esistesse una teoria deterministica e realistica e soddisfacente il principio di località allora dovrebbero esistere, in certe condizioni, dei particolari limiti alle correlazioni tra sistemi separati spazialmente. In queste condizioni prescritte da Bell la Meccanica Quantistica vìola tali limiti. Il lavoro di Bell è di fondamentale importanza ed è ancora oggi oggetto di studio e di verifiche sperimentali. I lavori più completi e famosi sono stati quelli condotti da Aspect e collaboratori i quali hanno mostrato che, in quelle regioni critiche, le correlazioni vìolano le disuguaglianze di Bell come previsto dalla Meccanica Quantistica. Quindi questi risultati sperimentali, insieme al lavoro di Bell, possono essere interpretati come la falsificazione di una visione del mondo realista, determinista e locale. Prima di analizzare in maniera dettagliata i lavori di cui ho accennato nella breve introduzione voglio introdurre alcuni concetti fondamentali che ci permetteranno di comprendere meglio l analisi seguente. 1.1 Non separabilità quantistica Quando due sistemi quantistici, ciascuno dei quali è originariamente caratterizzato da un insieme completo di proprietà definite, una volta che hanno interagito non è più possibile pensare a ciascuno di essi come dotato di un insieme completo di proprietà definite. Fondamentale è il fatto che questo continua a valere anche per sistemi che hanno interagito, ma che non interagiscono più nell istante di tempo considerato. Questo è il contenuto del concetto di non separabilità quantistica. Consideriamo U e V due ensemble di sistemi e A e B due osservabili rispettivamente di U e V. Supponiamo che all istante iniziale l insieme U sia descritto dall autofunzione a i dell operatore  appartenente allo spazio di Hilbert H (U), mentre l insieme V dallo stato b 0, autofunzione dell operatore ˆB, appartenente allo spazio H (V ). Assumiamo che l interazione tra i due Per insieme completo di proprietà definite si intende un insieme di grandezze fisiche associate solamente ad un sistema misurabili simultaneamente che assumuno valori determinati ed indipendenti da futuri esperimenti sul sistema stesso. 3

sistemi si possa descrivere nel modo seguente: a i b 0 a i b i. (1.1) In questa evoluzione lo stato iniziale e lo stato finale, appartenenti al prodotto tensoriale degli spazi associati a ciascun sistema H (U) H (V ), descrivono stati ben definiti sia per il sistema composto che per i sottoinsiemi componenti. L interazione data dalla relazione 1.1 può essere interpretata come un interazione il cui effetto è quello di cambiare il valore dell osservabile B lasciando invariato quello dell osservabile A. Supponiamo ora invece che lo stato che descrive i sistemi di U all istante iniziale non sia un autostato dell operatore Â, ma un autofunzione di un altra osservabile A il cui operatore non commuta con Â. Possiamo allora espandere tale stato sulla base degli autoket di  a i = k c ik a k. (1.) L evoluzione 1.1 può essere allora riscritta come a i b 0 k c ik a k b k. (1.3) La relazione 1.3, diversamente dalla 1.1, pone dei problemi di interpretazione. Infatti lo stato iniziale del sistema composto (U + V ) è uno stato fattorizzato, quindi ciascun sistema componente si trova in uno stato ben definito con dei precisi valori delle osservabili, mentre lo stato finale non è fattorizzato in quanto è una combinazione lineare di stati, quindi non è possibile definire per i sistemi componenti né un ket né precisi valori delle osservabili nonostante essi non siano più interagenti. Queste considerazioni portano a concludere che quando due sistemi hanno interagito nel passato non è possibile attribuire a ciascuno di essi uno stato ben definito e dei precisi valori delle osservabili compatibili associate a quel sistema. 1. Insiemi puri e miscele Dato un insieme di sistemi quantistici questo si dice essere in uno stato puro se tutti i sistemi appartenenti ad esso sono descritti da un unico stato ψ = m c m ψ m 4

dove ψ m sono i ket di un opportuna base. L insieme si dice invece miscela quando è separabile in sottoinsiemi ciascuno descritto dallo stato ψ n e rappresentante una frazione p n = c n del totale. Per meglio chiarire l argomento illustriamo un semplice esempio. Prendiamo in considerazione un fascio di atomi di argento proveniente dalla sorgente prima che sia soggetto ad un filtro di Stern e Gerlach. Per ragioni di simmetria ci attendiamo che l insieme di atomi non abbia una direzione privilegiata per gli spin e lo stato più generale che descrive tale sistema di spin 1 è dato da α = c + + + c. Tale ket di stato non può però descrivere un insieme di atomi con orientazione casuale degli spin, ma caratterizza uno stato il cui spin punta in una direzione ben definita, cioè nella direzione ˆn i cui angoli polare e azimutale θ e φ si ottengono risolvendo c + cos θ/ = c e iφ sin θ/. Allora un insieme di atomi di argento con l orientazione dello spin completamente casuale si può considerare come un insieme di atomi in cui il 50% degli elementi è descritto dal ket + e il 50% da. Possiamo allora assegnare w + = 0.5 w = 0.5 dove w + e w sono il peso di probabilità per spin up e down rispettivamente. Dobbiamo notare che i due numeri w + e w sono numeri reali che non ci danno nessuna informazione per quanto riguarda la fase relativa tra gli stati su e gli stati giù. Questa situazione si dice miscela incoerente di stati di spin up e di spin down che è chiaramente diversa dalla sovrapposizione lineare coerente, come ad esempio: 1 + + 1 dove la relazione di fase tra + e ci fornisce un informazione fondamentale per quanto riguarda l orientazione dello spin nel piano che stiamo considerando. Il concetto probabilistico associato ai due numeri w + e w è molto vicino a quello incontrato nella teoria classica della probabilità. L esempio che stiamo considerando con gli atomi di argento provenienti dalla sorgente lo possiamo assimilare alla situazione di una scolaresca in cui la metà sono maschi e l altra metà femmine. Quando prendiamo uno studente a caso la 5

probabilità che quel particolare studente sia maschio (o femmina) è 0.5. L insieme di questi atomi d argento provenienti dalla sorgente è quindi un insieme completamente casuale per quanto riguarda l orientazione dello spin e si dice che il fascio è impolarizzato. Abbiamo un esempio di insieme puro se consideriamo invece un fascio di atomi che ha subito una selezione da parte di un apparato di Stern e Gerlach. In questo caso il fascio si dice polarizzato poichè tutti gli elementi sono caratterizzati da un solo ket di stato, comune a tutti. In generale stati puri e miscele presentano comportamenti differenti per quanto riguarda i risultati delle misurazioni. Prendiamo ora in analisi alcuni casi che ci possono aiutare a chiarire meglio l argomento. Sistemi semplici Sia S un sistema quantistico e H lo spazio di Hilbert ad esso associato, che per semplicità assumiamo essere bidimensionale. Sia inoltre e i la base canonica dello spazio considerato, soddisfacente le regole di ortonormalità. Si considerino ora due insiemi ξ p e ξ m. Al primo appartengono sistemi descritti dallo stato ψ = c 1 e 1 + c e (1.4) con c 1 + c = 1 e c 1, c 0. Al secondo appartengono invece sia sistemi descritti da ψ 1 = e 1 che da ψ = e con percentuali p i = c i. Vogliamo ora calcolare le distribuzioni di probabilità relative ad una misurazione di un osservabile A effettuata sui due insiemi ξ p e ξ m. La probabilità P p (a i ) di ottenere il risultato a i da una misura effettuata sul primo insieme è data dalla norma al quadrato dello stato ψ proiettato sull autospazio relativo all autovalore a i, cioè P p (a i ) = ˆΠ i ψ (1.5) dove ˆΠ i è il proiettore sul sottospazio associato ad a i dato da ˆΠ i = a i a i. (1.6) Ora inserendo il proiettore 1.6 nella relazione 1.5 e utilizzando l espansione 1.4 per lo stato ψ otteniamo P p (a i ) = j c j a i e j a i = = j c j a i e j + j m c mc j e m a i a i e j. (1.7) 6

La probabilità P m (a i ) di ottenere il risultato a i da una misura effettuata invece sull insieme ξ m è data dalla media pesata delle probabilità di ottenere tale risultato da ciascun stato ψ j e dato che i pesi sono proprio le percentuali p j otteniamo che P m (a i ) = j p j ˆΠ i ψ j = = j c j a i e j. (1.8) Ora confrontando la 1.7 con la 1.8 vediamo che la differenza tra le distribuzioni di probabilità di stato puro e di miscela quantistica è data dai termini fuori diagonale, infatti P p (a i ) P m (a i ) = j m c mc j e m a i a i e j. (1.9) Questo dipende dal fatto che la probabilità P m (a i ) di miscela non contiene termini di interferenza presenti invece in quella di stato puro. Notiamo però che tali termini sono nulli se l osservabile A è diagonale sulla base canonica dello spazio, infatti in tal caso dato che j m si annulla almeno uno dei prodotti scalari e m a i o a i e j. Possiamo quindi concludere che con sistemi semplici stati puri e miscele quantistiche sono distinguibili a patto di effettuare misure di osservabili non diagonali sulla base scelta. Sistemi composti Siano ora S un sistema composto da due sottoinsiemi U e V e H lo spazio di Hilbert associato al sistema che è dato dal prodotto tensoriale degli spazi associati a ciascun sistema componente, che per semplicità assumiamo bidimensionali H = H (U) H (V ). Siano inoltre α e β due basi canoniche per H (U) e H (V ) rispettivamente, soddisfacenti le usuali relazioni di ortonormalità. Prendiamo ancora in considerazione due insiemi ξ p e ξ m. Supponiamo che i sistemi dello stato puro ξ p siano descritti dal ket ψ = c 1 α 1 β 1 + c α β (1.10) con c 1 + c = 1 e c 1, c 0, mentre quelli della miscela ξ m siano rappresentati da ψ 1 = α 1 β 1 p 1 = c 1 ψ = α β p = c (1.11) 7

Vogliamo ora calcolare le distribuzioni di probabilità per misurazioni di osservabili relative ad un solo componente e relative al sistema totale S. Supponiamo di fare una misura dell osservabile A (U) relativa al sottosistema U, la probabilità di ottenere l autovalore a i nel caso di stato puro è dove da ˆΠ (U) i P p (a i ) = ˆΠ (U) i ψ (1.1) è il proiettore sull autospazio di H associato all autovalore a i dato ˆΠ (U) i = a i a i Î(V ). (1.13) Inserendo la 1.13 nella 1.1, espandendo ψ secondo la 1.10 e tenendo conto delle relazioni di ortonormalità allora otteniamo P p (a i ) = j c j a i α j. (1.14) La probabilità di osservare il risultato a i nel caso di miscela è invece la media pesata della probabilità di ottenere tale valore in ciascuno degli stati che compongono la miscela: P m (a i ) = j p j ˆΠ (U) i ψ j = = j c j a i α j (1.15) che coincide con la probabilità 1.14 di stato puro. Possiamo quindi concludere che misure effettutate su un solo componente di un sistema composto stati puri e miscele quantistiche forniscono le stesse distribuzioni di probabilità e pertanto sono indistinguibili. Un esempio di misurazione di osservabili relative al sistema S è una misura di correlazione tra i valori assunti da un osservabile A (U) relativa al sottosistema U e da un osservabile B (V ) relativa al sottosistema V, cioè una misura dell osservabile Ω = A (U) B (V ). La probabilità di ottenere la coppia di autovalori a i e b j da una misura effettuata sull insieme ξ p è data dal quadrato della norma dello stato ψ proiettato sul sottospazio H relativo alla coppia di valori presa in considerazione dove ˆΠ ij è il proiettore dato da P p (a i, b j ) = ˆΠ ij ψ (1.16) ˆΠ ij = a i a i b j b j. 8

Inserendo il proiettore così definito nella relazione 1.16 otteniamo che la distribuzione di probabilità per lo stato puro è pari a: P p (a i, b j ) = k c k a i α k b j β k + k m c mc k α m a i a i α k β m b j b j β k La probabilità che una misura sulla miscela ξ m autovalori a i e b j è data da (1.17) fornisca la coppia di P m (a i, b j ) = k p k ˆΠ ij ψ k = = k c k a i α k b j β k. (1.18) Prendiamo ora la differenza tra la 1.17 e la 1.18 P p (a i, b j ) P m (a i, b j ) = k m c mc k α m a i a i α k β m b j b j β k. (1.19) Tale situazione è molto simile a quella descritta dalla relazione 1.9; infatti anche in questo caso di sistemi composti la differenza tra le distribuzioni di probabilità di stato puro e miscela quantistica è legata ai termini fuori diagonale. Stavolta però affinchè tale differenza sia nulla, e quindi stato puro e miscela siano indistinguibili, è necessario che entrambe le osservabili A (U) e B (V ) siano diagonali sulle basi canoniche di H (U) e H (V ) rispettivamente. Come esempio di sistema composto prendiamo il sistema costituito da due particelle U e V con spin 1 e consideriamo due insiemi di sistemi U + V, il primo dei quali (ξ p ) è descritto dallo stato di singoletto di spin ψ = 1 [ + U z V z U z + V z ] = 1 [ ψ 1 ψ ] (1.0) dove ± U,V z sono gli autostati di σ U z e σ V z rispettivamente. Il secondo insieme ξ m è la miscela ψ 1 = + U z V z p 1 = 1 ψ = U z + V z p = 1 (1.1) Calcoliamo ora, per entrambi gli insiemi, le distribuzioni di probabilità relative a misure di correlazione di spin lungo l asse x: P p (σ U x = +, σ V x = +) = 1 ˆΠ ψ 1 + 1 ˆΠ ψ 1 ψ ˆΠ ψ 1 1 ψ 1 ˆΠ ψ 9 (1.)

P m (σx U = +, σx V = +) = 1 ˆΠ ψ 1 + 1 ˆΠ ψ (1.3) dove ˆΠ è il proiettore sul sottospazio dello spazio di Hilbert relativo agli autovalori σ x (U,V ) = +. Ricordandoci le espressioni 1.0 per ψ 1 e ψ e utilizzando il proiettore ˆΠ è facile vedere che ˆΠ ψ 1 = ˆΠ ψ = ψ ˆΠ ψ 1 = ψ 1 ˆΠ ψ = 1 4. (1.4) Inserendo ora la 1.4 nelle 1. e 1.3 otteniamo P p (σx U = +, σx V = +) = 0 (1.5) P m (σ U x = +, σ V x = +) = 1 4 (1.6) Vediamo chiaramente che stato puro e miscela forniscono previsioni differenti per misure di correlazione, in questo esempio per misure di correlazione delle componenti lungo x degli spin le cui osservabili (σ x ) non commutano con le osservabili σ z mediante i cui autostati abbiamo costruito gli stati che descrivono ξ p e ξ m. La differenza consiste nel fatto che nello stato puro non è possibile trovare entrambi gli spin nel medesimo verso lungo l asse x, cioè abbiamo una perfetta correlazione, infatti trovando uno spin nel verso positivo dell asse x, l altro è certamente nel verso negativo. 1.3 Riduzione del pacchetto d onda Sia Ψ(x U, x V ) la funzione d onda che descrive due sistemi U e V che per un certo intervallo di tempo hanno interagito ed ora non sono più interagenti. Tale funzione d onda può essere sviluppata nell espansione Ψ(x U, x V ) = k (w k ) 1 ϕλk (x U )ξ ρk (x V ) (1.7) dove ϕ λk sono autostati di un osservabile L corrispondenti agli autovalori λ k, mentre ξ ρk sono gli autostati di un osservabile R corrispondenti agli autovalori ρ k. Sia M una qualsiasi osservabile relativa al sistema U e ψ µ una sua autofunzione corrispondente all autovalore µ, quindi possiamo sviluppare in serie la funzione d onda Ψ(x U, x V ) sulle funzioni ortogonali ψ µ Ψ(x U, x V ) = µ ψ µ (x U )ζ µ (x V ) (1.8) 10

dove i coefficienti di questo sviluppo sono funzioni di x V : ζ µ (x V ) = ψµ (x U)Ψ(x U, x V )dx U. (1.9) Le informazioni che possiamo avere sul sistema V dopo che una misura dell osservabile M sul sistema U abbia fornito il valore µ sono date dal seguente processo. Supponiamo di fare un gran numero di misurazioni sull insieme U + V ciascuna delle quali consiste nella determinazione dei valori di M per il primo sistema U e di qualche osservabile F per il sistema V. Otteniamo quindi i relativi numeri di volte che troviamo i diversi valori δ per l osservabile F contando solo quelle misure che ci forniscono il valore µ per M. Questi numeri sono per definizione proporzionali alle quantità (Ψ(x U, x V ), ψ µ (x U )χ δ (x V )) e dalla relazione 1.9 tali quantità sono uguali a (ζ µ, χ δ ). Dato che questo è valido per qualsiasi osservabile F, allora possiamo concludere che dopo che una misura sul sistema U abbia dato un valore µ per l osservabile M il sistema V è nello stato puro con funzione d onda data, a parte la normalizzazione, dalla 1.9. 11

Capitolo Paradosso EPR.1 Formulazione del paradosso Nel 1935 Einstein, Podolsky e Rosen pubblicano un importante articolo in cui i tre colleghi si chiedono se la descrizione quantomeccanica della realtà fisica possa essere considerata completa 1. In generale i concetti di una teoria fisica si possono considerare soddisfacenti se è possibile dare risposte affermative a due domande: se la teoria è corretta e se la descrizione fornita dalla teoria è completa. La correttezza di una teoria è giudicata dal grado di accordo tra le previsioni della stessa e l esperienza umana che in fisica assume la forma di esperimenti e misurazioni. Gli autori dell articolo preso in considerazione rivolgono la loro attenzione soprattutto alla seconda domanda, applicandola alla Meccanica Quantistica. Per rispondere a questa seconda domanda Einstein e colleghi introducono la condizione di completezza che stabilisce che ogni elemento della realtà fisica deve avere una controparte nella teoria fisica. Non si può però dire quali siano gli elementi della realtà fisica a partire da considerazioni filosofiche a priori, ma questi devono essere trovati facendo riferimento ai risultati di esperimenti e misure. Non volendo comunque dare una definizione di realtà Einstein, Podolsky e Rosen formulano il principio di realtà: se, senza disturbare in nessun modo un dato sistema, è possibile prevedere con certezza, cioè con probabilità unitaria, il valore di una grandezza fisica, allora esiste un elemento della realtà fisica corrispondente a tale quantità fisica. Sappiamo che il concetto fondamentale nella Meccanica Quantistica è il 1 L articolo che sto per analizzare è intitolato Can Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete?. A. Einstein, B. Podolsky and N. Rosen, Phys. Rev. 47, 777 (1935). Si dice anche che alla grandezza corrisponde una proprietà oggettiva del sistema, cioè una proprietà indipendente da osservatori esterni. 1

concetto di stato che è completamente caratterizzato dalla funzione d onda ψ, che è funzione delle variabili scelte per descrivere il comportamento della particella. Se ψ è un autofunzione dell operatore Â3, cioè se Âψ = aψ (.1) allora la grandezza fisica A possiede con certezza il valore a ogniqualvolta la particella è descritta dalla funzione d onda ψ. Quindi in accordo con il principio di realtà, per tale particella, esiste un elemento della realtà fisica corrispondente alla grandezza A. Sia per esempio ψ = e i p 0x (.) dove p 0 è una costante e x una variabile indipendente. Dato che l operatore associato al momento di una particella è ˆp = i x allora otteniamo che la particella nello stato dato dalla. ha un momento pari a p 0 con certezza, infatti ˆpψ = i ψ x = p 0ψ. (.3) Quindi il momento della particella è reale. Se invece non valesse l equazione.1 non potremmo dire che la quantità A abbia un certo valore. Nel nostro esempio questo è il caso per la posizione della particella alla quale è associato l operatore di moltiplicazione ˆx, quindi: ˆxψ = xψ aψ. (.4) Secondo la Meccanica Quantistica possiamo solo stabilire la probabilità che una misura della posizione fornisca un valore compreso tra a e b, cioè P (a, b) = b a ψ ψdx = b a dx = b a. (.5) Pertanto non possiamo predire con certezza la posizione della particella nello stato., ma dobbiamo determinarla con una misura diretta. Sappiamo però, dalla teoria quantistica della misura, che tale misurazione disturba la fisica. 3 Ad ogni operatore hermitiano in Meccanica Quantistica è associata un osservabile 13

particella alterandone lo stato 4. Quindi giungiamo alla conclusione che se conosciamo con certezza il momento di una particella, la sua posizione non possiede realtà fisica. In generale questo vale per tutte le osservabili incompatibili, cioè quelle osservabili i cui operatori non commutano. Tutte queste considerazioni hanno portato Einstein e colleghi a due alternative: 1. la descrizione quantomeccanica della realtà data dalla funzione d onda non è completa;. quando gli operatori associati a due grandezze fisiche non commutano tali grandezze non possono avere realtà simultanea. Queste alternative sono necessarie poichè se entrambe le grandezze avessero valori ben definiti, e quindi realtà simultanea, questi valori entrerebbero nella descrizione completa in accordo con la condizione di completezza. Perciò se la funzione d onda descrivesse in maniera completa la realtà dovrebbe contenere questi valori che sarebbero allora predicibili, ma non è questa la situazione in cui ci troviamo. Einstein, Podolsky e Rosen dimostrano che assumendo, come in Meccanica Quantistica, che la funzione d onda contenga tutte le informazioni relative ad un sistema fisico si giunge ad una contraddizione. In questa loro argomentazione entrano in gioco il principio di realtà, formulato in precedenza, e il principio di località per il quale dati due sistemi fisici che restano isolati tra loro per un certo intervallo di tempo, l evoluzione delle proprietà fisiche di uno di essi durante tale intervallo temporale non può essere influenzata in alcun modo da operazioni eseguite sull altro. Supponiamo di avere due sistemi I e II, di cui conosciamo gli stati prima dell istante iniziale, che hanno interagito per un certo intervallo di tempo dopo il quale non vi è più nessuna interazione. Indichiamo con Ψ la funzione d onda del sistema composto I+II che possiamo calcolare in ogni istante di tempo successivo all interazione grazie all equazione di Schrödinger. Per calcolare invece lo stato in cui si trova ciascun sistema dopo l interazione dobbiamo utilizzare il metodo di riduzione del pacchetto d onda 5. Sia A un osservabile fisica relativa al sistema I con i suoi autovalori a n a cui corrispondono le autofunzioni u n (x 1 ). Possiamo allora riscrivere la funzione Ψ 4 Dopo la misura della posizione della particella questa non si troverà più nello stato dato dalla., ma in un autostato della posizione. 5 Il processo di tale metodo è descritto nella sezione 1.3 della tesi. 14

come Ψ(x 1, x ) = ψ n (x )u n (x 1 ). (.6) n=1 Se misuriamo la quantità A e otteniamo un valore a k allora il primo sistema si troverà nello stato dato dalla funzione d onda u k (x 1 ), mentre il secondo sistema nello stato descritto da ψ k (x ). Abbiamo quindi ridotto il pacchetto d onda dato dalla serie.6 in un singolo termine ψ k (x )u k (x 1 ). Invece di scegliere la grandezza A ne possiamo considerare un altra, diciamo B, sempre relativa al sistema I, con autofunzioni v s (x 1 ) a cui corrispondono gli autovalori b s e l espansione.6 la possiamo riscrivere in questo modo Ψ(x 1, x ) = ϕ s (x )v s (x 1 ). (.7) s=1 Se ora facciamo una misura della grandezza B trovando il risultato b r avremo che il primo sistema è descritto dalla funzione v r (x 1 ), mentre il secondo da ϕ r (x ). Quindi abbiamo visto che dopo due diverse misure sul sistema I, il sistema II può trovarsi in stati dati da due diverse funzioni d onda. Tuttavia, dato che i due sistemi non sono più interagenti, il secondo sistema non può subire nessun cambiamento reale in seguito a qualsiasi operazione che avviene sul primo. Dunque è possibile assegnare due diverse funzioni d onda, ψ k e ϕ r, ad una stessa realtà, cioè il secondo sistema. Può succedere che queste due funzioni siano autofunzioni di due osservabili incompatibili, come nell esempio proposto dai tre fisici. Supponiamo che i due sistemi siano due particelle e che la funzione d onda che descrive lo stato del sistema composto sia Ψ(x 1, x ) = + e i (x 1 x +x 0 )p dp (.8) dove x 0 è una costante. Sia P 1 il momento della prima particella, allora come visto nell equazione.3 la sua autofunzione è u p (x 1 ) = e i px 1 (.9) corrispondente all autovalore p. Chiaramente, dato che il momento ha uno spettro continuo, l espansione.6 dovra essere riscritta in questo modo: Ψ(x 1, x ) = + ψ p (x )u p (x 1 )dp (.10) 15

dove ψ p (x ) = e i (x 0 x )p (.11) è l autofunzione del operatore ˆP associato al momento della seconda particella, corrispondente all autovalore p. Sia invece ora X 1 la posizione della prima particella, la cui autofunzione, corrispondente all autovalore x, è In questo caso l equazione.7 diventa con ϕ x (x ) = Ψ(x 1, x ) = + v x (x 1 ) = δ(x 1 x). (.1) + ϕ x (x )v x (x 1 )dx (.13) e i (x x +x 0 )p dp = π δ(x x x 0 ) (.14) autofunzione dell operatore associato alla posizione della seconda particella con autovalore x + x 0. A questo punto si vede il paradosso EPR 6. Infatti abbiamo visto che misurando P 1 o X 1 siamo in grado di predire, senza disturbare in alcun modo la seconda particella, il valore del suo momento o della sua posizione. In accordo con il principio di realtà quindi nel primo caso dobbiamo considerare la quantità P come elemento di realtà fisica, nel secondo caso è invece X l elemento di realtà. Tuttavia sappiamo, dalle considerazioni generali, che le funzioni ψ p e ϕ x descrivono la stessa realtà. Con le considerazioni precedenti i tre colleghi arrivarono a due alternative: o (1) la descrizione quantomeccanica della realtà fisica non può essere considerata completa o () quando gli operatori relativi a due quantità fisiche non commutano queste non possono avere realtà simultanea. Assumendo che la funzione d onda descriva in maniera completa la realtà fisica, Einstein, Podolsky e Rosen giunsero alla conclusione che due grandezze fisiche incompatibili possono avere una realtà simultanea. Pertanto la negazione della (1) porta alla conseguente negazione dell altra alternativa () e ciò porta a negare la completezza della descrizione della realtà data dalla funzione d onda. 6 EPR sta per Einstein, Podolsky, Rosen. 16

. L esempio di Bohm - Aharonov In questa parte prenderò in considerazione la derivazione del paradosso EPR seguendo un esempio ideato da Bohm e Aharonov 7, in cui si esamina un sistema quantistico dal punto di vista delle sue variabili di spin. Il vantaggio di adottare un esempio di questo tipo sta nel fatto che lo spazio di spin è finito, e quindi consente una semplice trattazione del problema, ed inoltre la formulazione teorica del problema è molto vicina a situazioni sperimentali che sono state verificate 8. Si consideri una molecola con spin totale nullo costituita da due atomi U e V aventi spin 1. La funzione d onda che descrive lo stato di singoletto di tale sistema è data da ψ = 1 [ + U z V z U z + V z ] (.15) dove per ± U z e ± V z si intende lo stato della prima e della seconda particella rispettivamente avente spin ± nella direzione lungo l asse z. Supponiamo che nell istante di tempo t 0 i due atomi vengano separati con un metodo che non influenzi lo spin totale. Quando le due particelle si trovano ad una distanza sufficiente da non permettere l interazione tra esse, diciamo nell istante t 1, decidiamo di misurare una qualsiasi componente dello spin della prima particella. Allora, dato che lo spin totale resta nullo, possiamo concludere immediatamente che il valore della stessa componente dello spin della seconda particella è opposto al risultato ottenuto per l atomo U. Questo significa che le due particelle hanno gli spin perfettamente correlati, cioè la misura di una componente dello spin della particella U ci permette di conoscere con certezza il valore della stessa componente dello spin della particella V, che sarà opposto. Con la Meccanica Quantistica sorge una difficoltà perchè solo una componente dello spin di ciascun atomo può avere un valore ben definito. Infatti se misuriamo per esempio la componente lungo l asse z, le restanti componenti dello spin saranno invece indeterminate, cioè non vi sarà nessuna correlazione tra di esse. Ipotizziamo di misurare nell istante t 1 la componente z dello spin della 7 D. Bohm and Y. Aharonov, Phys. Rev. 108, 1070 (1957). 8 Bohm e Aharonov in una parte del loro articolo trattano lo studio di polarizzazione di fotoni correlati che vengono prodotti dall annichilazione di una coppia positrone-elettrone. In questo processo di annichilazione vengono emessi simultaneamente due fotoni aventi momento opposto e stati di polarizzazione uno perpendicolare all altro. Essi mostrarono che la funzione d onda per i due fotoni rassomiglia a quella per gli spin di una coppia di elettroni. 17

particella U e fissiamo l attenzione sui sistemi ξ + per cui la misura fornisce il risultato +. Il metodo di riduzione del pacchetto d onda ci dice che tale ensemble è descritto dallo stato + U z V z che è separabile nei due sottoinsiemi costituiti dalla prima particella con σz U = +1 e dall altra particella con σz V = 1. Questo significa che una misura nell istante di tempo t > t 1 della componente lungo z dello spin della particella V ci fornisce il risultato con probabilità unitaria. Il principio di realtà e l equazione di Schrödinger ci portano ad affermare che σz V è una proprietà oggettiva sia nell istante t che in qualunque istante di tempo t 1 compreso tra t 1 e t. Tuttavia i due atomi sono separati e non più interagenti, quindi l applicazione del principio di località porta ad ammettere che σz V = 1 è una proprietà fisica della seconda particella appartenente al sistema ξ + anche nell istante t 1 e in qualsiasi istante temporale t 0 < t 1 < t 1. Le due situazioni sono però differenti in quanto all istante t 1 l osservatore conosce il valore di σz V grazie alla correlazione con σz U, mentre non lo conosce ancora nell istante t 1. Se si assume la completezza della Meccanica Quantistica è necessario ammettere che all istante di tempo t 1 il sistema è separato nei due sottosistemi ξ + e ξ e quindi non più descritto dallo stato di singoletto.15, ma dalla miscela ψ 1 = + U z V z p 1 = 1 ψ = U z + V z p = 1 (.16) Come ho mostrato nella sezione 1. stati puri e miscele forniscono previsioni differenti per misure di correlazione e quindi abbiamo una situazione paradossale. Inizialmente abbiamo assunto il sistema nello stato di singoletto.15 e abbiamo mostrato che in realtà tale stato è la miscela.16, che fisicamente è diverso dallo stato puro.15. Il paradosso nasce dall assunzione di tre ipotesi: principio di realtà; principio di località; completezza della Meccanica Quantistica. Lasciando cadere una di queste assunzioni il paradosso EPR si risolve perchè il ragionamento deduttivo che porta da stato puro a miscela si interrompe. Einstein, Podolsky e Rosen ritengono i primi due principi naturali ed evidenti e quindi giungono alla conclusione dell incompletezza della Meccanica 18

Quantistica. Bohr, per cercare di superare il paradosso EPR, propose il concetto di complementarietà 9. Secondo Bohr non siamo in presenza di una descrizione incompleta dovuta alla scelta di alcuni elementi della realtà fisica a discapito di altri, ma siamo davanti ad una discriminazione razionale tra diversi apparati sperimentali e diverse procedure di misura. Esiste cioè un influenza sulle condizioni che definiscono le predizioni del comportamento di un sistema e queste condizioni costituiscono una parte della realtà fisica, infatti la rinuncia in ciascun apparato di misurazione di uno o dell altro aspetto 10 della descrizione dei fenomeni fisici dipende essenzialmente dall incapacità di controllare l interazione tra gli oggetti osservati e gli apparati strumentali. 9 N. Bohr, Phys. Rev. 48, 696 (1935). 10 In questo senso si possono dire complementari. 19

Capitolo 3 Disuguaglianze di Bell e verifiche sperimentali Nel capitolo precedente, attraverso l analisi del lavoro di Einstein, Podolsky e Rosen, abbiamo visto come la descrizione della realtà data dalla Meccanica Quantistica non sarebbe completa. La formulazione di una teoria a variabili nascoste potrebbe costituire un completamento della teoria quantomeccanica portando in questo modo ad una visione determinista del mondo. Bell si rende conto che effettivamente esiste la possibilità di prendere in considerazione completamenti deterministici della Meccanica Quantistica, a costo però di pagare un prezzo piuttosto alto. In questo capitolo analizzerò il lavoro di Bell del 1964 1 e una serie di verifiche sperimentali delle sue disuguaglianze. 3.1 Teorema di Bell Seguendo l esempio di Bohm e Aharonov consideriamo una coppia di particelle con spin 1 in moto libero in direzioni opposte e formanti un sistema nello stato di singoletto di spin. Possiamo effettuare misure degli spin σ 1 e σ lungo direzioni selezionate mediante, per esempio, magneti del tipo di Stern e Gerlach. Secondo la Meccanica Quantistica se la misura della componente σ 1 â, dove â è un vettore unitario, fornisce il valore +1, allora la misura di σ â fornirà con certezza il valore 1. Introduciamo ora il principio di località formulato da Einstein, secondo il quale se le due misure vengono effettuate in luoghi distanti uno dall altro, allora l orientazione di un magnete non influenza il risultato ottenuto dall altro. Dunque, dato che siamo in grado di prevedere il risultato della misura 1 J. S. Bell, Physics (N.Y.) 1, 195 (1964). 0

di una qualsiasi componente di σ dopo aver misurato la stessa componente di σ 1, tale risultato deve essere predeterminato. Tale predeterminazione implica la possibilità di una specificazione più completa dello stato di un sistema effettuata per mezzo di parametri λ. Allora il risultato A della misura di σ 1 â è determinato dal vettore â e dal parametro λ, allo stesso modo il risultato B della misura di σ ˆb è determinato da λ e dal vettore unitario ˆb e abbiamo che A(â, λ) = ±1 B(ˆb, λ) = ±1 (3.1) Il principio di località, fondamentale nell argomentazione di Einstein, Podolsky e Rosen, implica che il risultato B non dipende da â e viceversa A non dipende da ˆb. Sia ρ(λ) la distribuzione di probabilità del parametro λ, che abbiamo assunto essere singolo e continuo, allora il valore di aspettazione del prodotto delle due componenti σ 1 â e σ ˆb è: P (â, ˆb) = dλρ(λ)a(â, λ)b(ˆb, λ). (3.) Questo valore dovrebbe eguagliare quello quantomeccanico, che per lo stato di singoletto è: σ 1 â σ ˆb = â ˆb. (3.3) Nel suo lavoro Bell giungerà però alla conclusione che questa uguaglianza non è possibile. Siccome ρ(λ) è una distribuzione di probabilità, essa risulta essere normalizzata dλρ(λ) = 1. (3.4) Dato che valgono le relazioni 3.1, la 3. non può essere minore di 1, valore che viene raggiunto solo quando â = ˆb se e la 3. diventa P (â, ˆb) = A(â, λ) = B(â, λ) (3.5) dλρ(λ)a(â, λ)a(ˆb, λ). (3.6) Sia ora ĉ un altro vettore unitario, usando le 3.1 ne segue P (â, ˆb) [ ] P (â, ĉ) = dλρ(λ) A(â, λ)a(ˆb, λ) A(â, λ)a(ĉ, λ) = [ ] = dλρ(λ)a(â, λ)a(ˆb, λ) A(ˆb, λ)a(ĉ, λ) 1 1

da cui P (â, ˆb) P (â, ĉ) [ ] dλρ(λ) 1 A(ˆb, λ)a(ĉ, λ). Ricordando la definizione 3.6, il secondo termine del membro di destra è pari a P (ˆb, ĉ), quindi 1 + P (ˆb, ĉ) P (â, ˆb) P (â, ĉ). (3.7) In generale il membro di destra di questa disuguaglianza è dell ordine di ˆb ĉ per piccoli valori di ˆb ĉ, dunque il valore P (ˆb, ĉ) non può essere stazionario al valore minimo e pertanto non può eguagliare il risultato dela Meccanica Quantistica 3.3. Dimostriamo ora che d altra parte nemmeno la correlazione quantomeccanica 3.3 può essere approssimata in maniera arbitrariamente precisa dalla 3.. Invece delle relazioni 3. e 3.3 consideriamo le medie P (â, ˆb) â ˆb e supponiamo che per qualsiasi vettore unitario â e ˆb la differenza tra le due medie sia limitata superiormente P (â, ˆb) + â ˆb ε. (3.8) Il nostro obbiettivo sarà quello di dimostrare che tale ε non può essere reso piccolo a piacere. Ipotizziamo ora che per ogni â e ˆb valga anche Allora â ˆb â ˆb δ. (3.9) P (â, ˆb) + â ˆb P (â, ˆb) + â ˆb + â ˆb â ˆb ε + δ. (3.10) Dalla 3. P (â, ˆb) = dλρ(λ)a(â, λ)b(ˆb, λ) (3.11) dove A(â, λ) 1 B(ˆb, λ) 1. (3.1) Utilizzando le 3.10 e 3.11, con â = ˆb otteniamo [ ] dλρ(λ) A(ˆb, λ)b(ˆb, λ) + 1 ε + δ. (3.13) Il valore minimo che può essere raggiunto è pari a 1 per ˆb = ĉ.

Prendendo ora in considerazione un altro vettore unitario ĉ e ricordando la definizione 3.11 abbiamo [ ] P (â, ˆb) P (â, ĉ) = dλρ(λ) A(â, λ)b(ˆb, λ) A(â, λ)b(ĉ, λ) = [ ] = dλρ(λ)a(â, λ)b(ˆb, λ) 1 + A(ˆb, λ)b(ĉ, λ) [ ] dλρ(λ)a(â, λ)b(ĉ, λ) 1 + A(ˆb, λ)b(ˆb, λ). Usando le due condizioni 3.1 [ ] P (â, ˆb) P (â, ĉ) dλρ(λ) 1 + A(ˆb, λ)b(ĉ, λ) + [ ] dλρ(λ) 1 + A(ˆb, λ)b(ˆb, λ). Pertanto dalle 3.11 e 3.13 P (â, ˆb) P (â, ĉ) 1 + P (ˆb, ĉ) + ε + δ. Infine utilizzando la disuguaglianza 3.10 abbiamo cioè â ĉ â ˆb (ε + δ) 1 ˆb ĉ + (ε + δ) 4(ε + δ) â ĉ â ˆb + ˆb ĉ 1. (3.14) Se prendiamo per esempio â ĉ = 0 e â ˆb = ˆb ĉ = 1 allora la 3.14 ci dice che 4(ε + δ) 1 cioè non è possibile rendere ε arbitrariamente piccolo nonostante δ assuma valori finiti piccoli. Dunque il valore quantomeccanico dato dalla 3.3 non può essere rappresentato nella forma 3.. Proviamo ora a ricavare la disuguaglianza di Bell utilizzando un semplice modello creato da E.P.Wigner. Quando abbiamo un grande numero di sistemi a spin 1 attribuiamo ad una certa frazione di essi la seguente proprietà: - se si misura σ z si ottiene con certezza il valore +1; - se si misura σ x si ottiene con certezza il valore 1. 3

Una particella che soddisfa tale proprietà è del tipo ẑ+; ˆx. Notiamo comunque che in questo modo non stiamo dicendo di poter misurare simultaneamente le due componenti dello spin, ma stiamo assegnando definite componenti di spin in più direzioni sottointendendo che solo l una o l altra può essere effettivamente misurata. Vediamo ora come questo modello può rendere conto delle misure di correlazione di spin eseguite su sistemi compositi nello stato di singoletto di spin. Chiaramente per una particolare coppia di particelle deve esserci una perfetta predeterminazione tra la particella 1 e la particella in modo che il momento angolare totale sia nullo. I risultati delle misure di correlazione previsti dalla Meccanica Quantistica vengono riprodotti se le particelle sono predeterminate nel seguente modo: particella 1 particella ẑ+; ˆx ẑ+; ˆx+ ẑ ; ˆx+ ẑ ; ˆx ẑ ; ˆx+ ẑ ; ˆx ẑ+; ˆx ẑ+; ˆx+ con uguali popolazioni, cioè 5% ognuna. Supponiamo che una coppia particolare appartenga al primo tipo della tabella e che il primo osservatore decida di misurare σ z della particella 1. Allora otterrà sicuramente il risultato +1 indipendentemente dalla misura effettuata dal secondo osservatore sulla particella. In questo senso il modello che stiamo considerando contiene il principio di località di Einstein: il risultato della misura del primo osservatore è predeterminato indipendentemente da cosa l altro decida di misurare. Questo modello ha avuto successo nel predire i risultati quantomeccanici negli esempi considerati fino ad ora. Vediamo qui invece situazioni più complesse in cui il modello porta a predizioni differenti. Consideriamo tre vettori unitari â, ˆb e ĉ e immaginiamo che una delle due particelle sia del tipo, per esempio, â ; ˆb+; ĉ+. Ciò significa che se si misura σ â si ottiene con certezza il valore 1, la misura σ ˆb fornisce sicuramente il valore +1, analogamente alla misura di σ ĉ. Anche in questo caso ci deve essere una perfetta predeterminazione nel senso che l altra particella dovrà essere del tipo â+; ˆb ; ĉ per assicurare un momento angolare 4

nullo. Otteniamo quindi una situazione descritta dalla tabella seguente in cui abbiamo le diverse possibilità di coppia per le due particelle popolazione particella 1 particella N 1 â+; ˆb+; ĉ+ â ; ˆb ; ĉ N â+; ˆb+; ĉ â ; ˆb ; ĉ+ N 3 â+; ˆb ; ĉ+ â ; ˆb+; ĉ N 4 â+; ˆb ; ĉ â ; ˆb+; ĉ+ N 5 â ; ˆb+; ĉ+ â+; ˆb ; ĉ N 6 â ; ˆb+; ĉ â+; ˆb ; ĉ+ N 7 â ; ˆb ; ĉ+ â+; ˆb+; ĉ N 8 â ; ˆb ; ĉ â+; ˆb+; ĉ+ Le otto possibilità scritte nella tabella sono mutuamente esclusive e disgiunte. Supponiamo che il primo osservatore trovi che σ 1 â sia pari a +1, mentre il secondo osservatore ottenga ancora +1 per σ ˆb. Dalla tabella scritta in precedenza è chiaro che la coppia appartiene al tipo 3 o al tipo 4 e dunque il numero di coppie per cui si verificano queste misure è N 3 + N 4. Dato che i numeri N i che rappresentano le popolazioni per ciascun tipo sono semidefiniti positivi abbiamo una disuguaglianza di questo genere N 3 + N 4 (N + N 4 ) + (N 3 + N 7 ). (3.15) Definiamo P (â+; ˆb+) la probabilità che in una scelta casuale il primo osservatore misuri +1 per σ 1 â e il secondo osservatore ottenga +1 per una misura di σ ˆb. Ovviamente avremo P (â+; ˆb+) = N 3 + N 4 8 i=1 N i (3.16) e similmente P (â+; ĉ+) = N + N 4 8 i=1 N i P (ĉ+; ˆb+) = N 3 + N 7 8 i=1 N i (3.17) 5

La condizione 3.15 diventa allora P (â+; ˆb+) P (â+; ĉ+) + P (ĉ+; ˆb+) (3.18) Questa è la disuguaglianza di Bell che segue dal principio di località di Einstein. Caratterizziamo ora tutti i singoletti di spin con lo stesso ket ψ = 1 ( ẑ+; ẑ ẑ ; ẑ+ ) senza parlare di frazioni di coppie di particelle che appartengono ad un tipo o ad un altro. Con queso ket e con le usuali regole della Meccanica Quantistica possiamo calcolare in modo univoco ciascun termine della disuguaglianza 3.18. Valutiamo prima di tutto la probabilità P (â+; ˆb+). Supponiamo che il primo osservatore misuri σ 1 â positvo, allora per la correlazione al 100% le misure da parte del secondo osservatore di σ â forniranno sicuramente un risultato negativo. Per valutare P (â+; ˆb+) dobbiamo però considerare un nuovo asse di quantizzazione ˆb, lungo il quale il secondo osservatore misura lo spin della particella, e formante un angolo θ ab con il vettore â. Figura 3.1: In figura una possibile orientazione delle direzioni lungo le quali scegliamo di misurare lo spin delle particelle che costituiscono la coppia. Grazie al formalismo delle rotazioni finite applicate a sistemi di spin 1 riusciamo a derivare la probabilità che la misura di σ ˆb dia un risultato positivo quando è noto che la particella si trova nell autoket di σ â corrispondente all autovalore negativo. Essa è pari a cos [ π θab ] 6 = sin ( θab ).

Otteniamo quindi P (â; ˆb) = 1 ( ) θab sin (3.19) dove abbiamo inserito il fattore 1 dal momento che dobbiamo tener conto della probabilità di ottenere inizialmente σ 1 â con valore positivo. Possiamo generalizzare la 3.19 agli altri termini della 3.18 che può essere riscritta nel seguente modo: ( ) sin θab ( ) ( ) sin θac + sin θcb. (3.0) Dal punto di vista geometrico la disuguaglianza 3.0 non è però sempre possibile. Infatti supponiamo che i tre vettori â, ˆb e ĉ siano complanari e che θ ab = θ θ ac = θ cb = θ. Allora la 3.0 è violata per 0 < θ < π. Pertanto le predizioni della Meccanica Quantistica non sono compatibili con la disuguaglianza di Bell. Generalizzazione del teorema di Bell Clauser, Horne, Shimony e Holt generalizzarono le disuguaglianze di Bell in modo da poter essere applicate ad esperimenti realizzabili 3. Infatti tali disuguaglianze 4 sono basate su una combinazione di quattro coefficienti di correlazione di polarizzazione misurati in quattro diverse orientazioni dei polarizzatori. Consideriamo un ensemble di coppie correlate di particelle che si muovono in due direzioni opposte in modo tale che una entri nell apparato I a e l altra nell apparato II b in ciascuno dei quali una particella ha la possibilità di selezionare uno di due canali identificati con ±1. I risultati di tali raccolte sono rappresentati da due funzioni A(a, λ) e B(b, λ), dove λ sono le variabili nascoste che contengono l informazione grazie alla quale abbiamo la correlazione tra i risultati, mentre a e b sono i parametri variabili dei due apparati di misurazione. Definiamo la funzione di correlazione come E(a, b) = dλρ(λ)a(a, λ)b(b, λ) (3.1) Γ 3 J. F. Clauser, M. A. Horne, A. Shimony and R. A. Holt, Phys. Rev. Lett. 3, 880 (1969). 4 Queste disuguaglianze sono dette di BCHSH (Bell, Clauser, Horne, Shimony, Holt). 7

dove Γ è lo spazio totale delle variabili nascoste λ. Utilizzando la definizione 3.1 abbiamo E(a, b) E(a, c) dλρ(λ) A(a, λ)b(b, λ) A(a, λ)b(c, λ) = Γ = dλρ(λ) A(a, λ)b(b, λ) [1 B(b, λ)b(c, λ)] = Γ = dλρ(λ) [1 B(b, λ)b(c, λ)] = Γ = 1 dλρ(λ)b(b, λ)b(c, λ). (3.) Γ Supponiamo che per qualche parametro b abbiamo E(b, b) = 1 δ, dove 0 δ 1. Ipotizziamo inoltre δ 0, che costituisce il caso sperimentalmente più interessante. Ora se dividiamo la regione Γ in due parti Γ ± = {λ A(b, λ) = ±B(b, λ)}, abbiamo Γ dλρ(λ) = 1 δ. Pertanto dλρ(λ)b(b, λ)b(c, λ) = Γ = dλρ(λ)a(b, λ)b(c, λ) dλρ(λ)a(b, λ)b(c, λ) Γ Γ E(b, c) dλρ(λ) A(b, λ)b(c, λ) = E(b, c) δ = Γ e quindi = E(b, c) + E(b, b) 1 (3.3) E(a, b) E(a, c) E(b, b) E(b, c). (3.4) Sperimentalmente l apparato di misurazione potrebbe essere costituito da un filtro seguito da un rilevatore e quindi i valori ±1 corrispondono alla rilevazione o alla non-rilevazione delle particelle, in questo modo possiamo verificare la disuguaglianza 3.4 applicandola direttamente ad esperimenti di conteggio. Se utilizziamo dei fotoni però questa modalità non porta ad una vera e propria verifica della 3.4 perchè i fotomoltiplicatori hanno un efficienza più piccola. Possiamo dunque interpretare A(a, λ) = ±1 e B(b, λ) = ±1 come l uscita o la non-uscita dei fotoni dai ripettivi filtri, che potrebbero essere dei polarizzatori lineari. Introduciamo a questo punto un ulteriore parametro, indicato con, che rappresenta la rimozione dell apparato di misurazione e chiaramente avremo 8

A( ) e B( ) uguali a +1. Facciamo poi un altra ipotesi secondo la quale se una coppia di fotoni emerge dai due polarizzatori I a e II b la probabilità della loro rilevazione congiunta è indipendente dai parametri a e b. Così se il flusso di fotoni all interno dei due polarizzatori è costante e indipendente da a e b allora il conteggio di coincidenze R(a, b) è proporzionale a w(a(a) +, B(b) + ), dove w(a(a) ±, B(b) ± ) è la probabilità che A(a) = ±1 e B(b) = ±1. Ponendo R 0 = R(, ) R 1 (a) = R(a, ) R (b) = R(, b) e utilizzando le formule E(a, b) = w(a(a) +, B(b) + )+w(a(a), B(b) ) w(a(a) +, B(b) ) w(a(a), B(b) + ) w(a(a) +, B( ) + ) = w(a(a) +, B(b) + ) + w(a(a) +, B(b) ) w(a( ) +, B(b) + ) = w(a(a) +, B(b) + ) + w(a(a), B(b) + ) w(a( ) +, B( ) + ) = E(a, b) + w(a(a) +, B(b) ) + w(a(a), B(b) + ) otteniamo E(a, b) = 4R(a, b) R 0 R 1(a) R 0 R (b) R 0 + 1. (3.5) Supponendo infine che R 1 (a) e R (b) siano delle costanti R 1 e R trovabili sperimentalmente, a questo punto siamo in grado di riscrivere la disuguaglianza 3.4 in termini di quantità sperimentali R(a, b) R(a, c) + R(b, b) + R(b, c) R 1 R 0. (3.6) Gedankenexperiment di Einstein, Podolsky, Rosen, Bohm Rivediamo ora il percorso che ci ha portati fino alle disuguaglianze di Bell partendo dal gedankenexperiment di Einstein, Podolsky, Rosen e Bohm. Nella versione ottica dell esperimento concettuale di Einstein, Podolsky e Rosen, dovuta a Bohm, una sorgente emette coppie di fotoni in uno stato simile a quello di singoletto per una coppia di particelle a spin 1. Quindi possiamo dire che lo stato che descrive la polarizzazione dei due fotoni è dato dal ket Ψ(ν 1, ν ) = 1 ( x, x + y, y ) (3.7) 9

Figura 3.: Apparato sperimentale dell esperimento concettuale di Einstein, Podolsky e Rosen. Due particelle di spin 1 (o due fotoni) in uno stato di singoletto (o in uno stato simile) vengono separate e vengono misurate le componenti di spin (o le polarizzazioni lineari) lungo â e ˆb. Sappiamo che la Meccanica Quantistica prevede delle forti correlazioni tra queste misure. dove x e y sono stati di polarizzazione lineare, mentre ν 1 e ν sono le diverse frequenze dei due fotoni emessi che propagano in due direzioni opposte. Una volta che i due fotoni sono separati supponiamo di effettuare delle misure di polarizzazione lineare tramite due polarizzatori ognuno seguito da due rilevatori. Il polarizzatore I, che prendiamo orientato lungo la direzione â, fornirà i risultati +1 o 1 a seconda che la polarizzazione del fotone sia rispettivamente parallela o perpendicolare alla direzione scelta per il polarizzatore. Allo stesso modo agisce il polarizzatore II che ipotizziamo essere orientato lungo ˆb. Sappiamo che la Meccanica Quantistica prevede delle correlazioni tra le misure che possiamo effettuare sui due fotoni. Per misure singole è previsto P (â+) = P (â ) = 1 P (ˆb+) = P (ˆb ) = 1 dove P (â±) è la probabilità di ottenere il risultato ±1 per una misura sul fotone ν 1 e analogamente P (ˆb±) è la probabilità di ottenere ±1 per il fotone ν. Per misure in coincidenza invece la Meccanica Quantistica prevede P (â+, ˆb+) = P (â, ˆb ) = 1 cos θ ab P (â+, ˆb ) = P (â, ˆb+) = 1 sin θ ab 30