Calibrazione di un rivelatore a scintillatore liquido con sorgenti radioattive

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Università degli Studi di Napoli Federico II Scuola Politecnica e delle Scienze di Base Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Dipartimento di Fisica Ettore Pancini Laurea triennale in Fisica Tesi sperimentale Calibrazione di un rivelatore a scintillatore liquido con sorgenti radioattive Relatori: Prof. Giuliana Fiorillo Dott. Biagio Rossi Candidato: Chiara Errico Matricola N85/501 A.A. 2015/2016

Indice Introduzione 3 1 Interazione radiazione-materia 5 1.1 Particelle cariche......................... 5 1.2 Fotoni............................... 6 1.2.1 Effetto fotoelettrico.................... 7 1.2.2 Scattering Compton................... 8 1.2.3 Produzione di coppie................... 10 1.3 Meccanismi di scintillazione................... 11 1.3.1 Scintillatori organici................... 12 2 Rivelazione di luce 15 2.1 Caratteristiche generali di un rivelatore............. 15 2.1.1 Sensibilità......................... 16 2.1.2 Risposta temporale.................... 16 2.1.3 Pulse shape discrimination................ 17 2.2 Risoluzione in energia....................... 18 2.3 Caratterizzazione di un PMT.................. 19 2.4 Guadagno del PMT........................ 21 3 Apparato sperimentale e analisi dei dati 23 3.1 Descrizione dell apparato sperimentale............. 23 3.2 Partitore di tensione del PMT.................. 27 3.3 Misure di spettro di singolo fotone................ 28 3.4 Calibrazione del rivelatore.................... 35 3.4.1 Linearità e risoluzione in energia............ 40 Conclusioni 44 2

Bibliografia 45 3

Introduzione Lo scopo del presente lavoro di tesi è la calibrazione di un rivelatore a scintillatore liquido: l EJ-309 della SCIONIX Holland che ha come solvente lo Xilene. Questo rivelatore verrà utilizzato in esperimenti successivi per misurare l energia in uscita di un fascio di neutroni incidenti su una TPC a doppia fase ad Argon liquido. I rivelatori a scintillazione, sono tra i rivelatori di particelle più usati e diffusi nella fisica nucleare e delle particelle. Gli scintillatori sono rivelatori che fanno uso della proprietà di alcuni materiali di emettere luce quando sono colpiti da una particella. Solitamente questi scintillatori vengono accoppiati ai fotomoltiplicatori che permettono di convertire la scintillazione in un impulso elettrico che può essere analizzato e fornire informazioni riguardo la particella incidente. Per effettuare la calibrazione del rivelatore a scintillatore liquido, sono state utilizzante alcune sorgenti che emettono raggi gamma di energia nota. Nel primo capitolo è descritta l interazione della radiazione con la materia dando particolare rilievo all interazione dei raggi gamma e soffermandosi sugli spettri energetici attesi nel caso di effetto fotoelettrico e della diffusione Compton. Sono stati inoltre trattati i meccanismi di scintillazione analizzando il caso degli scintillatori liquidi. Le caratteristiche generali di un rivelatore quali la sensibilità, la risposta temporale, la pulse shape discrimination e la risoluzione in energia sono state trattate nel secondo capitolo. In questo capitolo è stato inoltre descritto il funzionamento del fotomoltiplicatore, fondamentale in quanto accoppiato allo scintillatore. Nell ultimo capitolo è stata riportata un accurata descrizione dell apparato sperimentale utilizzato per la calibrazione dello scintillatore. È descritto il lavoro svolto in laboratorio e l analisi dei dati per ottenere i risultati necessari alla calibrazione. 4

Capitolo 1 Interazione radiazione-materia 1.1 Particelle cariche Il passaggio di particelle cariche attraverso la materia è caratterizzato da una perdita di energia della particella e da una deflessione della particella rispetto alla sua traiettoria originale. Questi effetti sono dovuti a due processi: collisioni inelastiche con gli elettroni atomici del materiale scattering elastico con i nuclei Le prime sono responsabili della perdita di energia delle particelle cariche pesanti, quest energia è trasferita all atomo causando ionizzazione ed eccitazione del mezzo. Le seconde permettono il trasferimento di poca energia poiché le masse dei nuclei della maggior parte dei materiali sono generalmente grandi rispetto a quelle delle particelle incidenti. Le collisioni inelastiche sono per loro natura statistiche e poiché il numero di queste collisioni lungo tutto il percorso è solitamente grande mentre la fluttuazione dell energia persa è piccola si può usare l energia media persa per unità di lunghezza ( de che prende il nome di stopping power). dx La perdita di energia per unità di lunghezza ad energie non relativistiche, secondo la formula di Bethe-Bloch: de dx = 2πN arem 2 e c 2 ρ Z [ ( ) z 2 2me γ 2 v 2 W max ln 2β 2 δ 2 C ] A β 2 I 2 Z Lo stopping power, come si può notare dalla figura 1.1, è dominato da un fattore 1 e decresce all aumentare dell energia, fino a raggiungere il minimo β 2 5

di ionizzazione (βγ 0.96c ). Successivamente vi è una risalita dovuta al termine logaritmico. Figura 1.1: Perdita di energia per unità di lunghezza in funzione dell energia. 1.2 Fotoni Il comportamento dei fotoni nella materia è totalmente diverso da quello delle particelle cariche. La mancanza di carica elettrica da parte dei fotoni rende impossibile le collisioni inelastiche con gli elettroni atomici che avvengono solo per le particelle cariche. Le principali interazioni dei fotoni con la materia sono: a) effetto fotoelettrico b) diffusione Compton c) produzione di coppie I fotoni sono molto più penetranti rispetto alle particelle cariche in quanto la sezione d urto dei tre processi è minore rispetto a quella delle collisioni inelastiche degli elettroni. Inoltre, un fascio di fotoni, quando attraversa la materia, non è degradato in energia ma solo attenuato in intensità. Il fotone 6

che interagisce con il materiale viene completamente rimosso dal fascio, o per assorbimento o per scattering mentre i fotoni che riescono ad attraversare il materiale sono quelli che non hanno avuto alcuna interazione e quindi mantengono la stessa energia. Vi è quindi una riduzione rispetto al numero iniziale di fotoni. Figura 1.2: Sezione d urto dei fotoni in funzione dell energia: a) effetto fotoelettrico, b) scattering Compton, c) produzione di coppie. L attenuazione del fascio di fotoni ha un andamento esponenziale che dipende dallo spessore del materiale: I(x) = I 0 exp( µx) dove I 0 è l intensità del fascio incidente, x lo spessore del materiale e µ il coefficiente di assorbimento che è una caratteristica del materiale. Come si può vedere in figura 1.2 l effetto fotoelettrico è predominante per raggi γ a basse energie (fino alla centinaia di kev), la produzione di coppie ad alte energie (5-10 MeV) e lo scattering Compton nel range di energia compreso tra i precedenti. 1.2.1 Effetto fotoelettrico L effetto fotoelettrico è caratterizzato dall assorbimento di un fotone da un elettrone atomico che diviene pertanto libero come schematizzato nell imma- 7

gine 1.3. Questo tipo di interazione non può avvenire con un elettrone libero ma solo con quelli legati all atomo. Figura 1.3: Rappresentazione effetto fotoelettrico. L energia del elettrone emesso è data da: E = hν B.E. dove B.E. rappresenta l energia di legame dell elettrone nella sua shell originaria, solitamente trascurabile per energie dell ordine del kev. La sezione d urto dell effetto fotoelettrico è proporzionale a Z 4 Z 5 e a 1 E 7/2. L effetto fotoelettrico è il processo ideale nel caso in cui si sia interessati a misurare l energia del raggio γ incidente, in quanto si può assumere che corrisponda all energia cinetica dell elettrone uscente. Durante il lavoro di questa tesi si sono usate sorgenti radioattive γ monocromatiche di bassa energia per calibrare il rivelatore tramite l effetto fotoelettrico. La distribuzione di energia attesa per eventi fotoelettrici è una gaussiana con valore medio pari all energia del fotone incidente come si può osservare dalla figura 1.4. 1.2.2 Scattering Compton Lo scattering Compton è probabilmente il processo meglio compreso tra quelli che includono i fotoni ed è inoltre l interazione predominante per i raggi γ che hanno energie tipiche delle sorgenti radiative. In questo processo, il 8

Figura 1.4: Picco fotoelettrico. fotone incide su un elettrone poco legato, che quindi appartiene alla shell più esterna, e trasferisce parte dalla sua energia a quest ultimo, come mostrato in figura 1.5. Si verifica una deflessione del fotone, di un angolo θ, che si forma tra la direzione del fotone incidente e quella dopo lo scattering; da quest angolo dipende l energia trasferita all elettrone. Figura 1.5: Rappresentazione scattering Compton. Applicando le leggi di conservazione dell energia e del momento si ottiene 9

l espressione che lega l energia e l angolo di scattering: dove γ = hν = hν 1 + γ(1 cos θ) hν m 0. L energia dell elettrone è data da: c 2 E e = hν hν γ(1 cosθ) = hν 1 + γ(1 cosθ) È possibile osservare due casi estremi: il primo in cui si ha θ = 0 e quindi dalle formule precedenti si ottiene hν = hν e Ee = 0; il secondo rappresenta una collisione head-on con θ = π alla quale corrisponde la massima energia che può essere trasferita all elettrone con un singolo scattering Compton. La probabilità che avvenga lo scatering Compton dipende dal numero di elettroni disponibili per lo scattering sul bersaglio e quindi aumenta linearmente con Z. Nel caso dello scattering Compton, la distribuzione dell energia dell elettrone è rappresentata dal Compton continuum e la massima energia rilasciata corrisponde alla Compton edge. Quest ultima differisce di una quantità E c = hν E e θ=π = hν 1+2γ dall energia del raggio γ incidente. Figura 1.6: Spalla Compton. 1.2.3 Produzione di coppie Il processo di produzione di coppie comporta la trasformazione di un fotone in una coppia elettrone-positrone. Questo processo è energeticamente possibile 10

quando l energia del fotone supera di due volte la massa a riposo dell e (2m 0 c 2 = 1, 022MeV); tuttavia la probabilità che avvenga quest interazione resta molto bassa fin quando non si raggiungono energie di qualche MeV e quindi questo processo è significativo solo ad alte energie. Figura 1.7: Schema pair-production. Nell interazione il fotone scompare e tutta l energia che possiede è trasformata in energia cinetica equamente divisa tra la coppia e e +. 1.3 Meccanismi di scintillazione La rivelazione di radiazione ionizzante tramite la scintillazione prodotta da alcuni materiali è uno dei metodi più antichi per la rivelazione di particelle ed è a tutt oggi uno dei metodi più utili per la rivelazione e la spettroscopia di un vasto assortimento di radiazioni. Le proprietà che dovrebbe possedere uno scintillatore ideale sono: convertire l energia cinetica delle particelle incidenti in luce rivelabile con un alta efficienza di scintillazione; la conversione dell energia dovrebbe essere lineare affinché la luce emessa sia proporzionale all energia depositata; il mezzo dovrebbe essere trasparente alla lunghezza d onda della sua stessa emissione in modo che ci sia una buona trasmissione di luce; 11

il tempo di decadimento dovrebbe essere breve per far sì che vengano prodotti impulsi veloci; il materiale dovrebbe essere di buona qualità e abbastanza grande per poter essere utilizzato come rivelatore; il suo indice di rifrazione dovrebbe essere prossimo a quello del vetro in modo da poter accoppiare efficientemente lo scintillatore ad un rivelatore di luce (solitamente fotomoltiplicatori). Non esistono materiali che verifichino simultaneamente queste proprietà e per questo motivo la scelta del rivelatore è un compromesso tra questi ed altri fattori. Esistono due tipi di scintillatori: gli inorganici che hanno la maggiore luce in uscita ed una risposta lineare ma, sono relativamente lenti nel loro tempo di risposta gli organici che sono più veloci, hanno un tempo di decadimento dell ordine dei ns, ma producono meno luce. L alto valore di Z e della densità dei cristalli inorganici li rendono una scelta migliore per la rivelazione di raggi γ, mentre gli organici sono preferiti, per il loro contenuto di idrogeno, per la spettroscopia β e la rivelazione di neutroni veloci. Esistono diversi processi di scintillazione che possono essere distinti. La fluorescenza è l emissione pronta di radiazione visibile da una sostanza dopo la sua eccitazione; la fosforescenza corrisponde all emissione di lunghezze d onda maggiori rispetto alla fluorescenza ma con un ritardo temporale che è solitamente molto più elevato; la fluorescenza ritardata appare nello stesso spettro di emissione della fluorescenza ma con un ritardo ancor più alto dopo l eccitazione. 1.3.1 Scintillatori organici Gli scintillatori organici sono composti di idrocarburi aromatici contenenti strutture di anelli benzenici. La loro peculiarità è un tempo di decadimento di pochi nanosecondi o anche meno. La scintillazione in questo caso è data dalla transizione dell elettrone di valenza libero della molecola. In figura 1.8 è riportato un diagramma energetico nel quale è possibile distinguere gli stati 12

Figura 1.8: Diagramma dei livelli energetici di uno scintillatore organico. di singoletto (S) da quelli di tripletto (T ). Lo stato fondamentale è S 0 al di sopra del quale vi sono gli stati eccitati S 1, S 2, lo stato più basso di tripletto è T 0 al quale corrispondono gli stati eccitati T 1, T 2. Inoltre associata ad ogni livello elettronico vi è una struttura che corrisponde a modi di eccitazione vibrazionali della molecola che in figura 1.8 sono rappresentati con le linee tratteggiate. L energia tra i diversi livelli è dell ordine dell ev mentre quella che corrisponde ai livelli vibrazionali è dei decimi di ev. L energia dovuta alla radiazione incidente, eccita entrambi i livelli, sia quello elettronico che quello vibrazionale. Lo stato S 2 decade, in un tempo minore di 10 ps, senza emissione di radiazione in S 1 (decadimento interno). C è invece un alta probabilità di decadimento radiativo in uno degli stati vibrazionali di S 0 con un tempo dell ordine dei ns. Questo è il processo della fluorescenza che è descritto dalla componente veloce. Gli stati di tripletto decadono per degradazione interna in T 0 che, a causa delle regole di selezione, non può decadere nello stato S 0. Il meccanismo di diseccitazione avviene 13

medianta l interazione con un altro stato T 0 : T 0 + T 0 = S 1 + S 0 + fotoni. Questo processo è invece descritto dalla componente lenta. Scintillatori liquidi Lo scintillatore calibrato in questo lavoro di tesi è uno scintillatore liquido. Gli scintillatori liquidi sono una soluzione di uno o più scintillatori organici ed il processo di scintillazione è equivalente a quello descritto in precedenza, mentre il meccanismo di assorbimento dell energia è differente. In questi scintillatori, l energia di viene assorbita prima dal solvente e poi passa al soluto; questo processo avviene molto rapidamente. L efficienza di scintillazione aumenta con la concentrazione di soluto e le concentrazioni tipiche sono di 3g di soluto per litro di solvente. La risposta di questi scintillatori è veloce con tempi di decadimento dell ordine di (3 4)ns. Sono inoltre molto vantaggiosi perché facilmente collegabili con altri materiali in modo da aumentarne l efficienza. Tuttavia quest unione provoca un allungamento del tempo di decadimento ed una diminuzione della luce in uscita dovuta agli effetti di quenching. Un aspetto negativo degli scintillatori liquidi è una grande sensibilità alle impurità, è infatti possibile osservare, da due campioni, impulsi notevolmente differenti. 14

Capitolo 2 Rivelazione di luce 2.1 Caratteristiche generali di un rivelatore Esistono diversi tipi di rivelatori le cui caratteristiche fondamentali sono: sensibilità; risposta temporale; risoluzione temporale; risoluzione in energia; efficienza. È praticamente impossibile costruire un rivelatore che risulti eccellente in tutte le sue caratteristiche. Per tale motivo, si seleziona il rivelatore che meglio soddisfa le esigenze di una particolare misura. In questo lavoro di tesi si è utilizzato un rivelatore a scintillatore liquido. I meccansimi di scintillazione di questo tipo di rivelatori sono stati trattati nel capitolo precedente. Le principali caratteristiche degli scintillatori sono la sensibilità all energia ossia la capacità di rispondere in maniera lineare all energia rilasciata, un tempo di risposta rapido rispetto ad altri tipi di rivelatori e la pulse shape discrimination che permette la distinzione delle particelle attraverso l analisi degli impulsi in uscita. Queste caratteristiche saranno descritte in modo più completo nei prossimi paragrafi. 15

2.1.1 Sensibilità La sensibilità è la capacità di produrre un segnale per una data energia o radiazione. Si può assumere con buona approssimazione che vi sia una proporzionalità diretta tra la luce emessa e l energia. In realtà la risposta degli scintillatori è più complessa e dipende anche dal tipo di particella e dalla densità di ionizzazione. In particolare le particelle più pesanti mostrano una deviazione più marcata ad energie più basse rispetto agli elettroni. La risposta degli scintillatori organici può essere ben descritta da una relazione tra la fluorescenza emessa per unità di lunghezza dl e l energia persa dx dalla particella carica per unità di lunghezza ( de ). Il modello semi-empirico dx utilizzato è quello di Birks: dl dx = S de dx 1 + kb de dx supponendo che la densità delle molecole eccitate sia direttamente proporzionale alla densità di ionizzazione e supponendo inoltre che in assenza di quenching, che è il fenomeno attraverso il quale viene smorzata la fluorescenza, la luce prodotta sia proporzionale all energia persa si ottiene: dl dx = S de dx dove S è l efficienza di scintillazione, cioè quanta energia viene trasformata in luce. 2.1.2 Risposta temporale L evoluzione temporale del processo di emissione può essere descritto, in prima approssimazione come un decadimento esponenziale N = N 0 τ d exp t τ d dove τ d è la costante di decadimento e N 0 è il numero totale di fotoni emessi. Per descrivere in modo completo il comportamento degli scintillatori è necessario utilizzare un modello della dipendenza temporale della scintillazione prodotta che tenga conto di due componenti: una veloce che rappresenta 16

Figura 2.1: Rappresentazione delle due componenti di decadimento e della curva totale del decadimento. la fluorescenza ed una lenta dovuta alla fosforescenza ed alla fluorescenza ritardata. In questo caso si otterrà: N = A exp t τ f + B exp t τ s dove τ f è la costante di decadimento veloce (fast) e τ s è la costante di decadimento lenta (slow). In figura 2.1 sono mostrate la componente lenta, quella veloce e l andamento totale del decadimento. 2.1.3 Pulse shape discrimination Per la maggioranza degli scintillatori organici la fluorescenza rappresenta la maggior parte della luce emessa; spesso, però, è possibile osservare un altra componente che corrisponde alla fluorescenza ritardata. La curva prodotta può essere rappresentata dalla somma dei due decadimenti esponenziali come visto nel paragrafo 2.1.2. Se la componente veloce ha un tempo di decadimento di pochi nanosecondi, la componente lenta avrà un tempo di decadimento di centinaia di nanosecondi. Un importante conseguenza è che la frazione di luce che appare nella componente lenta dipende dalla natura della particella eccitante, in particolare dalla densità di ionizzazione. È possibile utilizzare questa dipendenza per distinguere le particelle nel rivelatore. Questo è il processo della pulse shape discrimination che permette di distinguere le diverse particelle che attraversano il rivelatore, osservando la forma 17

Figura 2.2: Risposta temporale che mette in evidenza la differenza tra le diverse radiazioni. dell impulso emesso. Questo metodo è ampiamente utilizzato in particolar modo per distinguere i raggi γ dai neutroni come è possibile osservare in figura 2.2. 2.2 Risoluzione in energia Una caratteristica di fondamentale importanza per i rivelatori che sono progettati per misurare l energia della radiazione incidente è la risoluzione in energia. Questa solitamente può essere misurata osservando l impulso in uscita ottenuto da un fascio monoenergetico inviato sul rivelatore. Ciò che ci si aspetta è una delta ma, a causa delle fluttuazioni nel numero di ionizzazioni ed eccitazioni, si osserva una gaussiana. Per questo motivo la risoluzione viene solitamente calcolata in termini di ampiezza a mezza altezza E = 2σ E 2ln2 = 2.35σE La risoluzione R relativa all energia E è data da: R = E E 18

La risoluzione viene solitamente espressa in percentuale ed è una funzione dell energia rilasciata nel rivelatore. L energia media necessaria per produrre sia una ionizzazione sia l eccitazione che da luogo alla scintillazione è una quantità fissata (w) e dipende dal materiale. Per un energia E ci si aspetta in media J = E ionizzazioni; all aumentare dell energia c è quindi un aumento del numero di ionizzazioni. Il numero di ionizzazioni prodotte segue la w statistica di Poisson, la varianza è σ 2 = J e quindi la risoluzione è: R = 2.35 σ J J = 2.35 J Nel caso degli scintillatori la risoluzione è data da w R = 2.35 E ed è quindi inversamente proporzionale alla radice quadrata dell energia. In aggiunta alle fluttuazioni dovute al rilascio di energia, c è un insieme di fattori esterni che può modificare la risoluzione totale del rivelatore. Di questi fattori fa parte il rumore dovuto all elettronica. Assumendo che tutte queste sorgenti siano indipendenti ed abbiano una distribuzione gaussiana, la risoluzione totale è data dalla somma in quadratura: ( E) 2 = ( E rivelatore ) 2 + ( E elettronica ) 2. 2.3 Caratterizzazione di un PMT Il diffuso uso degli scintillatori come rivelatori non sarebbe stato possibile senza un dispositivo che fosse capace di convertire una debole luce in un impulso elettrico da poter analizzare. Il fotomoltiplicatore è un dispositivo che converte la luce in un segnale elettrico che viene accoppiato agli scintillatori e che compie questo lavoro senza l aggiunta di una grande quantità di rumore al segnale prodotto. Esistono diversi tipi di PMT che sono sensibili a lunghezze d onda nell ultravioletto, visibile ed infrarosso che hanno diverse applicazioni nella spettroscopia ottica, misurazioni laser e astronomia. La struttura del fotomoltiplicatore è rappresentata in figura 2.3; questo è caratterizzato da un catodo fotosensibile che permette di trasformare i fotoni incidenti in elettroni, seguito da un sistema di raccolta, per portarli senza perdite al primo stadio di moltiplicazione, da una sezione moltiplicatrice formata da dinodi posti a ddp costante ed infine da un anodo che collegato all elettronica ci consente di analizzare il segnale. 19

Figura 2.3: Struttura di un PMT. Il fotocatodo converte la luce incidente in elettroni tramite l effetto fotoelettrico; per facilitare il passaggio della luce, il materiale fotosensibile è disposto in una lamina sottile all interno della finestra del PMT che è solitamente costituita di vetro o quarzo. Una grandezza di fondamentale importanza è la quantum efficiency (QE) del fotocatodo che è definita come: η(λ) = numero di f otoelettroni emessi numero di f otoni incidenti sul catodo La QE sarebbe del 100% per un fotocatodo ideale. La maggior parte dei fotocatodi moderni è costituita da semiconduttori con i quali si riesce a raggiungere una QE del 20% 30%, nel caso degli SBA e UBA anche ben oltre il 45%. Dopo l emissione dal fotocatodo gli elettroni devono essere raccolti e focalizzati nel primo stadio della sezione moltiplicatrice. Questo è ottenuto tramite l utilizzo di un campo elettrico in una configurazione particolare. Ci sono due caratteristiche fondamentali che devono essere soddisfatte: 20

La raccolta deve essere la più efficiente possibile, per esempio il maggior numero possibile di elettroni emessi deve raggiungere la sezione moltiplicatrice indipendentemente dal punto d origine sul catodo il tempo che l elettrone impiega a raggiungere il primo dinodo deve essere il più indipendente possibile dal punto di emissione. La sezione moltiplicatrice amplifica la debole corrente primaria utilizzando una serie di emissioni secondarie per produrre una corrente misurabile all anodo. Gli elettroni provenienti dal fotocatodo sono accelerati dal campo elettrico e costretti a colpire la superficie di un elettrodo chiamata dinodo. I dinodi sono costruiti con un materiale opportuno in modo tale che l energia dell elettrone incidente produca la ri-emissione di più di un elettrone dalla stessa superficie. Il processo di emissione secondaria è simile alla fotoemissione eccetto per il fatto che il fotone è ora sostituito da un elettrone. L energia dell elettrone incidente viene trasferita agli elettroni presenti nel dinodo permettendo ad un determinato numero di elettroni secondari di lasciare il materiale. Il guadagno di ogni elettrodo è conosciuto come fattore di emissione secondaria δ: δ = numero di elettroni secondari emessi numero di elettroni incidenti primari Un buon dinodo dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: un grande fattore di emissione secondaria stabilità di emissione secondaria anche ad alte correnti basso rumore 2.4 Guadagno del PMT L amplificazione totale o il guadagno di un PMT dipende dal numero di dinodi nella sezione moltiplicatrice e dal fattore di emissione secondaria δ, che è una funzione dell energia dell elettrone primario. Nella sezione moltiplicatrice, l energia dell elettrone incidente è chiaramente una funzione della differenza di potenziale tra i dinodi. Possiamo infatti scrivere: δ = KV d 21

Assumendo che il potenziale applicato sia diviso equamente tra i dinodi, il guadagno totale del PMT è G = δ n = (KV d ) n dove n è il numero degli stadi. È molto importante che ci sia una stabilità nella tensione applicata, il metodo maggiormente utilizzato è la combinazione di uno stabilizzatore di alta tensione con un partitore di tensione. Il partitore è caratterizzato da una catena di resistenze scelte in modo da poter applicare la tensione opportuna ad ogni dinodo. 22

Capitolo 3 Apparato sperimentale e analisi dei dati 3.1 Descrizione dell apparato sperimentale Figura 3.1: Schema dell apparato sperimentale. L apparato sperimentale utilizzato è composto da uno scintillatore liquido accoppiato ad un fotomoltiplicatore ed è mostrato in figura 3.6. Lo scintillatore liquido è l EJ-309 della SCIONIX Holland che fa parte di quella classe di scintillatori che ha come solvente lo Xilene. Possiede un certo numero 23

di proprietà che lo rendono ideale per la rivelazione di raggi γ e neutroni con energie dell ordine del MeV. Queste proprietà, mostrate in figura 3.2, includono: un efficienza di scintillazione di 12300 fotoni/mev, un tempo di risposta di 3.5 ns, e lunghezza d onda di massima emissione di 424 nm (come mostrato in figura 3.4). Figura 3.2: Specifiche dello scintillatore liquido EJ-309. Il fotomoltiplicatore è il modello 9821B della ET Enterprises, le cui caratteristiche sono mostrate in figura 3.5. La finestra piano-concava del fotomoltiplicatore ha un diametro di 78 millimetri ed una sensibilità alle lunghezze d onda blu-verde [λ (400 500)nm]. La sezione moltiplicatrice è formata da 12 dinodi di una lega di rame e berillio (BeCu) progettati con una focalizzazione lineare per ottenere una buona risposta temporale e linearità. In figura 3.3 è riportata la quantum efficiency del fotocatodo ed è possibile notare un massimo del 30% proprio in corrispondenza delle lunghezze d onda blu. La configurazione utilizzata per la presa dati descritta in questa tesi è schematicamente riportata in figura 3.1. Il fotocatodo del PMT è collegato 24

Figura 3.3: Quantum efficiency del PMT 9821B della ET enterprises. Figura 3.4: Spettro di emissione dello scintillatore liquido EJ-309. all alta tensione (che non può essere superiore ai 2900 V), mentre il segnale che arriva all anodo è connesso ad un amplificatore che ha due canali in uscita Ch 0 e Ch 1 con amplificazione rispettivamente 10 e 1. Tali canali sono collegati a loro volta all ADC, che campiona il segnale analogico trasformandolo in digitale. L ADC salva i dati convertiti su una memoria interna che viene letta dal PC e salvata su disco, in presenza di un segnale di trigger. 25

Figura 3.5: Caratteristiche del PMT 9821B della ET Enterprises. 26

L ADC adoperato è il modello V1720 prodotto dalla CAEN che ha 12 bit di risoluzione e 4 ns di campionamento ed è mostrato in figura 3.7. Un ulteriore uscita dell amplificatore è collegata all oscilloscopio in modo da permetterci di monitorare visivamente l impulso. Figura 3.6: Rivelatore a scintillatore liquido accoppiato al PMT 9821B della ET Enterprises. 3.2 Partitore di tensione del PMT Con la configurazione descritta nel paragrafo 3.1, è stato possibile in primo luogo calcolare la somma di tutte le resistenze del partitore di tensione presente nella sezione moltiplicatrice del PMT. La tensione è stata variata tramite il generatore NIM della CAEN N1470, mostrato in figura 3.8, in un intervallo che va da 0 V a 2200 V, ed è stata monitorata la corrente che scorreva nel partitore di tensione. I valori sono riportati in tabella 3.1. L andamento dei dati sperimentali segue la prima legge di Ohm V = ir. In figura 3.9 è rappresento l andamento della tensione in funzione della corrente. Per ogni valore è stato considerato un errore dell 1%. Effettuando un fit lineare dei punti, l inverso del coefficiente angolare della retta ci fornisce il valore R = (2.422 ± 0.007) MΩ 27

Figura 3.7: Fotografia del sistema di acquisizione: ADC V1720 della CAEN e amplificatore costruito dal laboratorio di elettronica di INFN-LNGS. 3.3 Misure di spettro di singolo fotone Idealmente, la sezione moltiplicatrice dovrebbe fornire un guadagno costante, ma ciò non è possibile a causa della natura statistica delle emissioni secondarie. I singoli elettroni aventi la stessa energia produrranno per questo motivo un numero diverso di elettroni secondari, provocando così una variazione nel guadagno. Una stima delle fluttuazioni nel guadagno della catena moltiplicatrice è data dallo spettro di singolo elettrone, che è la distribuzione di carica degli impulsi di risposta ad un singolo fotone, in uscita dal PMT. È proprio per la natura statistica delle emissioni che l impulso in uscita sarà diverso per ogni evento di singolo elettrone. 28

V P MT [V ] I [µa] V P MT [V ] I [µa] V P MT [V ] I [µa] 9.0 2.55 699.6 287.10 1599.8 660.15 19.0 6.70 799.4 328.46 1699.8 701.65 49.0 19.00 899.6 369.85 1800.0 743.40 99.2 39.50 999.6 411.25 1899.8 785.00 199.2 80.75 1099.8 452.70 1999.8 826.60 299.4 122.05 1198.8 494.15 2049.8 847.50 399.4 163.30 1300.0 535.60 2100.0 868.40 499.4 204.55 1400.0 577.15 2150.0 889.20 599.6 245.85 1499.6 618.60 2199.8 909.95 Tabella 3.1: tensione. Riassunto dei valori di corrente e tensione del partitore di L ADC è collegato ad una scheda PCI installata in un computer mediante due fibre ottiche che permettono ai due apparecchi di comunicare. Per le misure di singolo fotoelettrone, si è impostata una soglia di trigger sul canale Ch 0 dell ADC (quello con amplificazione 10) a circa 1 mv sopra il livello medio di rumore elettronico. All arrivo del trigger, il PC salva su disco il buffer di memoria dell ADC preimpostato a 1500 campionamenti [da 2 µs a +4 µs]. I dati sono suddivisi in RUN contenenti 200000 eventi, ognuno con una diversa tensione di alimentazione [da 1800 V a 2200 V] i cui valori sono riportati in tabella 3.2. In figura 3.10 è mostrato un impulso tipico ed è possibile notare in nero quello amplificato ed in rosso quello senza amplificazione. Ognuno di questi impulsi è stato integrato da 0.02 µs a 0.02 µs (intervallo evidenziato in verde in figura 3.10) in modo da poter ottenere la carica del singolo fotoelettrone (SPE) come: V Q = Idt = R dt con R = 50Ω. Mediante un programma opportunamente creato, i risultati dell integrazione sono stati riportati in un istogramma (vedi figura 3.11) per diversi valori di tensione nell intervallo che va da 1800 V a 2200 V. È stata effettuata una conversione da ADCcount sample a mv ns, per poter avere 29

Figura 3.8: Generatore NIM della CAEN e amplificatore. negli istogrammi i valori della carica in pc, usando la seguente formula: mv ns = ADCcount sample 0.5 4 Il picco di singolo fotoelettrone in ogni istogramma, riportati nelle figure 3.11, 3.12, 3.13, è stato fittato con una gaussiana: f(x) = 1 σ (x µ) 2 2π e 2σ 2 il cui valor medio (µ) ci restituisce il valore della carica corrispondente ad un fotone. I valori medi della carica ottenuti sono riportati nella tabella 3.3 in funzione delle diverse tensioni di alimentazione e dei RUN corrispondenti, ed aumentano in funzione della tensione come atteso. 30

Figura 3.9: Andamento della tensione in funzione della corrente che scorre nel partitore del PMT. RUN V P MT [V ] 6149 1800 6150 1850 6151 1900 6153 1950 6148 2000 6152 2050 6154 2100 6155 2150 6156 2200 Tabella 3.2: RUN di acquisizione degli eventi di singolo fotoelettrone corrispondenti a tensioni di alimentazioni diverse. 31

Figura 3.10: Impulso di singolo fotoelettrone. In nero il segnale del Ch 0 amplificato ed in rosso quello del Ch 1 non amplificato. Figura 3.11: Spettro di singolo fotoelettrone alla tensione di 2200 V. Il guadagno del PMT si ottiene dividendo la risposta ottenuta per un singolo fotoelettrone emesso dal fotocatodo per la carica dell elettrone (e = 1.602 10 19 ). I risultati ottenuti sono riportati in tabella 3.3. Il guadagno è stato graficato in funzione della tensione di alimentazione, anche in scala bilogaritmica. Gli andamenti sono mostrati in figura 3.14. È stato eseguito il fit dei punti sperimentali, con l approssimazione che la tensione applicata sia equamente divisa tra tutti i dinodi. Il guadagno risulta essere proporzionale 32

(a) SPE alla tensione di 1800 V. (b) SPE alla tensione di 1850 V. (c) SPE alla tensione di 1900 V. (d) SPE alla tensione di 1950 V. (e) SPE alla tensione di 2000 V. (f) SPE alla tensione di 2050 V. Figura 3.12: SPE a diverse tensioni. 33

(a) SPE alla tensione di 2100 V. (b) SPE alla tensione di 2150 V. Figura 3.13: Spettri di singolo fotoelettrone a diverse tensioni. a V CN dove V è la tensione applicata al PMT, N il numero di stadi e C un parametro che dipende dal materiale e dalla struttura dei dinodi ed è compreso tra 0.7 e 0.8. L andamento che si ottiene è quello atteso ed i parametri del fit sono: K = 7.02 10 25 ± 1.01 10 24, N = 12.06 ± 0.3 che è il numero di dinodi e C = 0.754 ± 0.019 che rientra nei limiti del valore atteso. RUN V P MT [V ] Q [pc] Guadagno 6149 1800 0.435 ± 0.011 (2.72 ± 0.07) 10 6 6150 1850 0.603 ± 0.017 (3.77 ± 0.11) 10 6 6151 1900 0.728 ± 0.015 (4.55 ± 0.09) 10 6 6153 1950 0.970 ± 0.018 (6.05 ± 0.12) 10 6 6148 2000 1.21 ± 0.03 (7.57 ± 0.16) 10 6 6152 2050 1.47 ± 0.03 (9.16 ± 0.18) 10 6 6154 2100 1.83 ± 0.04 (1.14 ± 0.03) 10 7 6155 2150 2.27 ± 0.08 (1.42 ± 0.05) 10 7 6156 2200 2.79 ± 0.05 (1.74 ± 0.03) 10 7 Tabella 3.3: Valori medi della carica ricavati dagli spettri di singolo fotoelettrone per i diversi valori di tensione e valori del guadagno del PMT ottenuti dalla conversione della carica. 34

(a) (b) Figura 3.14: Andamento del guadagno in funzione della tensione graficato anche in scala bilogaritmica (b). 3.4 Calibrazione del rivelatore Figura 3.15: Schema dell apparato sperimentale con sorgente radioattiva. Durante il mio lavoro di tesi ho effettuato una calibrazione del rivelatore a scintillatore liquido, utilizzando alcune sorgenti che emettono raggi gamma di energia nota. Le sorgenti utilizzate sono riportate in tabella 3.4 in modo 35

da poter stabilire una relazione tra energia in kev e la risposta del rivelatore in termini di fotoelettroni. Lo schema dell apparato sperimentale utilizzato per tali misure è mostrato in figura 3.15. Sono stati acquisiti dati a turno con le diverse sorgenti. La catena di acquisizione è la stessa descritta nel paragrafo 3.1. Le sorgenti, contenute in appositi supporti di materiale plastico dal diametro di circa 3 cm sono state adagiate a contatto con la parete esterna del rivelatore a scintillatore liquido, al centro dello stesso. La sola sorgente di americio, più attiva delle altre, è stata posizionata 4 cm distante dal rivelatore per minimizzare il numero di eventi multipli. I dati acquisiti con le sorgenti gamma sono stati suddivisi in RUN contenenti 500000 eventi per ogni sorgente. L ADC utilizzato è lo stesso descritto nel paragrafo 3.1. La soglia del trigger è stata impostata ad un valore maggiore di 10 fotoelettroni equivalenti per massimizzare il numero di eventi interessanti per la calibrazione. Si è scelto lo stesso valore della soglia di trigger per tutte le sorgenti. In tabella 3.4 sono riportate le energie dei raggi gamma corrispondenti alle diverse sorgenti radioattive, la tensione di alimentazione del PMT ed i RUN corrispondenti. Per ogni RUN sono stati acquisiti gli eventi sia con amplificazione 10 che senza amplificazione. Per l analisi dati delle sorgenti meno energetiche ( 210 P b e 241 Am) ho considerato il canale con l amplificazione. Le sorgenti più energetiche, presentavano una saturazione dell elettronica, di conseguenza per le sorgenti di 133 Ba e 137 Cs, si è utilizzato il canale non amplificato per l analisi dati. Inoltre, molti degli eventi di 60 Co (la sorgente più energetica utilizzata) saturavano l elettronica. Si è quindi scelto di diminuire il guadagno del PMT alimentandolo a 1800 V invece che a 2000 V. RUN H P MT [V ] Amplificazione Source γ Energy [kev] 6161 2000 10 Ch 0 210 P b 47 6160 2000 10 Ch 0 241 Am 60 6163 2000 1 Ch 1 133 Ba 356 6162 2000 1 Ch 1 137 Cs 661.64 6165 1800 1 Ch 1 60 Co 1173.2 Tabella 3.4: Energia dei raggi gamma per le varie sorgenti. 36

Sono stati inoltre acquisiti due RUN da 500000 eventi di radiazione di fondo del laboratorio (background) per le diverse configurazioni di presa dati sopraelencate, ovvero per i due canali di amplificazione e per le due tensioni di alimentazione del PMT, mantenendo la soglia del trigger costante in modo da poterli sottrarre ai RUN acquisiti con la sorgente. RUN H P MT [V ] BG 6164 2000 BG 6168 1800 Tabella 3.5: Background alle tensioni di acquisizione con sorgenti. In figura 3.16 (a) è mostrata una forma d onda tipica di scintillazione di un evento acquisito con la sorgente di 60 Co ed in figura 3.16 (b) è rappresentato un suo ingrandimento che ci permette di distinguere la componente veloce e quella lenta della scintillazione. In entrambe le figure in nero è rappresentato il segnale amplificato ed in rosso quello non amplificato. Impulsi analoghi sono stati ottenuti per tutte le sorgenti utilizzate. Ognuno di questi impulsi è stato integrato da 0.03 µs a 1 µs in modo da ricostruire la carica ottenuta per ogni singolo evento. Come nel paragrafo 3.3, è stata effettuata una conversione da ADCcount sample a mv ns. Per ottenere il numero di fotoelettroni il risultato ottenuto dall integrazione è stato diviso per la carica corrispondente ad un singolo fotone, calcolata nel paragrafo 3.3. Per i RUN delle sorgenti di 210 P b, 241 Am, 133 Ba e 137 Cs il valore del singolo fotoelettrone è 1.21 pc, invece per il RUN della sorgente di 60 Co il valore del singolo fotoelettrone è 0.435 pc. Lo spettro in energia per le diverse sorgenti è stato riportato in un istogramma come mostrato nelle figure 3.17, 3.18 e 3.19. In nero è rappresentato lo spettro in presenza della sorgente, in blu il background ed in rosso la differenza tra i due. In figura 3.17 (a) riporto lo spettro di energia della sorgente di 210 P b. Si vede chiaramente il picco fotoelettrico attorno ai 110 fotoelettroni. Del picco fotoelettrico è stato effettuato un fit gaussiano che restituisce: # fotoelettroni = 114.6 ± 0.1 e σ = 20.37 ± 0.19. In figura 3.17 (b) è riportato lo spettro di energia della sorgente di 241 Am ed è stato fatto un ragionamento analogo al precedente. I valori ottenuti dal fit gaussiano sono: # fotoelettroni = 153.5 ± 0.1 e σ = 22.39 ± 0.13. 37

(a) Forma d onda tipica di scintillazione di un evento acquisito durante il RUN con la sorgente di Cobalto. (b) Ingrandimento della forma d onda tipica di scintillazione di un evento acquisito durante il RUN con la sorgente di Cobalto. Figura 3.16: Forma d onda tipica di scintillazione di un evento acquisito durante il RUN con la sorgente del Cobalto (a) ed un suo ingrandimento che ci permette di notare la componente veloce della scintillazione e i fotoni ritardati della componente lenta (b). In nero il segnale amplificato del Ch 0 ed in rosso quello del Ch 1 non amplificato. 38

(a) Spettro ottenuto con 210 P b. (b) Spettro ottenuto con 241 Am. Figura 3.17: Spettri ottenuti con le sorgenti radioattive meno energetiche (a) 45 kev, (b) 60 kev. (a) Spettro ottenuto con 133 Ba. (b) Spettro ottenuto con 137 Cs. (c) Spettro ottenuto con 60 Co. Figura 3.18: Spettri ottenuti con le sorgenti radioattive più energetiche (a) 356 kev, (b) 661.64 kev, (c) 1332.5 kev. 39

(a) Ingrandimento dello spettro ottenuto con 133 Ba. (b) Ingrandimento dello spettro ottenuto con 137 Cs. Figura 3.19: Ingrandimento degli spettri ottenuti con le sorgenti (a) 133 Ba, (b) 137 Cs considerando il picco fotoelettrico rispettivamente alle energie di (a) 31 kev e (b) 32.3 kev. In figura 3.18 sono riportati i tre spettri in energia relativi alle sorgenti di (a) 133 Ba, (b) 137 Cs e (c) 60 Co. In questo caso l energia rilasciata dalle sorgenti è tale da permetterci di osservare la spettro Compton ma non un chiaro picco fotoelettrico. Si è scelto di utilizzare il valore della spalla Compton come punto di calibrazione. Teoricamente il Compton continuum termina in corrispondenza della massima energia Compton con una spalla ripida come mostrato in figura 1.6. In realtà, come si osserva nelle figure 3.18, la spalla Compton presenta una coda gaussiana dovuta alla risoluzione non infinita del rivelatore. Per questo motivo si è scelto di effettuare un fit gaussiano in corrispondenza della spalla per poter ottenere sia l energia rilasciata che la risoluzione. Per le sorgenti di 133 Ba e 137 Cs, è stato effettuato il fit anche del picco fotoelettrico, che è stato notato mediante un ingrandimento dello spettro energetico delle due sorgenti ed è mostrato in figura 3.19, le energie in questo caso sono di 31 kev e 32.3 kev I risultati del fit oltre ad essere riportati nei grafici, sono riportati in tabella 3.6. 3.4.1 Linearità e risoluzione in energia La curva di calibrazione, mostrata in figura 3.20, è stata ottenuta graficando i valori riportati in tabella 3.6. Si può notare dall andamento dei punti sperimentali graficati che vi è una risposta lineare della resa in luce in funzione dell energia. La resa in luce (LY Light-Yeld) è una caratteristica fondamentale 40

RUN Source γ Energy [kev] E e [kev ] #P E σ 6163 133 Ba 31 68.86 ± 0.11 19.74 ± 0.14 6162 137 Cs 32.3 76.51 ± 0.3 24.88 ± 0.14 6161 210 P b 47 114.6 ± 0.1 20.37 ± 0.19 6160 241 Am 60 153.5 ± 0.1 22.39 ± 0.13 6163 133 Ba 356 208.96 491.4 ± 1.2 108.4 ± 0.6 6162 137 Cs 661.64 479.9 1334 ± 3 128 ± 3 6165 60 Co 1332.5 1121.6 2904 ± 4 351.4 ± 9 Tabella 3.6: Energia dei raggi gamma per le varie sorgenti, risultati ottenuti dai fit e E c = hν E e θ=π dei rivelatori ed è il numero di fotoni emessi per energia rilasciata. # fotoni prodotti LY = E Un valore della resa in luce dello scintillatore è quindi ottenuto dalla pen- Figura 3.20: Linearità della resa in luce in funzione dell energia. denza del grafico 3.20 che risulta essere: LY = (2.589 ± 0.035) γ kev 41

È stata effettuata la propagazione degli erori sul numero di fotoelettroni, in quanto non era sufficiente considerare il solo errore presente sul fit, ma è stato necessario tener conto degli errori dovuti alla converisone dalla carica al numero di fotoelettroni. È stato considerato un errore sistematico del 2.15% per tutte le sorgenti in cui si è utilizzato il valore del singolo fotoelettrone di 1.21 pc, invece per il solo Co l errore è del 2.55% in quanto la carica del singolo fotoelettrone è di 0.435 pc. Il 2.15% e il 2.55% sono gli errori relativi percentuali dei valori di singolo fotoelettrone utilizzati. Gli errori sistematici su descritti sono stati sommati in quadratura con quelli ottenuti dai fit. Questa grandezza è stata inoltre misurata per tutte le sorgenti utilizzate per calibrare il rivelatore a scintillatore liquido. Tutti i valori della resa in luce calcolati, con i relativi errori, sono riportati in tabella 3.7 Source γ Energy [kev] LY [γ/kev ] 133 Ba 31 2.22 ± 0.03 137 Cs 32.3 2.37 ± 0.03 210 P b 47 2.44 ± 0.03 241 Am 60 2.56 ± 0.03 133 Ba 356 2.36 ± 0.03 137 Cs 661.64 2.78 ± 0.03 60 Co 1173.2 2.58 ± 0.03 Tabella 3.7: Resa in luce delle sorgenti utilizzate per la calibrazione del rivelatore a scintillatore liquido. Per calcolare la risoluzione dello scintillatore liquido è stata utilizzata la formula vista nel paragrafo 2.2: R = 2.35 σ E I valori necessari per calcolare questa grandezza, sono ottenuti dai fit degli spettri in energia delle diverse sorgenti radioattive, riportati in tabella 3.6. I risultati ottenuti della risoluzione con i relativi errori sono riportati in tabella 3.8. La risoluzione è stata successivamente graficata in funzione dell energia dei raggi γ incidenti ed è stato eseguito un fit utilizzando la funzione R = p0 E + p1 E + p2 dove p0, p1 e p2 sono tre parametri che si ottengono dal fit. 42

RUN R[%] σ R 6163 67.37 0.59 6162 76.41 2.30 6161 41.77 0.43 6160 34.28 0.22 6163 59.50 1.10 6162 22.60 0.58 6165 28.40 0.78 Tabella 3.8: Valori della risoluzione in energia ed il suo errore calcolati per le sorgenti radioattive usate per la calibrazione. Figura 3.21: Andamento della risoluzione in funzione dell energia delle sorgenti radioattive. Per eseguire il fit è stata utilizzata la funzione R = p0 E + p1 + p2 dove R è la risoluzione, E l energia e p0, p1 e p2 i E parametri che si ottengono dal fit. 43

Conclusioni Oggetto di questo lavoro di tesi è stata la calibrazione di un rivelatore a scintillatore liquido. Il rivelatore che è stato calibrato è costituito da uno scintillatore liquido della SCIONIX HOLLAND modello LS EJ-309 accoppiato al PMT 9821B della ET Enterprises. In primo luogo è stato calcolato il valore della somma delle resistenze del partitore di tensione del PMT. Sono stati studiati gli spettri di singolo fotoelettrone relativi a diverse tensioni di alimentazioni del PMT attraverso i quali è stato possibile ottenere la carica corrispondente al singolo fotoelettrone e quindi il guadagno del PMT che risulta essere di 10 6 10 7 come atteso. Infine tramite l utilizzo delle sorgenti radioattive di 210 P b, 241 Am, 133 Ba, 137 Cs e 60 Co è stato verificato l andamento lineare della resa in luce dello scintillatore in funzione delle energia rilasciata da tali sorgenti ed è stata calcolata la risoluzione. 44

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