Esperienza religiosa, educazione, riflessione pedagogica Breve documento di lavoro a cura di Pierpaolo Triani Piacenza, 17 marzo 2015 aggiornato il 4 maggio 2016 Premessa Lo scopo di questo breve documento non è quello di presentare delle definizioni o delle conclusioni, quanto piuttosto di proporre al confronto e al dibattito alcune riflessioni al fine di tracciare alcune linee che possono costituire una sorta di orizzonte per l ambito di ricerca che stiamo affrontando insieme. Come è emerso con chiarezza nel seminario di Bologna del settembre 2014 e come ha sottolineato più volte in questi anni M. T. Moscato nei suoi scritti è molto importante riporre sotto la luce della riflessione e della ricerca pedagogica il tema dell esperienza religiosa. Ciò comporta il percorrere due linee di lavoro tra loro strettamente correlate: approfondire ulteriormente la specificità del tema dal punto di vista concettuale; raccogliere in modo sistematico dei dati sull esperienza religiosa concretamente vissuta dalle persone, nelle loro diverse età e situazioni di vita. Ma quali sono le domande che queste linee intendono affrontare? E queste domande da quale prospettiva di partenza, da quali assunti di base partono? E su queste due questioni di fondo che vorrei brevemente soffermarmi. Assunti La possibilità e l opportunità di un impegno di ricerca pedagogico sull esperienza religiosa si fonda a mio parere, su alcuni riconoscimenti che assumono la funzione di veri e propri assunti di partenza. Possono essere così sintetizzati. a) La dimensione e l esperienza religiosa sono dati presenti nell esistenza umana che attraversano le culture tanto da poterle definire come un fenomeno antropologicamente universale. Sul fatto religioso (J. Delumeau, 1993] possono esservi diverse interpretazioni. Tuttavia tutti, sia coloro che giungono alla conclusione che esso sia un fenomeno intrinsecamente connesso vita umana (Guardini 1958, Lonergan 1971, Lonergan 1976), sia coloro che lo considerano come una sorta di sintomo di una nevrosi o di uno stato ancora infantile della cultura umana (si pensa alla critica di stampo freudiani), sia coloro che si limitano ad esaminarlo come un dato antropologico del passato e del presente senza prendere posizione in merito al suo valore e alla sua permanenza nel futuro, partono dalla constatazione che vi è negli uomini un esperienza e un linguaggio religioso.
b) L assunto del riconoscimento dell esistenza del fatto religioso ne richiama immediatamente un altro che riguarda la sua complessità, ossia la sua irriducibilità ad un solo elemento. Particolarmente importante è l intreccio tra l aspetto individuale, quello relazionale e quello sociale. E significativo a questo proposito un passaggio di R. Guardini: Il religioso è qualcosa di elementare. Appartiene alle realtà fondamentali della nostra esistenza; ma non è semplice. Semplice è ciò che può essere ridotto ad un unico elemento dell essere, ad un'unica causa dell accadere, ad un unico orientamento dell azione. Nessuna realtà, però, è semplice; essa è sempre complessa. E in particolare lo è quando si tratta degli esseri viventi e soprattutto dell uomo. Se indaghiamo il religioso, allora dobbiamo essere pronti per qualcosa di estremamente complesso, stratificato, carico di tensione. Ogni definizione che volesse riportarlo a una semplicità ultima sarebbe insufficiente, anzi falsa (Guardini, 1958, in Guardini 2010, p. 151). c) Un terzo assunto riguarda la religiosità come forma non solo affezione ma anche di conoscenza. Quella religiosa è un'esperienza che rimanda ad una modalità conoscitiva che possiamo associare al "credere". Non si tratta della banale creduloneria (che ne costituisce una caricatura), ma del riconoscimento del fatto che la conoscenza umana, andando al di là del piano descrittivo, comunemente si proietta oltre ciò che può essere non solo verificato (nell'accezione moderna del termine), ma anche esperito con certezza. In tal senso lo sporgersi oltre il "dato" accomuna tutti e la fede - come ricordava qualche anno fa Arrigo Levi - si esprime anche tra coloro che si professano "laici". d) Un quarto assunto riguarda l inevitabilità del fatto religioso per coloro che vogliono studiare i processi umani, sia nella loro dimensione individuale che sociale. Ignorare l esperienza religiosa significa precludersi la possibilità di comprendere dal loro interno linguaggi, costumi, convinzione che caratterizzano moltissimi uomini. (Taylor2007, Audi 2011) e) Un quinto assunto riguarda la dimensione della concretezza storica e personale dell esperienza religiosa. Cercare di interrogare, studiare, comprendere l esperienza religiosa significa avere a che fare con vissuti, credenze, riti, concetti che hanno un precisa forma in rapporto al contesto di riferimento. f) Un sesto assunto, per la ricerca pedagogica quello decisivo, riguarda l educabilità dell esperienza religiosa. La pluralità di modi e di livelli attraverso i quali gli uomini vivono ed esprimono la religiosità, indicano con sufficiente chiarezza che su di essa incide fortemente l educazione ricevuta. Non si tratta perciò di un aspetto statico, ma come tutte le dimensione dell uomo essa si presenta come educabile.
Scrive a questo proposito il teologo canadese B. Lonergan: Poiché l uomo è un animale simbolico, il suo sviluppo è solo parzialmente una questione legata ai suoi geni. Tutto ciò che di più alto raggiunge dipende dal suo ambiente storico con le sue tecniche di socializzazione, acculturazione, educazione. Se il gattino o il cucciolo nascono con istinti e abilità predeterminate, il neonato umano è generato con un impotenza tale che lascia spazio ad una plasticità indefinita. Le sue capacità possono essere modellate secondo delle linee che sono state individuate o che possono essere individuate dai sistemi dei simboli. Poiché tali sistemi permettono infinite diversificazioni e elaborazioni, l eccellenza in ogni cammino della vita è sempre una questione di sforzo, addestramento, educazione, incoraggiamento, supporto. Quello che è vero per il resto della vita umana, è vero anche per la vita religiosa (Lonergan 1976, in Lonergan 1985, p. 119) Vi è una sostanziale convergenza in merito al riconoscimento che la religiosità sia una dimensione plasmabile e anche le ricerche che analizzano i racconti di vita (Moscato, Gatti, Caputo 2012; Arici, Gabbiadini, Moscato 2014) confermano questa linea. Altrettanto condivisa appare la sottolineatura di alcuni autori che evidenziano come vi possano essere forme di esperienza e vita religiosa qualificabili con gradi diversi di maturità (A. Godin 1981, M. Diana 2004, E. Fizzotti 2009). Più controverso però appare il dibattito su quale possa essere il ruolo dell educazione religiosa intenzionale. Si ritrovano infatti in questo ambito le stesse dialettiche che caratterizzano tutto l impegno educativo: è possibile educare una dimensione senza forme e linguaggi definiti? Ma queste forme e linguaggi non impediscono al soggetto di scegliere liberamente lo sviluppo di quella dimensione? Ma come può un soggetto scegliere liberamente di coltivare una propria dimensione se prima non ne fa esperienza e non gli viene fatta conoscere? Quali caratteristiche, quali attenzioni, quali confini è bene che abbia questa azione educativa? Che orizzonti è bene che apra? Domande Una ricerca, logicamente, ha la sua dinamica fondamentale nelle domande che l animano. Quali sono le domande pertinenti di una ricerca pedagogica che voglia assumere la complessità e la serietà dell esperienza religiosa, senza invadere campi che non gli sono propri? Mi pare che, accanto a quelle appena richiamate, di carattere strettamente teoretico, in merito all educabilità dell esperienza religiosa, ve ne siano altre. Provo ad elencarne alcune senza pretesa di esaustività: 1) L esperienza religiosa come va strutturandosi all interno del processo di formazione delle persone? Che rapporto c è con le diverse età e le diverse situazioni di vita?
2) Quale incidenza ha l esperienza religiosa e la formazione religiosa nei processi formativi delle persone? 3) Vi sono nella formazione religiosa dei dispositivi (si pensi alla preghiera, ai riti, alla dimensione comunitaria). Vi è un nucleo di base di questi dispositivi? Come vanno modificandosi? La loro modificazione come incede sull esperienza religiosa delle persone e sulla loro formazione umana? 4) E possibile definire delle caratteristiche, transculturalmente valide, che distinguano un esperienza religiosa autentica? (assumibile come finalità ultima di un educazione religiosa) 5) Se la dimensione religiosa è ineludibile per comprendere l umano è possibile parlare, dal punto di vista pedagogico, di necessità di un alfabetizzazione religiosa? E realmente possibile distinguerla da una formazione religiosa? Resta sullo sfondo una questione terminologica non meno importante. Risulta chiaro che l oggetto dell attenzione pedagogica nei confronti dell ambito religioso non riguarda in prima battuta le religioni e le loro forme educative (che sono oggetti specifici di un oggetto più ampio), bensì l esperienza religiosa delle persone. Dal punto di vista terminologico però vi è una coincidenza tra esperienza religiosa e esperienza spirituale, tra religiosità e spiritualità? R. Audi (2011), Rationality and Religious Commitment, tr. it La razionalità della religione, Cortina, Milano 2014. F. Arici, R. Gabbiadini, M. T. Moscato (a cura di) (2014), La risorsa religione e i suoi dinamismi. Studi multidisciplinari in dialogo, FrancoAngeli, Milano. C. Fedeli Riscoprire il fenomeno e l esperienza religiosa, al di là del paradigma modernista. Il contributo di Romano Guardini, Pedagogia e Vita, n. 73/2015, pp. 185-201. J. Delumeau (a cura di) (1993), Le fait religieux, tr. it. Il fatto religioso, SEI, Torino 1997. M. Diana (2004), Ciclo di vita ed esperienza religiosa, EDB, Bologna. E. Fizzotti (2009), Introduzione alla psicologia della religione, FrancoAngeli, Milano. A. Godin (1981), Psychologie des expériences religieuses, tr. it Psicologia delle esperienze religiose, Queriniana, Brescia 1983. R. Guardini (1958) Religione e rivelazione, in R. Guardini, Filosofia della religione. Religione e rivelazione, Morcelliana, Brescia 2010. B. Lonergan (1971), Method in Theology, tr, it, Metodo in teologia, Citta Nuova, Roma 2000.
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