RENÉ DESCARTES OPERE

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Transcript:

La traduzione dell opera è stata realizzata con il contributo del SEPS SEGRETARIATO EUROPEO PER LE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE Via Val d Aposa 7-40123 Bologna seps@almaunibo.it - www.seps.it RENÉ DESCARTES OPERE 1637-1649 Testi originali a fronte A cura di Giulia Belgioioso Con la collaborazione di Igor Agostini, Francesco Marrone, Massimiliano Savini BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

MEDITATIO III De Deo, quod existat Claudam nunc oculos, aures obturabo, avocabo omnes sensus, imagines etiam rerum corporalium omnes vel ex cogitatione mea delebo, vel certe, quia hoc fieri vix potest, illas ut inanes et falsas nihili pendam, meque solum alloquendo et penitius inspiciendo, meipsum paulatim mihi magis notum et familiarem reddere conabor. Ego sum res cogitans, id est dubitans, affirmans, negans, pauca intelligens, multa ignorans, volens, nolens, imaginans etiam et sentiens; ut enim ante animadverti, quamvis illa quae sentio vel imaginor extra me fortasse nihil sint, illos tamen cogitandi modos, quos sensus et imaginationes appello, quatenus cogitandi quidam modi tantum sunt, in me esse sum certus. Atque his paucis omnia recensui quae vere scio, vel saltem quae me scire hactenus animadverti. Nunc circumspiciam diligentius an forte adhuc apud me alia sint ad quae nondum respexi. Sum certus me esse rem cogitantem. Nunquid ergo etiam scio quid requiratur ut de aliqua re sim certus? Nempe in hac prima cognitione nihil aliud est, quam clara quaedam et distincta perceptio ejus quod affirmo; quae sane non sufficeret ad me certum de rei veritate reddendum, si posset unquam contingere, ut aliquid, quod ita clare et distincte perciperem, falsum esset; ac proinde jam videor pro regula generali posse statuere, illud omne esse verum, quod valde clare et distincte percipio. Verumtamen multa prius ut omnino certa et manifesta admisi, quae tamen postea dubia esse deprehendi. Qualia ergo ista fuere? Nempe terra, coelum, sydera et caetera omnia quae sensibus usurpabam. Quid autem de illis clare percipiebam? Nempe ipsas talium rerum ideas, sive cogitationes, menti meae obversari. Sed ne nunc quidem illas ideas in me esse inficior. Aliud autem quiddam erat quod affirmabam, quodque etiam ob consuetudinem credendi clare me percipere arbitrabar, quod tamen revera non percipiebam: nempe res quasdam extra me esse, a quibus ideae istae procedebant, et quibus omnino similes erant. Atque hoc 96 Il titolo definitivo in A Mersenne, 28 gennaio 1641, B 301, p. 1395 (AT III 297, ll. 23-26). 97 De Luynes/Clerselier 1647 aggiunge qui: «qui aime, qui hait» (p. 33; il testo anche in AT IX-1 27). 98 Cfr. Meditazioni, II, B Op I 719-721 (AT VII 28, l. 20-29, l. 18). 99 De Luynes/Clerselier 1647: «Toutes les choses que nous concevons fort clairement et 35 35 MEDITAZIONE TERZA Dio; che esiste 96 Adesso chiuderò gli occhi, tapperò le orecchie, ritrarrò tutti i sensi; delle cose corporee cancellerò dal mio pensiero persino le immagini, tutte, o, almeno, dato che è difficile riuscirvi, non le considererò d alcun valore, in quanto vane e false, e rivolgendomi a me soltanto, guardandomi più in profondità, mi sforzerò di rendermi poco a poco più noto e familiare a me stesso. Io sono una cosa pensante, ossia che dubita, afferma, nega, poche cose intende e molte ignora 97, vuole, non vuole, immagina, inoltre, e sente: infatti, come mi sono prima accorto 98, per quanto quel che sento o immagino non sia forse nulla al di fuori di me, sono nondimeno certo che esistono in me quei modi del pensare che chiamo sensi ed immaginazioni, in quanto sono soltanto dei modi del pensare. E con queste poche parole ho passato in rassegna tutto ciò che so veramente o, almeno, che mi sono sin qui accorto di sapere. Adesso sonderò più diligentemente se in me ci siano forse anche altre cose cui ancora non ho volto lo sguardo. Io sono certo di essere una cosa pensante. Non conosco forse allora anche che cosa si richiede perché io sia certo di qualcosa? In quella prima conoscenza non c è altro se non una percezione chiara e distinta di quel che affermo; ed essa non basterebbe affatto a rendermi certo della verità della cosa nel caso in cui potesse accadere che fosse falso qualcosa che percepissi così chiaramente e distintamente; e così mi sembra ormai di poter stabilire quale regola generale che è vero tutto quello che percepisco molto chiaramente e distintamente 99. Nondimeno, però, prima ho ammesso come del tutto certe e manifeste molte cose che, successivamente, ho tuttavia scoperto essere dubbie 100. Quali erano, dunque? La Terra, il cielo, le stelle e tutte le altre cose che coglievo con i sensi. Che cosa, però, percepivo chiaramente di esse? 101 Che le idee, ossia i pensieri, di tali cose erano presenti alla mia mente. Ma neppure adesso metto in questione che quelle idee siano in me. Qualcos altro, invece, era quel che affermavo e che, anche per la consuetudine a credervi, ritenevo di percepire chiaramente e tuttavia in realtà non percepivo: che fuori di me ci fossero cose dalle quali tali idee derivavano, ed alle quali erano in tutto simili. Ed era questo ciò su cui mi ingannavo; o, fort distinctement, sont toutes vraies» (p. 34; il testo anche in AT IX-1 27). Quest ultima proposizione, in realtà, apparirà solo in Meditazioni, IV, B Op I 763 (AT VII 62, ll. 15-10), cui rinvia la Sinossi (cfr. B Op I 699; AT VII 15, ll. 3-4). 100 Cfr. Meditazioni, I, B Op I 705-711 (AT VII 18, l. 15-23, l. 9). 101 Simmetricamente in Meditazioni, II: «Quid fuit in prima perceptione distinctum?» (B Op I 722; AT VII 32, ll. 22-23).

728 erat, in quo vel fallebar, vel certe, si verum judicabam, id non ex vi meae perceptionis contingebat. Quid vero? Cum circa res Arithmeticas vel Geometricas aliquid valde simplex et facile considerabam, ut quod duo et tria simul juncta sint quinque, vel similia, nunquid saltem illa satis perspicue intuebar, ut vera esse affirmarem? Equidem non aliam ob causam de iis dubitandum esse postea judicavi, quam quia veniebat in mentem forte aliquem Deum talem mihi naturam indere potuisse, ut etiam circa illa deciperer, quae manifestissima viderentur. Sed quoties haec praeconcepta de summa Dei potentia opinio mihi occurrit, non possum non fateri, siquidem velit, facile illi esse efficere ut errem, etiam in iis quae me puto mentis oculis quam evidentissime intueri. Quoties vero ad ipsas res, quas valde clare percipere arbitror, me converto, tam plane ab illis persuadeor, ut sponte erumpam in has voces: fallat me quisquis potest, nunquam tamen efficiet ut nihil sim, quandiu me aliquid esse cogitabo; vel ut aliquando verum sit me nunquam fuisse, cum jam verum sit me esse; vel forte etiam ut duo et tria simul juncta plura vel pauciora sint quam quinque, vel similia, in quibus scilicet repugnantiam agnosco manifestam. Et certe cum nullam occasionem habeam existimandi aliquem Deum esse deceptorem, nec quidem adhuc satis sciam utrum sit aliquis Deus, valde tenuis et, ut ita loquar, Metaphysica dubitandi ratio est, quae tantum ex ea opinione dependet. Ut autem etiam illa tollatur, quamprimum occurret occasio, examinare debeo an sit Deus, et, si sit, an possit esse deceptor; hac enim re ignorata, non videor de ulla alia plane certus esse unquam posse. Nunc autem ordo videtur exigere, ut prius omnes meas cogitationes in certa genera distribuam, et in quibusnam ex illis veritas aut falsitas proprie consistat, inquiram. Quaedam ex his tanquam rerum imagines sunt, quibus solis proprie convenit ideae nomen: ut cum hominem, vel Chimaeram, vel Coelum, vel Angelum, vel Deum cogito. Aliae vero alias quasdam praeterea formas habent: ut, cum volo, cum timeo, cum affirmo, cum nego, semper quidem aliquam rem ut subjectum meae cogitationis apprehendo, sed aliquid etiam amplius quam istius rei similitudinem cogitatione complector; et ex his aliae voluntates, sive affectus, aliae autem judicia appellantur. 102 Cfr. Meditazioni, I, B Op I 707 (AT VII 20, ll. 23-31). 103 Cfr. Meditazioni, I, B Op I 707 (AT VII 21, ll. 1-11). 104 De Luynes/Clerselier 1647: «ou bien» (p. 36; il testo anche in AT IX-1 28). 105 Per il sintagma metaphysica dubitatio cfr. Risposte III, B Op I 909 (AT VII 172, l. 6); Risposte VII, B Op I 1257, 1259 e 1377 (AT VII 460, ll. 3 e 11 e 546, l. 16); Annotazioni, B Op II 1097 (AT XI 654). 106 De Luynes/Clerselier: «sans la connaissance de ces deux vérités» (p. 36, il testo anche in AT IX-1 29). 36 37 36 37 729 comunque, certo, se anche giudicavo secondo verità, questo non accadeva in forza della mia percezione. E con questo? Quando consideravo qualcosa di molto semplice e facile riguardante le cose matematiche o geometriche, ad esempio che due e tre, sommati fra loro, fanno cinque, o altro di simile, non intuivo forse almeno questo in modo abbastanza perspicuo da asserirlo come vero 102? Certo per una causa soltanto ho in seguito giudicato che si dovesse dubitarne: perché mi veniva in mente che, forse, un Dio avrebbe potuto porre in me una natura tale che io mi ingannassi anche su ciò che sembrava molto manifesto 103. Ma, tutte le volte che mi si presenta questa opinione preconcetta sulla somma potenza di Dio, non riesco a non riconoscere che a lui è facile, purché lo voglia, far sì che io erri anche in ciò che ritengo di intuire, con gli occhi della mente, nel modo più evidente possibile. Tutte le volte, invece, che mi rivolgo verso le cose stesse, che credo di percepire molto chiaramente, ne resto così interamente persuaso da esclamare spontanemente: mi faccia pure sbagliare chiunque abbia il potere di farlo, mai tuttavia farà sì che io sia nulla, fino a quando penserò d essere qualcosa; o che in un qualche tempo sia vero che io mai sia stato, dal momento che ora è vero che io sono; o anche, forse 104, che due e tre, sommati fra loro, facciano più o meno di cinque, o altro di simile, in cui riconosca una manifesta ripugnanza. E, certamente, poiché non ho alcun motivo di ritenere che ci sia un Dio ingannatore, e neppure so ancora se ci sia un Dio, la ragione di dubbio che dipende esclusivamente da quell opinione è molto tenue e, per così dire, metafisica 105. Per rimuovere anch essa, però, debbo, non appena se ne darà motivo, esaminare se Dio sia e, nel caso in cui egli sia, se possa essere ingannatore: non mi sembra infatti di poter mai essere completamente certo di alcun altra cosa, se ignoro questa 106. Adesso, però, l ordine sembra esigere per prima cosa che io ripartisca tutti i miei pensieri in determinati generi, e ricerchi in quali fra essi si trovi propriamente verità o falsità. Alcuni di essi sono come immagini di cose, e ad essi soltanto conviene propriamente il nome di idea: ad esempio quando penso l uomo, o la chimera, o il cielo, o un angelo, o Dio. Altri, invece, hanno in più anche altre forme: ad esempio, quando voglio, temo, affermo, nego, apprendo bensì sempre qualche cosa come soggetto 107 del mio pensiero, ma col pensiero abbraccio anche qualcosa di più grande della somiglianza di questa cosa; e di questi pensieri alcuni sono chiamati volontà, ossia affetti, altri invece giudizi. 107 Ossia, secondo l uso scolastico, oggetto : cfr., ad esempio, R. Goclenius (1572-1621), Lexicon philosophicum quo tanquam clave philosophiae fores aperiuntur, Francofurti, typis viduae Matthiae Becker, impensis Petri Musculi et Ruperti Pistorij, 1613 (rist. anast.: Hildesheim-New York, Olms, 1964), p. 1086.

730 Jam quod ad ideas attinet, si solae in se spectentur, nec ad aliud quid illas referam, falsae proprie esse non possunt; nam sive capram, sive chimaeram imaginer, non minus verum est me unam imaginari quam alteram. Nulla etiam in ipsa voluntate, vel affectibus, falsitas est timenda; nam, quamvis prava, quamvis etiam ea quae nusquam sunt, possim optare, non tamen ideo non verum est illa me optare. Ac proinde sola supersunt judicia, in quibus mihi cavendum est ne fallar. Praecipuus autem error et frequentissimus qui possit in illis reperiri, consistit in eo quod ideas, quae in me sunt, judicem rebus quibusdam extra me positis similes esse sive conformes; nam profecto, si tantum ideas ipsas ut cogitationis meae quosdam modos considerarem, nec ad quidquam aliud referrem, vix mihi ullam errandi materiam dare possent. Ex his autem ideis aliae innatae, aliae adventitiae, aliae a me ipso factae mihi videntur: nam quod intelligam quid sit res, quid sit veritas, quid sit cogitatio, haec non aliunde habere videor quam ab ipsamet mea natura; quod autem nunc strepitum audiam, solem videam, ignem sentiam, a rebus quibusdam extra me positis procedere hactenus judicavi; ac denique Syrenes, Hippogryphes, et similia, a me ipso finguntur. Vel forte etiam omnes esse adventitias possum putare, vel omnes innatas, vel omnes factas: nondum enim veram illarum originem clare perspexi. Sed hic praecipue de iis est quaerendum, quas tanquam a rebus extra me existentibus desumptas considero, quaenam me moveat ratio ut illas istis rebus similes esse existimem. Nempe ita videor doctus a natura. Et praeterea experior illas non a mea voluntate nec proinde a me ipso pendere; saepe enim vel invito obversantur: ut jam, sive velim, sive nolim, sentio calorem, et ideo puto sensum illum, sive ideam caloris, a re a me diversa, nempe ab ignis cui assideo calore, mihi advenire. Nihilque magis obvium est, quam ut judicem istam rem suam similitudinem potius quam aliud quid in me immittere. Quae rationes, an satis firmae sint, jam videbo. Cum hic dico me ita doctum esse a natura, intelligo tantum spontaneo quodam impetu me ferri ad hoc credendum, non lumine aliquo naturali mihi ostendi esse verum. Quae duo multum discrepant; nam quaecumque lumine naturali mihi ostenduntur, ut quod ex eo quod dubitem, sequatur me esse, et 38 731 38 Ora, per quanto attiene alle idee, se vengono considerate solo in se stesse, senza che io le riferisca a qualcos altro, non possono essere propriamente false: che io immagini una capra, o una chimera, infatti, non è meno vero che io immagini l una di quanto lo sia che io immagini l altra. Non si deve temere falsità alcuna neppure nella volontà, in se stessa, o negli affetti: infatti, sebbene io possa desiderare cose cattive, o, persino, cose che non esistono affatto, non per questo, tuttavia, non è vero che io le desidero. E quindi restano i soli giudizi in cui devo evitare di sbagliare. Ora, il principale e più frequente errore che può trovarsi in essi consiste in ciò: giudicare le idee, che sono in me, simili, ossia conformi, a cose che si trovano fuori di me; senza dubbio, infatti, se mi limitassi a considerare queste stesse idee come dei modi del mio pensiero, e non le riferissi ad alcunché d altro, difficilmente potrebbero offrirmi materia d errore. Di queste idee, poi, alcune mi sembrano innate, altre avventizie, altre fatte da me stesso: l intendere quel che significa cosa, quel che significa verità, quel che significa pensiero non mi sembra infatti derivare se non dalla mia stessa natura; il fatto, poi, di udire adesso un rumore, di vedere il Sole, di sentire il fuoco dipende così ho sin qui ritenuto da cose che stanno fuori di me; e, infine, le sirene, gli ippogrifi, e altro di simile sono appunto finti da me. O, anche, posso forse pensare che esse sono tutte avventizie, o tutte innate, o tutte fatte da me: infatti, non ho ancora chiaramente colto la loro vera origine. Ma adesso ci si deve chiedere, con particolare riguardo a quelle che considero come ricavate da cose esistenti al di fuori di me, quale sia la ragione che mi induce a ritenere che esse siano simili a tali cose. Ciò mi sembra essermi insegnato dalla natura. Sperimento inoltre che esse non dipendono dalla mia volontà e, quindi, da me stesso: spesso, infatti, si presentano anche senza che io voglia; adesso, ad esempio, che lo voglia o no, io sento caldo, e quindi ritengo che quella sensazione, o idea 108, del caldo, mi giunga da una cosa diversa da me, ossia dal calore del fuoco vicino al quale siedo. E non c è nulla di più ovvio che giudicare che questa cosa imprima in me una somiglianza di sé, e non qualcos altro. Adesso, vedrò se queste ragioni siano abbastanza solide. Quando qui dico che ciò mi è insegnato dalla natura, intendo solo che sono portato a crederlo per un impulso spontaneo, non che mi sia mostrato come vero da un qualche lume naturale. E le due cose sono ben diverse: infatti, tutto ciò che mi è mostrato dal lume naturale, come ad esempio che dal fatto che dubito segue che esisto 109, e altro di simile, non può essere in 108 Cfr. Meditazioni, II, B Op I 719 (AT VII 29, ll. 15-18). 109 Cfr. Ricerca della verità, B Op II 865 (AT X 523), ma anche Risposte VII, B Op I 1363 (AT VII 537, ll. 6-8).

732 similia, nullo modo dubia esse possunt, quia nulla alia facultas esse potest, cui aeque fidam ac lumini isti, quaeque illa non vera esse possit docere; sed quantum ad impetus naturales, jam saepe olim judicavi me ab illis in deteriorem partem fuisse impulsum, cum de bono eligendo ageretur, nec video cur iisdem in ulla alia re magis fidam. Deinde, quamvis ideae illae a voluntate mea non pendeant, non ideo constat ipsas a rebus extra me positis necessario procedere. Ut enim impetus illi, de quibus mox loquebar, quamvis in me sint, a voluntate tamen mea diversi esse videntur, ita forte etiam aliqua alia est in me facultas, nondum mihi satis cognita, istarum idearum effectrix, ut hactenus semper visum est illas, dum somnio, absque ulla rerum externarum ope, in me formari. Ac denique, quamvis a rebus a me diversis procederent, non inde sequitur illas rebus istis similes esse debere. Quinimo in multis saepe magnum discrimen videor deprehendisse: ut, exempli causa, duas diversas solis ideas apud me invenio, unam tanquam a sensibus haustam, et quae maxime inter illas quas adventitias existimo est recensenda, per quam mihi valde parvus apparet, aliam vero ex rationibus Astronomiae desumptam, hoc est ex notionibus quibusdam mihi innatis elicitam, vel quocumque alio modo a me factam, per quam aliquoties major quam terra exhibetur; utraque profecto similis eidem soli extra me existenti esse non potest, et ratio persuadet illam ei maxime esse dissimilem, quae quam proxime ab ipso videtur emanasse. Quae omnia satis demonstrant me non hactenus ex certo judicio, sed tantum ex caeco aliquo impulsu, credidisse res quasdam a me diversas existere, quae ideas sive imagines suas per organa sensuum, vel quolibet alio pacto, mihi immittant. Sed alia quaedam adhuc via mihi occurrit ad inquirendum an res aliquae, ex iis quarum ideae in me sunt, extra me existant. Nempe, quatenus ideae istae cogitandi quidam modi tantum sunt, non agnosco ullam inter ipsas inaequalitatem, et omnes a me eodem modo procedere videntur; sed, quatenus una unam rem, alia aliam repraesentat, patet easdem esse ab invicem valde diversas. Nam proculdubio illae quae substantias mihi exhibent, majus aliquid sunt, atque, ut ita loquar, plus realitatis objectivae in se continent, quam illae quae tantum modos, sive accidentia, repraesentant; et rursus illa per quam summum aliquem Deum, aeternum, infinitum, omniscium, omnipotentem, rerumque omnium, 110 De Luynes/Clerselier 1647 aggiunge: «En ce qui regarde le vrai et le faux» (p. 40; il testo anche in AT IX-1 30). 111 Inizia qui la prima prova a posteriori dell esistenza di Dio: altre formulazioni della prova in Discorso, IV, B Op I 63 (AT VI 33, l. 25-34, l. 24); Principi della filosofia, I, artt. XVII-XVIII, B Op I 1723-1725 (AT VIII-1 11, l. 5-12, l. 9). 39 40 39 40 733 alcun modo dubbio, perché non può esserci alcun altra facoltà di cui possa fidarmi tanto quanto di questo lume, e che possa insegnarmi che ciò non è vero; quanto agli impulsi naturali, invece, ho spesso già giudicato, in passato, che essi mi hanno spinto, quando si trattava di scegliere il bene, dalla parte sbagliata, e non vedo perché in altre cose 110 debba accordare loro una maggiore fiducia. Inoltre, sebbene quelle idee non dipendano dalla mia volontà, non per questo segue che esse derivino necessariamente da cose che si trovano fuori di me. Infatti, come quegli impulsi dei quali parlavo poc anzi, pur essendo in me, sembrano tuttavia essere diversi dalla mia volontà, così, forse, c è in me anche una qualche altra facoltà, che non conosco ancora abbastanza, che produce queste idee, nel modo in cui mi è sempre parso che esse, mentre sogno, si formano in me senza alcun intervento delle cose esterne. Ed infine, quand anche derivassero da cose diverse da me, non per questo devono essere simili ad esse. Anzi, in molte di queste idee, spesso, mi sembra di aver riscontrato una grande diversità. Ad esempio, trovo in me due diverse idee del Sole: una, che è come attinta dai sensi e che deve a pieno titolo essere annoverata fra quelle che ritengo avventizie, attraverso la quale il Sole mi appare molto piccolo; un altra, invece, ricavata dai calcoli dell astronomia, ossia tratta da alcune nozioni che sono in me innate, oppure fatta in qualsiasi altro modo da me, attraverso la quale il Sole mi viene fatto vedere molte volte più grande della Terra; non possono certo essere entrambe simili al medesimo Sole che esiste fuori di me, e la ragione mi persuade che gli è molto più dissimile quella che sembra provenire da esso nel modo più immediato. Tutto ciò dimostra a sufficienza che non è stato per un giudizio certo, ma solo per un cieco impulso, che ho sinora creduto che esistano cose diverse da me che, attraverso gli organi dei sensi, o in qualsiasi altro modo, immettono in me le loro idee, o immagini. Ma 111 mi si offre ancora un altra via 112 per ricercare se esistano fuori di me alcune delle cose di cui ci sono in me idee. Certo, in quanto queste idee sono soltanto dei modi del pensare, non riconosco fra di esse alcuna disuguaglianza, e mi sembrano tutte derivare da me allo stesso modo; ma, in quanto rappresentano l una una cosa, l altra un altra cosa, risulta che esse sono molto diverse l una dall altra. Senza dubbio, infatti, le idee che mi fanno vedere delle sostanze sono qualcosa di più grande e, per così dire, contengono in sé più realtà obiettiva di quelle che rappresentano soltanto modi, ossia accidenti; e, ancora, quella attraverso cui intendo un Dio sommo, eterno, infinito, onnisciente, onnipotente e creatore di tutte 112 Vedi, su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, pp. 2693-2695 (AT V 354, l. 28-355, l. 3).

734 quae praeter ipsum sunt, creatorem intelligo, plus profecto realitatis objectivae in se habet, quam illae per quas finitae substantiae exhibentur. Jam vero lumine naturali manifestum est tantumdem ad minimum esse debere in causa efficiente et totali, quantum in ejusdem causae effectu. Nam, quaeso, undenam posset assumere realitatem suam effectus, nisi a causa? Et quomodo illam ei causa dare posset, nisi etiam haberet? Hinc autem sequitur, nec posse aliquid a nihilo fieri, nec etiam id quod magis perfectum est, hoc est quod plus realitatis in se continet, ab eo quod minus. Atque hoc non modo perspicue verum est de iis effectibus, quorum realitas est actualis sive formalis, sed etiam de ideis, in quibus consideratur tantum realitas objectiva. Hoc est, non modo non potest, exempli causa, aliquis lapis, qui prius non fuit, nunc incipere esse, nisi producatur ab aliqua re in qua totum illud sit vel formaliter vel eminenter, quod ponitur in lapide; nec potest calor in subjectum quod prius non calebat induci, nisi a re quae sit ordinis saltem aeque perfecti atque est calor, et sic de caeteris; sed praeterea etiam non potest in me esse idea caloris, vel lapidis, nisi in me posita sit ab aliqua causa, in qua tantumdem ad minimum sit realitatis quantum esse in calore vel lapide concipio. Nam quamvis ista causa nihil de sua realitate actuali sive formali in meam ideam transfundat, non ideo putandum est illam minus realem esse debere, sed talem esse naturam ipsius ideae, ut nullam aliam ex se realitatem formalem exigat, praeter illam quam mutuatur a cogitatione mea, cujus est modus. Quod autem haec idea realitatem objectivam hanc vel illam contineat potius quam aliam, hoc profecto habere debet ab aliqua causa in qua tantumdem sit ad minimum realitatis formalis quantum ipsa continet objectivae. Si enim ponamus aliquid in idea reperiri, quod non fuerit in ejus causa, hoc igitur habet a nihilo; atqui quantumvis imperfectus sit iste essendi modus, quo res est objective in intellectu per ideam, non tamen profecto plane nihil est, nec proinde a nihilo esse potest. Nec etiam debeo suspicari, cum realitas quam considero in meis ideis sit tantum objectiva, non opus esse ut eadem realitas sit formaliter in causis istarum idearum, sed sufficere, si sit in iis etiam objective. Nam quemadmodum iste modus essendi objectivus competit ideis ex ipsarum natura, ita modus essendi formalis competit idearum causis, saltem primis et praecipuis, ex earum natura. Et quamvis forte una idea ex alia nasci possit, non tamen hic datur progressus in infinitum, sed tandem ad aliquam primam debet deveniri, cujus causa sit instar archetypi, in quo 41 42 41 42 735 le cose che sono al di fuori di lui, ha senz altro in sé più realtà obiettiva di quelle attraverso le quali mi vengono fatte vedere delle sostanze finite. Adesso, però, è manifesto per lume naturale che in una causa efficiente e totale ci deve essere almeno tanto realtà quanta ce n è nell effetto della stessa causa. Donde chiedo l effetto potrebbe prendere la sua realtà, infatti, se non da una causa? Ed in che modo la causa potrebbe dargliela, se non l avesse anch essa? Da qui, poi, segue che non è possibile che qualcosa provenga dal nulla, e neppure che ciò che è più perfetto, ossia ciò che contiene in sé più realtà, provenga da ciò che lo è meno. E ciò è vero in modo perspicuo non solo per quegli effetti la cui realtà è attuale, ossia formale, ma anche per le idee nelle quali si considera la sola realtà obiettiva. Ossia, non solo non è possibile, ad esempio, che una pietra che prima non c era inizi ora ad essere, a meno che non venga prodotta da una cosa in cui ci sia, o formalmente o eminentemente, tutto ciò che si trova nella pietra; o che del calore sia provocato in un soggetto che prima non era caldo, se non da una cosa che appartenga ad un ordine almeno altrettanto perfetto di quello del calore, e così via; ma non è possibile neppure che in me ci sia l idea del calore, o della pietra, a meno che non sia posta in me da una qualche causa in cui vi sia almeno tanta realtà quanta concepisco esserne nel calore o nella pietra. Infatti, sebbene questa causa non trasmetta nella mia idea alcunché della sua realtà attuale, ossia formale, non per questo si deve ritenere che essa debba essere meno reale, bensì che la natura della stessa idea è tale da non esigere, per sé, alcun altra realtà formale oltre quella che mutua dal mio pensiero, di cui è un modo. Che, però, una tale idea contenga questa o quella realtà obiettiva piuttosto di un altra, ciò deve venirle senz altro da una causa in cui ci sia almeno tanta realtà formale quanta la stessa idea ne contiene di obiettiva. Se, infatti, supponiamo che in un idea si trovi qualcosa che non fosse nella sua causa, allora questo qualcosa gli verrebbe dal nulla; ma, per quanto imperfetto sia questo modo di essere per cui la cosa è obiettivamente nell intelletto attraverso l idea, tuttavia, senz altro, non è interamente un nulla né, quindi, può venire dal nulla. Né devo sospettare, per il fatto che la realtà che considero nelle mie idee è soltanto obiettiva, che non sia necessario che questa stessa realtà sia formalmente nelle cause di queste idee, ma che basti anche che vi sia obiettivamente. Infatti, come è per natura che alle idee compete questo modo di essere obiettivo, così, ancora, è per natura che alle cause delle idee, almeno alle prime e principali, compete questo modo di essere formale. E sebbene, forse, un idea possa nascere da un altra, qui non si dà tuttavia un regresso all infinito, ma si deve infine giungere ad una prima idea la cui causa sia, per così dire, l archetipo 113 in cui è contenuta for- 113 Ossia: esemplare. Cfr., ad esempio, la definizione in A. Calepino, Dictionarium, Ve-

736 omnis realitas formaliter contineatur, quae est in idea tantum objective. Adeo ut lumine naturali mihi sit perspicuum ideas in me esse veluti quasdam imagines, quae possunt quidem facile deficere a perfectione rerum a quibus sunt desumptae, non autem quicquam majus aut perfectius continere. Atque haec omnia, quo diutius et curiosius examino, tanto clarius et distinctius vera esse cognosco. Sed quid tandem ex his concludam? Nempe si realitas objectiva alicujus ex meis ideis sit tanta ut certus sim eandem nec formaliter nec eminenter in me esse, nec proinde me ipsum ejus ideae causam esse posse, hinc necessario sequi, non me solum esse in mundo, sed aliquam aliam rem, quae istius ideae est causa, etiam existere. Si vero nulla talis in me idea reperiatur, nullum plane habebo argumentum quod me de alicujus rei a me diversae existentia certum reddat; omnia enim diligentissime circumspexi, et nullum aliud potui hactenus reperire. Ex his autem meis ideis, praeter illam quae me ipsum mihi exhibet, de qua hic nulla difficultas esse potest, alia est quae Deum, aliae quae res corporeas et inanimes, aliae quae Angelos, aliae quae animalia, ac denique aliae quae alios homines mei similes repraesentant. Et quantum ad ideas quae alios homines, vel animalia, vel Angelos exhibent, facile intelligo illas ex iis quas habeo mei ipsius et rerum corporalium et Dei posse componi, quamvis nulli praeter me homines, nec animalia, nec Angeli, in mundo essent. Quantum autem ad ideas rerum corporalium, nihil in illis occurrit, quod sit tantum ut non videatur a me ipso potuisse proficisci; nam si penitius inspiciam, et singulas examinem eo modo quo heri examinavi ideam cerae, animadverto perpauca tantum esse quae in illis clare et distincte percipio: nempe magnitudinem, sive extensionem in longum, latum, et profundum; figuram, quae ex terminatione istius extensionis exsurgit; situm, quem diversa figurata inter se obtinent; et motum, sive mutationem istius situs; quibus addi possunt substantia, duratio, et numerus: caetera autem, ut lumen et colores, soni, odores, sapores, calor et frigus, aliaeque tactiles qualitates, nonnisi valde confuse et obscure a me cogitantur, adeo ut etiam ignorem an sint verae, vel falsae, hoc est, an ideae, quas de illis habeo, sint rerum quarundam ideae, an non rerum. netiis, in aedibus Manutianis, 1573: «Est et Archetypus substantivum, quo significatur primum exemplar» (p. 63). 114 Cfr., su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, p. 2695 (AT V 355, ll. 4-9). Secondo AT V 355, nota c, il seguito della lettera (p. 2695; AT V 355, ll. 9-12) si riferirebbe a Meditazioni, III, B Op I 747 (AT VII 50, ll. 7-10); in realtà, esso sembra riguardare piuttosto Risposte I, B Op I 821 (AT VII 106, l. 14-107, l. 7). 115 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 729 (AT VII 37, ll. 3-4). 43 737 43 malmente tutta la realtà che nelle idee è soltanto obiettivamente 114. Mi è dunque perspicuo per lume naturale che le idee sono in me come delle immagini 115, le quali possono certo difettare della perfezione delle cose da cui sono ricavate, ma non contenere qualcosa di più grande o di più perfetto. E quanto più a lungo e accuratamente esamino tutte queste cose, tanto più chiaramente e distintamente conosco che sono vere. Ma cosa ne concluderò infine? Che se tanta è la realtà obiettiva di una delle mie idee da essere certo che essa non è in me né formalmente, né eminentemente e che, quindi, non posso essere io la causa di questa idea, allora segue necessariamente che al mondo non ci sono io soltanto, ma esiste anche un altra cosa, che è causa di questa idea; se, invece, non si trova in me alcun idea che sia tale, non avrò assolutamente argomento alcuno che mi renda certo dell esistenza di una cosa diversa da me; li ho infatti sondati tutti molto diligentemente, e sinora non ho saputo trovarne alcun altro. Ora, di queste mie idee, oltre a quella che fa vedere me a me stesso, e a proposito della quale non può esserci a questo punto alcuna difficoltà, ce n è una che rappresenta Dio, altre che rappresentano cose corporee e inanimate, altre angeli, altre animali, altre, infine, altri uomini simili a me. E per quel che riguarda le idee che mi fanno vedere altri uomini, o animali, o angeli, intendo facilmente che esse possono essere composte di quelle che ho di me stesso, delle cose corporee e di Dio, quand anche al mondo non ci fossero affatto, oltre a me, né uomini, né animali, né angeli. Quanto poi alle idee delle cose corporee, non si trova in esse alcunché di tanto grande che non sembri poter essere provenuto da me stesso. Infatti, se le guardo più in profondità 116, e le esamino una per una, nel modo in cui ieri ho esaminato l idea della cera 117, mi accorgo che è ben poco ciò che in esse percepisco chiaramente e distintamente: la grandezza, ossia l estensione in lunghezza, larghezza e profondità; la figura, che si origina dalla delimitazione di tale estensione; la posizione che le differenti cose, con la loro figura, occupano l una rispetto all altra; ed il movimento, ossia il mutamento di questa posizione; a ciò si possono aggiungere la sostanza, la durata, ed il numero; tutto il resto, invece, come la luce ed i colori, i suoni, gli odori, i sapori, il caldo ed il freddo e le altre qualità del tatto, è da me pensato in modo soltanto molto confuso ed oscuro, al punto che ignoro persino se sia vero o falso, ossia se le idee che ne ho siano idee di cose, per così dire, o di non cose. Sebbene, 116 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 727 (AT VII 34, ll. 16-17). 117 Meditazioni, II: «Unum in particulari» (B Op I 720; AT VII 30, l. 7); «Hanc in particulari» (B Op I 720; AT VII 31, l. 18).

738 Quamvis enim falsitatem proprie dictam, sive formalem, nonnisi in judiciis posset reperiri paulo ante notaverim, est tamen profecto quaedam alia falsitas materialis in ideis, cum non rem tanquam rem repraesentant: ita, exempli causa, ideae quas habeo caloris et frigoris, tam parum clarae et distinctae sunt, ut ab iis discere non possim, an frigus sit tantum privatio caloris, vel calor privatio frigoris, vel utrumque sit realis qualitas, vel neutrum. Et quia nullae ideae nisi tanquam rerum esse possunt, siquidem verum sit frigus nihil aliud esse quam privationem caloris, idea quae mihi illud tanquam reale quid et positivum repraesentat, non immerito falsa dicetur, et sic de caeteris. Quibus profecto non est necesse ut aliquem authorem a me diversum assignem; nam, si quidem sint falsae, hoc est nullas res repraesentent, lumine naturali notum mihi est illas a nihilo procedere, hoc est, non aliam ob causam in me esse quam quia deest aliquid naturae meae, nec est plane perfecta; si autem sint verae, quia tamen tam parum realitatis mihi exhibent, ut ne quidem illud a non re possim distinguere, non video cur a me ipso esse non possint. Ex iis vero quae in ideis rerum corporalium clara et distincta sunt, quaedam ab idea mei ipsius videor mutuari potuisse, nempe substantiam, durationem, numerum, et si quae alia sint ejusmodi; nam cum cogito lapidem esse substantiam, sive esse rem quae per se apta est existere, itemque me esse substantiam, quamvis concipiam me esse rem cogitantem et non extensam, lapidem vero esse rem extensam et non cogitantem, ac proinde maxima inter utrumque conceptum sit diversitas, in ratione tamen substantiae videntur convenire; itemque, cum percipio me nunc esse, et prius etiam aliquamdiu fuisse recordor, cumque varias habeo cogitationes quarum numerum intelligo, acquiro ideas durationis et numeri, quas deinde ad quascumque alias res possum transferre. Caetera autem omnia ex quibus rerum corporearum ideae conflantur, nempe extensio, figura, situs, et motus, in me quidem, cum nihil aliud sim quam res cogitans, formaliter non continentur; sed quia sunt tantum modi quidam substantiae, ego autem substantia, videntur in me contineri posse eminenter. Itaque sola restat idea Dei, in qua considerandum est an aliquid sit quod a me ipso non potuerit proficisci. Dei nomine intelligo substantiam quandam infinitam, independentem, summe intelligentem, summe 118 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 731 (AT VII 37, ll. 20-22). 119 Cfr., su questo, Meditazioni, IV, B Op I 753 (AT VII 54, ll. 13-16); Burman, B Op II 1259 (AT V 153). 120 Cfr., su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, p. 2695 (AT V 355, ll. 13-21). 44 45 44 45 739 infatti, come ho prima notato 118, la falsità propriamente detta, ossia quella formale, non possa trovarsi che nei giudizi, tuttavia nelle idee c è sicuramente un altra falsità, materiale, quando rappresentano una non cosa come se fosse una cosa: così, ad esempio, le idee che ho del caldo e del freddo sono tanto poco chiare e distinte che in base ad esse non posso sapere se il freddo sia solo privazione del caldo o il caldo privazione del freddo, o se entrambi siano una qualità reale, oppure non lo siano né l uno né l altro. E poiché non possono darsi idee se non come idee di cose 119, se fosse vero che il freddo non è altro che privazione del caldo, l idea che me lo rappresenta come un che di reale e positivo sarebbe detta, non senza motivo, falsa, e così per il resto. E non è davvero necessario che io assegni ad esse un autore diverso da me: infatti, se sono false, ossia non rappresentano alcuna cosa, mi è noto per lume naturale che esse procedono dal nulla, ossia non sono in me per alcun altra causa se non perché alla mia natura manca qualcosa e non è interamente perfetta; se, invece, sono vere, poiché, tuttavia, mi fanno vedere tanta poca realtà che non riesco neppure a distinguerle da una non cosa, non vedo perché non possano venire da me stesso. Quanto poi a quel che è chiaro e distinto nelle idee delle cose corporee, qualcosa mi sembra abbia potuto essere mutuato dall idea di me stesso, ossia la sostanza, la durata, il numero e quant altro ci sia di questo genere 120 : infatti, quando penso che la pietra è sostanza, ossia una cosa atta ad esistere per sé, e che anche io sono sostanza, sebbene concepisca che io sono una cosa pensante e non estesa, la pietra invece una cosa estesa e non pensante, e sebbene quindi sia massima la diversità fra entrambi i concetti 121, essi sembrano tuttavia convenire nella natura di sostanza; e di nuovo, quando percepisco che adesso sono, e ricordo di essere stato per un certo tempo anche prima, ed ho vari pensieri di cui intendo il numero, acquisisco le idee della durata e del numero, che poi posso trasferire a qualsiasi altra cosa. Quanto a tutto il resto di cui si combinano le idee delle cose corporee, ossia l estensione, la figura, la posizione ed il movimento, di sicuro non sono contenute in me formalmente, in quanto io non sono altro che una cosa pensante; ma poiché esse sono soltanto dei modi della sostanza, invece io sono sostanza, sembrano poter essere contenute in me eminentemente. E così resta la sola idea di Dio in cui si deve considerare se ci sia qualcosa che non sia potuto provenire da me stesso. Col nome di Dio intendo una sostanza infinita 122, indipendente, sommamente intelligente, som- 121 Nella quarta meditazione, Descartes escluderà però ancora di percepire con evidenza la distinzione fra mente e corpo (Meditazioni, IV, B Op I 759; AT VII 59, ll. 5-14). 122 Vedi, su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, p. 2695 (AT V 355, l. 22-356, l. 1).

740 potentem, et a qua tum ego ipse, tum aliud omne, si quid aliud extat, quodcumque extat, est creatum. Quae sane omnia talia sunt ut, quo diligentius attendo, tanto minus a me solo profecta esse posse videantur. Ideoque ex antedictis, Deum necessario existere, est concludendum. Nam quamvis substantiae quidem idea in me sit ex hoc ipso quod sim substantia, non tamen idcirco esset idea substantiae infinitae, cum sim finitus, nisi ab aliqua substantia, quae revera esset infinita, procederet. Nec putare debeo me non percipere infinitum per veram ideam, sed tantum per negationem finiti, ut percipio quietem et tenebras per negationem motus et lucis; nam contra manifeste intelligo plus realitatis esse in substantia infinita quam in finita, ac proinde priorem quodammodo in me esse perceptionem infiniti quam finiti, hoc est Dei quam mei ipsius. Qua enim ratione intelligerem me dubitare, me cupere, hoc est, aliquid mihi deesse, et me non esse omnino perfectum, si nulla idea entis perfectioris in me esset, ex cujus comparatione defectus meos agnoscerem? Nec dici potest hanc forte ideam Dei materialiter falsam esse, ideoque a nihilo esse posse, ut paulo ante de ideis caloris et frigoris, et similium, animadverti; nam contra, cum maxime clara et distincta sit, et plus realitatis objectivae quam ulla alia contineat, nulla est per se magis vera, nec in qua minor falsitatis suspicio reperiatur. Est, inquam, haec idea entis summe perfecti et infiniti maxime vera; nam quamvis forte fingi possit tale ens non existere, non tamen fingi potest ejus ideam nihil reale mihi exhibere, ut de idea frigoris ante dixi. Est etiam maxime clara et distincta; nam quidquid clare et distincte percipio, quod est reale et verum, et quod perfectionem aliquam importat, totum in ea continetur. Nec obstat quod non comprehendam infinitum, vel quod alia innumera in Deo sint, quae nec comprehendere, nec forte etiam attingere cogitatione, ullo modo possum; est enim de ratione infiniti, ut a me, qui sum finitus, non comprehendatur; et sufficit me hoc ipsum intelligere, ac judicare, illa omnia quae clare percipio, et perfectionem aliquam importare scio, atque etiam forte alia innumera quae ignoro, vel formaliter vel eminen- 46 123 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 733-735 (AT VII 40, ll. 15-20). 124 Vedi, su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, p. 2695 (AT V 356, ll. 8-14). 125 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 739 (AT VII 44, ll. 10-12). 126 Vedi, su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, p. 2695 (AT V 356, ll. 15-21). 741 46 mamente potente, e dalla quale siamo stati creati sia io stesso, sia ogni altra cosa, se qualche altra cosa c è, quale che sia. E certo tutto quel che così intendo è tale che, quanto più diligentemente vi presto attenzione, tanto meno sembra poter esser provenuto da me soltanto. E perciò si deve concludere, in base a quanto detto sopra, che Dio esiste necessariamente. Infatti, quand anche l idea di sostanza fosse in me per il fatto stesso che io sono sostanza, non per questo, tuttavia, vi sarebbe l idea della sostanza infinita, poiché sono finito, a meno che essa non provenisse da una sostanza che fosse infinita in realtà. E non devo ritenere di non percepire l infinito attraverso una vera idea, ma soltanto attraverso la negazione del finito, allo stesso modo in cui percepisco la quiete e le tenebre, per negazione del movimento e della luce; al contrario, infatti, intendo manifestamente che c è più realtà nella sostanza infinita che in quella finita 123 e che, quindi, in me, la percezione dell infinito viene prima di quella del finito, ossia quella di Dio prima di quella di me stesso 124. In che modo, infatti, intenderei di dubitare, di desiderare, vale a dire che mi manca qualcosa e non sono interamente perfetto, se non ci fosse in me alcuna idea di un ente più perfetto, paragonandomi al quale riconoscere i miei difetti? E non si può dire che forse questa idea è materialmente falsa e, perciò, può venire dal nulla, come ho notato poco sopra a proposito delle idee del caldo e del freddo e simili 125 : al contrario, infatti, dal momento che essa è massimamente chiara e distinta e contiene più realtà obiettiva di ogni altra, non ve n è alcuna che sia per sé più vera, e nella quale possa trovarsi minor sospetto di falsità. Quest idea di un ente sommamente perfetto ed infinito è, dico, massimamente vera 126 : infatti, quand anche, forse, si possa fingere che un tale ente non esista 127, non si può tuttavia fingere che la sua idea non mi faccia vedere alcunché di reale, come ho detto sopra dell idea del freddo 128. È anche massimamente chiara e distinta: infatti, tutto ciò che percepisco chiaramente e distintamente, che è reale e vero e che implica una qualche perfezione è contenuto interamente in essa. E non importa che io non comprenda l infinito o che in Dio vi siano innumerevoli altre cose che non posso in alcun modo comprendere né, forse, neppure toccare col pensiero: infatti, appartiene alla natura dell infinito di non essere compreso da me, che sono finito; e basta che io intenda ciò 129 e che giudichi che tutte le cose che percepisco chiaramente e so implicare una qualche perfezione, e forse anche innumerevoli altre che ignoro, siano formalmente o eminentemente in 127 Il congiuntivo possit esprime solo una possibilità, poi esclusa in Meditazioni, V, B Op I 767 (AT VII 66, ll. 2-15). 128 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 737-739 (AT VII 43, l. 30-44, l. 8). 129 Vedi, su questo, A Clerselier, 23 aprile 1649, B 697, p. 2695 (AT V 356, ll. 22-27).

742 ter in Deo esse, ut idea quam de illo habeo sit omnium quae in me sunt maxime vera, et maxime clara et distincta. Sed forte majus aliquid sum quam ipse intelligam, omnesque illae perfectiones quas Deo tribuo, potentia quodammodo in me sunt, etiamsi nondum sese exerant, neque ad actum reducantur. Experior enim jam cognitionem meam paulatim augeri; nec video quid obstet quo minus ita magis et magis augeatur in infinitum, nec etiam cur, cognitione sic aucta, non possim ejus ope reliquas omnes Dei perfectiones adipisci; nec denique cur potentia ad istas perfectiones, si jam in me est, non sufficiat ad illarum ideam producendam. Imo nihil horum esse potest. Nam primo, ut verum sit cognitionem meam gradatim augeri, et multa in me esse potentia quae actu nondum sunt, nihil tamen horum ad ideam Dei pertinet, in qua nempe nihil omnino est potentiale; namque hoc ipsum, gradatim augeri, certissimum est imperfectionis argumentum. Praeterea, etiamsi cognitio mea semper magis et magis augeatur, nihilominus intelligo nunquam illam idcirco fore actu infinitam, quia nunquam eo devenietur, ut majoris adhuc incrementi non sit capax; Deum autem ita judico esse actu infinitum, ut nihil ejus perfectioni addi possit. Ac denique percipio esse objectivum ideae non a solo esse potentiali, quod proprie loquendo nihil est, sed tantummodo ab actuali sive formali posse produci. Neque profecto quicquam est in his omnibus, quod diligenter attendenti non sit lumine naturali manifestum; sed quia, cum minus attendo, et rerum sensibilium imagines mentis aciem excaecant, non ita facile recordor cur idea entis me perfectioris necessario ab ente aliquo procedat quod sit revera perfectius, ulterius quaerere libet an ego ipse habens illam ideam esse possem, si tale ens nullum existeret. Nempe a quo essem? A me scilicet, vel a parentibus, vel ab aliis quibuslibet Deo minus perfectis; nihil enim ipso perfectius, nec etiam aeque perfectum, cogitari aut fingi potest. Atqui, si a me essem, nec dubitarem, nec optarem, nec omnino quicquam mihi deesset; omnes enim perfectiones quarum idea aliqua in me 130 Sulla chiarezza e distinzione dell idea di Dio cfr. anche Principi della filosofia, I, art. XIX, B Op I 1725 (AT VIII-1, ll. 10-18). 131 Vedi, su questo, Burman, B Op II 1261 (AT V 154). 132 Sulla scelta del termine adipisci cfr. A Mersenne del 4 marzo 1641: «Mi avete scritto [ ] di aver messo intendere al posto di acquisire, dove ci sono queste parole: acquisire tutte le altre perfezioni di Dio. Ho visto il luogo in seguito, per caso; credo sia nella terza meditazione, e trovo che lì ci voglia acquisire; infatti prima [in realtà, dopo, anche se non alla lettera: cfr. B Op I 743-745, AT VII 48, ll. 7-10] ho detto che, se fossi da me, non soltanto potrei intendere, ma potrei di fatto darmi, ossia acquisire, tutte le perfezioni di Dio» (B 304, p. 1421; AT III 329, ll. 12-19). 47 48 47 48 743 Dio perché l idea che ho di lui sia, tra tutte quelle che sono in me, massimamente vera e massimamente chiara e distinta 130. Ma forse sono qualcosa di più di quanto io stesso intenda e tutte quelle perfezioni che attribuisco a Dio sono in qualche modo in me in potenza, per quanto ancora non si siano dispiegate, né siano passate in atto. Sperimento ormai, infatti, che la mia conoscenza aumenta poco a poco e non vedo cosa impedisca che, in tal modo, essa aumenti sempre di più, all infinito; e neanche perché, così aumentata la conoscenza, io non possa, attraverso di essa 131, acquisire 132 tutte le altre perfezioni di Dio; né vedo, infine, perché l essere in potenza rispetto a queste perfezioni, se adesso è in me, non basti a produrne l idea. Al contrario, nulla di tutto ciò è possibile. In primo luogo, infatti, per quanto sia vero che la mia conoscenza aumenta gradualmente, e che ci sono in me in potenza molte cose che non sono ancora in atto, nessuna di esse appartiene tuttavia all idea di Dio, nella quale assolutamente nulla è potenziale: lo stesso fatto di aumentare gradualmente, infatti, è argomento certissimo di imperfezione. Inoltre, anche se la mia conoscenza aumentasse sempre di più, nondimeno intendo che non per questo essa diverrà mai infinita in atto, perché mai giungerà al punto di non essere suscettibile di un incremento ancora maggiore; invece, giudico che Dio è così infinito in atto che nulla si può aggiungere alla sua perfezione 133. Ed infine percepisco che l essere obiettivo dell idea non può essere prodotto dal mero essere potenziale che, propriamente parlando, è un nulla, ma soltanto da quello attuale, ossia formale. E non c è davvero alcunché, in tutto ciò, che non sia manifesto per lume naturale a chi vi presti diligentemente attenzione; ma, poiché quando presto minore attenzione e le immagini delle cose sensibili offuscano l acume della mente 134 non ricordo così facilmente il motivo per cui l idea di un ente più perfetto di me proceda necessariamente da un ente che sia più perfetto nella realtà, ci si voglia chiedere, ancora, se potrei esistere io stesso, che ho quell idea, se un tale ente non esistesse 135. Da chi, dunque, verrei? O da me, o dai miei genitori, o da chiunque altro meno perfetto di Dio: nulla, infatti, può essere pensato, o finto, più perfetto di lui, e neanche ugualmente perfetto. Se, però, venissi da me stesso, non dubiterei, non avrei desideri e non mi mancherebbe assolutamente alcunché: infatti, mi sarei dato tutte le 133 Cfr. Meditazioni, III, B Op I 740 (AT VII 46, ll. 11-12): «[ ] entis summe perfecti et infiniti». 134 L espressione acies mentis, con questo stesso significato e in opposizione allo sguardo degli occhi (consuetudo oculorum), è attestata in Cicerone, De natura deorum, 2, 17. 135 Inizia qui la seconda prova a posteriori dell esistenza di Dio: altre formulazioni della prova in Discorso, IV, B Op I 63 (AT VI 34, l. 24-35. l. 6); Principi della filosofia, I, artt. XX-XXI, B Op I 1725-1727 (AT VIII-1 12, l. 19-13, l. 13).