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1 1. Autospazi e autospazi generalizzati Sia ϕ: V V un endomorfismo. Allora l assegnazione x ϕ induce un morfismo di anelli ρ: K[x] End K (V ). Più esplicitamente, al polinomio p dato da viene associato l endomorfismo p(x) = a 0 + a 1 x + + a n x n p(ϕ) = a 0 Id + a 1 ϕ + + a n ϕ n, dove, al solito, ϕ n indica la composizione di ϕ con se stesso n volte. Tutto questo ci suggerisce come sia opportuno pensare ad uno spazio vettoriale V con un endomorfismo distinto ϕ come un K[x]-modulo. L azione di K[x] su V è, ovviamente, p v = (p(ϕ)) (v). Definizione 1.1. Dato un sottoinsieme S di V, scriviamo Ann K[x] (S), e lo chiamiamo annullatore in V di S, per indicare l insieme dei polinomi p tali che p v = 0 per ogni v in S. Analogamente, per ogni S K[x] scriviamo Ann V (S) per indicare l insieme dei vettori v di V tali che p v = 0 per ogni p in S. Si verifica immediatamente che Ann K[x] (S) è un ideale di K[x] e che Ann V (S) è un sottospazio di V. Inoltre, se S indica il sottospazio generato da S, si ha Ann K[x] (S) = Ann K[x] ( S ); analogamente, se (S) indica l ideale generato da S, si ha Ann V (S) = Ann V ((S)). Altrettanto immediato è osservare che prendere gli annullatori inverte il verso delle inclusioni: se S 1 S 2 sono sottoinsiemi di V, allora Ann K[x] (S 2 ) Ann K[x] (S 1 ), e analogamente accade per i sottoinsiemi di K[x]. In particolare, se p è un polinomio, alla catena decrescente di ideali di K[x] (1) (p) (p 2 ) (p 3 ) corrisponde la catena crescente di sottospazi di V e poniamo {0} Ann V (p) Ann V (p 2 ) Ann V (p 3 ) Ann V (p ) = n N Ann V (p n ). Più esplicitamente, un vettore v di V appartiene al sottospazio Ann V (p ) se e solo se p n v = 0 per qualche n 0. Possiamo dire qualcosa sull andamento della successione crecente di sottospazi Ann V (p n ): Proposizione 1.2. Sia p un polinomio e sia n p = inf { n N : Ann V (p n ) = Ann V (p n+1 ) }, con la solita convenzione n p = se questo insieme è vuoto. Allora Ann V (p ) = Ann V (p np ) Dimostrazione. L enunciato è banale se n p =. Se invece n p è un numero naturale, dimostriamo induttivamente che Ann V (p np+k ) = Ann V (p n p ) per ogni k 0. Per k = 1 non c è nulla da dimostrare, per definizione di n p. Supponiamo allora di aver dimostrato l enunciato per k = k 0 1 e dimostriamolo per k = k Se v Ann V (p np+k0+1 ), allora p np+k (p v) = 0. Dunque p v Ann V (p np+k0 ) = Ann V (p np ) per l ipotesi induttiva. Ma allora v Ann V (p np+1 ) Ann V (p np+k0 ) = Ann V (p np ), dove abbiamo sfruttato la disuguaglianza k 0 1 e di nuovo l ipotesi induttiva. Dal fatto che Ann V (p n ) = Ann V (p n p ) per ogni n n p segue poi immediatamente la tesi. 1

2 2 Osservazione 1.3. In termini più colloquiali la proposizione precedente dice che la successione di sottospazi Ann V (p n ) o è sempre strettamente crescente, oppure è strettamente crescente fino ad un certo punto n p e da lì in poi si stabilizza (ovvero, è costante). Notiamo che se V ha dimensione finita solo la seconda di queste due possibilità può presentarsi. Osservazione 1.4. Si può descrivere più in dettaglio l andamento della successione strettamente crescente Ann V (p n ) per n n p, ma per il momento non lo faremo. Siamo interessati all ideale Ann K[x] (V ) dei polinomi che annullano tutti i vettori di V. Ricordando come è definita l azione di K[x] su V, si ha che p Ann K[x] (V ) se e solo se p(ϕ) = 0. In altre parole, Ann K[x] (V ) è l ideale di tutti i polinomi che si annullano su ϕ. Osservazione 1.5. Si ha Ann K[x] (V ) = ker{ρ: K[x] End K (V )}. Il morfismo di anelli ρ è anche un morfismo di K-spazi vettoriali. In particolare, ne segue che se V ha dimensione finita ker ρ {0}. In altre parole, se V ha dimensione finita, Ann K[x] (V ) {0} per ogni endomorfismo ϕ. Per uno spazio di dimensione infinita, invece, la condizione Ann K[x] (V ) {0} può essere o meno soddisfatta, a seconda dell endomorfismo ϕ preso in esame. Ad esempio, se V è lo spazio vettoriale delle funzioni continue su R, l endomorfismo lineare ϕ definito da f(t) f( t) annulla il polinomio p(x) = x 2 1. Sullo stesso spazio, l endomorfismo f(t) f(t + 1) non è invece annullato da alcun polinomio non nullo. Osservazione 1.6. E utile introdurre la notazione p V = {p v : v V }. Vale a dire, p V è l insieme di tutti i vettori di V della forma p v, al variare di v in V ; è immediato rendersi conto che p V è un sottospazio di V. Si tratta, in effetti, dell immagine del endomorfismo p(ϕ): V V. Con questa notazione, si ha Ann K[x] (V ) = {p K[x] : p V = {0} }. Notiamo anche che, presi comunque due polinomi p 1 e p 2, vale p 1 p 2 V p 1 V p 2 V. Proposizione 1.7. Siano p 1, p 2,..., p k polinomi non nulli tali che (p i, p j ) = 1 per ogni i, j. Allora k k Ann V ( p i ) = Ann V (p i ). In particolare, l applicazione canonica è iniettiva. k Ann V (p i ) V Dimostrazione. Poniamo, m = p 1 p 2 p k e, per ogni i tra 1 e k, q i = m/p i, ovvero q i = j i p j. Si ha, chiaramente (1) (q 1, q 2,..., q k ) = 1; (2) per ogni i tra 1 e k, p i q i = m; (3) per ogni i tra 1 e k, (p i, q i ) = 1; (4) per ogni i j tra 1 e k si ha p i q j. Poiché (p i ) (m), tutti i sottospazi Ann V (p i ) di V sono sottospazi di Ann V (m). Dalla (1) segue che esistono polinomi a 1,... a k tali che a 1 q 1 + a 2 q 2 + a k q k = 1

3 3 Dunque, per ogni v in Ann V (m) si ha v = 1 v = (a 1 q 1 + a 2 q 2 + a k q k ) v = a 1 q 1 v + a 2 q 2 v + a k q k v. Dalla (2) si ha p i (a i q i v) = a i (m v) = 0, dunque a i q i v è un elemento di Ann V (p i ) e abbiamo ottenuto Ann V (m) = Ann V (p 1 ) + Ann V (p 2 ) + + Ann V (p k ). Resta da dimostrare che la somma è diretta. Supponiamo di avere vettori v i Ann V (p i ) con v 1 + v 2 + v k = 0. Dalla (4) seguie che q i v j = 0 per ogni i j. Dunque moltiplicando per q i ambo i membri dell uguaglianza v 1 + v 2 + v k = 0, troviamo q i v i = 0, ovvero v i Ann V (q i ). Ma allora v i Ann V ({p i, q i }) = Ann V ((p i, q i )) = Ann V (1) = {0}, dove ci siamo ricordati della (3). Definizione 1.8. Nelle notazioni precedenti, se è un elemento di K, poniamo V = Ann V (x ) = ker(ϕ Id), V (n) = Ann V ((x ) n ) = ker ((ϕ Id) n ), n N = Ann V ((x ) ) = n N ker ((ϕ Id) n ). Il sottospazio V di V viene detto -autospazio dell endomorfismo ϕ ed il sottospazio viene detto -autospazio generalizzato dell endomorfismo ϕ. Se V {0}, lo scalare si dice autovalore di ϕ e V prende il nome di autospazio relativo all autovalore. Si ha, ovviamente, V (1) = V e V (0) = {0}. Osservazione 1.9. Dalla definizione segue subito che V è il sottospazio di V su cui l endomorfismo ϕ agisce come la moltiplicazione per. In altre parole, v V se e solo se ϕ(v) = v. Osservazione Per definizione di V, si ha V {0} se e solo se ϕ Id non è iniettiva. Se V ha dimensione finita questo è equivalente a chiedere che ϕ Id non sia invertibile, ovvero a chiedere che sia un elemento dello spettro di ϕ. Lemma Presi comunque 1, 2,..., k elementi distinti di K e presi comunque interi positivi n 1, n 2,..., n k, l applicazione canonica è iniettiva. k V (ni) i V Dimostrazione. Basta usare la Proposizione 1.7 con p i = (x i ) ni. Proposizione L applicazione canonica K V è iniettiva, ovvero la somma degli autospazi generalizzati è diretta. Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che se una somma finita v 1 + v v k, con v i i è uguale a 0, allora ogni addendo è uguale a zero. Per definizione di autospazi generalizzati, per ognuno degli addendi v i della somma in esame esiste un intero positivo n i tale che v i V (ni) i. A questo punto basta utilizzare il Lemma 1.11.

4 4 Corollario L applicazione canonica V V K è iniettiva, ovvero la somma degli autospazi è diretta. Osservazione Col solito abuso di notazione scriveremo K V per indicare che la somma degli autospazi generalizzati è diretta. Osserviamo che in generale l applicazione canonica K V non è suriettiva, ovvero l inlusione K V è propria. A maggior ragione, in generale l inclusione K V V è propria. Osservazione Se non appartiene allo spettro di ϕ si ha = {0}. Infatti, se / σ ϕ, allora ϕ Id è invertibile e di conseguenza (ϕ Id) n è invertibile, e dunque iniettivo, per ogni intero positivo n; ne segue = {0}. Abbiamo dunque e, analogamente, K = σ ϕ V = V. σ ϕ K Definizione Un endomorfismo ϕ di uno spazio vettoriale V si dice diagonalizzabile se l applicazione canonica K V V è un isomorfimo. Col solito abuso di notazione diremo che ϕ è diagonalizzabile se V = K V. Osservazione E immediato osservare che un endomorfismo ϕ è diagonalizzabile se e solo se le seguenti due condizioni sono soddisfatte: (1) V = K ; (2) = V, per ogni in K. Sappiamo che K[x] è un anello a ideali principali, ovvero che ogni ideale I K[x] è l insieme dei polinomi che dividono un qualche polinomio m. Inoltre, se I {0}, questo polinomio è un polinomio di grado minimo tra i polinomi di I; da questo segue tra l altro che m unico a meno di multipli scalari. Un tale polinomio prende il nome di polinomio minimo dell ideale I. Definizione Sia ϕ: V V un endomorfismo, e consideriamo la struttura di K[x]-modulo indotta su V dalla scelta di ϕ. Se Ann K[x] (V ) {0}, un polinomio minimo di ϕ è un polinomio m ϕ tale che Ann K[x] (V ) = (m ϕ ). Osservazione Abbiamo già osservato che se V ha dimensione finita allora Ann K[x] (V ) {0}. Dunque ogni endomorfismo di uno spazio vettoriale di dimensione finita ha polinomio minimo. Osservazione Poiché m ϕ, se esiste, è unico a meno di multipli scalari, diremo che m ϕ è il polinomio minimo di ϕ. Proposizione Se l endomorfismo ϕ ha polinomio minimo, allora le seguenti sono equivalenti: (1) è una radice di m ϕ (); (2) è un autovalore di ϕ; (3) {0}; (4) è un elemento dello spettro di ϕ.

5 5 Dimostrazione. Se è radice di m ϕ, allora m ϕ (x) = (x )q(x). Se q V = {0} allora, per definizione di polinomio minimo, m ϕ q, il che è impossibile perché il grado di q è strettamente minore del grado di m ϕ. Dunque esiste un vettore v di V tale che q v 0. Si ha, chiaramente, (x ) (q v) = 0 e dunque q v V, che di conseguenza è diverso da {0}. Dunque (1) implica (2). L implicazione (2) implica (3) è ovvia in quanto V. L Osservazione 1.15 ci dice che (3) implica (4). Infine, sia un elemento dello spettro di ϕ e supponiamo per assurdo che non sia radice di m ϕ. In questo caso si ha (x, m ϕ ) = 1, dunque esistono due polinomi a e b tali che a(x ) + bm ϕ = 1. Per ogni vettore v di V si ha allora v = 1 v = a(x ) v + bm ϕ v = a(x ) v = (x )a v. Dunque l endomorfismo ϕ Id è invertibile con inverso dato da a(ϕ), il che contraddice l ipotesi che ϕ fosse nello spettro di ϕ. Questo dimostra che da (4) segue (1). Osservazione Dalla proposizione precedente segue in particolare che se ϕ ha polinomio minimo, allora lo spettro di ϕ è un insieme finito (non è vero il viceversa). In particolare, se V è uno spazio di dimensione finita, lo spettro di un qualsiasi endomorfismo di V è finito. Proposizione Se l endomorfismo ϕ ha polinomio minimo, allora per ogni scalare si ha: (1) la successione crescente di sottospazi V (n) si stabilizza. (2) il punto n in cui la successione V (n) si stabilizza coincide con la molteplicità algebrica di come radice del polinomio minimo m ϕ. Dimostrazione. Sia e la molteplicità algebrica di come radice del polinomio minimo m ϕ. Se e = 0 non c è nulla da dimostrare: non è un elemento dello spettro di ϕ, quindi = V (0) = {0}. Se e 1, scriviamo m ϕ = (x ) e q, con ((x ), q) = 1. Dalla Proposizione 1.7 con p 1 = (x ) e e p 2 = q, e osservando che Ann V (m ϕ ) = V, si ricava V = V (e ) Ann V (q). Allo stesso modo, con p 1 = (x ) e+1 e p 2 = q, e osservando che m ϕ (x ) e+1 q, si ricava V = V (e +1) Ann V (q). Abbiamo così la catena di inclusioni con V (e ) V = V (e ) Ann V (q) V (e +1) Ann V (q) = V V (e +1). Ne segue immediatamente V (e +1) = V (e ) e dunque, per la Proposizione si stabilizza e si ha = V (e ). Per concludere la dimostrazione ci basta 1.2, la successione V (n) allora dimostrare che V (e 1) V (e ). Se fosse V (e 1) = V (e ), allora da V = V (e ) Ann V (q) segue immediatamente V = V (e 1) Ann V (q) e dunque il polinomio (x ) e 1 q annulla tutto lo spazio V, annullando i due addendi V (e 1) e Ann V (q). Ma questo è impossibile perché (x ) e 1 q ha grado strettamente minore di m ϕ = (x ) e q. Proposizione Se l endomorfismo ϕ ha polinomio minimo, e m ϕ ha tutte le radici in K, allora V =. K Più precisamente, si ha V = K V (e ), e V (e ) =, K, dove e è la molteplicità della radice nel polinomio minimo di ϕ. Dimostrazione. Indichiamo con { 1, 2,..., k } K l insieme delle radici di m ϕ nel campo K. dalla proposizione precedente sappiamo che questo insieme coincide con lo spettro di ϕ. Per ipotesi, m ϕ si fattorizza in fattori lineari su K e abbiamo m ϕ (x) = k σ ϕ (x ) e,

6 6 dove e 1 è la molteplicità di come radice di m ϕ. Applicando la Proposizione 1.7 con p i = (x i ) e i e ricordando che m ϕ annulla tutto V, troviamo V = σ ϕ V (e ). A questo punto basta usare la Proposizione 1.23 e ricordare l Osservazione Corollario Supponiamo l endomorfismo ϕ abbia polinomio minimo. Allora ϕ è diagonalizzabile se e solo se m ϕ ha tutte le radici in K e ognuna di esse ha molteplicità 1. Dimostrazione. Se ϕ è diagonalizzabile, V = σ ϕ V, e lo spettro è finito in quanto ϕ ha polinomio minimo (Osservazioni 1.15 e 1.22). Il polinomio p = σϕ (x ) annulla ogni vettore di V in quanto annulla ognuno degli addendi V ; quest ultima affermazione segue immediatamente da (p) (x ). Dunque m ϕ p. D altra parte, ogni elemento dello spettro di ϕ è una radice di m ϕ (Proposizione 1.21), e dunque p m ϕ. Ne segue che, a meno di un fattore scalare non nullo, m ϕ = (x ). σϕ Il viceversa è un caso particolare della Proposizione 1.24.

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