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1 Presentazione C era proprio bisogno di un nuovo libro sull Alzheimer? Di manuali che descrivono questa brutta malattia e testimoniano quanto sia difficile curare e assistere chi ne è affetto, ce ne sono in fondo già molti. Se a questi si aggiunge tutto ciò che si può trovare in internet, la quantità di informazioni disponibili per chi ne cerca diventa enorme. La maggior parte è informazione biologica e medica, su cosa provochi la malattia, ammesso che lo si sappia, e quali siano i sintomi che la caratterizzano, e poi quali le prospettive terapeutiche e a che farmaci fare riferimento per rallentare la progressione dei danni cerebrali o cercare di compensarli. Non meno copiosa è l informazione che si può trovare sui problemi dei familiari, soprattutto a proposito del disagio psicologico di chi, dopo una vita in comune, assiste da sano alla rovina intellettuale di uno stretto congiunto, senza riuscire a fare qualcosa che premi in termini di miglioramento oggettivo del malanno. Altrettanto abbondante è quanto si può leggere in merito all assistenza e alle formule sperimentabili per fronteggiare i bisogni degli ammalati e di quanti si prendono cura di loro. E anche in merito alla preminenza dell assistenza sulla terapia, visto che di farmaci per curare la malattia per il momento non ce ne sono. Allora, perché un altro libro? Escludiamo che sia per il desiderio di insegnare a tutto il mondo che hanno i neofiti e gli accademici. Infatti, Raffaella Galli e Mariarosaria Liscio, le autrici di questo agile libro, non fanno parte dell accademia e nemmeno sono alla loro prima esperienza come operatori sanitari dedicati alla cura (nel senso più ampio del termine) dei malati di Alzheimer e come autrici. Vantano anzi XI

2 PRESENTAZIONE una lunga militanza in ambedue i campi, ed è probabilmente grazie a questa che hanno percepito ciò che, mancando così spesso nella cura dei malati di Alzheimer, potrebbe migliorarne la qualità contribuendo alla soluzione di molti problemi assistenziali. Fra i problemi più ardui ci sono, come tutti sanno, quelli che derivano dai disturbi del comportamento. Questi annoverano l irrequietezza motoria, l erraticità, il rifiuto ostinato del cibo, la perdita del controllo degli sfinteri, e soprattutto la resistenza ai tentativi di convincimento, e la clamorosità o addirittura la violenza nel far valere questa resistenza. E sono tanto più fastidiosi quanto più si manifestano nel corso della notte, quando i sani vorrebbero dormire. Di regola questi disturbi, presi per l espressione di una volontà ammalata, stimolano iniziative e atteggiamenti coattivi da parte di chi assiste gli ammalati, ciò che induce questi a comportarsi per così dire peggio. Si può innescare a questo punto una spirale perversa di reazioni, che si conclude invariabilmente con la somministrazione di sedativi usati oggi, come una volta i mezzi meccanici di contenzione, per attenuare negli ammalati l intensità del comportamento disturbato. Tutto ciò per ristabilire l equilibrio fra bisogno assistenziale del singolo e capacità assistenziale della struttura sanitaria che se ne prende cura. I fattori da cui dipende questo equilibrio sono intuitivi. Da un lato la tipologia della malattia, che è estremamente variabile da paziente a paziente e, nello stesso paziente, in ragione della fase che la malattia attraversa. Dall altro, la consistenza e la qualificazione della mano d opera. Un paziente che disponesse, per assurdo, di 24 badanti, uno per ogni ora del giorno e della notte, rischierebbe la contenzione farmacologica certamente meno di uno che ne avesse 12, e assai meno di chi ne avesse uno o, com è nella maggior parte dei casi, meno di uno. Nel corso della loro professione, dedicata con tanta insistenza alla cura e alla riabilitazione dei malati di Alzheimer, Galli e Liscio hanno dunque percepito, grazie a una delicata sensibilità umana, il bisogno di un metodo diverso per affrontare i problemi posti dal particolare comportamento dei malati di Alzheimer. Il metodo nuovo è in fondo una tecnica di analisi e di controllo delle proprie reazioni di fronte al comportamento del paziente, e consiste nel chiedersi se, dietro al comportamento che disturba, c è da parte dell ammalato un bisogno fisico o un disagio psicologico, e se quel comportamento per noi anomalo non sia che una modalità di comunicazione e l unico linguaggio disponibile con cui quell ammalato cerca di mettersi in contatto con noi. Sarebbe ingeneroso e anche sbagliato pensare che il malato di XII

3 PRESENTAZIONE Alzheimer ha perduto ogni capacità di comunicazione. È ragionevole ritenere che egli comunichi come può e che quindi stia a noi imparare a capirne il disagio, comportandoci con lui come sapremmo fare senza sforzo con un neonato. Di qui, la logica conseguenza (suggerita dal libro di Galli e Liscio) che, per ristabilire l equilibrio rotto dal comportamento inadeguato, non è più necessaria la cancellazione brutale del comportamento, ma la sua interpretazione. Così scopriremmo che spesso, dietro a un comportamento che ci disturba, si nascondono bisogni primitivi come la fame, la sete, il dolore, il prurito, il caldo, il freddo, cui l ammalato non sa provvedere da sé. A volte ci può essere l angoscia di non gradire l ambiente e le persone, di sentirsi abbandonato, di non capire e di avere paura e così via. C è quindi ancora una persona che soffre e che ha la sfortuna di non sapercelo dire. In un certo senso, questa è l applicazione alle demenze della terapia cognitivo-comportamentale, sperimentata a fondo nella cura della depressione, dell ansia, dei disturbi del comportamento alimentare ecc., e anche in quella di sintomi non derivabili delle psicosi come deliri e allucinazioni. Per la verità, non è nuova l idea di rovesciare i termini del problema ragionando di bisogni espressi in modo non abituale e da decifrare. Già Moira Jones ne aveva teorizzato, facendone un metodo assistenziale abbastanza conosciuto nei Paesi anglosassoni, ma costoso e quindi poco praticabile in Italia. La novità, cui va dato atto a Galli e Liscio, consiste nell iniziativa di scrivere un libro per illustrare questi problemi e il modo più umano di affrontarli. C era quindi bisogno di un libro nuovo per il nostro Paese. Ora, l iniziativa è molto ambiziosa perché vuole raggiungere tanti operatori sanitari, e modificarne la cultura nell assistenza dei malati di Alzheimer. Nell interesse degli ammalati, auguriamogli di riuscire. E, diventando vecchi, auguriamocelo. Maggio 2007 Orso Bugiani XIII

4 Prefazione Tutto è cominciato con un esame all Università: sui libri di testo leggevo tante cose che sembravano descrivere alla perfezione tutto quello che stava succedendo a mio padre. Le dimenticanze sempre più frequenti, il suo essere sempre così diffidente con tutti, le difficoltà evidenti a fare cose che aveva sempre fatto forse tutto questo poteva avere un nome. Grosse furono da parte sua (e di tutti gli altri familiari e persino del medico!) le resistenze di fronte alla necessità di andare a fondo della situazione: è l età, lo stress, il troppo lavoro e tanto altro ancora poteva giustificare quello che stava succedendo. Poi, (finalmente?), un medico decise di chiamare per nome le dimenticanze, gli strafalcioni e i comportamenti bizzarri di mio padre, e la diagnosi non lasciava scampo: malattia di Alzheimer. Era il 1998 e da quel momento la vita di tutti quelli che gli stavano intorno non è stata più la stessa. Non era la prima volta che ne sentivamo parlare, ma da quel momento ci siamo resi conto che non ne sapevamo ancora abbastanza. Ho dovuto rivedere i progetti che avevo fatto per la mia vita per riuscire a stare accanto a mio padre, perché fin da subito abbiamo deciso che sarebbe rimasto a casa. Sono passati anni, a tutt oggi continuiamo a gestire la malattia a domicilio, nonostante ogni giorno ci sia un problema da risolvere che qualche volta ti fa pensare se non fosse stato meglio se... Fa molta paura la malattia di Alzheimer, a partire dalla definizione che ne danno i manuali diagnostici: "La demenza consiste nella compromissione globale delle funzioni cosiddette corticali (o nervose) superiori, compresa la memoria, la capacità di far fronte alle richieste del quotidiano e di svolgere le prestazioni percettive e motorie già acquisite in XV

5 PREFAZIONE precedenza, di mantenere un comportamento sociale adeguato alle circostanze e di controllare le proprie reazioni emotive: tutto ciò in assenza di compromissione dello stato di vigilanza. La condizione è spesso irreversibile e progressiva". Per i non addetti ai lavori, non è facile comprendere fino in fondo che cosa vogliano dire queste parole applicate alla vita di tutti i giorni. Una sola cosa è chiara: è molto impegnativo avere a che fare con una persona con questa diagnosi. E fa ancora più paura perché, nonostante la fiorente letteratura a riguardo, poco si sa fra i comuni mortali di questa terribile malattia. Ma c è una cosa che più di altre ha reso tutto più difficile in questo periodo: l ignoranza (nel senso letterale del termine) delle persone su questa malattia. L esperienza maturata come docente nei corsi per operatore socio-sanitario e ausiliario socio-assistenziale, mi ha dimostrato che ciò accade anche al di fuori della famiglia, tra quelli che si apprestano a fare dell assistenza al malato di Alzheimer una professione. Il pregiudizio più diffuso è che la malattia di Alzheimer sia una malattia psichiatrica e che il malato sia semplicemente fuori di testa. Questo fa sì che spesso si mettano in atto comportamenti o si assumano atteggiamenti inadeguati che provocano reazioni che spesso vengono male interpretate: si crea così un circolo vizioso che alimenta lo stereotipo fuorviante (ma ben radicato!!!) del malato di Alzheimer che non sa quello che fa. Un altro pregiudizio diffuso è che la relazione con un malato di Alzheimer sia unidirezionale: chi assiste si muove intorno al malato come si muovesse intorno a un essere inanimato, dispensando azioni/gesti e parole senza aspettarsi nulla. Ma soprattutto, senza attribuire alcun significato a ciò che arriva dal malato: se urla, sorride, è aggressivo, non reagisce tutto rientra nella sintomatologia e quindi non ha significato. Chi invece la malattia la vive da dentro (e questo non capita solo ai familiari) sa che la realtà è ben diversa. Ecco da dove nasce la necessità di scrivere questo libro: lo scopo è quello di fornire le giuste informazioni per fare sì che la malattia di Alzheimer cominci a essere considerata per quello che è. Soprattutto, fornire elementi validi che portino il malato di Alzheimer a essere considerato ancora una persona a tutti gli effetti (la malattia di Alzheimer uccide prima della morte stessa). Poi l incontro con la dottoressa Liscio e la sua pluriennale esperienza di formatore per la Federazione Alzheimer Italia, la partecipazione a un suo corso di formazione, la lettura del suo libro (La malattia di Alzheimer Dall epistemologia alla comunicazione non verbale edito da McGraw-Hill) e l opportunità di realizzare questo importante progetto. XVI

6 PREFAZIONE La finalità di questo impegno comune è quella di fornire un idea chiara della malattia di Alzheimer, che aiuti chiunque (a vario titolo) si ritrovi a occuparsi di un malato di Alzheimer a muoversi al meglio dentro la malattia, e non solo al suo fianco. Il libro è stato scritto seguendo le varie tappe che, come familiare, mi sono trovata ad affrontare in questi anni, spiegate con l aiuto e i suggerimenti dell esperienza di chi ha fatto la scelta di formare adeguatamente gli operatori che si occupano quotidianamente di queste problematiche. Si apre dunque con una descrizione dei vari aspetti della malattia: differenza fra invecchiamento fisiologico e patologico, i campanelli d allarme, la diagnosi, le fasi della malattia. I capitoli 2 e 3 descrivono in maniera più dettagliata i cambiamenti a livello comportamentale e cognitivi che la malattia porta con sé. Particolare attenzione è stata data a un aspetto importante della malattia che viene quasi sempre ignorato: il comportamento del malato riflette il danno a livello cerebrale. Partendo da questo presupposto abbiamo fornito spiegazioni a quanto osservato e suggerimenti per meglio rapportarsi al malato. Il nostro punto di partenza è la relazione, elemento fondamentale del prendersi cura di un malato ma che, nel caso della malattia di Alzheimer, viene presto accantonato perché la malattia cambia anche questo aspetto. Stare accanto a un malato di questo tipo significa principalmente adattarsi ai suoi cambiamenti e rispondere di conseguenza, perché prima di tutto queste persone hanno bisogno di essere comprese e accettate. E per comprendere è necessario sapere. Sapere per esempio che è possibile comunicare anche quando il malato non può più usare la parola. Per questo il capitolo 4 dedica ampio spazio alle modificazioni del linguaggio verbale lungo tutto il decorso della malattia, soffermandosi a lungo sulla comunicazione non verbale che, spesso sottovalutata, diventa sempre più importante per la gestione del malato di Alzheimer. Ma la malattia non colpisce solo il malato: le conseguenze si ripercuotono anche su chi lo assiste. E se spesso si ha l impressione che nessuno ci capisce, leggendo il capitolo 5 ci si può accorgere che ciò che proviamo, lo provano anche gli altri. E il riconoscimento e la condivisione di questi sentimenti sono fondamentali per riuscire a rimanere accanto a un malato di Alzheimer senza venire travolti dalla malattia. I capitoli 6 e 7 sono dedicati a due aspetti non prettamente clinici ma altrettanto importanti, quali gli aspetti sociali e previdenziali della malattia, e la rete di servizi presente sul territorio. Non sempre è possibile infatti l assistenza domiciliare: può succedere che a un certo punto della malattia, si renda necessario l istituzionalizzazione per fornire XVII

7 PREFAZIONE un adeguata assistenza. È una decisione non facile, e per una scelta più consapevole (e serena) è necessario conoscere le diverse realtà di assistenza. Così com è necessario saper gestire gli aspetti legali dell assistenza: in questi ultimi anni molto è stato fatto per tutelare il malato e chi si occupa di lui: interdizione, nomina dell amministratore di sostegno, gestione del patrimonio, agevolazioni fiscali Un panorama articolato che permette di garantire al malato i diritti che gli spettano, nonostante la malattia. Il testo è arricchito da un prezioso contributo di Nicola Sorrentino che illustra il ruolo e le possibili influenze della dieta, in particolare di quella mediterranea, nella prevenzione e nella riduzione del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. La malattia di Alzheimer fa sempre paura. La speranza è che questo libro fornisca a chi si trova a occuparsi di un malato di Alzheimer gli elementi necessari per riuscire a gestirla al meglio. Perché vivere con un malato di Alzheimer si può, e sapere cosa significa avere (non essere!) questa malattia può aiutarci a viverla meglio. Raffaella Galli XVIII

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