L impronta del latte. Ambiente
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- Antonietta Carella
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1 Ambiente L impronta del latte Matteo Guerci Carlo Proserpio Giampaolo Bilato La riduzione delle esternalità negative avviene con l integrazione dei requisiti ambientali nelle pratiche progettuali e produttive. Si sono concluse le attività del progetto CO2LAT che il Distretto latte lombardo (Dll) ha portato avanti con il finanziamento del Ministero dell ambiente e della tutela del territorio e del mare nel quadro Programma nazionale per la valutazione dell impronta ambientale. Il progetto ha avuto come scopo il calcolo dell impronta di carbonio di un litro di latte fresco pastorizzato di alta qualità. La valutazione degli effetti negativi sull ambiente è stata eseguita dal Politecnico di Milano in collaborazione con Dll e Agricola L obiettivo è lo studio delle interazioni che la produzione del latte alimentare fresco ha con l ambiente, considerando tutta la filiera nelle diverse fasi del ciclo di vita. L analisi è facilitata dalla presenza all interno del Distretto del latte lombardo di tutti gli attori della filiera stessa: stalle, trasportatori, industrie e realtà cooperative di trasformazione e confezionamento di latte. Oltre a valutare le performance ambientali della filiera del latte alimentare l attività è anche stata finalizzata alla definizione di strategie e soluzioni per la produzione di latte alimentare con un basso effetto sull ambiente lungo l intero ciclo di vita (Lca). Il Distretto latte lombardo è una società consortile a responsabilità limitata; nasce come risposta alla legge regionale 23 gennaio 2007, n. 1, e al decreto 15 marzo 2010, n. 1757, che istituiscono i distretti agricoli, con lo scopo di promuovere e valorizzare il latte lombardo in un ottica di filiera, coordinando e supportando tutte le iniziative di tutte le componenti della filiera. A oggi il Dll rappresenta il 13,5% del latte lombardo e il 9,1% delle stalle. Il Distretto latte lombardo persegue principalmente obiettivi di innovazione, internazionalizzazione dei mercati, analisi, verifica e proposte relative alla politica agricola ed economica del settore lattiero-caseario a livello locale, regionale, nazionale ed europeo. La Carbon footprint e l impronta ambientale La carbon footprint è un indicatore ambientale che misura gli effetti delle attività umane sul clima globale; e- sprime quantitativamente gli effetti prodotti sul clima da parte dei gas climalteranti (o gas serra) generati da una persona, da un organizzazione, da un evento o da un prodotto, sia questo un bene o un servizio. I gas che contribuiscono all effetto serra (Ghg) sono caratterizzati da un azione più o meno forte di diffusione della radiazione infrarossa e quindi da un diverso contributo all effetto serra. Anche la capacità di persistere nel tempo varia molto da gas a gas e questo rende complessa la comparazione assoluta dei gas a effetto serra. Per rendere confrontabili l effetto dei diversi gas si utilizza l indice Global warning potential (Gwp) attraverso cui l azione del singolo gas è comparata a quella dell anidride carbonica che è assunta come riferimento (1kgCO2=1KgCO2eq). La carbon footprint dei prodotti comprende l assorbimento e l emissione di gas clima-alteranti nell arco dell intera vita di un prodotto o servizio, dall estrazione delle materie prime e la loro lavorazione, al loro uso e al loro finale utilizzo, riciclaggio o smaltimento. In ciascuna delle suddette fasi, le emissioni di gas a effetto serra possono derivare da sorgenti come l utilizzo di energia e di combustibili per trasporto, i rifiuti e le perdite di refrigeranti da sistemi di refrigerazione, mentre gli assorbimenti possono derivare dalla fissazione della CO2 atmosferica da parte delle piante o del suolo. 1
2 È quindi evidente come la carbon footprint rappresenti un sottoinsieme dei dati derivanti da uno studio di Lca. La carbon footprint è pertanto calcolata mediante uno studio Lca conforme alle norme [1, 2] Uni En Iso , evidenziando soltanto le emissioni che hanno effetto sul fenomeno del cambiamento climatico. L utilizzo di un solo indicatore ambientale semplifica e rende più efficaci le attività di comunicazione ma fornisce un risultato parziale delle conseguenze ambientali del prodotto in esame, in quanto altri indicatori, normalmente ricompresi in un Lca come l acidificazione, l eutrofizzazione, la formazione di ossidanti fotochimici o gli effetti tossici per l uomo o gli ecosistemi, non sono quantificati. I principali vantaggi della carbon footprint rispetto a una Lca integrale sono la facilità di comunicazione e di comprensione da parte del pubblico e la possibilità di essere direttamente riconducibile al fenomeno dell effetto serra. Una bassa carbon footprint significa che il prodotto in esame dà un basso contributo ai cambiamenti climatici. La carbon footprint, per le ragioni suddette, costituisce un importante indicatore ambientale che si sta affermando come uno strumento di marketing usato dalle industrie manifatturiere non solo per dimostrare l impegno a ridurre l impatto ambientale, ma anche per evidenziare la sostenibilità dei loro prodotti. Gli effetti della filiera sull ambiente Gli effetti negativi sull ambiente provocati dai processi per la produzione dei prodotti alimentari e delle bevande sono significativi: sono responsabili del 20-30% degli effetti sull ambiente dei consumi privati; la carne ha il maggior effetto, mentre i prodotti lattiero-caseari sono al secondo posto contribuendo per il 5% alle emissioni globali di gas serra [3]. Nel 2012 l Italia ha prodotto il 9,02% del latte consegnato all industria sul totale dei paesi Ue15 [4], la maggior parte del quale è utilizzata per la produzione di formaggi (72,9%) mentre il 18,1% viene lavorato a latte liquido di alta qualità. Le emissioni associate alla produzione di latte, al suo trasporto e lavorazione sono circa il 2,7% delle emissioni di gas serra antropogeniche globali [5]. Di tutta la filiera latte e derivati, l allevamento (e le attività connesse) contribuisce all incirca per il 75-85% delle emissioni climalteranti [6, 7]. In questo contesto è chiaro che la produzione primaria può essere considerata il punto chiave per una filiera latte e derivati più sostenibile, per questo la riduzione delle emissioni di gas serra in questa fase potrebbe dare un grande contributo alla mitigazione dell impatto globale. Il progetto CO2LAT Lo scopo dell analisi è stato quello di definire gli eventuali problemi ambientali dell intero ciclo di vita di 1 litro di latte alimentare fresco di alta qualità come supporto allo sviluppo di innovazioni finalizzate alla riduzione dell impatto ambientale nella filiera del latte. La valutazione è stata svolta seguendo la metodologia della Lca e le norme [1, 2] Uni En Iso della serie che permettono di individuare i diversi effetti sull ambiente in relazione alle fasi e ai processi del ciclo di vita del sistema-prodotto prescelto. L approccio del Dll, in relazione agli scopi e obiettivi della ricerca, è stato di fornire alle imprese coinvolte nel progetto CO2LAT un contributo allo sviluppo di una cultura e di una pratica progettuale capace di affrontare la transizione verso la sostenibilità in un quadro normativo e di mercato in forte evoluzione. L obiettivo, per ciascuna delle imprese coinvolte, è dunque quello di ridurre il carico ambientale associato ai prodotti attraverso l integrazione dei requisiti ambientali nelle pratiche progettuali e produttive. In ambito Lca i processi sono stati inventariati per fasi del ciclo di vita: stalla (fase di pre-produzione): corrisponde alla fase di allevamento. Comprende quindi tutti i prodotti e i processi relativi alla stalla. La valutazione di impatto ambientale dei processi di pre-produzione è stata realizzata attraverso l uso di dati primari. Nello specifico sono stati raccolti i dati relativi alle attività agricole (sistemi colturali, rese produttive, fertilizzanti impiegati, ecc.), all alimentazione degli animali allevati (ingestione di sostanza secca, alimenti acquistati, ecc.), ai consumi energetici (elettricità, gasolio). I dati raccolti in 18 stalle (delle quali 5 in Lombardia), sono stati utilizzati per la stima delle emissioni di metano derivate sia dalla fermentazione enterica che dalla gestione dei reflui e del protossido di azoto (N2O) che si origina dagli stoccaggi dei reflui e dall applicazione dei fertilizzanti in campo; centrale (fase di produzione): è la fase in cui avviene il trattamento e l imbottigliamento del latte che comprende quindi tutti i processi e i prodotti utilizzati negli impianti di trattamento (centrali del latte). La valutazione di impatto ambientale dei processi di produzione (centrali del latte) è stata realizzata attraver- 2
3 so indagini in 3 impianti produttivi (dei quali uno in Lombardia); trasporti (fase di distribuzione): è la fase in cui il latte è trasportato; nello specifico la valutazione il trasporto del prodotto finito dalle stalle alle centrali. Sono stati esclusi dall analisi i trasporti finali: dalla centrale ai punti vendita fino ai luoghi di consumo; consumo (fase di uso): è la fase in cui il latte è consumato dall utente; la valutazione considera i consumi di energia elettrica per la conservazione (frigorifero) del latte e le quantità di latte non consumato (sprechi); fine vita (fase di dismissione): considera il fine vita degli imballaggi. È la fase in cui l imballaggio termina la sua vita utile e può essere riciclato, compostato, recuperato in termini di energia o messo in discarica. Risultati Lo studio ha stimato per il consumo di 1 litro di latte fresco alta qualità l emissione di 1,738 kg CO2 eq. Dall interpretazione dei risultati è emerso che la fase di stalla presenta i maggiori effetti negativi sull ambiente: 1,326 kg CO2 eq. per ogni kg latte. Dopo la fase di stalla i processi con più elevate emissioni per kg di latte sono: lavorazione 0,107 kg CO2 eq., packaging 0,14 kg CO2 eq., uso 0,121 kg CO2 eq., trasporto 0,021 kg CO2 eq., dismissione 0,023kg CO2 eq. I risultati presentano, in termini di kg CO2 equivalente, un maggiore peso nella fase di stalla a cui segue quello della fase di packaging, poi la fase di uso, quindi la fase di lavorazione e infine le fasi di trasporto e dismissione. Nello specifico risulta che: i kg di CO2 equivalente della fase di stalla sono 9,5 volte quelli delle fasi di packaging; i kg di CO2 equivalente della fase di stalla sono 11 volte quelli delle fasi di uso; i kg di CO2 equivalente della fase di stalla sono 12,4 volte quelli delle fasi di lavorazione; i kg di CO2 equivalente della fase di stalla sono 57,7 volte quelli delle fasi di dismissione; i kg di CO2 equivalente della fase di stalla sono 63,1 volte quelli delle fasi di trasporto. In termini di kg CO2 equivalente, i risultati presentano le emissioni più elevate per la fermentazione enterica a cui segue quello per i concentrati, poi stoccaggi, colture, energia, quindi foraggi e infine i fertilizzanti. In particolare si osserva che: sono 1,6 volte quelli per i concentrati; sono 2,1 volte quelli per gli stoccaggi; sono 4,7 volte quelli per le colture; sono 5,6 volte quelli per le energie; sono 30,8 volte quelli per foraggi; sono 34,9 volte quelli per i fertilizzanti. Strategia di riduzione e mitigazione Il miglioramento genetico, la fertilità e lo stato di salute della mandria contribuiscono a ridurre il numero di a- nimali necessari per soddisfare una domanda stabile di prodotto, mentre riguardo agli aspetti alimentari e alla gestione dei reflui e delle colture le problematiche sono più complesse [8]. È ampiamente riconosciuto che il miglioramento dell efficienza produttiva dell allevamento (in termini di tasso di conversione alimentare) ha un effetto di riduzione degli effetti negativi sull ambiente: un più alto tasso di conversione alimentare (kg di latte per kg di sostanza secca ingerita) ha un ruolo importante nella mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra [9, 10] perchè a parità di alimento ingerito si ottiene una quantità maggiore di prodotto. Nell analisi dei risultati delle stalle si è valutato che, all interno della fase di stalla i due punti critici prevalenti sono rappresentati dalle fermentazioni enteriche e dall acquisto di alimenti concentrati extra-aziendali, come per esempio la soia o il mais che, essendo per la maggior parte di provenienza extra Ue, comportano un elevato effetto sull ambiente legato alla logistica e ai trasporti. Inoltre, anche gli stoccaggi dei reflui comportano esternalità negative significative sull ambiente ma la loro riduzione è legata prevalentemente a interventi strutturali come la biodigestione. Per quanto riguarda la fase di stalla il criterio che ha guidato l individuazione delle possibili proposte è quello prima sostenuto dell aumento di efficienza nella produzione. Sono state quindi individuate le azioni che possono aumentare l efficienza produttiva delle stalle interessate e, sulla base della letteratura esistente, si è ab- 3
4 binato a ogni azione un fattore di riduzione delle emissioni. Si sono quindi applicati questi valori di correzione/riduzione alle variabili raccolte nelle aziende agricole secondo un percorso logico di matrice di correlazione. Queste ipotesi operative personalizzate azienda per azienda sono state proposte nel corso di workshop presso le 3 centrali interessate che hanno visto anche la partecipazione degli allevatori e/o di loro rappresentanti. In sintesi, si è cercato di proporre agli allevatori i seguenti obiettivi gestionali: buon rapporto sostanza secca ingerita/kg latte prodotto; autosufficienza alimentare aziendale (ridurre l acquisto di mangimi); evitare eccessi proteici nella razione (circa 16%); buona produzione per capo (più produzione con meno capi); buona fertilità del bestiame; buona digeribilità dei foraggi; buona gestione di tutta la stalla; efficienza dell uso energia in azienda (motori elettrici); biogas: riduzione emissioni e produzione di energia rinnovabile. Conclusioni Lo scopo principale del progetto era quello di calcolare l impronta del carbonio della produzione di latte pastorizzato di alta qualità e di iniziare a individuare opportune strategie di mitigazione e annullamento della stessa impronta. Vista la complessità delle possibili azioni di riduzione e il loro effetto in tempi medio lunghi, il progetto CO2LAT, che è durato 1 anno, non aveva come obiettivo ambizioso la verifica in campo dell efficacia delle azioni ipotizzate. Il lavoro svolto consente però di giungere ad alcune conclusioni importanti: la produzione di latte e di alimenti di origine animale, ha nella sua fase agricola la parte con maggiori risvolti negativi sull ambiente; i dati rilevati nel corso del progetto sono in linea con i dati di letteratura riscontrati in condizioni analoghe a quelle delle stalle e delle centrali coinvolte nel progetto; l efficienza e la buona gestione sono le principali possibilità di riduzione degli effetti negativi sull ambiente. L interpretazione dei risultati deve essere inquadrata nell ambito della Politica agricola comune e della quinta priorità del Programma di Sviluppo rurale che recita incentivare l uso efficiente delle risorse e il passaggio a un economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale. È evidente come la consulenza aziendale volta al miglioramento dell efficienza produttiva, alla riduzione dei consumi energetici e all utilizzo di pratiche agronomiche sostenibili, diventi strategica per la riduzione delle esternalità negative delle produzioni agroalimentari. Riferimenti bibliografici [1] Iso, 2006a. International organization for standardization. Environmental management - Life cycle assessment. Principles and framework, Iso [2] Iso, 2006b. International organization for standardization. Environmental management - Life cycle assessment. Requirements and guidelines, Iso [3] Tukker A., Huppes G., Guinée J., Heijungs R., De Koning A., Van Oers L., Suh S., Geerken T., Van Holderbeke M., Jansen B., Nielsen P., Environmental impacts of products (Eipro). Analysis of the Life cycle environmental impacts related to the final consumption of the Eu-25. Main report. European commission. Joint research centre. [4] Clal, visited March [5] Gerber P., Vellinga T., Opio C., Henderson B., Steinfeld H., Greenhouse gas emissions from the dairy Sector, a Life cycle assessment. Fao, Food and agriculture organization of the United Nations, Animal production and health division, Rome. [6] Flysjö A., Cederberg C., Henriksson M., Ledgard S The interaction between milk and beef production and emissions from land use change e critical considerations in life cycle assessment and carbon footprint studies of milk. Journal of cleaner production, 28, [7] Fantin V., Buttol P., Pergreffi R., Masoni P., Life cycle assessment of Italian high quality milk pro- 4
5 duction. A comparison with an Epd study. Journal of cleaner production, 28, [8] Gill M., Smith P., Wilkinson J. M., Mitigating climate change: the role of domestic livestock. Animal, 4, 3, [9] Hermansen J. E., Kristensen T., Management options to reduce the carbon footprint of livestock products. Animal front, 1, [10] Opio C., Gerber P., Steinfeld H., Livestock and the environment: addressing the consequences of livestock sector growth. Animal biosciences, 2, 3, Matteo Guerci è dottore di ricerca presso il Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell Università degli Studi di Milano. Carlo Proserpio si occupa di Life cycle assessment presso il Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. Giampaolo Bilato, dottore agronomo, è coordinatore del progetto CO2LAT 5
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