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1 FORUM INTERNAZIONALIZZAZIONE IL NUOVO DRIVER DI SVILUPPO PER BANCHE E IMPRESE STRUMENTI E POLITICHE PER L INTERNAZIONALIZZAZIONE EMMA BONINO MINISTRO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE Roma, lunedì 26 giugno 2006

2 Trascrizione del discorso tenuto dal Min. Bonino in occasione del Forum Internazionalizzazione Vorrei cominciare il mio discorso partendo dalla ricerca ABI-Cespri, curata dal prof. Onida, perché ho trovato dati molto interessanti, anche se poi la fotografia che facciamo, il dove siamo e dove andiamo, credo ci trovi tutti consenzienti, mentre il problema è capire in che modo ci andiamo e quali siano gli strumenti più efficaci da poter usare. Credo che la ricerca stessa e questo convegno sottolineino l importanza che sta assumendo la politica di sostegno all internazionalizzazione delle imprese e, quindi, la rilevanza di una collaborazione sempre più stretta tra imprese e sistema finanziario. A tal proposito, credo che la ricostituzione del Ministero del Commercio Internazionale possa essere o almeno vorrei che così fosse e mi impegnerò in tal senso - uno strumento di supporto valido in questa evoluzione. Sono accompagnata nel mio lavoro da due sottosegretari. Voglio ringraziare il sottosegretario Mauro Agostini, che è qui presente e che seguirà, in parte, proprio gli aspetti della politica di internazionalizzazione delle imprese, dei servizi e dei sistemi finanziari. Partendo, come dicevo, dai dati della ricerca ABI-Cespri, è indubbiamente vero che nel primo quadrimestre di quest anno l export delle imprese italiane è aumentato di circa il 9% rispetto allo stesso periodo dell anno scorso e che, se guardiamo i dati 2005, a fronte di una crescita delle esportazioni italiane di circa 5,7 %, sia la Francia che la Spagna, per esempio, registrano dati meno felici, con una crescita la prima di 1,8% e la seconda di 2,5 %, mentre la Germania si conferma la locomotiva dell Europa, da questo punto di vista, con una crescita di 6,7%. Se andiamo indietro, guardando anche i dati relativi al 2004, più o meno si confermano una buona tenuta italiana e la cosiddetta locomotiva tedesca. Se esaminiamo poi gli anni 2000/2005 che seguono la crisi dell 11 settembre del 2001 possiamo constatare una tenuta dell Italia abbastanza confortante. In quel periodo, infatti, il nostro paese conferma un più 13,6%, un ottimo risultato rispetto a Francia (+ 4,3%) e Regno Unito (- 0,4%), mentre la Germania registra un più 30,6% e la Spagna un più 20,6%. Alla luce di questi dati, mi sembra importante, innanzitutto, fare un plauso alle imprese italiane, perché, nonostante la crisi successiva agli attentati di New York, hanno saputo condurre un azione di robusta penetrazione sui mercati internazionali. Se la Germania mostra in assoluto i migliori risultati è perché la sua presenza nelle varie aree del mondo è più diffusa di quella italiana ma anche 2

3 - lo dobbiamo saper leggere ed accettare - perché i tedeschi hanno saputo muoversi ed aggredire i mercati prima di noi. L altro elemento è il tema relativo alla perdita di quote di mercato dell Italia sul totale mondiale delle esportazioni. In questo caso, il dato è meno entusiasmante, anche se non lo enfatizzerei troppo: mi sembra in qualche modo fisiologico, benchè non vada accettato come tale e renda necessaria una reazione. Se poi vediamo più nel dettaglio, un interpretazione interessante, che trova sostegno proprio nella ricerca ABI-Cespri, è quella che è stata avanzata recentemente nella relazione del Presidente dei Giovani Industriali di Confindustria, secondo il quale noi stiamo assistendo ad una rapida evoluzione da una dimensione puramente quantitativa dell economia e della produzione ad una dimensione qualitativa. Ne è una spia evidente l andamento della quota italiana del commercio mondiale negli ultimi 10 anni, che è diminuita in termini di volume ma rimane sostanzialmente stabile in termini di valore. Ciò significa che l Italia ha prodotto ed esportato beni di qualità e di prezzo superiore. In altre parole, per contrastare la perdita di competitività, si è verificato un riposizionamento sui mercati internazionali, che ha privilegiato le fasce alte di prodotto, cercando di mantenere invariati i margini di profitto, anche in presenza di costi di produzione elevati e di bassa produttività. Insomma, sono andate bene la produzione e l esportazione di prodotti ad alto valore aggiunto, quelli che mettono insieme design, marchio, know-how, ecc., rispetto, invece, ad un esportazione di prodotti di minore qualità. Volume minore, ma valore stabile o, in realtà, con un trend positivo. Vorrei aggiungere, però, che se le esportazioni hanno tenuto, le importazioni sono esplose e, a causa del caro-petrolio, l Italia, che tradizionalmente ha un saldo commerciale attivo, si trova oggi a dover fronteggiare un deficit invece crescente, che può essere ridotto o contenuto, solo a patto che l export cresca in modo proporzionale. Mi pare che siamo in presenza di un Italia che procede a due velocità: da una parte quella che cresce, perché punta o ha puntato sull internazionalizzazione e, dall altra, quella che resta ferma, inchiodata com è alle oscillazioni, drammatiche nei loro effetti, del prezzo del petrolio. Per cui, a livello di mercato interno, non possiamo esprimerci con gli stessi termini positivi che ho usato fin ora. 3

4 Si colloca in questa fase, secondo me, l importanza di questo convegno, perché dovrebbe farci comprendere meglio come il sistema bancario e quello istituzionale-finanziario possano contribuire alla competitività delle imprese italiane, se si ha come obiettivo - come io credo dobbiamo avere - una maggiore internazionalizzazione di queste stesse imprese. Ciò si può fare utilizzando al meglio quanto le istituzioni possono mettere a disposizione sul piano programmatico, promozionale, degli incentivi e dei supporti anche finanziari. Se fa tesoro di tutto questo, il mondo delle imprese può reagire con un ulteriore slancio in termini di crescita dell internazionalizzazione dell intero sistema, quindi non soltanto delle esportazioni. Voglio dire ancora due cose sulla Germania e sulla Spagna. A me sembra che la Germania possa essere per noi un modello cui ispirarsi, perché, al di là delle differenze strutturali del sistema produttivo, la sua uscita da una pesante fase recessiva è avvenuta attraverso un incremento significativo delle esportazioni, in modo ben più che proporzionale rispetto al PIL. Insomma, per essere chiari, il guadagno incrementale rispetto al 2000 è stato di quasi 6 punti percentuali e, in soli 5 anni, l incidenza dell export merci è passata dal 29% al 34,7%, il che evidenzia come la Germania sia riuscita a contrastare, tramite l azione sui mercati esteri, la crisi economica interna. Mi pare anche che potremmo guardare con attenzione a quanto è successo dai nostri cugini spagnoli: in termini di servizi la Spagna è all 8,8%, noi siamo al 5,5%. Guardare attentamente a come questo è potuto accadere, a che cosa è stato messo in atto, a quali sono questi servizi, io credo possa aiutarci a trovare una linea di marcia. Considerati questi dati, possiamo fare adesso due riflessioni. Dicevo prima che c è abbastanza concordia su dove siamo, c è forse concordia persino su dove vogliamo andare. Forse è utile a questo punto riflettere su come vogliamo andarci e con quali strumenti. È anche abbastanza facile dire - pure per un Ministro relativamente nuovo e che sta studiando - quali sono le linee guida che si dovrebbero seguire: promuovere l immagine, i prodotti e le aziende italiane sui mercati esteri; rilanciare l export; sostenere le imprese e la centralità del loro ruolo; favorire l internazionalizzazione nelle sue molteplici forme; assicurare una forte presenza dell Italia nei negoziati internazionali. Tutto bene, tutto giusto! Ma rischia di essere in qualche modo un po scontato. Forse il problema più delicato è discutere il come e il che fare, per arrivare a mettere in piedi, in modo coerente, queste linee guida. 4

5 Prima di tutto, mi pare che vada sfruttata da tutti noi la ricostituzione del Ministero del Commercio Estero, divenuto oggi appunto Commercio Internazionale, perché a me sembra un occasione fondamentale per un sostegno effettivo al Made in Italy in senso lato e anche per una maggiore e pervasiva internazionalizzazione del sistema delle imprese, che è la base necessaria per una crescita dell export italiano, per una maggiore presenza sui mercati esteri. Sono dell avviso che un Ministero rinnovato in questo modo possa e debba assumersi il compito di svolgere, con una certa autorevolezza e competenza, il ruolo di guida, di indirizzo o di vigilanza, che mi sembrano necessari per poter governare le iniziative di politica commerciale nelle sfide che abbiamo. In questo contesto, ovviamente, per noi sono essenziali gli enti strumentali: l ICE e la Simest SpA. L ICE ha un bagaglio di esperienza, di risorse umane, di capacità organizzative, che va ripotenziato, organizzato e ricollocato, in modo adeguato, al centro delle sfide degli anni 2005/2006. C è! Facciamolo funzionare! Questo compito spetta a me - lo so molto bene - però credo che sia uno strumento che dobbiamo usare. Viviamo in un contesto di polverizzazione, chiamiamola così, di enti preposti. Ovviamente si dice: bisognerebbe semplificare, coordinare. Anche questo va da se. Il problema è il come. Diceva un mio amico: o coordinare vuol dire comandare oppure finisce che a forza di coordinare poi in realtà i risultati non si vedano. Ma forse è bene trovare l occasione, il momento, la possibilità di rivedere, anche dal punto di vista istituzionale, come tenere insieme tutto questo bagaglio, anche di professionalità, devo dire persino di entusiasmo, di voglia di fare, di iniziative proposte. Il dott. Beretta mi è parso piuttosto scettico sull utilizzo e sull efficacia degli Sportelli Italia all estero, perché anche lì rischiamo di trovare una serie di enti. Io penso, invece, che, con un qualche sforzo, con una qualche chiarezza di indirizzo, possano essere uno strumento unico o uniforme per chi si reca all estero e in un solo posto riesce a trovare i vari servizi che gli servono, senza girare per varie istituzioni o per varie parti della città. Il Ministero vuole lavorare in un confronto continuo con il mondo imprenditoriale, perchè da una parte è molto importante condividere gli indirizzi, ma è anche importante curare la macchina con cui questi indirizzi vengono applicati e, quindi, il raccordo tra i vari strumenti nazionali e quelli locali. Dobbiamo fare il massimo perché questi strumenti funzionino, per lo meno in modo convergente. 5

6 Tornando al tema centrale di questo convegno, mi pare di capire che gli imprenditori italiani non si fidino né delle banche, né delle istituzioni pubbliche. Leggendo i risultati dell indagine emerge, per esempio, che solo il 10% degli imprenditori interpellati si appoggia alle banche. Si tratta di un dato in apparente controtendenza con le strategie di espansione sui mercati internazionali promossi dai principali gruppi bancari nazionali, che, però, forse ancora non riescono ad essere un punto di riferimento stabile e sicuro per le imprese e la loro esigenza di essere presenti oltre i confini nazionali. Emerge quindi come le imprese non abbiano una piena consapevolezza del quadro complessivo di prodotti e di servizi a supporto dell internazionalizzazione che le banche possono mettere a loro disposizione. Da qui l importanza di questo convegno, perché credo che far sapere di quali servizi finanziari le imprese possono godere sia un aspetto fondamentale. A dire il vero, dalla stessa ricerca e dalla stessa analisi dei dati, anche il mondo istituzionale non ne esce benissimo. Prendiamo, ad esempio, l ICE: solo l 8,1% degli italiani dichiara di utilizzarlo. Le ambasciate e gli altri enti pubblici, inoltre, non sembrano essere un motore in grado di sostenere l Italia delle imprese. Sempre dalla ricerca ABI-Cespri emerge che gli imprenditori considerano piuttosto marginale il ruolo che ambasciate e consolati svolgono in materia di servizi di assistenza e consulenza commerciale, al punto che la maggioranza delle aziende dichiara di investire all estero senza consultare alcuno degli enti e degli organismi pubblici preposti. Sono dati su cui riflettere, perché se questo è l atteggiamento delle imprese nei confronti degli enti, delle banche, dei consulenti - tutti oggetto della ricerca ABI che presentiamo - forse dobbiamo considerare che questo non è dovuto al cattivo carattere degli imprenditori o ad atteggiamenti pregiudiziali. Può darsi che la responsabilità sia anche del mio stesso Ministero, degli enti, delle banche o dei sistemi finanziari, che insieme o singolarmente sembravano non rendersi conto che il tessuto connettivo dell Italia produttiva era e resta di piccole, piccolissime imprese a cui, per converso, si deve però una fetta molto grande dell esportazione del nostro paese e che, quindi, meritano la collaborazione, il supporto che loro sentono non sempre di avere ricevuto in modo adeguato. Questi sono dati che mi hanno fatto molto riflettere. La piccola e media impresa non ci conosce? Non si fida? Mi riferisco al Ministero, non alle banche. Abbiamo un atteggiamento respingente? Oppure ci sono altri problemi, che spiegano perché tra gli imprenditori interpellati come dicevo poc anzi - solo l 8,1% utilizza l ICE, ovvero preferisce andare ad investire all estero da solo, senza 6

7 il supporto dei soggetti pubblici preposti. Perché sono troppo difficili da consultare? Troppo burocratici? Se così tanto è stato fatto con un così scarso impiego del settore pubblico, che pure vuole sostenere questo sforzo di internazionalizzazione, non posso immaginare che questo sia dovuto solo al cattivo carattere degli imprenditori. Può darsi, invece, che sia dovuto anche ad una mancata informazione di quello che è disponibile, di quello che possiamo fare. Quindi, mi sembra che anche tutto il sistema bancario e finanziario possa e debba forse fare uno sforzo per far capire meglio agli imprenditori quali siano i servizi offerti: non solo quelli tradizionali, quelli che forse la maggior parte degli imprenditori richiede, ma anche quelli più puntuti, quelli più accurati e più penetranti, che sono forse i servizi più adeguati alla realtà di oggi, ad una realtà cioè in profonda mutazione. È chiaro che la grande impresa non ha bisogno dell ICE, perché si muove da sola. Il tessuto produttivo del nostro paese tuttavia è costituito da piccole e medie imprese; sono quelle che producono, quelle che esportano e, quindi, mi sembra importante adeguarsi alla loro dimensione e ascoltare le loro richieste e le loro necessità. E credo che questo possa essere fatto meglio, se anche il sistema bancario si internazionalizza, se si localizza con servizi più estesi in più paesi, se va più vicino alle imprese che lì tendono a lavorare, provando a far conoscere e ad offrire quei sistemi finanziari più evoluti, più adeguati alla realtà produttiva che noi abbiamo di fronte e al sistema produttivo del nostro paese. Penso - forse perché sono un ottimista o una donna determinata - che la vitalità del sistema impresa, del sistema produttivo del nostro paese sia legata anche alla nostra capacità di accompagnarlo, di ridargli fiducia nelle istituzioni. È necessario, quindi, che ci sia un rapporto sempre dialettico, un coinvolgimento e una volontà, come questo convegno dimostra, di internazionalizzazione dei servizi finanziari. Io credo che questi dati già positivi possano diventare sempre migliori. Abbiamo, secondo me, tutte le possibilità di dare uno slancio importante a questo settore, che è un settore trainante dell economia del nostro paese. 7

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