Arte Architettura 1/2006 DI BAIO EDITORE

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1 Arte Architettura 1/2006 DI BAIO EDITORE

2 Archeoclub d Italia numero verde movimento di opinione pubblica al servizio dei beni culturali e ambientali

3 1 Arte Architettura 3

4 IV direttore editoriale Giovanni Marucci direttore responsabile Gjlla Giani Archeoclub d Italia Consiglio Nazionale degli Architetti Università degli Studi di Camerino Seminario di Architettura e Cultura Urbana c/o Unicittà, via C. Lili 59, CAMERINO giovanni.marucci@unicam.it In questo numero: Giuseppe Arcidiacono, Francisco José Gentil Berger, Massimo Bilò, Alessandro Camiz, Umberto Cao, Donato Caporalini, Franco Cardullo, Tiziano Cattaneo, Giovanni Battista Cocco, Gianni Contessi, Giovanni Corbellini, Enrico Corti, Lorenzo Dall Olio, Inês Dantas Bernardes, Brunetto De Battè, Gabriele De Giorgi, Mario Docci, Massimo Fagioli, Giovanni Fiamingo, Paolo Giardiello, Ernesto Maria Giuffrè, Bassam Lahoud, Marcello Maltese, Mario Manganaro, Giovanni Marucci, Paola Mazzotti, Raffaele Mennella, Fernando Miglietta, Moduloquattro Architetti Associati, Gianfranco Neri, Pierluigi Nicolin, Renato Nicolini, Leo Giuseppe Oceano, Marco Peticca, Massimo Pica Ciamarra, Jorge Cruz Pinto, Franco Purini, Concetta Rinaldi, Marco Romano, Mili Romano, Paola Rossi, Stefania Suma, Cesarina Siddi, Antonino Terranova, Laura Thermes, Luca Zevi. Foto e illustrazioni sono degli autori o, comunque, fornite dagli stessi. Gli autori sono responsabili dei contenuti dei rispettivi articoli. in copertina Giuseppe Arcidiacono, L architetto (ritratto di Giorgio Peguiron), 1995, part. grafica, impaginazione e coordinamento redazionale Monica Straini edizione Di Baio Editore - via Settembrini Milano - tel fax traffico@dibaio.com

5 Arte Architettura V 1/2006

6 Arte Architettura 1 Donato Caporalini L Era progettuale Note di redazione 3 Giovanni Marucci Arte Architettura Osservatorio. Storia, critica 4 Massimo Bilò Divagazioni sulla metafora 7 Umberto Cao Costruire la città senz arte 9 Enrico Corti Progetto e immaginazione sociale 12 Brunetto De Batté Modi di vedere. Vangelo secondo Germano 17 Raffaele Mennella Città di altre città. Ovvero cose di altre cose Renato Nicolini L Arte dell architettura e della città? 37 Marco Peticca Architettura è Arte 39 Massimo Pica Ciamarra Arte negli edifici e città come opera d arte 43 Franco Purini Arte e architettura tra mistero ed eversione 47 Antonino Terranova Arte, architettura, paesaggi metropolitani. La città senza arte né parte come materiale poetico Rapporti e ricerche 50 Giuseppe Arcidiacono Le geometriche concordanze tra arte e architettura 55 Francisco José Gentil Berger Architetti italiani in Portogallo. Antonio Canevari ( ) VII 21 Fernando Miglietta Abitacolo e la fabbrica estetica. Dall arte dell architettura e della casa alla Città/Opera d arte 25 Gianfranco Neri Arte Architettura Immagine 28 Pierluigi Nicolin Le avventure della Public Art 61 Giovanni Battista Cocco Arte e Architettura, la fabbrica dell identità 64 Gianni Contessi Fernand Lèger pittore per architetti 67 Giovanni Corbellini Bello?

7 VIII 69 Lorenzo Dall Olio Architettura e arti visive. Territori e prospettive di un dialogo 72 Inês Dantas Bernardes Il ruolo dell architetto nella trasformazione del paesaggio contemporaneo 74 Gabriele De Giorgi Oltre la forma 79 Mario Docci Il colore e la città. Contributo alla rinascita dell Arte del colore 86 Giovanni Fiamingo + o -? L'arte del negativo 92 Paolo Giardiello Allestire, mostrare, comunicare. Arte e architettura/oggetto e spazio 94 Ernesto Maria Giuffrè Lo scenario dei grandi segni e l insieme dei piccoli segni 96 Bassam Lahoud Body Architecture 98 Marcello Maltese Arte e comunità. La ricostruzione di Gibellina 102 Mario Manganaro Petit Tour 105 Cesarina Siddi Arte e paesaggio 5 [s]punti di riflessione 108 Marco Romano Contesto e modernità. Progetti per il polo urbano della Fiera di Milano 114 Mili Romano Altri sguardi dall arte pubblica 117 Stefania Suma Altri musei Progetti raccontati 121 Franco Cardullo Architettura come ammonimento. Il significato simbolico dell architettura 124 Jorge Cruz Pinto Fra Architettura e Pittura 128 Massimo Fagioli, Paola Rossi Palazzetto Bianco. Breve nota a margine del progetto 131 Moduloquattro Architetti Associati (F. Ciappina, G. Fugazzotto, A. Russo, G. Scarcella) Dai musei dell iperconsumo al racconto metropolitano. La città dell arte 134 Laura Thermes Architettura, pittura e scultura in un esempio ravennate 139 Luca Zevi Memoria e quotidianità. Un progetto per ricordare 141 Alessandro Camiz Modelli e atteggiamenti: figure antropomorfe per il significato delle città Concetta Rinaldi Il progetto contemporaneo valorizzatore delle preesistenze 145 Tiziano Cattaneo, Leo Giuseppe Oceano Le vie d acqua: un connettore fra paesaggio naturale e paesaggio culturale. Due casi a confronto 148 Paola Mazzotti Il nuovo paesaggio marchigiano del recupero post sisma: un laboratorio in corso 151 Premio di Architettura e Cultura Urbana Camerino 2005

8 Donato Caporalini* L Era progettuale Il XV Seminario di Architettura e Cultura Urbana, da cui scaturisce questa pubblicazione, ha affrontato nodi teorici e pratici estremamente delicati, imbarazzanti per la cultura urbanistica contemporanea. Sebbene infatti la nostra sia un epoca lessicalmente soggiogata dal riferimento alla dimensione progettuale che finisce per connotare ogni nostro costrutto comunicativo, qualunque ne sia l ambito semantico (la citazione del progetto è obbligatoria sia che si parli di politica o di scienza, di promozione o di arte, ecc.) noi avvertiamo quasi fisicamente il peso della crisi della cultura progettuale, in particolare di alcune discipline. A ben guardare i rischi di impotenza del progetto erano già enunciati nell opera che ne celebrava l avvento: nel suo Essay upon Projects Age (1697), Daniel Defoe, infatti, annuncia l inizio della Projecting Age, l età progettuale, ma nel contempo accenna al pericolo che le grandi istituzioni sociali e i centri di potere restino impermeabili al linguaggio progettuale. Certo, si potrà dire che ciò non è vero (o non è sempre stato vero) dato che nel 900 abbiamo purtroppo assistito a progetti totalitari che sono divenuti essi stessi esercizio smisurato di potere sulle strutture sociali, culturali e biologiche di intere comunità. Ciò non ha cancellato però il nesso tra società contemporanea e pro-gettazione, ovvero la trasformazione intenzionale secondo un disegno razionale della realtà. Semmai è vero che in alcuni campi - e segnatamente in quello dell architettura - sentiamo la possibilità di un offuscamento della capacità progettuale. Questo penso dipenda dal fatto che la complessità delle trasformazioni urbane, dei linguaggi architettonici a cui la cultura progettuale deve far fronte, sia oggi sfidata da un duplice rischio riduzionistico che è connesso alle trasformazioni sociali e culturali in atto (crisi del welfare, ristrutturazione dei campi disciplinari dei saperi, sviluppo tecnologico, ecc..). Il primo di questi rischi è rappresentato dall onnipotenza del mercato che tende, anche in questo campo, ad imporre la sua logica condizionando fortemente le scelte progettuali, che non sono in sintonia con le compatibilità economiche e mercantili. L altro elemento di rischio è quello che io chiamo il politeismo estetico ; figlio in parte dei fenomeni di democratizzazione dei consumi e della stessa opera dissacratrice delle avanguardie, il politeismo estetico finisce per negare la possibilità stessa di un linguaggio architettonico condiviso, pretendendo di legittimare ogni gusto. Ciò, a mio parere, è anche una delle ragioni che rendono spesso debole la politica. Questi temi sono particolarmente pungenti quando si parla di recupero e rinnovamento del patrimonio esistente, specialmente se ci si vuole cimentare con il compito di fare in modo che questa azione sia diretta alla rivitalizzazione delle funzioni sociali e non ad una operazione puramente retorica e sentimentale, con i conseguenti rischi di falsificazione storica che inevitabilmente tale approccio comporterebbe. Una parte delle risposte di cui abbiamo bisogno si trovano, ne sono certo, nelle competenti riflessioni di questo volume, di cui perciò dobbiamo essere grati agli organizzatori e agli autori. 1 * Assessore ai Beni Culturali e Turismo della Provincia di Macerata

9 2 G. Marucci, Above us only sky, inchiostro di china su carta

10 Giovanni Marucci Arte Architettura Il n di Architettura Città raccoglie un significativo resoconto del XV Seminario Internazionale e Premio di Architettura e Cultura Urbana che si è svolto presso l Università di Camerino nell estate del L ormai tradizionale appuntamento camerte si propone di indagare sulle trasformazioni degli spazi pubblici e dei luoghi di aggregazione sociale, alla ricerca della qualità architettonica nei paesaggi urbani. In ambito disciplinare persegue il confronto fra università e professione per approfondire criticamente i caratteri della ricerca e della pratica con spirito di reciproco apprendimento. Motivazioni Frenata l espansione delle città, il tema principale negli ultimi tempi è quello del rinnovamento e della trasformazione dell esistente, riprendendo un processo storico di sedimentazioni e di contaminazioni del tessuto urbano; un processo che oggi appare ricco di fermenti creativi per l eterogeneità delle componenti sociali e per le aspettative che esse portano con sé di città più vivibili. La variegata moltitudine di istanze di rinnovamento delle città mal si accorda con la rigidità di programmi pianificatori a larga scala e sposta i temi progettuali verso un approccio per parti e quindi verso una maggiore attenzione ai caratteri propri dell architettura e al rapporto di questa con le altre arti, così come è sempre accaduto nei momenti migliori della storia dell arte fino alle avanguardie del XX secolo. All architettura e alle altre arti si richiede, quindi, di colmare il vuoto di cultura progettuale che ha caratterizzato la crescita incoerente di molte città nella seconda metà del secolo appena trascorso e che ha rappresentato un grave punto di debolezza per i paesaggi insediativi in trasformazione, dominati direttamente ed esclusivamente dalle contingenze sociali, politiche ed economiche. Ecco, dunque, delinearsi vasti orizzonti di ricerca su nuovi caratteri di identità che presiedono ai fenomeni di trasformazione dei luoghi e sulle ragioni per progetti di città possibili, più consapevoli dei valori in gioco e più coinvolgenti per i suoi abitanti; un impegno progettuale che sappia interpretare la società contemporanea, che si confronti senza mimetismi con la morfologia dei luoghi, con la storia intesa nel suo divenire, in cui l antico riaffiori nella contemporaneità non come citazione e, tanto meno, come emulazione, ma come elaborazione del pensiero architettonico. Temi progettuali Il Seminario ha compreso brevi relazioni programmate, comunicazioni e conversazioni sul tema - trattato in modo interdisciplinare da docenti e qualificati professionisti - alternate a laboratori all interno dei quali gli iscritti hanno presentato le loro opere e si sono confrontati sui diversi aspetti dell argomento. I temi progettuali proposti sono stati: n rapporto fra architettura e sedimentazioni storiche/archeologiche, n allestimenti, rappresentazioni, architetture temporanee, n luoghi e spazi per l arte e l aggregazione sociale. Nelle giornate del Seminario è stata allestita la mostra delle opere presentate in concorso dai partecipanti. Eventi Fra gli eventi sono da ricordare le mostre di Gino Marotta e Franco Purini Dentro la Pittura, Dentro l Architettura in cui i due autori hanno operato reciproche incursioni nelle rispettive discipline e, infine, la prima conferenza sul tema Architettura: scuola arte e professione in Europa, in cui si sono incontrati rappresentanti del mondo accademico e professionale per trattare delle esperienze e delle prospettive dei giovani architetti nell Unione Europea. 3

11 Massimo Bilò Divagazioni sulla metafora 4 L architettura e l arte Aver scelto per questo Seminario un titolo come - Arte Architettura - è un atto di lungimiranza; ma anche di coraggio, perché vengono coniugati in esso due termini che nel tempo sono stati caratterizzati da rapporti ambigui o conflittuali. Sappiamo, infatti, che il carattere funzionale, la finalità utilitaristica, di cui si fregia gran parte dell architettura l ha messa spesso in posizione di minorità e sudditanza rispetto alla altre arti. Nel medioevo - per fare un esempio - a differenza della poesia e della musica, considerate arti liberali, l architettura era posta tra le arti meccaniche, dove il termine arte significava tecnica, mestiere, lavoro, confermando così l antica concezione greca dell inferiorità del fare rispetto al conoscere, del lavoro manuale rispetto a quello intellettuale. Un inferiorità che ha scavalcato i secoli ed è giunta sino ai nostri giorni con effetti nefasti, ultimo dei quali è rappresentato dalle strampalate riforme della scuola media e dell università. Eppure - tornando in argomento - mi sembra indiscutibile che l architettura entri a tutto titolo nel novero delle arti propriamente dette, dal momento che - per dirlo in estrema sintesi - stessa è la genesi, stessi i processi formativi, stessi quelli conoscitivi. E, d altra parte, come non rivendicare una perfetta contiguità dell architettura con le altre arti se nello stesso periodo in cui Kandinsky o Braque o Picasso smontano la figuratività, Shoenberg scardina il sistema tonale, Marinetti frantuma i lessici, artisti come Loos, Gropius, Meyer azzerano ogni precedente linguaggio, ogni precedente formatività, anche a partire dalla funzione? Insomma - rovesciando le primogeniture e le gerarchie - quando all inizio del XX secolo scultura e pittura si svincolano dai contenuti illustrativi naturalistici e assumono riferimenti figurativi astratti, come linee, piani, volumi - riferimenti che sono propri dell architettura, da sempre - il rapporto tra le tre arti sorelle diventa meno allusivo e più diretto. Architettura arte tra le arti, dunque, e con suoi caratteri propri. Ciò che la distingue è la natura dei materiali oggetto di manipolazione, esattamente come accade per ogni arte. Cosa intendo per materiale provo a dirlo con le parole che ha usato Aaron Copland per spiegare la costituzione della forma musicale moderna. Egli sostiene che sono materiali specifici della musica il ritmo, la melodia, l armonia ed il colore. Questi quattro ingredienti - scrive Copland - sono il materiale del compositore; con esso lavora come qualunque artigiano. Analogamente ogni espressione artistica ha suoi specifici materiali. Tra i tanti usati per comporre l architettura spicca proprio la funzione - una particolare funzione, se volete, cioè la funzione insediativa - che non segna, quindi, una discriminante o una fatale menomazione, come s è pensato per secoli, ma solo una suggestiva specificità. Sulla base delle considerazioni appena svolte, mi sembra possibile condividere il titolo del Seminario laddove pone un così stretto rapporto tra arte e architettura, e in questo quadro mi sembra di un qualche interesse esaminare il ruolo di un oggetto concettuale che ha grandissima rilevanza per l arte, per la sua genesi, per la sua comprensione, per la sua trasmissione. Mi riferisco alla metafora, figura retorica le cui proprietà e virtù sono abbastanza note, specie in letteratura e, in particolare, nei suoi piani alti, quelli abitati dalla poesia, dove tutto è metafora. Ciò che vi propongo qui di seguito riguarda, appunto, la metafora ed è una breve divagazione senza centralità e senza tesi sottostanti. Sulla metafora è noto da tempo che la metafora è caratterizzata dalla capacità di svolgere un importante ruolo cognitivo: essa, in altre parole, è portatrice di informazione, organizza la nostra percezione della realtà. Proviamo ad esaminarla da questo punto di vista. La metafora è costituita da due fattori tra i quali si opera un trasferimento di significato; la sua forza sta nel consentire il passaggio di qualche connaturata proprietà di uno dei due fattori all altro. Per spiegarmi con un esempio prendo uno dei tanti modi di dire co-

12 me è la frase quell uomo è un toro oppure - più vicina ai nostri interessi - quella villa è un bunker. Nessuno, guardando la villa in questione, vedrà spesse pareti di cemento armato, sottili finestre a feritoia, chiusure blindate, armamenti bellici; ma, osservandola con più attenzione, noterà che è proprio connotata da qualche attributo del bunker, come la possanza strutturale, la compattezza volumetrica, l indifferenza al luogo, la pesantezza dell insieme (sulla pesantezza, tornerò in seguito). Con estrema sinteticità la metafora mette in luce i caratteri salienti di quella villa. Quando abbiamo compreso una metafora, la somiglianza tra i due fattori che la costituiscono ci appare evidente e, soprattutto, sembra sempre esistita; invece è stata proprio la metafora a creare la nuova associazione e a permettere l apprezzamento di caratteristiche prima inosservate: ecco il ruolo cognitivo della metafora, la capacità, come diceva Aristotele, di far vedere. Tra i due fattori a confronto si è determinata una tensione, seppure sia evidente che sul piano letterale l espressione metaforica è falsa; ne deduciamo che le proprietà su cui gioca la metafora non sono reali, ma culturali, come nota Umberto Eco. Altra osservazione: molti termini usati dalla critica d arte per descrivere particolari attributi di un opera sono metaforici e, quindi, falsi sul piano letterale; eppure la loro capacità suggestiva è ineguagliabile per forza e sinteticità. Penso, ad esempio, ad alcuni aggettivi che spesso qualificano l architettura: aperta, chiusa, narrativa, assertiva, pesante, leggera, e così via. Della pesantezza ho già accennato parlando della villa-bunker. Sul suo contrario, la leggerezza, mi voglio soffermare brevemente perché questo attributo segna e distingue in maniera determinante la ricerca moderna e contemporanea in architettura. La nuova architettura, anziché monumentale, è leggera e trasparente, mutevole proclamava Teo van Doesburg già nel E Giedion nel 1929 scriveva: Bella è una casa che poggi con leggerezza e possa adattarsi a tutte le condizioni del terreno. La (piramide rovesciata come) metafora della leggerezza abbiamo esperienza del peso delle cose, scrive Calvino. A noi appare leggero con immediatezza ciò che si libra nell aria. Ciò che si protende verso il cielo acquista leggerezza, come ciò che nel cielo si muove veloce alla maniera dell uccello o dell aeroplano, pesantissimo quando arranca a terra. Ciò che sta in cielo appare leggero a chi è destinato a muoversi sul terreno, ad erigersi con fatica dal terreno, e sul terreno costruisce la sua dimora. La leggerezza non sembrerebbe dunque un attributo dell architettura; eppure in architettura l attributo della leggerezza è riconducibile a vari aspetti. L aspetto più ovvio riguarda il rapporto con il peso, cioè con la forza di gravità. Corollario della gravità è l equilibrio statico. L idea che noi abbiamo in merito alla gravità deriva da svariate esperienze, anche molto diverse tra loro. Per quanto riguarda l azione di erigere manufatti, l esperienza più semplice consiste nel gioco infantile di far scorrere la sabbia tra le dita della mano per vedere come essa si dispone sul suolo, quale equilibrio raggiunge. Come tutti sappiamo, la sabbia cadendo forma un cono. Benché questa figura geometrica sia semplice, in natura la si incontra raramente. Anche in architettura, come in natura, il cono è poco presente; tra i rari progetti ispirati a questa forma sono memorabili i cenotafi di Boullée. Simile al cono, ma molto più utilizzata in architettura è la piramide. Il cono non ha orientamento sul piano orizzontale, a differenza della piramide che su questo requisito gioca gran parte dei suoi valori simbolici, esoterici e ambientali. La piramide egizia polarizza lo spazio anisotropo del deserto, ne assorbe le sotterranee forze e le proietta verso una particolare regione del cielo. La piramide di pietra a gradoni di Gioser a Saqqara, costruita dall architetto Imhotep durante la III dinastia faraonica, è la più antica tra le tante; essa ha un minor grado di astrattezza della piramide semplice - cioè senza gradoni - e nel contempo suggerisce un maggior senso di pesantezza, di stratificazione, di crescita dal basso, di costruzione artificiale. Questo ci porta ad affermare che l astrattezza, intesa come semplicità della configurazione, conferisce leggerezza. Per le sue caratteristiche geometriche e per alcune elementari conoscenze pratiche, percepiamo la piramide come il prodotto artificiale più equilibrato, quello che meglio simboleggia gli effetti della gravità, forza che regola minuziosamente la nostra vita sul pianeta; perciò il suo rovesciamento si configura come un gesto simbolico di grande rilevanza, un gesto di liberazione da un ancestrale schiavitù. Il rovesciamento produce interessanti effetti di natura psicologica e percettiva: l immagine di una piramide rovesciata, appoggiata al suolo per il vertice, contrasta con le nostre idee di peso ed equilibrio statico, crea uno stato di disagio. La piramide rovesciata è, insomma, una figura ansiogena. Può sembrare, questa, un affermazione gratuita; viceversa ha un ben preciso fondamento, che argomento con un analogia. Carl Jung considera lo spazio e il tempo come concetti di natura psichica... sviluppati nel corso dell evoluzione culturale in archetipi inconsci per la descrizione del mondo fisico. Come dirà Konrad Lorenz, per il singolo individuo essi rappresentano degli a-priori trascendentali. Orbene, anche il peso e l equilibrio dei corpi sono a-priori trascendentali che assieme ad altre entità - tra le quali appunto lo spazio e il tempo - radicano saldamente l umanità al mondo fisico e ne consentono la comprensione. Questo è il motivo per il quale ogni negazione del peso, ogni vistosa alterazione delle condizioni di equilibrio genera nell osservatore quello stato di disagio psichico al quale facevo riferimento poc anzi; 5

13 6 disagio che egli supera dandosi una qualche spiegazione. Per la piramide rovesciata la prima e più naturale spiegazione è la perdita del peso, cioè una acquisita leggerezza. Così la piramide rovesciata diventa il simbolo stesso della leggerezza, del riscatto dalla gravità. Nella piramide la metafora si è incarnata. Non altrettanto accadrebbe con il cubo o la sfera. La gravità induce continue coercizioni al nostro desiderio di libertà dai vincoli fisici; eludere la gravità è dunque un ambizione. Essa accomuna molte architetture che la realizzano in svariate maniere, la più elementare delle quali consiste proprio nel rovesciare la piramide o, più realisticamente, consiste in ogni azione concreta che si apparenti, seppur metaforicamente, a tale rovesciamento, come accade quando s inverte la distribuzione delle masse ed esse sembrano rarefarsi procedendo dall alto verso il basso. Il Palazzo Ducale di Venezia o la villa Savoye a Poissy sono esempi noti di questo fenomeno: è proprio la progressiva sottrazione di massa verso il basso a determinare il senso di leggerezza e levitazione che tali edifici suggeriscono. La metafora e la città Per onorare il tema del Seminario, concludo questa divagazione sulla metafora discutendo alcuni esempi storici di metafore riferite alla città, ad iniziare dalla albertiana metafora della città-corpo. In questa metafora di ispirazione biologica il riferimento alla circolazione nei vasi sanguigni, al cuore pulsante, ai polmoni ossigenanti, ai diversi tessuti e alle loro funzioni diverse, al sistema nervoso che regola il comportamento dell insieme e così via, è evidente ed ha una forza immaginativa che ha scavalcato mezzo millennio e tuttora è vitale, seppure l iniziale organicità sia ormai affetta da esiziali patologie, come collassi, alterazioni genetiche, tumori. Insomma: passano i secoli e non riusciamo a liberarci della città-corpo benché il cuore sia aggredito, le arterie congeste, i verdi polmoni asfittici. L uomo comune legge ancora la città sulla base della sua fisiologia. Dall esempio si deduce come una metafora abbia fortuna in forza del sistema di luoghi comuni appartenenti ad una collettività; ciò significa che per funzionare la metafora deve incorporare un insieme di informazioni condivise, una competenza sedimentata, retroattiva. Ancor più suggestiva e dirompente è stata la metafora della cittàforesta di Laugier. A chi conosce un poco di storia urbana, essa fa capire come, per il tramite di un effetto filtro, la metafora sopprima alcuni particolari e ne accentui altri che vengono evidenziati, scoperti. Nel caso della città-foresta, l intrico dei corpi, la molteplicità delle loro nature, l odore acre del sottobosco, la penombra, la resistenza all avanzamento; d onde la necessità di aprire varchi, accelerare gli spostamenti, illuminare le parti, dare ordine, fare pulizia, come si deve fare in una città degradata e superata dai tempi. Gli studiosi di scienze cognitive affermano che nella evoluzione scientifica il processo di tipo metaforico interviene nei momenti di crisi dei paradigmi accettati. è probabile che si possa dire qualcosa del genere anche per quanto riguarda l architettura: la metafora della città-foresta, infatti, nasce quando la situazione di Parigi diventa invivibile, quando la città d ancien regime collassa di fronte agli effetti della prima industrializzazione e si impongono drastiche misure di razionalizzazione. Parigi è un immensa foresta da incidere e tagliare per ridurla al modello che ispira Laugier: il grande e ordinato giardino suburbano dei paesaggisti suoi contemporanei, Le Von, Le Brun, Le Notre; una dimensione che cattura l orizzonte e sarà propria della città moderna. La metafora di Laugier è sopravvissuta per oltre due secoli tant è che la troviamo ancora dietro le idee di Hausmann a Parigi e di Mussolini a Roma. Altre due metafore sono memorabili perché hanno accompagnato e sostenuto l avvento del Moderno. Mi riferisco alla metafora della città-giardino e a quella della città-macchina, tanto studiate e note da non richiedere commenti. Orbene, dopo la metafora biologica della città-corpo, quella naturalistica della città-foresta, quella paesaggistica della città-giardino, quella funzionalista della città-macchina, nessun altra sembra essersi consolidata.... l importanza della metafora è che sia sentita come metafora..., scrive Borges: di un siffatto comune sentire oggi non c è traccia. A questo proposito riprendo alcune considerazioni già accennate nei precedenti Seminari di Camerino. La metafora urbana oggi Le varie linee di ricerca sulla città complessa, diffusa, multietnica, del terziario, del conflitto, dello scarto, dei non-luoghi, ecc. che ben conosciamo, si muovono nell ambito di aggettivazioni che non possiedono né l identità, né la sinteticità allusiva, né la carica dirompente, suggestiva e propulsiva della metafora. Non possiedono, soprattutto, i caratteri cognitivi che prima ho descritto. Per lo meno, riferibili al progetto, al fare architettura. Non sarà forse l origine extradisciplinare di quelle aggettivazioni a renderle poco praticabili? Un fatto è certo: le metafore costruite sul corpo, la foresta, il giardino, la macchina nascono dal pensiero di grandi architetti o teorici dell architettura e dell urbanistica, non certo da letterati, sociologi, economisti, politici, le cui riflessioni, mi sembra di poter dire, danno carne all architettura in forma sempre molto indiretta e dilazionata, solo attraverso nostre faticose rielaborazioni disciplinari. Insomma, l universo della metafora urbana in questo momento sembra vuoto. Forse si tratta di aspettare chi sarà in grado di proporre nuove grandi sintesi. Nel frattempo conviene assumere un approccio pragmatico e rifuggire dai millenarismi o dai pittoreschi impressionismi che, di tanto in tanto, tornano di moda quando si tenta di tratteggiare nuovi paesaggi urbani.

14 Umberto Cao Costruire la città senz arte Camillo Sitte con il suo celebre L Arte di costruire la città, scritto alla fine dell Ottocento, aveva avuto fortuna in tempi diversi e lontani: un libro eversivo allora perché aveva messo in discussione ogni forma di accademismo e trionfalismo urbano; un libro funzionale alla apertura del dibattito sulla città moderna nel primo Novecento, perché tornava al primato del cittadino e della polis ; un libro ben accetto anche alla cultura urbanistica del secondo dopoguerra attenta alla città reale, quindi popolare e democratica (anche Kevin Lynch, secondo Manfredo Tafuri, si rifaceva alla volontà collettiva di forma di Camillo Sitte); un libro infine che negli anni Settanta e Ottanta divenne manifesto della città antindustriale e della figuratività postmodernista. Ma oggi tutto questo è perduto. Sitte diceva che una città deve offrire agli abitanti sicurezza e, insieme, felicità. Sarebbe sin troppo facile mettere in evidenza l opposto: la città oggi è sinonimo di insicurezza e dolore. Certamente lo era stato già prima, a cominciare dagli esodi verso le metropoli industriali, con gli scontri sociali della prima parte del secolo, con i successivi conflitti delle minoranze giovanili o di colore. Ma era problema sociale, inquadrabile in una prospettiva ideologica di scontro politico e di rivolta, che non intaccava l aspetto fisico delle città storiche, né delle metropoli moderne. Oggi le città risentono fisicamente di questo malessere. Eppure si continua a lavorare per rendere le città artisticamente belle. Solo che ci si affida non agli architetti-amministratori saggi e illuminati, ma agli architetti-artisti-grandifirme. La bella città contemporanea è fatta di gemme solo apparentemente preziose, una sorta di bigiotteria architettonica fuori misura, una esibizione di splendori senza valore, pensata per stupire e talvolta per spaventare, tanto aggressiva quanto innocua. Ma se architettura e città sono opere d arte, e se le arti in genere, dalla pittura alla letteratura ed al cinema, non sono né consolatorie, né rassicuranti, perché l architettura della città dovrebbe esprimere certezze ed equilibri? Da una parte c è chi continua a progettare città perfette, dall altra chi descrive la metropoli sempre più drammatica. Non sarebbe meglio fare direttamente i conti con la realtà? Per parlare delle città senz arte - allora - guardiamo ad un fenomeno come quello del Grande Raccordo anulare di Roma, contraddittorio risultato di una città legale al di fuori del progetto urbanistico. Oggi Roma ha una Stadtkrone imprevista e trascurata, la Città del GRA, che prende corpo all interno degli spazi vuoti che si creano tra legalità e illegalità, e che non rientra nelle categorie della cultura urbana contemporanea: né città storica, né compatta, né verticale, né orizzontale o diffusa. In un certo modo possiede requisiti dell una o dell altra, ma appartiene ad una condizione specifica e ad una storia recente. La Roma del GRA è una città dalla duplice valenza. Percepita percorrendo il Raccordo è pura immagine. Il punto di osservazione è una veloce traiettoria di attraversamento che mostra una città bidimensionale, senza profondità: il paesaggio è allineato linearmente. Visioni dinamiche e progressive servono a leggere costruzioni apparentemente ordinate e congruenti: grandi dimensioni e grandi altezze alternate a vuoti e colline; sistemi residenziali compatti circondati dalla campagna; centri commerciali segnalati da iscrizioni e pubblicità; fabbriche, uffici e alberghi rivestiti da pannelli riflettenti o marmi pregiati. Il tutto ha una suggestione confrontabile con quella che si ha guardando una costa lontana dal mare prima di entrare in un porto, quando tutto è appiattito e sfumato, tra case, fabbriche e colline. Ma lasciando l autostrada ed entrando nelle ramificazioni stradali che l accompagnano, si scopre che questa città nuova non esiste come tale, ma è la sommatoria di enclave distinte. Perché l anello del Raccordo aggrega e collega, solo apparentemente, cose autonome e diverse. Le enclave sono distribuite in successione attraverso svincoli e cul-de-sac, ogni ambito appare separato dagli altri e governato da leggi proprie; si configura cresce e si trasforma per suo conto. La striscia di asfalto larga quasi 40 metri, sino a 100 metri con le aree di per- 7

15 tinenza, ne costituisce l unico elemento di relazione; solo visiva però. Non ci sono collegamenti veicolari diretti. Passare pedonalmente da un enclave all altra significa oltrepassare campagne fangose, dislivelli e fossi, se non strade consolari o linee ferroviarie. Attraversare il GRA è impossibile. Negli anni Sessanta i palazzinari romani costruivano prima le case poi, pezzo per pezzo, le strade di collegamento; oggi la stessa logica costruttiva viene applicata dai grandi imprenditori del terziario: frettolose convenzioni o complesse operazioni di project financing consentono ai giganteschi contenitori dell ingrosso e del consumo di depositarsi su aree immense, prima ancora che siano realizzate le infrastrutture e le strade di servizio. Eppure tutto è lì perché c è il Raccordo. Un autostrada che è al tempo stesso anello di scorrimento e legge insediativa. L unica legge, perché questa è una città legale, ma spontanea. Nata come margine di una Roma che non doveva crescere oltre, diventa il simulacro di una metropoli. 8 La città sull autostrada nel XXI secolo: lo sprawl secondo il pixel-architekt Thomas Mann La città sull autostrada nel XX secolo: il GRA a Roma

16 Enrico Corti Progetto e immaginazione sociale Architettura e Arte hanno, entrambe, a che fare con il termine progetto; 1 entrambe sono sostenute da una intenzionalità proiettiva che manipola la rappresentazione del reale, ed è proprio per sottolineare questa particolare relazione con la realtà che facciamo intervenire il termine immaginazione. Abbiamo sufficienti ragioni, oggi, per interrogarci sulle nostre facoltà immaginative, in un momento in cui nel nostro universo di artefatti architettonici, sono comparse, con crescente frequenza, strane apparizioni, che hanno scosso le nostre abitudini e le nostre attese percettive; quasi un altra fauna lontana da ogni riferimento stabile, certo, consolidato rispetto a ciò che abbiamo chiamato architettura o sperimentato come città. 2 Mi riferisco a diverse e ormai numerose esperienze accomunate dall utilizzazione di tecnologie digitali, che si propongono come avanzamento logico-concettuale del progetto sostenuto dal pensare digitale sviluppate nei laboratori dell ipermodernità, e diffuse dalle pervasive reti della comunicazione di massa. 3 Così si incominciano a vedere gli effetti che derivano dall utilizzo inconsapevole di queste nuove raffigurazioni alle quali si attinge come fossero prodotti di cosmesi, grandi barattoli di cipria, contenitori di rosee e profumate illusioni con le quali si tenta di imbellettare il consunto volto della vecchia architettura e della città. Troppe immagini, poca immaginazione? La mia convinzione è che difficilmente potremo assumere qualche criterio di confronto con queste e con le altre esperienze di produzione formale della contemporaneità, se restiamo al livello dell immagine e non riconsideriamo l immaginazione e il suo significato sociale. 4 Per tutta la seconda metà del Novecento (il secondo lungo dopoguerra) la riflessione sugli aspetti immaginativi del progetto è rimasta sullo sfondo. Le traumatiche esperienze della prima metà del secolo, impedivano alla seconda di sollevare il velo, di liberare nuovamente il pensiero immaginativo che è stato esorcizzato tramite scoppi apparentemente rivoluzionari (l immaginazione al potere con tutte le possibili radicalizzazioni dell utopia) o irretito nel paludamento ideologico dell impegno politico dell intellettualità. 5 Alle prese con gli sbandamenti più recenti, credo si debba insistere nuovamente sulla funzione del progetto nella costruzione dell immaginazione sociale e, reciprocamente, sull importanza dell immaginazione sociale nella costruzione del progetto. Il progetto interpreta e decodifica la realtà sociale attraverso le rappresentazioni simboliche, le rielabora, le consolida e le trasforma: opera costantemente sul limite, fra congruenza e incongruenza, fra utopia e ideologia, dove si colloca la frontiera della libertà e dove si gioca la battaglia più importante. E dunque, da un lato concordo con Marco Romano che invita a non essere incolti, superficiali o stupidi nel manovrare la grande eredità simbolica delle immaginazioni collettive che hanno reso possibile la città e l architettura. I margini di invenzione, ha detto Marco, sono modesti. Io non concordo sulla loro modestia ; sono molto complicati ma importanti: il progetto ha sempre il compito di esplorare l incongruenza possibile, non per il gusto dell invenzione, ma perché è l unica verifica delle nostre rappresentazioni, sempre in bilico fra la stanca ripetizione (ideologica) o la fuga immaginifica nell altrove. Ha parlato, Marco Romano, di un deposito, di un magazzino dove stanno i tematismi collettivi, i simboli dotati di senso che si sono esplicitati in forme spaziali e temporali della città, ai quali possiamo ancorarci. Ma c è anche uno scantinato, come ci racconta Calvino per la città di Teodora; questa città aveva combattuto in tutti i modi possibili per eliminare l altra fauna, tutti gli insetti pericolosi, innocui o fantasiosi, contro i quali pensò di aver vinto la sua battaglia, isolandoli negli scantinati; fino al giorno in cui gli ircocervi, le arpie, gli unicorni, i basilischi e via dicendo si rimpossessarono nuovamente della città. Se abbiamo l impressione che l altra fauna ci stia invadendo allora dobbiamo imputarne le ragioni alla stanchezza immaginativa che ha 9

17 10 caratterizzato la cultura europea forse più che le altre culture con le quali la globalizzazione ci fa confrontare. Quello che sembra certo è che la ricerca architettonica (e più ancora quella urbana) ha fatto, per troppo tempo, a meno dell arte e di una rielaborazione simbolica e dunque di immaginazione. è l arte che frequenta più gli scantinati che gli archivi e i magazzini; è l arte che addomestica l ircocervo, le arpie e gli unicorni, rendendoci domestiche e comprensibili anche le nostre rimozioni, dando corpo alle nostre recondite aspirazioni di libertà. Questo orizzonte immaginativo era ben presente in Louis Kahn: amo iniziare, diceva, perché è all inizio del progetto che ci sono le vere domande, del perché e del che cosa è. Molti progetti di oggi non mi sembra che inizino, ma assurdamente si complicano in sempre più raffinate elaborazioni di figure, quasi che l obiettivo fosse la libertà dell immagine e non quella, assai più significativa, dell immaginazione; presente in Aldo Rossi, la cui opera, teorica e pratica, è tutta una profonda riflessione sull immaginazione. Se devo parlare dell architettura oggi, della mia o di quella di altri, ritengo sia importante illuminare i fili che riconducono la fantasia alla realtà e l una e l altra alla libertà... E io credo alla capacità dell immaginazione come cosa concreta, concetti che esprime, in forma metaforica, con la città analoga. è a commento di questa tavola che specifica, infatti, il suo ammonimento: immaginazione nel reale, non immaginazione del reale. Questo è il vero discrimine: alle volte si pensa di poter acquistare maggiore libertà immaginativa rifiutando il fardello che la realtà sociale e la cultura ci impongono; e allora si cade vittime di astratte utopie o di pretese ideologiche o di altri padroni; il vero problema è star dentro, dentro la realtà sociale, dentro la cultura, dentro l architettura, dentro la città, esplorando in questa internità tutte le possibili libertà. E in questa battaglia arte e architettura non solo sono alleate, ma comprovano e rafforzano la loro radice comune. 1. Mestieri progettanti sono stati definiti da Pippo Corra nel suo intervento al Seminario (Arte Architettura, Camerino 2005). 2. La critica che in questa sede ha svolto Marco Romano sulle proposte presentate al concorso per la Fiera di Milano non lascia dubbi sul fatto che è stato completamente espunto il riferimento ai modi canonici di interpretare la città e, nella fattispecie, ai tematismi collettivi che hanno fondato la città europea. 3. Ci si può riferire al catalogo della prima biennale di architettura di Pechino 2004; o ad altri cataloghi come quello della mostra di Graz Latents Utopias o quello del Centro Pompidou Architetture no-standards, per citare i più noti. 4. Aveva iniziato negli anni 30 del secolo scorso Karl Mannheim a interrogarsi sui meccanismi (sociologici) che presiedono al costituirsi di quelle grandi immaginazioni collettive che sono le ideologie e le utopie. Karl Mannheim, nel riflettere per la prima volta in modo sistematico su queste faccende, considerava due fondamentali patologie del pensiero immaginativo, identificate con l Utopia e l Ideologia, nelle quali riconosceva i frutti malati delle culture europee dei primi anni 30. Entrambe sono figure di non congruenza con la realtà sociale; la prima perché non ritiene possibile strutturare significati se non immaginando l altro e l altrove; la seconda perché non opera nella realtà sociale, ma perché ad essa sovrappone una propria visione convenientemente deformata. 5. Per altro incapace - come argomentava polemicamente Tafuri - di una autentica posizione nei confronti della realtà sociale.

18 SoftOfficeUK, Nox, (Un)Plug Building, Francois Roche e Stephanie Lavaux, 2001 Excideuil Folie, decoi Architects, 2001 Maison Dom-In(f)o, DR_D LAB,

19 Brunetto De Batté Modi di vedere Vangelo secondo Germano 12 Non si può entrare nelle critiche della mostra, organizzata secondo Germano Celant e realizzata insieme a Gae Aulenti e Pierluigi Cerri,... è come sparare sulla crocerossa, e poi secondo il vangelo di Germano c è tutto, esattamente come ci potevamo aspettare, il rapporto tra Arti & Architettura è in parte terreno suo. Così viene catturata l attenzione del mondo in questa grande iniziativa per Ge nova 04 città europea della cultura. Ovviamente partendo da un punto fermo: gli anni 60 e l arte povera e da lì verso diversi punti cardinali e tematiche tra ieri e oggi. La rassegna raccoglie differenti percorsi ed esplorazioni. Una stagione di intensa trasformazione che attraversa le utopie disegnate dei primi del secolo, le distopie dell architettura radicale, le tecnotopie, le esperienze sfaccettate della Bauhaus, la fotografia come lettura della realtà, frammenti di film. La mostra Arti & Architettura, curata da Celant, ci accompagna verso la conclusione del viaggio che Genova ha intrapreso lungo il 2004, dedicato alla cultura europea. Il ritorno alla contemporaneità che questa grande mostra rappresenta è un apertura verso un nuovo cammino, più che il punto d arrivo di un percorso. Infatti tratta di percorsi e attraversamenti, una disseminazione di eventi lungo un asse che attraversa la città ed il fronte mare, installazioni e oltre a bill boards anche arredi urbani, pensiline e chioschi. Tra le installazioni allestite in strada, piazze, chiostri di nobili palazzi, nei cortili del Palazzo Ducale e la mostra storica allestita al suo interno, troviamo una impressionante quantità di autori e ricchezza di opere presentate. Ma quello che interessa sottolineare è questo terreno di confine, territorio neutro degli scambi disciplinari che nel secolo precedente sempre più in crescendo, quasi in modo esponenziale, ha dilatato le dimensioni. Il terreno della quotidianità, dell urbano ospita e diventa set (fotografico, cinematrgrafico, teatrale, performance...), luogo dove si rinnovano le discipline, si verificano sul campo della contaminazione in una messa a punto degli strumenti, delle affinità, delle strategie e degli obiettivi. Siamo di fronte al meglio del meglio per stare dalla parte della città e di Celant, in fondo la filosofia è provocare l effetto Bilbao (come preannunciato in una prima mostra preparatoria nel settembre del 2003), ma questo è per non addetti, o più vicini all arte, ma noi sappiamo che l architettura è servita anche per meravigliare, per essere spettacolo nello spettacolo oltre Debord. La nuova strategia supermoderna (molto vicino al progetto di design) gioca sul paradosso, lo spiazzamento, l estraneità e queste soglie di ibridazione introducono nuovi significati alla città e nuovi percorsi intuitivi progettati molto vicino alle arti dove la funzione è sempre più secondaria all involucro. Questo è anche il senso della mostra (vicino allo spirito genovese dell accumulare) e raccoglie il percorso e le varie tangenze al tema, Genova infatti diventa come lo è sempre stata il punto di snodo per discorsi innovativi (i mille, il socialismo, arte povera, post modern, marcatré...) La straordinaria invenzione di Celant è di aver progettato una festa neo-barocca, prodotto una macchina per fuochi artificiali a ripetizione dentro e fuori i palazzi, una festa che vuole scuotere, un modo per attirare a sé curiosità, l attenzione dell Europa e non solo. Il Sindaco Pericu scrive: Una visione del mondo che ha prodotto - in una stagione di intensa trasformazione e modernizzazione della città e del suo ruolo nel mondo - il grande teatro delle strade nuove e delle magnifiche dimore che ora si recuperano al pubblico. Uno spettacolo per molto tempo non godibile perché rivolto al proprio interno. Genova vuole capovolgere questa tradizionale e splendida introversione, aprirsi, mettersi in mostra, mettersi in discussione. Ecco allora che il museo scende nelle strade e nelle piazze con una serie di opere contemporanee che cercano un dialogo non scontato con le imma-

20 gini, gli spazi, i significati che abbiamo ereditato dalla nostra storia. Penso che la discussione non mancherà. Il nuovo che modifica, anche con gesti vistosi, il nostro panorama abituale non può lasciarci indifferenti. E noi non vogliamo essere indifferenti all esigenza di ripensare il futuro sintonizzandoci sulla lunghezza d onda dei maggiori artisti e progettisti contemporanei, riflettendo sul nesso tra cultura, sviluppo e mutamento urbano. Certo riappropriandoci della ricchezza della nostra storia, coscienti che Genova ha saputo essere nel corso dei secoli un laboratorio di invenzioni e non solo, più di recente, durante la stagione dell industrializzazione del primo Novecento, ma anche negli anni a noi più prossimi, quando ha provato a riflettere sulle sue possibili nuove vocazioni. Un compito e una sfida che considero di nuovo attuali come nei momenti delle grandi svolte. Unico rammarico è che Genova poi alla fine viene sempre vista come la Genova Antica che esclude il novecento... ma come altre città è una città moderna fatta di periferie, di insediamenti considerevoli extraurbani come Prà-Voltri di Gardella e Zanuso, Pegli di Rizzo, Quezzi e Sturla di Daneri...), periferie che hanno certo bisogno di rinnovo, di azioni ed operazioni di contaminazione... in fondo l effetto Bilbao si può esercitare, visto che ha funzionato anche sui margini urbani. Questo forse valeva la sperimentazione, visto che il senso di contributi di scambio è da riferire all happening, all installazione, all effimero, all istant city... strumenti che portano alla valutazione di possibili interventi successivi di progetto e che possono divenire momenti di partecipazione, radunando paesaggi di paesaggi nello spirito del tempo. Quello che emerge è che Genova è una città per narrare. è ovvio che ciò che è esposto è secondo il vangelo del critico d arte Celant... Ma poteva essere interessante sapere come un Acconci, un Branzi, un Cook o Mendini... tanto per far alcuni nomi... potevano organizzare proposte, progetti, installazioni su parti di città periferiche o in spazi urbani critici, opere/progetto che potevano suggerire o verificare frammenti o come la sopraelevata poteva diventare un parco come si tenta a New York o in altre periferie... anche se l invasione di 50 cartelloni d arte di 6x3 m più i pannelli alle fermate d autobus ha determinato l estensione e la comunicazione della mostra alla città. L idea è un amplificata maniera d intendere arte & città remember di Voltera 73. Le installazioni esterne sono una provocazione superata, basta ascoltare come specchio segreto i commenti più fini ed ironici dell'opera stessa, passi Mendini e Rossi e Hollain, ma per il resto sono installazioni gratuite, delusione da Pesce e Gehry, ma anche le collocazioni sono discutibili... da un punto di vista del rapporto con l' ambiente. Forse, ribadisco, se installate in parti di città con problemi, l'operazione finalizzava anche lo scopo di provare con l'arte e l'installazione possibili correzioni o simulazioni di mutamento. Poi, ho notato grandi assenze, da Barragan o Goeritz a De Carlo. Ugo La Pietra, Strum... ma questo diventa un gioco per tutti i visitatori di registrare le assenze, che prosegue nei bar con liste allungate sui tovaglioli... Personalmente avrei preferito una lettura ancor più critica basata su possibili categorie e strategie d'intervento nelle tematiche dell'urbano anziché una mostra di firme. La mostra (di grandissimo rilievo internazionale), più che arte & architettura è arte e architettura. Personalmente avrei preferito una lettura ancor più critica basata su possibili categorie e strategie d intervento nelle tematiche dell urbano anziché una mostra di firme. Arti & architettura è un gran tema di attualità toccato in alcuni numeri di Lotus, ma credo che una vera immersione nel tema ne valga la pena n n Si potrà correggere il tema con vere immersioni operative? Potranno rientrare nei prossimi programmi culturali effetti di laboratorio in parti di città dove le operazioni artisitche diventano vero strumento progettuale? 13

21 14 Vedute di Genova

22 Ge-nova

23 16

24 Raffaele Mennella Città di altre città Ovvero cose di altre cose... Il tema arte-architettura o il suo simmetrico, sicuramente sempre presente nelle intenzioni del fare con più o meno vigore e asserzione, ha visto nelle attività genovesi del 2004, in particolare nella mostra di Palazzo Ducale e qualche installazione posta nei dintorni (la seconda corte dello stesso Palazzo Ducale, Fontane Marose, De Ferrari, Caricamento, Piazza Matteotti, S. Lorenzo ecc...), una sorta di occasione per ricordare e puntualizzare. La mostra divisa espositivamente, quindi fisicamente, in un sopra (le sale del Palazzo) ed in un sotto (i suoi recuperati scantinati) ha ripercorso il secolo da poco trascorso nel tentativo di rappresentare le differenze tra il passato, il passato prossimo ed anche il quasi oggi. Con queste differenze si sono evidenziate le mutate attese ed i percorsi propagandati e realizzati in quasi settanta anni. Anni di storia che ci riguardano. In sostanza erano presenti i lasciti, le contraddizioni e quindi anche i giusti ed inevitabili superamenti. Nel sopra era presente una sorta di fase eroica, molto densa ed affascinante per la presenza degli esordi avanguardistici, ma molto distante dal nostro presente, anche se la distanza storica, temporalmente, non è poi così abissale. Ma gli stupori dei giovani e le allegrezze da rimpatriata dei più maturi che si coglievano in visita, in qualche modo, mi è parso che segnassero incontri e ritrovamenti con qualche dolcezza di troppo e comunque da racconto nostalgico. Il sotto, inevitabilmente incompleto e francamente deludente nel riassunto di questi ultimi trenta anni, era un racconto in itinere, quindi, un percorso non compiuto e soggetto, fortunatamente, ad essere osservato anche con qualche diffidenza. Il dato significativo di questa seconda parte, mi è parso, sia stato quello di mettere in evidenza percorsi individuali piuttosto che collettivi e/o comunque di gruppo riconoscibili. Il problema naturalmente non era, superficialmente, di linguaggio, perché ogni epoca ne ha uno proprio ancorché le cose che si raccontano, nello stesso tempo, non sono necessariamente analoghe e/o necessariamente confrontabili o ascrivibili ad appartenenze per somma di singoli, ma di mutata condizione di ruolo della comunicazione. Anche l architettura, al pari degli altri apparati di relazione e rappresentazione, infatti, è soggetta a tali mutamenti. Ne deriva, per quanto mi riguarda, una sorta di morale : nei momenti eroici l architettura si manifesta prevalentemente come arte, diventa arte, si serve dei modi rappresentativi tipici della propaganda artistica (saloni, mostre, manifesti, proclami, riviste di tendenza ecc...); estende la sua ragione, evidenzia la sua condizione sufficiente oltre quella naturale che è sempre e comunque quella necessaria del suo essere ragione costruttiva. L architettura si racconta come arte, quando sente che l urgenza al cambiamento è necessaria alla propria sopravvivenza, e per essa, all interpretazione dei nuovi contenuti che la società reale, di cui fa parte anche per scelta politica, indica ed esprime, quanto meno, come esigenza. Ed esprime con forza accelerata il bisogno di nuovo anche con l uso di ideologie e lo pone come questione urgente rispetto alle resistenze del passato-presente. In sostanza l architettura, almeno dei primi settanta anni del secolo scorso, esce come arte perché le altre arti sono da tempo presenti ed in prima fila a formare l ariete che sta abbattendo, con il tempo perduto, la stanchezza e l inadeguatezza dei sistemi e degli apparati di una società al tramonto. Il Götterdämmerung in filosofia, in letteratura, in musica ecc. era avvenuto da tempo, ma il Biedermeier avversava tutto il nuovo. Avversava, esemplificando il tutto sul panorama austriaco ed in particolare, per esempio, nella Vienna pre-conflittuale, quella che sarebbe diventata la Looshaus, un opera d arte in un luogo d arte, di una città d arte, allora come oggi! un edificio che può stare soltanto in una città di milioni di abitanti secondo quanto lo stesso Loos dirà del suo edificio nel Ed ecco un punto che, rispetto all arte dell architettura di ieri in confronto all oggi, mi pare decisivo. La messa in conto che l agire ar- 17

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