Capitolo L'attenzione spaziale

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1 Capitolo 4 1. L'attenzione spaziale Un osservatore umano può selezionare una posizione nello spazio orientandovi l'attenzione. Normalmente, l'orientamento dell'attenzione è accompagnato da una rotazione degli occhi e del capo e, a volte, anche del corpo. Ciò crea un problema per lo studio dell'attenzione spaziale. Infatti, la rotazione degli occhi fa sì che sulla posizione selezionata sia allineata, non solo l'attenzione, ma anche la fovea, cioè la porzione della retina in cui la capacità di risoluzione è massima. Risulta, perciò, impossibile separare gli eventuali effetti prodotti dall'attenzione spaziale dagli effetti prodotti dall'acuità retinica. Il primo problema da risolvere nello studio dell'attenzione spaziale è, dunque, quello di separare la direzione dell'attenzione dalla direzione dello sguardo. Fortunatamente, si tratta, come si vedrà, di un problema non insormontabile. Per la verità, il problema era stato affrontato, e risolto, ben prima degli studi in laboratorio. Tutti noi abbiamo avuto esperienza del fenomeno di «guardare con la coda dell'occhio», cioè di dirigere lo sguardo verso una posizione nello spazio mentre si presta attenzione a ciò che accade da qualche altra parte. Il trucco può funzionare perché chi ci osserva assume che sguardo e attenzione siano allineati. In diversi sport, questa tendenza ad assumere che sguardo e attenzione siano allineati viene sfruttata per trarre in inganno l'avversario e l'abilità a separare 10 sguardo dall'attenzione è esplicitamente allenata (la cosiddetta «vi sione periferica»). Gli antichi astronomi avevano a loro disposizione, per esplorare 11 cielo, soltanto dei telescopi abbastanza rudimentali. Per rilevare la debole luce proveniente da certi corpi celesti, la parte più utile della retina è la periferia, dove la sensibilità alla luce è massima, mentre l'acuità è minima (nella fovea succede l'opposto: la sensibilità alla luce è minima, mentre l'acuità è massima). Era, perciò, necessario che un astronomo si allenasse ad esplorare il cielo con la periferia

2 186 ATTENZIONE E COSCIENZA del campo visivo. Ciò era possibile a patto che si riuscisse a separare la direzione dello sguardo dalla direzione dell'attenzione. La separazione dello sguardo dall'attenzione è, però, solo il primo problema da affrontare nello studio dell'attenzione spaziale. Gli altri problemi sono più delicati e complessi e richiedono l'impiego di situazioni di laboratorio accuratamente controllate. Passerò, perciò, a descrivere un esperimento effettivamente condotto Una situazione sperimentale La situazione sperimentale è illustrata in modo schematico nel riquadro A della figura 4.1 [per maggiori dettagli, si rimanda a Umiltà et al. 1991; cfr. anche Rizzolatti et al. 1987] D 4 D D - - t D Fio Ad ogni prova, si presentano sullo schermo il punto di fissazione (la piccola croce al centro) e i quattro quadrati allineati in alto, contrassegnati dai numeri 1-4. Dopo 500 ms compare un numero (il segnale) appena sopra il punto di fissazione, poi, dopo altri 600 ms, compare un cerchietto luminoso (lo stimolo) dentro uno dei quattro quadrati. Le consegne date all'osservatore (il soggetto sperimentale) riguardano i movimenti oculari, i movimenti dell'attenzione e la modalità di risposta. All'apparire del punto di fissazione, gli occhi vi devono essere diretti e restare immobili per tutta la durata della prova. La posizione degli occhi è controllata (per esempio, per mezzo di una apparecchiatura a raggi infrarossi o di una telecamera) e tutte le prò-

3 ATTENZIONE E COSCIENZA 187 ve nelle quali si rileva un movimento oculare sono scartate. L'attenzione deve essere diretta sul quadrato corrispondente al numero che appare sopra al punto di fissazione. Per esempio, nel riquadro A della figura 4.1, sopra al punto di fissazione appare il numero 3 e l'attenzione deve essere portata, senza muovere gli occhi, sul secondo quadrato da destra. Se il numero sopra al punto di fissazione fosse stato l'i, allora l'attenzione avrebbe dovuto essere portata sul primo quadrato da sinistra. Se sopra al punto di fissazione appare uno 0, che non indica nessuno dei quattro quadrati, l'attenzione deve essere distribuita fra tutti i quadrati. In altre parole, uno 0 segnala al soggetto che tutti i quadrati devono essere tenuti sotto controllo attentivo. Il soggetto viene anche informato che lo stimolo può essere presentato soltanto dentro uno dei quadrati. La risposta richiesta consiste nel premere il più rapidamente possibile un pulsante; sempre lo stesso, dovunque sia comparso lo stimolo. La variabile dipendente è il tempo, misurato in millesimi di secondo, che intercorre fra la comparsa dello stimolo e l'esecuzione della risposta: tempo di reazione (TR) semplice. Per evitare che la risposta venga anticipata, a volte non si presenta alcuno stimolo dopo il segnale numerico e il soggetto non deve rispondere. Nel 70% dei casi lo stimolo compare nel quadrato segnalato dal numero presentato sul punto di fissazione e si parla di «prove valide». Nel 30% dei casi, lo stimolo compare in uno dei tre quadrati non segnalati (10% per ciascuno) e si parla di «prove invalide». Nell'esempio del riquadro A della figura 4.1, lo stimolo ha una probabilità del 70% di comparire nel quadrato 3, mentre può comparire con una probabilità del 10% nei quadrati 1, 2 e 4. Lo 0 è un segnale non informativo: lo stimolo può comparire con uguale probabilità (25%) in ciascuno dei quattro quadrati e si parla di «prove neutre» Benefici e costi attentivi Nella situazione sperimentale appena descritta i movimenti oculari sono esclusi. Inoltre, gli stimoli cadono sempre alla periferia del campo visivo, lontano dalla zona di proiezione della fovea (i quadrati sono allineati ad una distanza di 6 di angolo visivo dal punto di fissazione). È, perciò, ragionevole supporre che le eventuali differenze osservate nei TR siano di origine attentiva, piuttosto che retinica. Nelle prove valide, il soggetto ha diretto l'attenzione sulla posizione «giusta», cioè sul quadrato in cui successivamente è comparso lo stimolo da rilevare. Nelle prove invalide, invece, l'attenzione è stata portata sulla posizione «sbagliata», cioè su un quadrato diverso da quello in cui è poi comparso lo stimolo. Nelle prove neutre, l'attenzione è stata distribuita su tutte le posizioni, cioè su tutti i quadrati. Se si considerano le prove neutre come una condizione di controllo, è possibile stimare i «benefici» prodotti dal corretto orientamento

4 188 ATTENZIONE E COSCIENZA dell'attenzione e i «costi» prodotti da un errato orientamento dell'attenzione [Posner 1980a]. Nell'esperimento condotto da Umiltà et al. [1991], dal quale è stata tratta la situazione sperimentale descritta, il TR medio per le prove valide è stato di 218 ms, il TR medio per le prove neutre è stato di 230 ms e il TR medio per le prove invalide è stato di 254 ms. Perciò, il benefìcio ottenuto per avere orientato l'attenzione sulla posizione giusta è stato di 12 ms (TR per le prove neutre meno TR per le prove valide), mentre il costo pagato per avere orientato l'attenzione sulla posizione sbagliata è stato di 24 ms (TR per le prove invalide meno TR per le prove neutre). Ci si può chiedere se i benefici e i costi attentivi dipendano da cambiamenti di criterio di risposta oppure da cambiamenti di sensibilità del sistema visivo. Se si tratta di veri effetti attentivi, i benefici e i costi dovrebbero essere attribuibili alla sensibilità del sistema visivo. Che si tratti proprio di sensibilità è stato dimostrato, per esempio, da Downing [1988], che ha calcolato gli indici della teoria della detezione del segnale ed ha trovato benefìci e costi per d' ma non per beta (cfr. supra, cap. I, pp ) [cfr. anche Darley, Glucksberg e Kinchla 1991]. In conclusione, gli esperimenti di questo tipo hanno dimostrato che l'attenzione può essere orientata nello spazio anche in assenza di movimenti oculari e che ciò da origine a benefici e costi attentivi [per rassegne più dettagliate, Posner 1980a; Umiltà 1988aL Saranno ora affrontati altri aspetti dell'attenzione spaziale. Si ricordi che verranno quasi sempre riportati risultati ottenuti in assenza di movimenti oculari (orientamento implicito dell'attenzione). Quando, invece, la situazione sperimentale è tale da permettere movimenti oculari (orientamento esplicito dell'attenzione), ciò sarà espressamente segnalato Orientamento volontario e orientamento automatico Abbiamo visto che l'attenzione si può orientare nello spazio verso posizioni indicate da segnali presentati al centro del campo visivo (si parla di segnali centrali), come i numeri del riquadro A della figura 4.1. Questi segnali indicano una posizione soltanto a patto che vengano correttamente interpretati (si parla anche di segnali cognitivi). Non c'è nulla, infatti, nel numero 3 che, per esempio, induca a dirigere l'attenzione in alto e a destra. Il numero 3 acquista un significato direzionale soltanto sulla base delle consegne date all'osservatore e della sua volontà di seguirle. Dunque, l'orientamento di cui abbiamo finora parlato è volontario (controllato). Se vuole, l'osservatore, dopo avere riconosciuto il numero 3, può dirigere l'attenzione dovunque o, anche, mantenerla sul punto di fissazione. Prendiamo ora in considerazione i riquadri C e D della figura 4.1. Nel riquadro C, il secondo quadrato da destra comincia improv-

5 ATTENZIONE E COSCIENZA 189 visamente a lampeggiare. Nel riquadro D, una freccia compare improvvisamente sotto lo stesso quadrato. Per il resto, la situazione sperimentale è identica a quella già descritta. In questo caso, però, le consegne sono superflue. Lo voglia o no, l'osservatore porterà l'attenzione sulla posizione segnalata, e dovrà esercitare un certo sforzo per non muovere anche gli occhi. Quando, poi, comparirà lo stimolo, si osserveranno benefici per le prove valide (se lo stimolo compare nel quadrato che ha lampeggiato o sotto il quale è stata presentata la freccia) e costi per le prove invalide (se lo stimolo compare in un quadrato diverso). Si noti che le prove neutre sono caratterizzate dal lampeggiare di tutti i quadrati o dalla presentazione di una freccia sotto ciascun quadrato. Nel caso dei riquadri C e D, il segnale è stato presentato alla periferia del campo visivo (si parla di segnali periferici) e non è stato necessario interpretarlo: l'orientamento è avvenuto in modo automatico. Il riquadro B presenta un segnale misto perché la linea parte dal centro ma si dirige verso la periferia e non richiede molto impegno interpretativo. Anche se la distinzione fra orientamento volontario e orientamento controllato dell'attenzione risale a James [1890], furono Posner [1980a] e Jonides [1981] [cfr. anche Henderson e Macquistan 1993; Umiltà et el. 1991; Yantis e Jonides 1990] ad approfondirla sperimentalmente, con esplicito riferimento alla distinzione fra processi cognitivi automatici e controllati proposta precedentemente da Shiffrin e Schneider [1977], Jonides impiegò tre criteri per distinguere i due tipi di orientamento: l'orientamento automatico, a differenza di quello volontario, non può essere interrotto, non dipende dalle probabilità che la prova risulti valida e non è soggetto ad interferenza da parte di un compito secondario (dell'interferenza prodotta da un compito secondario si parlerà in seguito, a proposito dell'aspetto intensivo dell'attenzione; si rimanda alle pp ). Il primo criterio afferma, dunque, che l'orientamento automatico non può essere interrotto, mentre l'orientamento volontario può essere interrotto. Consideriamo il riquadro A della figura 4.1. Il soggetto ha appena visto il numero 3 e sta dirigendo l'attenzione verso il quadrato corrispondente (orientamento volontario), quando improvvisamente il quadrato 1 comincia a lampeggiare. Ciò che si osserva è che l'orientamento volontario si interrompe ed è sostituito da un orientamento automatico verso il quadrato 1 (se lo stimolo compare qui, si hanno benefici). L'attenzione non raggiunge il quadrato 3 (se lo stimolo compare qui, non si hanno benefici ma costi). Passiamo ora al riquadro C. Il quadrato 3 comincia a lampeggiare e ciò provoca l'orientamento automatico dell'attenzione verso quella posizione. Mentre l'orientamento automatico è in corso, comincia a lampeggiare anche il quadrato 1. L'orientamento automatico non si interrompe e l'attenzione raggiunge prima il quadrato 3 e poi il quadrato 1. Ciò è dimostrato dal fatto che in un primo mo-

6 190 ATTENZIONE E COSCIENZA mento si hanno benefici se lo stimolo compare nel quadrato 3 e costi se lo stimolo compare nel quadrato 1; successivamente la situazione si inverte e si hanno benefici nel quadrato 1 e costi nel quadrato 3. In base al secondo criterio, solo l'orientamento volontario dipende dalle probabilità di comparsa dello stimolo nella posizione segnalata. Dunque, quando il segnale è un numero, i benefici ottenuti nelle prove valide e i costi pagati nelle prove invalide saranno maggiori se le probabilità di comparsa dello stimolo nel quadrato segnalato aumentano dal 50% al 90%. Se, invece, il segnale è, per esempio, una freccia alla periferia o un lampeggiamento, i benefici e i costi non cambiano quando la probabilità passa dal 50% al 90%. In base al terzo criterio, la presenza di un compito secondario interferisce solo con l'orientamento volontario. Immaginiamo di fare svolgere ai nostri soggetti sperimentali il solito compito di orientamento dell'attenzione con segnali centrali o periferici. Questa volta, però, chiediamo di svolgere contemporaneamente un secondo compito, per esempio memorizzare una serie di parole che dovranno essere ricordate subito dopo. Ovviamente, nella situazione di controllo c'è un solo compito, cioè quello di orientamento dell'attenzione. Se il segnale è periferico (orientamento automatico), benefici e costi sono identici, indipendentemente dalla presenza o assenza del compito di memoria. Se, invece, il segnale è centrale (orientamento volontario), sia i benefici che i costi diminuiscono quando i soggetti devono anche svolgere il compito di memoria. Posner [1980a] e Jonides [1981] ritenevano che l'orientamento automatico e l'orientamento volontario, pur possedendo, come si è visto, caratteristiche diverse, dipendessero da un unico meccanismo che poteva essere innescato automaticamente da un segnale periferico, oppure controllato volontariamente dall'osservatore. L'evidenza empirica più recente, sembra, invece, dimostrare che esistono due meccanismi indipendenti, uno per l'orientamento automatico e l'altro per l'orientamento volontario. Per esempio, Muller e Rabbitt [1989; cfr. anche Koshino, Warner e Joula 1992], hanno usato sia segnali periferici che centrali e hanno osservato che i loro effetti sono additivi. Perciò, sulla base del principio dei fattori additivi introdotto da Sternberg [1969], hanno concluso che esistono due meccanismi indipendenti per l'orientamento dell'attenzione nello spazio. Làdavas et al. [in stampa] sono giunti alla stessa conclusione per mezzo dello studio di pazienti con lesioni cerebrali localizzate, nei quali hanno osservato una doppia dissociazione (si rimanda a Shallice [1988], per una discussione del metodo della doppia dissociazione nella ricerca neuropsicologica). I pazienti con lesioni al lobo parietale dimostrano difficoltà nell'orientamento automatico, mentre l'orientamento volontario è conservato. I pazienti con lesioni al lobo frontale presentano la dissociazione inversa, cioè difficoltà per l'orientamento volontario ma non per l'orientamento automatico.

7 ATTENZIONE E COSCIENZA Il fuoco dell'attenzione II fuoco dell'attenzione è stato descritto, metaforicamente, come un fascio di luce [Posner 1980a] o come il fuoco di una lente [Eriksen e St. James 1986]. Sia un fascio di luce che il fuoco di una lente possono essere diretti su una posizione nello spazio. Questa posizione viene ad essere illuminata (fascio di luce), oppure è rappresentata in modo più dettagliato rispetto al resto dello spazio (lente). Entrambe le metafore pongono quesiti interessanti [Umiltà 1988al: come si muove il fuoco dell'attenzione nello spazio? Le dimensioni del fuoco dell'attenzione sono variabili? Esiste una relazione fra dimensioni del fuoco dell'attenzione ed efficienza di processamento degli stimoli che cadono al suo interno? Il fuoco dell'attenzione ha dei confini netti rispetto allo spazio circostante oppure sfuma in modo graduale? Della prima domanda mi occuperò nel paragrafo successivo. L'ultima domanda non ha ancora ricevuto una risposta chiara. Qui di seguito presenterò i risultati di un esperimento che ha permesso di dare risposte affermative alle altre due domande [per una rassegna della letteratura, si rimanda a Umiltà 1988al. Castiello e Umiltà [1990; 1992] hanno presentato ai loro soggetti sperimentali una configurazione come quella della figura 4.2. In ogni prova veniva prima presentato il punto di fissazione (la piccola croce centrale), poi, dopo un intervallo di 500 ms, veniva presentato un singolo quadrato vuoto. Il quadrato appariva, con uguale probabilità, a destra o a sinistra del punto di fissazione e aveva dimensioni diverse (il lato poteva essere di 1, 2 o 3 di angolo visivo). Dopo la comparsa del quadrato trascorreva un intervallo molto breve (40 ms), oppure un intervallo più lungo (500 ms), alla fine del quale veniva presentato, al centro del quadrato, lo stimolo (una piccola croce, simile a quella che indicava il punto di fissazione). Vi era anche una condizione di controllo, caratterizzata dalla presentazione simultanea di due quadrati. Le principali consegne date al soggetto erano, nel caso di un solo quadrato, di spostare l'attenzione sul quadrato (che agiva da segnale periferico e provocava un orientamento automatico dell'attenzione), fecalizzare l'attenzione sullo spazio delimitato dal quadrato e rispondere il più rapidamente possibile alla comparsa dello stimolo premendo un pulsante (TR semplici). Nel caso dei due quadrati, le consegne richiedevano di mantenere entrambi sotto controllo attentivo e di rispondere il più rapidamente possibile allo stimolo, dovunque apparisse. Il soggetto era anche informato che il quadrato singolo segnalava che lo stimolo sarebbe certamente comparso al suo centro (prove valide, con probabilità del 100%), mentre quando i quadrati erano due, lo stimolo aveva la stessa probabilità di comparire al centro di uno dei due (prove neutre, con una probabilità del 50%). L'analisi dei risultati permise di stabilire che i TR variavano in funzione delle dimensioni del quadrato, ma soltanto nel caso dell'in-

8 192 ATTENZIONE E COSCIENZA FlG tervallo più lungo fra il segnale (il quadrato o i quadrati) e lo stimolo a cui si doveva rispondere. Quando l'intervallo era di 500 ms, il TR medio era di 239 ms per il quadrato più piccolo (1 di lato), di 272 ms per il quadrato intermedio (2 di lato) e di 297 ms per il quadrato più grande (3 di lato). Quando l'intervallo era di soli 40 ms, il TR medio era praticamente identico, indipendentemente dalle dimensioni del quadrato (330, 329 e 332 ms). La spiegazione proposta da Castiello e Umiltà [1990] fu che le dimensioni del fuoco dell'attenzione sono variabili e, perciò, si adattavano all'area, segnalata dal quadrato, dove sarebbe comparso lo stimolo. L'operazione di dimensionamento del fuoco attentivo, però, richiedeva un certo tempo e non era ancora avvenuta dopo 40 ms (l'intervallo breve), mentre era già conclusa dopo 500 ms d'intervallo lungo). Inoltre, sembra che l'efficienza di processamento sia funzione inversa dell'area del fuoco attentivo. Era perciò massima per il quadrato piccolo e minima per il quadrato grande. È possibile che le risorse attentive (si rimanda alle pp ) siano fisse e che vengano maggiormente concentrate quando l'area coperta dal fuoco dell'attenzione è più ristretta. Il fatto che i TR siano più rapidi per un intervallo lungo che per un intervallo breve (269 ms contro 330), non è particolarmente interessante e, probabilmente, riflette la migliore preparazione alla risposta che si raggiunge dopo un certo tempo dalla comparsa del segnale di allerta (il quadrato o i quadrati, in questo caso). Più interessante è che i TR per le prove valide fossero più rapidi dei TR per le prove invalide ad entrambi gli intervalli (284 ms contro 316). In altre parole, si osservava un beneficio attentivo circa uguale per i due intervalli. Ciò indica che 40 ms sono sufficienti per

9 ATTENZIONE E COSCIENZA 193 orientare l'attenzione verso il lato indicato dal segnale periferico (il quadrato): dopo 40 ms l'attenzione era già orientata verso il lato dove sarebbe comparso lo stimolo, anche se il fuoco non aveva ancora avuto il tempo di assumere le dimensioni più adatte per quel tipo di prova. Un altro punto di grande interesse è che la relazione fra dimensioni del quadrato in cui compariva lo stimolo e TR medio si verificasse sia nelle prove valide, cioè con un solo quadrato (270, 284 e 297 ms) che nelle prove neutre, cioè con due quadrati (299, 318 e 331 ms). Ciò suggerisce che, come è stato successivamente confermato da Castiello e Umiltà [1992], un osservatore può produrre simultaneamente due fuochi dell'attenzione, uno per campo visivo, e adattarli alle dimensioni dei due quadrati. I quadrati delle figure 4.1 e 4.2 costituiscono degli oggetti salienti su uno sfondo omogeneo. Dunque, non è chiaro se il fuoco dell'attenzione possa essere diretto su una posizione spaziale «vuota», indicata da un segnale centrale o periferico o se, invece, sia necessaria la presenza di un oggetto per permettere al fuoco dell'attenzione di operare. Ci si può chiedere se si otterrebbero gli stessi risultati se il quadrato che agisce da segnale fosse presente per un tempo molto breve. Sarebbe possibile, in queste circostanze, fare operare con accuratezza il fuoco dell'attenzione in uno spazio vuoto? La risposta sembra essere negativa [Castiello e Umiltà 1992; Driver e Baylis 1989]. È necessario un oggetto percettivo saliente che funzioni da bersaglio perché il fuoco dell'attenzione si sposti e venga regolato con precisione I movimenti del fuoco dell'attenzione Si è appena detto che è necessario un oggetto che funzioni da bersaglio perché il fuoco dell'attenzione si sposti con precisione. Ciò fa sorgere il problema di come si muova il fuoco dell'attenzione nello spazio. Si consideri, per esempio, il riquadro D della figura 4.1 (ma si tenga presente che ciò che si dirà si applica anche agli altri riquadri; i movimenti del fuoco dell'attenzione non sembrano avere caratteristiche molto diverse a seconda che l'orientamento sia automatico o volontario). Se quattro frecce, una per quadrato, segnalano una prova neutra, il fuoco dell'attenzione si allargherà in modo da interessare tutte le posizioni nelle quali può comparire lo stimolo. Non è, perciò, necessario che il fuoco dell'attenzione si sposti. Supponiamo, invece, che la freccia compaia sotto un solo quadrato (il secondo da destra, come nella figura) e che il soggetto abbia tempo per adattare il fuoco dell'attenzione alle dimensioni di quel quadrato. Contrariamente alle aspettative, lo stimolo compare invece nel primo quadrato da sinistra. Si tratta, dunque, di una prova invalida. Il fuoco dell'attenzione deve essere spostato da un qua-

10 194 ATTENZIONE E COSCIENZA drato all'altro. La domanda è: come si sposta il fuoco dell'attenzione, senza che si muovano gli occhi? Le possibili modalità di spostamento sono state discusse in dettaglio da Umiltà [1988a]. Qui mi limiterò ad accennare alle principali. Se si assume che la metafora giusta per descrivere il fuoco dell'attenzione sia quella del fascio di luce, il fuoco si muoverà in modo continuo, cioè, andando dalla posizione di partenza a quella di arrivo, occuperà tutte le posizioni intermedie. Ma può farlo sia a velocità costante che a tempo costante. Se si muove a velocità costante, andrà ad «illuminare», in momenti successivi, posizioni sempre più lontane da quella di partenza. Poiché la velocità di movimento è costante, il tempo impiegato per raggiungere la posizione finale aumenterà in funzione della distanza da percorrere. Se, invece, il fuoco dell'attenzione si muove a tempo costante, impiegherà sempre lo stesso tempo a raggiungere la posizione finale, indipendentemente dalla distanza che deve percorrere. Ciò, ovviamente, richiede che la velocità aumenti in funzione della distanza. Gli occhi sembrano muoversi proprio così: la velocità tende ad aumentare in funzione della distanza, così da compensare, almeno in parte, le differenze nelle distanze che devono essere percorse. Se si assume che la metafora giusta per descrive il fuoco dell'attenzione sia il fuoco di una lente, si possono fare altre previsioni. Quando lo stimolo compare in un quadrato diverso da quello sul quale si era fecalizzata l'attenzione, il diametro del fuoco si allargherà fino a comprendere il quadrato nel quale è inaspettatamente comparso lo stimolo, e poi si restringerà sul nuovo bersaglio. In questo caso, avverrà una sorta di «salto» fra la posizione di partenza e la posizione di arrivo, senza che vengano ad essere interessate le posizioni intermedie. Inoltre, il tempo di spostamento non dovrebbe dipendere dalla distanza da percorrere. Nell'esperimento di Umiltà et al. [1991], descritto in precedenza (riquadro A della figura 4.1), si è trovato che il tempo necessario per riorientare il fuoco dell'attenzione in una prova invalida aumenta con la distanza da percorrere: 253 ms per una distanza di 4, 268 ms per una distanza di 8 e 282 ms per una distanza di 12. Si è anche osservato che, a parità di distanza da percorrere (4 ), è necessario un tempo maggiore quando il riorientamento avviene attraverso il meridiano che divide le due metà del campo visivo rispetto a quando il riorientamento avviene all'interno dello stesso campo (253 ms contro 233). Questi risultati possono essere facilmente interpretati se si assume che il fuoco dell'attenzione si muova a velocità costante e che, perciò, impieghi tempi più lunghi a raggiungere posizioni più lontane. Altri autori [Shulman, Remington e McLean 1979; Tsal 1983] hanno affrontato lo stesso problema. La procedura consisteva nel presentare un segnale centrale o periferico che dava inizio ad un movimento del fuoco dell'attenzione verso la posizione segnalata. Per esempio, nel riquadro A della figura 4.1, l'attenzione è inizialmente

11 ATTENZIONE E COSCIENZA 195 fecalizzata sul quadrato 1, poi un segnale indica che la posizione più probabile per la comparsa dello stimolo è il quadrato 4. Ciò da origine ad un orientamento dal quadrato 1 al quadrato 4. Di solito, lo stimolo viene presentato, 200 ms dopo il segnale, nel quadrato 4. La prova è valida e si osserva un beneficio rispetto ad una situazione di controllo. Più interessante è ciò che succede quando lo stimolo viene presentato inaspettatamente (prove invalide) nel quadrato 2 o nel quadrato 3. Se l'intervallo fra il segnale e lo stimolo è breve (diciamo, 50 o 100 ms), i benefici si osservano in queste posizioni intermedie. In particolare, i benefici si osservano nel quadrato 2 per un intervallo di 50 ms e nel quadrato 3 per un intervallo di 100 ms. L'interpretazione è piuttosto chiara: il fuoco dell'attenzione si muove a velocità costante e in modo continuo lungo una traiettoria, così che è possibile intercettarlo, in momenti successivi, su posizioni successive lungo il percorso che porta dalla posizione di partenza alla posizione di arrivo Il gradiente attentivo In base a quanto detto finora, appare indubbio che il fuoco dell'attenzione può spostarsi nello spazio in assenza di movimenti oculari. Non c'è modello dell'attenzione spaziale che neghi questo punto cruciale. I modelli differiscono, invece, sulle caratteristiche di questo movimento. Si pensa a un movimento continuo di velocità costante (a mio parere, l'evidenza empirica è a favore di questa possibilità), oppure a un movimento continuo con tempo costante, oppure anche a un movimento discontinuo, a «salti». Il movimento del fuoco dell'attenzione dopo un segnale periferico o centrale spiega bene i benefici attentivi che si ottengono nelle prove valide. Lo stimolo appare nella posizione interessata dal fuoco dell'attenzione e viene processato più rapidamente e più accuratamente a paragone di quanto avviene in una situazione di controllo. Più controversa è la spiegazione da dare ai costi che si pagano nelle prove invalide, cioè quando lo stimolo appare in una posizione diversa da quella interessata dal fuoco dell'attenzione. Ovviamente, è possibile che i costi siano dovuti, come si è detto, al tempo necessario a riorientare il fuoco dell'attenzione. Poiché lo stimolo appare in una posizione mentre l'attenzione era fecalizzata su un'altra posizione, il fuoco dell'attenzione deve essere riorientato e ciò richiede tempo. Questo tempo si riflette nei TR, causando un costo in termini di rapidità di risposta. Se il riorientamento avviene in modo discontinuo o a tempo costante, non ci sarà relazione fra TR e distanza, fra posizione dove era fecalizzata l'attenzione e posizione stimolata. Se, come sembra indi-

12 196 ATTENZIONE E COSCIENZA care l'evidenza empirica, il riorientamento avviene a velocità costante, ci sarà una relazione fra distanza da percorrere e TR. I costi si possono, però, spiegare ricorrendo ad un modello del tutto diverso, che non invoca una operazione di riorientamento nel caso di una prova invalida. Secondo questo modello [Downing e Pinker 1985; LaBerge e Brown 1989], dopo la presentazione di un segnale, il fuoco dell'attenzione si muove e raggiunge la posizione indicata. Nel campo visivo si viene a creare un gradiente di risorse attentive che ha il suo massimo in coincidenza della posizione del fuoco dell'attenzione e da qui decade in modo più o meno lineare con l'aumentare della distanza dal fuoco dell'attenzione. I TR, ad uno stimolo che compare in una posizione data, sareb bero inversamente proporzionali alla quantità di risorse attentive di sponibili in quella posizione. I TR raggiungerebbero, perciò, la rapi dità massima nella posizione occupata dal fuoco dell'attenzione (pro ve valide) perché qui c'è la massima concentrazione di risorse atten tive. Nel caso delle prove invalide, non si verificherebbe alcun rio rientamento dell'attenzione. I TR sarebbero più lenti perché nelle posizioni non interessate dal fuoco dell'attenzione le risorse attentive disponibili sarebbero minori. Poiché le risorse attentive decadono con l'aumentare della distanza dal fuoco dell'attenzione, il modello non ha difficoltà a spiegare perché esista una relazione inversa fra distanza dal fuoco dell'attenzione e rapidità dei TR. Questo modello non è economico perché deve ricorrere a due meccanismi diversi per spiegare benefìci e costi. I benefici sarebbero dovuti a movimenti del fuoco dell'attenzione nello spazio, che provocano spostamenti del punto di massima concentrazione di risorse attentive. I costi sarebbero dovuti ad una minore disponibilità di risorse attentive nella posizione in cui cade lo stimolo. Il modello non incontra, però, una grossa difficoltà che, invece, devono affrontare gli altri modelli. Per illustrare questa difficoltà, è utile fare, ancora una volta, ricorso al riquadro A della figura 4.1. Il segnale numerico ha diretto il fuoco dell'attenzione sul quadrato 3. La prova è invalida e lo stimolo appare nel quadrato 1. I modelli che spiegano i costi in base a un'operazione di riorientamento sostengono che il fuoco dell'attenzione deve essere spostato dal quadrato 3 al quadrato 1 e ciò richiede tempo (probabilmente, tanto più tempo quanto maggiore è la distanza da percorrere). Ci si può ragionevolmente chiedere come possa il fuoco dell'attenzione dirigersi proprio dove è comparso lo stimolo. La risposta può essere che lo stimolo è già stato rilevato e la sua posizione è già stata individuata. II problema diventa allora spiegare perché, se lo stimolo è sta to già rilevato, non viene data subito la risposta, senza riorientare il fuoco dell'attenzione. Infatti, la consegna è di rispondere subito, appena lo stimolo è stato rilevato, indipendentemente dalla sua po sizione.

13 ATTENZIONE E COSCIENZA 197 Una possibilità è che una risposta arbitraria, come schiacciare un pulsante alla comparsa di una luce, possa essere data soltanto se lo stimolo è percepito coscientemente e uno stimolo può raggiungere il livello di coscienza soltanto se cade all'interno del fuoco dell'attenzione [Posner 1980a; 1980b] (per una discussione più approfondita, si rimanda alle pp ). Dunque, il semplice rilevamento dello stimolo sarebbe sufficiente a guidare il riorientamento del fuoco dell'attenzione, ma non sarebbe sufficiente per permettere una risposta arbitraria. Perché la risposta arbitraria sia data, è necessario che lo stimolo entri nel fuoco dell'attenzione. L'ipotesi del gradiente non richiede una spiegazione così complessa perché prevede che lo stimolo provochi immediatamente una risposta, dovunque compaia. La velocità della risposta dipende, però, dalla quantità di risorse attentive disponibili in quella posizione. 2. L'attenzione selettiva Abbiamo visto che un osservatore umano è in grado di selezionare una posizione nello spazio (probabilmente, a condizione che sia marcata da un oggetto percettivamente saliente) e che l'informazione proveniente da questa posizione è elaborata in modo particolarmente efficiente. Quando la caratteristica che è oggetto della selezione attentiva è la posizione nello spazio, si parla di attenzione spaziale. La posizione nello spazio è una caratteristica particolarmente importante per la selezione attentiva [Keele et al. 1988; Nissen 1985], ma, certamente, non è l'unica che possa essere selezionata. Immaginiamo un esperimento nel quale si presentino su uno schermo degli stimoli che differiscono per colore (per esempio, possono essere rossi, gialli o verdi), per forma (quadrati, triangoli o cerchi) e per dimensione (1 o 3 di angolo visivo). Il compito è di rilevare la presenza di uno stimolo bersaglio, che è, di volta in volta, definito da una sola caratteristica (per esempio, il colore), o dalla combinazione di due caratteristiche (colore e forma), oppure dalla combinazione di tre caratteristiche (colore, forma e dimensione). Dunque, in una prova il bersaglio può essere un qualsiasi stimolo di colore rosso; in un'altra prova il bersaglio può essere un quadrato rosso; in un'altra prova ancora, il bersaglio può essere un quadrato rosso di 3. Se il tempo di esposizione è sufficientemente lungo e le caratteristiche sono ben discriminabili, il compito risulta facile. Il soggetto non ha difficoltà a selezionare le caratteristiche rilevanti per individuare il bersaglio. Questo è un tipico compito di attenzione selettiva. Si osservano, però, delle interessanti differenze nella prestazione, a seconda che il bersaglio sia definito da una sola caratteristica oppure dalla combinazione di due o più caratteristiche.

14 198 ATTENZIONE E COSCIENZA 2.1. Processamento preattentivo e attentivo Secondo Treisman [Treisman 1988; Treisman e Gelade 1980], le singole caratteristiche di uno stimolo sono processate senza l'intervento dell'attenzione (in modo preattentivo, dunque). L'attenzione (localizzata) è invece necessaria per combinare le caratteristiche. Nell'esempio precedente, colore, forma e dimensione sarebbero processate in parallelo e preattentivamente. Quando il bersaglio è definito da una sola caratteristica (il colore) il compito viene svolto in modo estremamente rapido e il tempo di risposta è indipendente dal numero di «distrattori», cioè di stimoli che non contengono la caratteristica che definisce il bersaglio. Se l'unica caratteristica rilevante è il colore rosso, uno stimolo rosso viene individuato altrettanto rapidamente quando è mescolato a 5, 10, o 15 stimoli di colore diverso. La situazione cambia radicalmente quando il bersaglio è definito dalla combinazione di due caratteristiche. Se il bersaglio è un quadrato rosso, allora deve intervenire l'attenzione focalizzata, che opera in modo seriale, spostandosi sui vari stimoli fino a quando il bersaglio è individuato, oppure tutti gli stimoli sono stati esaminati. In questo caso, ovviamente, il tempo di risposta aumenta con l'aumentare del numero di distrattori. Il tempo necessario a individuare il bersaglio sarà più lungo in presenza di 10 distrattori che in presenza di 5 distrattori, e ancora più lungo in presenza di 15 distrattori. Quando l'attenzione focale opera in condizioni difficili, possono verificarsi delle «congiunzioni illusone». Treisman e Schmidt [1982] mostravano ai loro soggetti gruppi di tre lettere colorate (per esempio, A rosse e H verdi) fiancheggiate sui due lati da due numeri neri. Il tempo di esposizione era di soli 100 ms e poi gli stimoli venivano mascherati. Il compito consisteva nell'individuare prima i due numeri e poi le tre lettere, nella sequenza corretta. In queste circostanze si osservavano congiunzioni illusone: i soggetti combinavano in modo errato la caratteristica forma con la caratteristica colore e individuavano inesistenti A verdi e H rosse. La spiegazione proposta da Treisman e Schmidt [1982] fu che forma e colore vengono processati in parallelo e in modo preattentivo. Il soggetto ha, perciò, rapidamente a disposizione l'informazione relativa alla forma (presenza di A e di H) e al colore (presenza di rosso e di verde). Solo successivamente le due caratteristiche vengono combinate, grazie all'intervento dell'attenzione focalizzata. Se l'attenzione focalizzata opera in condizioni ottimali, si formano le congiunzioni corrette e il soggetto vede A rosse e H verdi. Se l'attenzione focalizzata opera in condizioni non ottimali, il soggetto vede anche congiunzioni illusone, come A verdi e H rosse. Un buon esempio di che cosa Treisman intenda per processamento preattentivo e attentivo, lo si può trovare in un lavoro di Treisman e Souther [1985] (cfr. supra, cap. Ili, p. 129). In una condizione (fig. 4.3a), al soggetto venivano mostrati su uno schermo

15 ATTENZIONE E COSCIENZA 199 dei cerchietti (2, 6 o 12) e il compito (compito di ricerca visiva) consisteva nel decidere se uno di essi conteneva un trattino verticale. Il soggetto premeva un pulsante per la risposta affermativa (appunto, il caso della fig. 43a) e un altro pulsante per la risposta negativa. Il compito era, perciò, di TR di scelta e gli stimoli restavano visibili fino a quando la risposta non era stata fornita. La condizione sperimentale illustrata nella figura 4.3b è identica, a parte il fatto che ora il bersaglio è il cerchietto senza trattino, mentre i distrattori hanno tutti il trattino. Perciò, anche l'esempio della figura 43b richiede una risposta affermativa. La figura 4.4 dimostra come i risultati siano molto diversi nelle due condizioni sperimentali. Quando il bersaglio da rilevare è il cerchietto con il trattino, il TR medio non è influenzato in modo significativo né dal numero di elementi presentati (2, 6 o 12), né dal fatto che la risposta sia affermativa (bersaglio presente) o negativa (bersaglio assente). Il TR è sempre di circa 420 ms. Questo è esattamente il risultato da attendersi se tutti gli elementi vengono processati in parallelo, simultaneamente. Quando il bersaglio è il cerchietto senza trattino, il TR medio aumenta con l'aumentare degli elementi presentati ed è più lungo per una risposta negativa che per una risposta affermativa. Le differenze sono sensibilissime, dal momento che il TR varia da circa 475 ms (risposta affermativa con 2 soli elementi) a circa 950 ms (risposta negativa con 12 elementi). Questo risultato dimostra che la ricerca del bersaglio avviene in modo seriale ed autoterminante. In altre parole, i singoli elementi vengono esaminati ad uno ad uno in tempi successivi (ciò causa l'aumento del TR in funzione del numero di elementi presentati) e la ricerca si interrompe quando il bersaglio è individuato (ciò causa un TR più lungo per le risposte negative rispetto alle risposte affermative). I risultati riportati nella figura 4.4 dimostrano che in un caso (cerchietto con trattino) il processamento avviene in parallelo, mentre nell'altro caso (cerchietto senza trattino) il processamento avviene in modo seriale e autoterminante (per un'approfondita discussione dei vari modi di processamento, si rimanda a Corcoran [1971]). Sembra anche chiaro che il processamento seriale autoterminante è dovuto alla scansione operata dal fuoco dell'attenzione, che viene ad interessare, una dopo l'altra, le posizioni che possono contenere il bersaglio. È, invece, legittimo dubitare che il processamento in parallelo sia preattentivo. Diversi studi hanno dimostrato che il processamento in parallelo si verifica anche in compiti nei quali il bersaglio è definito dalla combinazione di due caratteristiche o dall'assenza di una caratteristica [cfr., per esempio, Duncan e Humphreys 1992; McLeod, Driver e Crisp 1988]. Ciò significa che, contrariamente all'ipotesi di Treisman, anche il modo attentivo ammette il processamento in parallelo, oppure che anche la combinazione di caratteristiche può avvenire a livello preattentivo. Inoltre, come si è visto parlando dell'at-

16 200 ATTENZIONE E COSCIENZA

17 ATTENZIONE E COSCIENZA , 900 Bersaglio O Senza trattino, no I I Senza o trattino, sì Con trattino, no Con trattino, sì à 600 a Numero di elementi Fio tenzione spaziale, il fuoco dell'attenzione è di dimensioni variabili. È probabile, perciò, che, quando nei compiti di Treisman il bersaglio è definito da una sola caratteristica, il processamento sia attentivo ma il fuoco dell'attenzione sia abbastanza ampio da coprire tutta la configurazione [Braun e Sagi 1990; Mack et al. 1992; Rock et al. 1992]. Il fatto che il TR medio sia più breve quando il fuoco copre tutta la configurazione (fig. 4.4), non contraddice il principio della relazione inversa fra dimensioni del fuoco dell'attenzione ed efficienza di processamento. Infatti, il rallentamento della risposta che si os-

18 202 ATTENZIONE E COSCIENZA serva, nelle situazioni sperimentali impiegate da Treisman, quando il fuoco dell'attenzione è più ristretto va attribuito al tempo necessario a spostarlo da una posizione all'altra (processamento seriale). Duncan e Humphreys [1989] hanno convincentemente argomentato che il processamento preattentivo porta semplicemente alla segmentazione del campo visivo in oggetti percettivamente salienti. Successivamente interverrebbe l'attenzione per il processamento delle caratteristiche che sono necessarie allo svolgimento del compito. Nelle situazioni sperimentali mostrate nella figura 4.3, il processamento preattentivo farebbe emergere le posizioni rilevanti (i cerchietti) rispetto allo sfondo. L'attenzione poi opererebbe in parallelo (fig. 43a) oppure in serie (fig. 4.3b) per la ricerca del bersaglio Il destino dell'informazione non rilevante L'attenzione selettiva permette, come si è visto, di selezionare l'informazione rilevante per lo svolgimento di un compito. Ci si può chiedere che fine faccia l'informazione non rilevante. Se la caratteristica rilevante è, per esempio, il colore, l'attenzione selettiva opera sul colore e la decisione sul tipo di risposta da fornire si basa sul risultato del processamento del colore. Lo stimolo, però, ha anche una forma e un orientamento, possiede delle dimensioni (può essere grande o piccolo) e occupa una posizione nello spazio. Qual è il destino dell'informazione relativa a forma, orientamento, dimensioni e posizione? Vedremo che a questo proposito esistono due posizioni teoriche contrapposte: l'ipotesi della selezione precoce e l'ipotesi della selezione tardiva. La prima sostiene che il processamento dell'informazione non rilevante viene bloccato molto presto. La seconda sostiene che il processamento dell'informazione non rilevante è praticamente completo. Prima, però, di discutere queste due ipotesi, è necessario prendere in esame alcune situazioni sperimentali che possono aiutare a chiarire il problema. Si tratta delle situazioni sperimentali che producono gli «effetti» Simon, Stroop, Navon e il priming negativo. L'effetto Simon., Questo effetto fu descritto per la prima volta da Simon [1969] ed è stato poi oggetto di studio particolarmente in relazione al problema più generale della «compatibilita spaziale stimolo-risposta» [per una rassegna, si rimanda a Umiltà e Nicoletti 1990]. Qui lo illustreremo sulla base di un lavoro di Nicoletti e Umiltà [1989]. La situazione sperimentale è mostrata nella figura 4.5, dove la piccola croce centrale indica il punto di fissazione, mentre i 6 rettangoli vuoti, disposti a 2, 6 e 10 di angolo visivo a sinistra e a destra del punto di fissazione, indicano le posizioni spaziali nelle quali potevano comparire gli stimoli da discriminare. Gli stimoli, un piccolo

19 ATTENZIONE E COSCIENZA 203 quadrato o un piccolo rettangolo, venivano presentati, uno alla volta e in modo casuale, dentro uno qualsiasi dei rettangoli vuoti. Il compito del soggetto era molto semplice: premere un pulsante posto a sinistra della linea mediana del corpo per il quadrato e un pulsante posto a destra per il rettangolo. La durata degli stimoli era di 100 ms e veniva misurata la latenza della risposta (TR di scelta). FIG Al soggetto veniva richiesto di eseguire una discriminazione di forma (quadrato contro rettangolo) e l'unica caratteristica rilevante dello stimolo era la forma. In particolare, la sua posizione spaziale era del tutto irrilevante: quadrato e rettangolo richiedevano, infatti, la stessa risposta, dovunque fossero comparsi. L'effetto Simon emergeva perché i TR erano più rapidi quando posizione dello stimolo e posizione della risposta coincidevano (entrambe sinistra o destra) rispetto a quando non coincidevano (una sinistra e l'altra destra). In questo particolare esperimento, l'effetto Simon fu in media di 31 ms (TR medio di 453 ms quando le posizioni coincidevano e di 484 ms quando non coincidevano). In questo contesto, l'effetto Simon è interessante perché dimostra che una caratteristica non rilevante dello stimolo (la sua posizione nello spazio) ha un effetto sulla rapidità della risposta fornita in base alla caratteristica rilevante (la forma). Probabilmente, l'orientamento automatico dell'attenzione, causato dalla comparsa dello stimolo alla periferia del campo visivo, porta alla codifica della sua posizione spaziale; la presenza di questo codice spaziale irrilevante può poi facilitare o rallentare la formazione del codice spaziale, rilevante, della risposta [Umiltà 1991; Umiltà e Nicoletti 1992]. Per esempio, se il quadrato richiede una risposta con il pulsante di sinistra, alla sua comparsa il codice «sinistra» deve essere formato per selezionare la risposta corretta. Se lo stimolo ha prodotto il codice «sinistra», il codice per la risposta è formato più rapidamente rispetto a quando lo stimolo ha prodotto il codice «destra». Ciò anche se il codice spaziale dello stimolo non ha alcuna rilevanza per la scelta della risposta corretta. L'effetto Stroop Questo effetto, descritto per la prima volta da Stroop [1935], è

20 204 ATTENZIONE E COSCIENZA stato oggetto di un numero veramente impressionante di studi [per una rassegna, si rimanda a MacLeod 1991]. Ovviamente, numerosissime sono state anche le procedure sperimentali impiegate. Qui farò riferimento alla procedura attualmente più in uso (molto diversa da quella originale di Stroop), riportando un importante studio di Glaser e Glaser [1982]. Gli stimoli erano le parole «rosso», «giallo», «verde» e «blu», presentate su uno sfondo di colore rosso, giallo, verde o blu. La parola e il colore potevano essere congruenti (per esempio, «rosso» su sfondo rosso) oppure incongruenti (per esempio, «rosso» su sfondo verde). Vi erano poi delle stringhe di I maiuscole e uno sfondo grigio (stimoli neutri). Il compito dei soggetti era di pronunciare a voce alta il nome del colore, oppure di leggere la parola. Venivano registrati i TR vocali. Una manipolazione sperimentale importante era anche che il colore poteva precedere o seguire la parola di 400, 300, 200 o 100 ms. Ovviamente, colore e parola potevano anche apparire simultaneamente. La simultaneità è la procedura sperimentale di solito impiegata per ottenere l'effetto Stroop e questa, perciò, è la condizione che qui interessa di più. Quando il compito era di dire il nome del colore, i TR erano nettamente più rapidi (88 ms in media) per gli stimoli congruenti (colore rosso-parola «rosso») che per gli stimoli incongruenti (colore rosso-parola «verde»). L'interferenza della parola sulla denominazione del colore è, appunto, l'effetto Stroop. Non vi era in questo studio, anche se è stato trovato, ma raramente, da altri, l'effetto Stroop inverso. I TR per la lettura erano praticamente identici (la differenza era di soli 2 ms) per le due condizioni con sfondo congruente e sfondo incongruente. Nessuna spiegazione convincente è stata ancora trovata per l'effetto Stroop, anche se molte sono state proposte [MacLeod 1991], La spiegazione più ovvia, e anche la più antica, è in termini di competizione per la risposta. Sia il colore che la parola competono per avere accesso al sistema di risposta, ma normalmente la parola arriva prima, perché, per un adulto non analfabeta, il processo di lettura è più automatico del processo di denominazione del colore. Perciò, quando il compito è di denominazione, il nome del colore trova il sistema di risposta già occupato dalla parola. Se la parola è congruente, la risposta è facilitata, se la parola è incongruente, la risposta è ritardata. Questa spiegazione, pur semplice e attraente, va però respinta proprio sulla base dei risultati di Glaser e Glaser [1982], i quali trovarono un effetto Stroop anche quando il colore precedeva di 200 ms la parola. Se l'interferenza della parola sulla denominazione del colore dipendesse da una differenza nella velocità di processamento, concedere al colore un vantaggio di partenza di 200 ms dovrebbe portare all'annullamento dell'effetto Stroop. MacLeod [1991] sostiene che l'interpretazione più convincente è in termini di «forza» relativa delle vie che portano alla lettura della

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