Corso di Management A.A. 2010/2011

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1 Corso di Management A.A. 2010/2011 Dispense Dispensa 2. La Funzione Produzione. 1

2 DISPENSA PRODUZIONE INTRODUZIONE 1 IL CONCETTO DI PRODUZIONE COME FUNZIONE DEL SISTEMA AZIENDALE 2 LE DIVERSE TIPOLOGIE DI PROCESSI PRODUTTIVI 3 L IMPIANTO Il Layout delle macchine Il grado di elasticità e flessibilità dell impianto Il dimensionamento dell impianto 4 LA PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLA PRODUZIONE Le fasi del processo di PCP 4.2 I sistemi informativi a supporto della programmazione 4.3 La gestione dei flussi che attraversano il sistema produttivo 5 LA GESTIONE INTEGRATA DEI MATERIALI 5.1 La logistica nell approccio sistemico al governo dell impresa 5.2 Il processo di approvvigionamento 5.3 Il processo di gestione delle scorte 5.4 Il processo di distribuzione fisica 2

3 INTRODUZIONE Questa dispensa si occupa, con prevalente riferimento al sistema economico italiano, di numerosi argomenti, che coinvolgono problemi rilevanti nell impresa sistema vitale. L arco dei temi toccati, anche se certo non compiutamente trattati, è assai ampio: esso va dall analisi del concetto di produzione (funzionamento della produzione aziendale, i diversi processi produttivi, gli impianti, la programmazione ed il controllo) alla gestione dei materiali (la logistica, la gestione, l approvvigionamento, le scorte, il just in time). Come viene chiarito in quel che segue, questo capitolo è pertanto dedicato prevalentemente alla illustrazione e discussione di argomenti che possiamo definire di tecnica industriale. Questi problemi vertono sui modi in cui l organizzazione dei processi produttivi sono condizionati dalle, e condizionano le, condotte delle imprese, influenzandosi reciprocamente; e sui modi in cui certe situazioni contingenti possono condizionare le scelte dell organo di governo ed orientare l evoluzione dei settori produttivi. Nella presente sezione si è tentato di collegare tuttavia alcuni di questi temi anche con altri problemi che coinvolgono sia taluni aspetti concreti dell economia d impresa, sia talune relazioni con approcci, più o meno tradizionali, della teoria manageriale. Questi problemi vertono ad esempio sui modi in cui certi schemi interpretativi e certe ricerche empiriche di previsioni della domanda, possono contribuire ad illuminare meglio una moderna teoria d impresa, o possono, in virtù di nuovi rapporti tra ricerca applicata e analisi teorica, favorire la riduzione del distacco tra schemi interpretativi e realtà. La selezione degli argomenti e il diverso peso attribuito ad essi non è tuttavia certo solo casuale. In questa scelta, inevitabilmente arbitraria (e come tale discutibile), si è cercato di seguire un piano didattico ordinato secondo criteri che vorrebbero far prevalere, intorno ad un filone unitario di ragionamento, sulle pure esigenze nozionistiche, obiettivi e sollecitazioni di interessi più ampi dei discenti. Perciò questa dispensa non si propone di essere solo nozionistico, cioè puramente illustrativo di proposizioni teoriche o per converso di tecniche di ricerca empirico - operativa. Esso vorrebbe soprattutto sollecitare, attraverso un analisi critica, discussioni centrate su taluni problemi considerati nodali : ad esempio il concetto di Funzione e quello di Processo. Il concetto di Funzione non va confuso con quello di Area Funzionale, che secondo la nostra visione s identifica con il Processo. I due concetti vengono, talvolta, sovrapposti in maniera erronea. 3

4 Come risulta dalla figura le funzioni aziendali si riferiscono a determinati ambiti di gestione. Le funzioni hanno la capacità di modificare le regole del gioco, non il gioco; il processo è, invece, il risultato delle attività funzionali collegate in sequenza. Ad esempio la finanza può modificare, influenzare la strategia aziendale, ma è il processo organizzativo che modifica la gestione d impresa. Di conseguenza dalle funzioni si generano i processi. Il processo aziendale è, invece, un insieme di attività interrelate, svolte all'interno dell'azienda, che creano valore trasformando delle risorse (input del processo) in un prodotto (output del processo) destinato ad un soggetto interno o esterno all'azienda (cliente). I processi aziendali si snodano, di solito, tra più funzioni, mentre la medesima funzione può essere attraversata da più processi. D'altra parte, è spesso proprio nel punto di passaggio da una funzione aziendale all'altra che si verificano i maggiori punti di attrito nei processi. Dopo un lungo periodo di scarsa evoluzione, la funzione di produzione è stata oggetto, negli ultimi decenni, di una vera e propria rivoluzione metodologica e tecnica sotto la spinta dei nuovi modelli produttivi. 4

5 L evoluzione del mercato e delle esigenze di gestione della produzione portano le imprese ad introdurre nuove metodologie di gestione mirate al raggiungimento di livelli di servizio sempre più elevati, ed alla riduzione del lead time. Per quasi tutte le attività lo scopo finale è quello di ottimizzare la produzione ed innalzare i livelli di qualità totale. La necessità di fronteggiare una domanda sempre più esigente ha imposto alle imprese la completa revisione dei modelli di gestione, degli strumenti e delle tecniche per il decision making in campo logistico, alla ricerca di un indispensabile recupero di efficienza. 5

6 1 LA PRODUZIONE Il processo di produzione riguarda quell insieme di attività integrate che, in un qualsiasi sistema produttivo, consentono di ottenere, secondo cicli di lavorazione prestabiliti, partendo da opportune materie prime, prodotti finiti richiesti dai clienti in quantità, caratteristiche e tempi prefissati e a costi e livelli qualitativi ben specificati. Riguarda quindi la risoluzione, tramite opportune tecniche e metodologie, di tutti i problemi connessi con i processi produttivi e coinvolge trasversalmente la maggior parte delle funzioni aziendali, come la Produzione, gli Acquisti, le Vendite, la Logistica, la Gestione dei Materiali, il Personale, la Qualità e i Processi e Metodi. Per poter produrre dei beni occorre allestire un impianto, organizzare la manodopera, predisporre le procedure di programmazione dei cicli di produzione e di controllo dei prodotti semilavorati e finiti, creare i servizi a supporto della fabbrica: tutto ciò comporta cospicui investimenti finanziari ed organizzativi. Di conseguenza, a causa dell orientamento nel lungo termine delle scelte da formulare, emerge il carattere strategico della maggior parte delle decisioni afferenti a questa particolare area della gestione, che gioca un ruolo determinante ai fini della redditività aziendale. La strategia di produzione deve essere centrata quindi sugli aspetti prioritari della strategia competitiva, ovvero deve assicurare il migliore contributo alla creazione del vantaggio competitivo attraverso la qualità della trasformazione, la flessibilità del ciclo produttivo, il basso costo di produzione e il servizio reso alla clientela. Obiettivi della Strategia di Produzione Abbassamento dei costi di produzione Recupero di efficienza dei processi operativi Innovazione dei prodotti Miglioramento della qualità del prodotto e del servizio Strategia Competitiva Leadership di costo o focalizzazione omogenea Leadership di costo Focalizzazione differenziata Differenziazione Rapporti tra gli obiettivi della strategia di produzione e strategia competitiva Elementi di economia e gestione delle imprese, Sciarelli,

7 La funzione di produzione, come possiamo notare dalla tabella, è direttamente coinvolta nella strategia competitiva perché o consente di perseguire l obiettivo dei bassi costi necessari per una strategia di leadership di costo o concorre a garantire la qualità (intesa come innovatività e superiorità dei prodotti) essenziale per una strategia di differenziazione. Il rapido cambiamento dei mercati, l'innovazione tecnologica, la mondializzazione dell economia hanno radicalmente cambiato le strategie aziendali nel campo degli investimenti industriali e della produzione. Per raccogliere le nuove sfide del mercato occorre innovare radicalmente i criteri sin qui seguiti nel campo produttivo. Il concetto di gestione della produzione si è profondamente modificato: da attività di routine volta ad assicurare gli obiettivi giornalieri di produttività ad attività multidimensione. Sempre più, infatti, è necessario gestire: un mix allargato di prodotti con volumi di produzione variabili, una sempre maggior flessibilità del processo produttivo, un maggior controllo finanziario dei costi, una più efficace motivazione dei dipendenti. 2 - I SISTEMI DI PRODUZIONE Nel vasto ed eterogeneo mondo industriale si possono individuare numerosi tipi di processi produttivi. Considerare sinteticamente le principali tipologie di processi produttivi è utile per fornire un contesto concettuale di riferimento, nell ambito del quale si possano individuare le implicazioni tecniche ed economiche, i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna tipologia. Una tipologia ricordata da numerosi studiosi è quella della Woodward, che è stata costruita in base ai seguenti elementi: differenziazione e numerosità dei prodotti appartenenti alla gamma; grado di standardizzazione dei prodotti e dimensioni dei flussi con cui vengono collocati sul mercato; modalità con cui si manifesta la domanda (su commessa o per magazzino). In relazione a questi elementi vengono individuati quattro tipologie di sistemi produttivi: 1. Su progetto (o job shop): ciascun progetto è finalizzato all ottenimento di una sola unità di prodotto. Ne consegue una struttura produttiva specifica e 7

8 transitoria che si qualifica di volta in volta a seconda del progetto da eseguire. Esempi: ricerca di base, grandi progetti edilizi, impiantistica, servizi informatici. 2. Su modello: una molteplicità di prodotti, anche diversi tra di loro, vengono ripetuti in piccola serie su modelli predisposti dal produttore e adattati alle esigenze dei clienti. La produzione non può che avvenire su commessa, adottando processi di tipo intermittente. Esempi: laboratori di ricerca applicata, produzione di macchie, impianti. 3. Processo intermittente per grandi lotti: caratteristica di questa tipologia è il processo intermittente, con attrezzature dedicate e poco fungibili, svolto su grandi quantità. I prodotti sono differenziati, ma le varianti derivano dalla standardizzazione delle parti componenti, delegando così la variabilità delle strutture alla fase finale dell assemblaggio e contenendo l esigenza di flessibilità nelle fasi di lavorazione delle componenti. Esempi: settore tessile, abbigliamento, calzature, componenti per automobili. 4. Processo continuo: tale tipologia è tipica del prodotto unico, con scarse varianti, ottenuto in volumi elevati per periodi indeterminati di tempo da un insieme di risorse progettate e destinate stabilmente a quella produzione. Non vi è quasi flessibilità, non vi sono scorte di semilavorati intermedi e vi sono numerose opportunità di meccanizzazione e automazione. Esempi: prodotti elettronici, meccanici, cartiere, industrie metallurgiche. Sistemi produttivi - "L'impresa industriale. Economia, tecnologia, management" - Rispoli,

9 La tipologia proposta dalla Woodward risulta essere però poco significativa, perché vengono presi in esame contemporaneamente criteri di distinzione diversi in maniera non adeguata, senza considerare la complementarità esistente tra flessibilità ed efficienza delle strutture produttive. Un metodo che consente di analizzare questo aspetto è dato dall Approccio Sistemico. Un processo produttivo è costituito da un insieme di operazioni che si dispongono in sequenza e sono collegate tra loro da flussi previsti dal ciclo di lavorazione. Esso quindi può essere raffigurato da un reticolo in cui nodi rappresentano le attività di trasformazione fisica nel tempo; mentre invece i segmenti che collegano i nodi rappresentano i flussi, con le rispettive priorità e dimensioni che legano tra loro le singole operazioni. Il processo produttivo secondo una visione sistemica Di conseguenza dall approccio sistemico deriva una tipologia di processi che mette meglio in rilievo il dilemma flessibilità/efficienza e consente di cogliere i punti strategici del sistema al fine di risolvere in maniera favorevole tale dilemma. Si possono così distinguere (Tarondeau 1982): 1. Come sistemi tendenzialmente rigidi (scarsa o nulla flessibilità dei nodi e dei legami) e adattabili solo nel medio-lungo periodo i processi continui; 2. Come sistemi poco flessibili (i nodi presentano la combinazione delle funzioni di trasformazione e stoccaggio con le risorse non completamente specializzate; i legami sono fissi, simultanei ed esclusivi, parzialmente determinati dalla tecnologia) i processi intermittenti a grandi lotti per magazzino; 9

10 3. Come sistemi ambigui, ma tendenzialmente flessibili, quelli intermittenti a piccoli lotti su modello per magazzino; 4. Come sistemi flessibili (i nodi hanno funzioni complesse di trasformazione e di stoccaggio con risorse polivalenti; i legami sono variabili e determinati dalla natura dei flussi) i processi intermittenti su modello per commessa ed i processi per progetto. Infine, una classificazione generale e semplificata, che possa esprimere in modo più sistematico e coerente le tipologie di processi produttivi, si può basare su tre variabili: 1. La natura tecnologica dello specifico ciclo di produzione da svolgere; 2. La natura tecnologica merceologica del prodotto da realizzare; 3. Il volume di produzione di un medesimo prodotto da ottenere, a seconda della domanda. Principali tipologie di processi produttivi In base alla diversa natura tecnologica del ciclo di produzione, i processi produttivi si distinguono in due categorie: 10

11 a) Ciclo tecnicamente obbligato, quando il ciclo di produzione è imposto dalla tecnologia di trasformazione, come avviene ad esempio per le industrie petrolchimiche, siderurgiche o le cartiere, dove esiste una stretta interdipendenza tra prodotto e processo. b) Ciclo tecnicamente non obbligato, quando l impresa può scegliere il ciclo di lavorazione e la sequenza delle operazioni da svolgere, non essendo vincolata dalla tecnologia di trasformazione. A seconda della natura tecnologica merceologica del prodotto possiamo distinguere tra: a) Produzione a flusso, in cui una volta ottenuto il prodotto finito non è più possibile risalire ai materiali d origine, come avviene ad esempio nelle raffinerie o negli impianti chimici. b) Produzione per parti, in cui il prodotto è ottenuto dall assemblaggio di diverse parti componenti ed è quindi tecnicamente scomponibile, come avviene ad esempio nell industria automobilistica o degli elettrodomestici). Infine, in base al volume di produzione ottenuto di uno stesso prodotto si possono avere tre tipologie: a) La produzione unitaria (job shop), nella quale il processo di produzione è finalizzato alla fabbricazione di un solo prodotto. Questo è il caso di grandi opere infrastrutturali (dighe, ponti, centrali elettriche, etc.). b) La produzione intermittente, la quale si svolge in un sistema produttivo, che è organizzato per ottenere una varietà di prodotti della stessa famiglia. L attività di produzione è intermittente, perché il processo produttivo risulta scomponibile in diverse e autonome fasi di lavorazione, le macchine vengono fermate e poi riattrezzate per svolgere un differente ciclo di trasformazione relativo ad un altro elemento, si pensi ad esempio ai beni di largo consumo (articoli per la persona o per la casa), ai beni di consumo durevole (elettrodomestici, automobili) oppure ai beni strumentali (macchinari, impianti, componenti). c) La produzione continua, nella quale si ottiene una grande quantità dello stesso tipo di prodotto, per periodi di tempo indeterminati. I livelli di meccanizzazione e di automazione si presentano elevati e il rapporto capitale/lavoro risulta in genere elevato. Fanno parte di questa categoria, ad esempio, le produzioni metallurgiche, petrolifere, chimiche, etc. 11

12 3 - L IMPIANTO L impianto costituisce l elemento emblematico di quell insieme di beni materiali nei quali investe l azienda industriale per lo svolgimento della propria attività economica. Per l esercizio della propria attività di trasformazione, qualunque impresa necessita di beni di uso durevole, che vengono impiegati come strumenti di produzione e che non sono destinati né alla vendita né alla trasformazione in altri prodotti. Si definiscono di uso durevole, poiché il loro impiego si protrae oltre i limiti di un esercizio amministrativo Il Layout delle macchine Definito il sistema produttivo nei suoi elementi principali, è necessario formulare, all interno delle aree prescelte per svolgere i processi, una precisa disposizione planimetrica di tutte le risorse necessarie allo svolgimento delle lavorazioni. La disposizione fisica delle strutture tecnico produttive, che compongono lo stabilimento e, più in particolare, l impianto, costituisce il cosiddetto layout, termine che deve intendersi, dunque, come la disposizione delle strutture edilizie, delle macchine, delle attrezzature e dei posti di lavoro all interno della fabbrica. La progettazione del layout è elemento fondamentale nell allestimento dell impianto perché incide sull ampiezza e sull utilizzazione degli spazi coperti dello stabilimento. L obiettivo di fondo è, dunque, quello di massimizzare la produttività del sistema, consentendo la massima utilizzazione degli impianti e delle macchine, la minima movimentazione dei materiali, il minimo volume di giacenze, di macchine, di semilavorati e di prodotti finiti, la massima flessibilità ed elasticità di processi, di cicli di lavorazione e del layout stesso. Le strutture tecnico organizzative fondamentali, che possono essere adottate quando il processo di lavorazione non è imposto dalla tecnologia di trasformazione dei materiali, possono essere di tre tipologie: 1. Disposizione delle macchine per reparto (o funzionale ) 2. Disposizione delle macchine a catena (o in linea ) 3. Disposizione delle macchine a isole (Group Technology) 12

13 Disposizione delle macchine per reparto (o funzionale ). Le macchine del medesimo tipo funzionale vengono raggruppate e disposte in reparti specializzati, indipendentemente dall ordine delle operazioni richieste dai diversi cicli produttivi che vengono svolti contemporaneamente. Il fabbisogno di ciascun tipo di macchina dipende dall insieme dei cicli di lavorazione che si stima di svolgere nell impianto. Il problema tecnico organizzativo principale, di natura planimetrica, consiste nella determinazione della più conveniente posizione relativa dei vari reparti. In tale disposizione funzionale la capacità produttiva di un reparto di macchine non è vincolata necessariamente a quella degli altri reparti, le cui macchine servono per eseguire le altre fasi di lavorazione di uno stesso processo produttivo. A differenza di quanto avviene nelle lavorazioni a catena, i sistemi di movimento dei materiali, usati quando le macchine sono disposte per reparto, sono contraddistinti dalla flessibilità di percorso, di dimensione e di forma del carico. Disposizione delle macchine a catena (o in linea ). Le macchine sono collocate in base alla sequenza delle operazioni richieste dall unico ciclo che viene effettuato. L adozione di questa disposizione comporta il fatto che, se per produrre i componenti A e B occorrono macchine simili, queste verranno 13

14 duplicate su entrambe le linee, anche se non sono utilizzate a pieno per ciascuno dei due particolari. Il fabbisogno di ciascuna tipologia di macchina dipende direttamente dai tempi delle lavorazioni richieste a ciascuna di loro dal processo. Il problema tecnico organizzativo principale, quando le macchine vengono disposte a catena, è quello del bilanciamento della linea di produzione, che consiste nel determinare l uguaglianza delle quantità di pezzi lavorati in una unità di tempo in ciascuna delle successive stazioni di lavoro della linea, cercando di ridurre al minimo i tempi di inutilizzo delle singole macchine. Di conseguenza, il problema da risolvere consiste nel rendere uguali i tempi delle fasi di lavorazione, anche quando le macchine presentano diverse velocità operative. La disposizione delle macchine a catena impone, quindi, una stretta interdipendenza fra le diverse operazioni che costituiscono un processo produttivo (l interruzione di una linea di produzione interessa l intera sequenza di operazioni del processo) ed esige stabili legami di capacità e di rendimento fra le macchine che formano la catena (ogni macchina risulta legata al rendimento e alla capacità produttiva delle altre). Uno dei vantaggi della disposizione a catena riguarda la durata del ciclo di lavorazione: un processo produttivo svolto con macchine disposte in linea ha una durata minore rispetto a quello svolto con macchine disposte a reparto, in quanto, collegando ciascuna macchina con quella successiva, si ottiene una maggiore velocità dei trasporti interni e una riduzione degli spazi da percorrere. 14

15 Disposizione delle macchine a isole (Group Technology). Le due soluzioni esposte precedentemente soddisfano esigenze estreme di disposizione delle macchine. Numerose, però, risultano le soluzioni intermedie. Una tipologia, che si è diffusa negli anni Ottanta e Novanta, è costituita dalla disposizione a isole (Group Technology), che è in sostanza il risultato della confluenza del layout per reparto e del layout a catena. Le macchine vengono disposte in gruppi, ciascuno dei quali viene costituito in base alla sequenza delle fasi più complesse del ciclo di lavorazione. Nell ambito di ogni gruppo, le diverse macchine sono collocate in sequenza. L intero ciclo di lavorazione viene eseguito trasferendo i pezzi da un gruppo all altro. E facilmente constatabile che tale disposizione presenta sia le caratteristiche di specializzazione della disposizione in linea, in quanto in ciascun gruppo ogni unità può essere specializzata in una determinata operazione e il processo è continuo senza accumulo di scorte tra le singole macchine, sia alcuni caratteri della disposizione per reparto, in quanto nello stesso gruppo si alternano cicli di prodotti diversi e si determina un sistema operativo abbastanza flessibile. Il Group Technology rappresenta la soluzione verso la quale tendono: 15

16 a) Le rigide linee dei processi continui, non più convenienti di fronte alla variabilità dei mercati e dell ambiente; b) I complessi layout per reparto dei processi intermittenti, la cui flessibilità non è più in grado di compensare la minore efficienza dovuta ai costi di riattrezzaggio e ai costi del lavoro. Risulta, infine, fondamentale specificare che la disposizione a catena, la disposizione per reparto e la disposizione Group Technology non costituiscono modi alternativi di disporre lo stesso macchinario, ma diversi tipi di processi produttivi, che si distinguono anche per i differenti sistemi operativi, tecnologici e informatici che ciascuno di essi richiede. 3.2 I problemi di elasticità e flessibilità dell impianto La progettazione del sistema produttivo ha come obiettivo quello di disporre di strutture efficienti e in grado di minimizzare i costi di produzione e i rischi di mercato. Nell organizzazione del sistema di produzione la riduzione dei costi unitari si accompagna al crescere della specializzazione e dell automazione dell impianto; quella dei rischi, di contro, si collega all aumento della versatilità e della flessibilità del sistema nel suo complesso. Quando la variabilità delle condizioni di mercato e della domanda sono frequenti è evidente che strutture rigide di impianto possono determinare gravi rischi per le imprese: in queste condizioni è necessario pervenire a soluzioni flessibili di produzione che siano economicamente valide. In relazione alle caratteristiche dell impianto bisogna distinguere: 1) il grado di elasticità, ovvero la capacità dell impianto di rimanere competitivo anche in condizioni di parziale utilizzazione (capacità di assorbire le riduzioni del volume di produzione); 2) il grado di flessibilità, ossia la capacità dell impianto di adattarsi a produrre beni differenti senza incorrere in costi non sopportabili sotto il profilo competitivo (opportunità di variare il mix produttivo). È chiaro, quindi, che sia la flessibilità che l elasticità tendono a contrapporsi alla produttività dell impianto e rappresentano un costo che l impresa decide di sostenere per ridurre i rischi di produzione. Per elasticità s intende la possibilità di una sottoutilizzazione dell impianto, senza che il costo unitario del prodotto aumenti in misura tale da non essere più competitivo. Il problema è strettamente connesso alla struttura economica del processo produttivo, cioè alla composizione del costo di produzione in termini di costi fissi e costi variabili. In 16

17 sostanza il rapporto tra costi fissi e costi variabili può essere assunto come indice del grado di elasticità di un impianto industriale. Nella determinazione della struttura tecnica più conveniente dell impianto, l azienda industriale si può trovare nella situazione di dover scegliere tra impianti, che sono dotati della stessa capacità produttiva, ma che hanno diverse strutture tecniche. In altri termini l impresa si trova di fronte ad un range di alternative, in cui da un lato si trovano strutture tecniche dotate di alti livelli di produttività, ma non convenienti se sfruttate inadeguatamente, dall altro, strutture che consentono minori rendimenti tecnici, ma più convenienti nei periodi di sottoutilizzazione dell impianto. È chiaro che il confronto ha senso se gli impianti alternativi sono caratterizzati da un livello molto simile di flessibilità. Il grafico mostra l andamento dei costi totali di produzione svolti da due ipotetici impianti, con uguale capacità produttiva e simile livello di flessibilità, ma diversa struttura tecnica. La convenienza di ciascun impianto è collegata ad un particolare intervallo di volumi produttivi. Infatti, come appare dal grafico, l impianto n 1 è più elastico dell impianto n 2, in quanto esso, avendo una struttura meno meccanizzata e automatizzata, è caratterizzato da minori costi fissi (CF1 < CF2) e da un maggiore costo variabile unitario (CV1 > CV2). Ciascun impianto, però, ha una propria area di convenienza economica: quando la capacità produttiva degli impianti (Xmax) viene completamente utilizzata o, comunque, quando il volume di produzione supera la quantità X0, è più conveniente l impianto n 2, perché consente di produrre ad un costo medio inferiore (CM2 < CM1). Ma quando la recessione della domanda è tale da contrarre il livello della produzione ad una quantità inferiore ad X0, il costo medio relativo dell impianto n 2 17

18 (CM2) diventa più elevato e sale più rapidamente del costo medio (CM1) relativo all impianto n 1, che risulta così più economico. Si può dunque osservare che, date le diverse strutture dei costi di produzione, relative ai vari tipi di impianti adottabili in rapporto ad una data capacità produttiva, la valutazione del tipo d impianto più conveniente viene in sostanza compiuta dall impresa sulla base della previsione della durata delle fasi di pieno sfruttamento e di quelle di parziale utilizzazione e del grado di tale inutilizzazione. Questa scelta viene fatta in relazione all ampiezza delle fluttuazioni della domanda. In via generale, quando il progresso tecnico comporta un maggiore grado di meccanizzazione e di automazione degli impianti e fa aumentare il peso dei costi fissi rispetto a quelli variabili, esso tende a far diventare più rigide le strutture economico produttive delle imprese rispetto alle variazioni del mercato. Di conseguenza l accresciuta rigidità delle strutture tecnico produttive delle aziende aggrava sensibilmente i rischi e le incertezze delle attività produttive. Per evitare l aumento dei fattori di rischio e di incertezza, i dirigenti delle imprese tendono di dotare gli impianti di maggiore elasticità possibile, che risulti comunque compatibile in un trade off con l efficienza tecnica, richiesta dal processo concorrenziale. Per flessibilità dell hardware s intende la facoltà dell impianto di essere utilizzato per ottenere prodotti differenti tra loro, senza dover sostenere costi di trasformazione incompatibili con la situazione economica e concorrenziale dell impresa. Considerando il tipo e l intensità della concorrenza vigente nei mercati di molti prodotti industriali, che sono caratterizzati da sistematiche politiche d innovazione, è facile capire quanto sia importante per la singola impresa riuscire a determinare un giusto equilibrio tra i benefici della flessibilità produttiva e i vantaggi derivanti dalla specializzazione tecnico-organizzativa degli impianti. Risulta utile, quindi, soffermarci a confrontare le alternative prevalenti nell organizzazione delle strutture di produzione. Per quanto concerne l affermazione delle scelte orientate verso la specializzazione dell impianto, i vantaggi sono costituiti dall opportunità di standardizzare e automatizzare le operazioni, in modo da abbassare i costi di trasformazione con un notevole incremento della produttività. Si tratta di impianti specializzati, idonei a fabbricare un certo tipo di bene e quindi con ridotte o pressoché inesistenti possibilità di conversione per altre produzioni. Oltre a queste scelte, vi è stata anche l affermazione dei processi continui, la quale ha portato ad una minore flessibilità generale dell impianto, da valutarsi non solo in termini di minori alternative di produzione attuabili, ma anche in rapporto alla maggiore rigidità delle singole fasi del processo produttivo. La catena di montaggio 18

19 esige un assoluto rispetto dei tempi di lavorazione e un controllo assiduo degli standard di tolleranza previsti per ciascuna operazione. L automazione flessibile (o automazione di operazioni) è impiegata per accrescere il range dei prodotti, sopportando costi minimi di conversione nell assetto impiantistico. Nell allestimento dell impianto si vanno sempre più affermando i sistemi computerizzati per la gestione delle fasi di progettazione dei prodotti, per il controllo dei cicli di produzione, per la movimentazione di materie, semilavorati e prodotti finiti. Insieme all automazione di parti del sistema d impianto, le imprese tendono a conferire maggiore flessibilità alle strutture di produzione, per poter disporre di capacità di adattamento ai mutamenti dell ambiente e del mercato. Il concetto di flessibilità nella produzione deve tradursi nella sostituzione di un automazione applicata a un solo tipo di prodotto con un automazione in grado di adattarsi con limitate operazioni al cambiamento del mix produttivo aziendale. L automazione flessibile ha una forte valenza strategica poiché consente di ampliare l assortimento o gamma di prodotti mediante la differenziazione e diversificazione delle produzioni. Essa però richiede elevati investimenti in capitale fisso e in capitale umani, ma porta anche ad una consistente riduzione del capitale circolante attraverso la riduzione del monte scorte e la più immediata risposta alle richieste del mercato. E indubbio che una delle forme emblematiche della nuova automazione industriale è costituita dai sistemi flessibili di produzione. Gli FMS (Flexible Manufacturing Sistems) costituiscono il risultato tecnologico di un trade-off tra: L esigenza di ottenere elevati livelli di efficienza propri degli impianti dedicati automatizzati; L esigenza di operare con impianti general purpose, idonei per ottenere produzioni diversificate. Durante gli anni 80 gli FMS si sono caratterizzati nella maggior parte dei casi come il tentativo d introdurre un minimo di flessibilità nei sistemi di automazione rigida, pur salvaguardandone i livelli di efficienza. Essi cono sistemi complessi di produzione composti da diverse macchine a controllo numerico (CN) e robot, che sono collegati da mezzi di trasporto automatico di pezzi e utensili e sono controllati da computer. È interessante rilevare che, se da un lato l adozione delle nuove tecnologie riduce la dimensione ottima minima del lotto di produzione, rimane l esigenza di raggiungere un elevato volume di produzione complessiva, al fine di ammortizzare sia l investimento nell impianto, sia l investimento nel software. 19

20 Come conseguenza del progresso tecnologico le imprese possono scegliere tra diversi sistemi tecnologici di produzione, ciascuno dei quali risulta essere conveniente in una particolare area operativa, delimitata da determinati livelli di capacità produttiva e di flessibilità produttiva. Nel grafico il numero dei pezzi da costruire per un determinato prodotto è indicato sull asse delle ascisse e il numero dei diversi prodotti su quella delle ordinate. Tale grafico evidenzia bene che i sistemi flessibili di produzione si collocano come soluzioni intermedie tra due situazioni tecnologiche estreme: Le macchine universali tradizionali, che offrono il massimo grado di flessibilità produttiva ed, essendo indipendenti dal progetto del singolo prodotto, possono essere impiegate per ottenere molti prodotti diversi; Le linee transfer rigide, completamente specializzate e convenienti per ottenere elevati volumi produttivi di uno o due prodotti. Le altre alternative tecnologiche sono costituite dalle macchine a controllo numerico, dalle celle di lavorazione, dai sistemi flessibili non in linea e dalle linee transfer flessibili. Di conseguenza questa gamma di diverse concezioni tecnologiche offre all impresa nuove opportunità strategiche. 20

21 Un importante effetto dell applicazione dell automazione flessibile alla produzione industriale concerne un nuovo elemento, che va a caratterizzare il rapporto tra efficienza produttiva (e quindi costo del prodotto) e struttura dell impianto: esso è costituito dalle economies of scope (Panzar e Willing, 1981). 3.3 Il dimensionamento dell impianto Il problema del dimensionamento dell impianto e delle singole linee di lavorazione deve essere riferito a tecnologie parzialmente o totalmente elettroniche. L obiettivo è quello d individuare la dimensione ottimale, definibile teoricamente come quella idonea a minimizzare il costo unitario di produzione, il quale è legato alla potenzialità di lavorazione. La dimensione dipende dalla determinazione della capacità produttiva massima dell impresa,che deriva dalla previsione delle quote di vendita ottenibili nei mercati in cui opera l impresa (prevedibili sviluppi futuri delle vendite), e dalla potenzialità ottimale degli impianti. L attività di produzione deve adattarsi al ciclo di vendita, il quale è contraddistinto da un accentuata variabilità che tuttavia non influenza il grado di utilizzazione degli impianti perché l equilibrio temporale fra produzione e vendita è ottenuto mediante la creazione di scorte di prodotti (accuratamente programmate e controllate). La potenzialità di un impianto è definita dalla potenzialità della fase terminale del processo di produzione. Una macchina è capace di svolgere un numero massimo di operazioni nell unità di tempo e il suo costo è pressappoco lo stesso, cioè prescinde dal numero di operazioni effettivamente svolte. Per tale motivo l impresa tende allo sfruttamento integrale degli impianti, in modo da ridurre al minimo il costo unitario di produzione. Tuttavia non tutte le macchine hanno la stessa capacità produttiva e una volta superata la potenzialità massima per accrescere la produzione è necessario acquistare una seconda macchina. Ogni impresa opera con una struttura di costi e ricavi e, quindi, con una differente leva operativa. La condizione di leva operativa si traduce nell opportunità di diminuzione dei costi globali unitari di produzione all aumentare del volume prodotto, in funzione del migliore sfruttamento dei costi fissi. Più è elevata l incidenza dei costi fissi sul costo totale, più aumenta il rischio, ma più cresce il vantaggio generato dall espansione dell attività produttiva. È sempre necessario raggiungere un volume minimo di attività per recuperare integralmente i costi fissi e variabili. Questo volume, che è caratterizzato dal fatto che i ricavi uguagliano i costi complessivi, è quello corrispondente al punto di pareggio o 21

22 break-even point (b.e.p.) perché in quella condizione per l impresa dovrebbe essere indifferente produrre o rimanere inattiva. Al concetto di punto di pareggio si lega quello di margine di sicurezza rappresentato dalla differenza (espressa solitamente in percentuale della capacità massima di produzione) tra il previsto volume di utilizzo dell impianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio. Break Even Point Punto di pareggio e margine di sicurezza Quando il sistema è governato secondo i principi dell automazione flessibile, la sua capacità deve essere misurata non in una potenzialità massima, ma in una serie di potenzialità di produzione delle diverse gamme di beni producibili dal sistema stesso. La dimensione dell impianto non è più la sommatoria delle capacità produttive delle singole linee, ma è la risultante delle combinazioni ottimali (in funzione dei tempi di risposta disponibili) delle gamme producibili. Il concetto di dimensione non è più soltanto un concetto di quantità ma diviene anche un concetto di qualità, intesa come rapidità di risposta alle esigenze del mercato. I problemi di dimensionamento degli impianti sono risolti considerando le prospettive di mercato dei prodotti, l organizzazione del processo di produzione, il tipo di tecnologia da adottare, il grado di automazione flessibile da realizzare e la capacità di riserva da creare. 22

23 La soluzione del problema dimensionale dipende dalle condizioni di elasticità e di rischiosità delle varie alternative da comparare. Secondo le prime dovrebbero essere preferite le ipotesi tecniche, che a parità di condizioni assicurino all impresa di ampliare e diversificare maggiormente i volumi di produzione ottenibili (maggiore capacità di riserva). L altro elemento è costituito dal margine di sicurezza che è legato al punto di pareggio presentato nelle varie ipotesi quali - quantitative d impianto. 4- LA PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLA PRODUZIONE La complessità dell attuale ambiente in cui operano le aziende industriali ha gradualmente condotto alla ricerca di soluzioni organizzative, gestionali e tecniche della produzione eterogenee, inducendo il vertice aziendale da un lato a governare fenomeni pluralistici e via via sempre più complessi, da un altro a ricercare soluzioni tempestive ed affidabili a fronte dell accresciuta rapidità di cambiamento. In questo contesto estremamente articolato e complesso, si avverte la necessità di una gestione quanto mai razionale ed organizzata, secondo una visione sistemica, dell intera struttura aziendale, realizzata attraverso un attenta e strutturata attività di programmazione. La programmazione della produzione può essere definita come <<quel processo con cui si stabilisce ed impegna l ammontare delle risorse (attività, manodopera, macchinari, materiali, etc.) di cui l azienda avrà bisogno per le sue attività produttive future e l allocazione di tali risorse per ottenere il prodotto desiderato nelle quantità stimate, nel tempo giusto, al posto giusto ed al minore costo totale possibile>> (Sviluppo dell impresa e analisi strategica - Rispoli, 2002). Per il funzionamento di un Sistema Produttivo è essenziale, in primis, procurarsi i materiali che devono essere trasformati e collocare, poi, i prodotti costruiti sul mercato. Di conseguenza il flusso tipico dei materiali delle aziende manifatturiere può essere rappresentato nel modo seguente: 23

24 Il flusso fisico ha inizio con l acquisto delle materie prime da parte dei fornitori (approvvigionamento). Successivamente tali materie prime vengono trasformate in prodotti finiti (produzione) dopo essere state prelevate da un apposito magazzino. Completato il processo di produzione, i prodotti finiti vengono sistemati nel magazzino prodotti finiti per poi essere successivamente distribuiti sul mercato o ai clienti (distribuzione fisica). Parallelamente al flusso fisico dei materiali è possibile individuare anche un flusso informativo. Questo ha inizio dal mercato dei prodotti finiti o dai clienti dal quale si reperiscono tutte le informazioni necessarie per la determinazione della domanda. Tale domanda, che può essere costituita da ordini clienti acquisti (nel caso di produzioni su commessa), da previsioni di vendita (nel casi di previsioni per il magazzino) o da entrambi, rappresenta l input principale per la successiva fase di programmazione della produzione. Questa a sua volta fornisce li input primari per le fasi di produzione, distribuzione fisica e programmazione dei rifornimenti, come illustrato in figura. 4.1 Le fasi del Processo di PCP La programmazione della produzione assume una posizione centrale nell ambito della logistica integrata e, di conseguenza, nella gestione dei flussi fisici ed informativi caratteristici delle aziende manifatturiere; l obiettivo principale è quello di assicurare che venga, sempre, prodotto solo ciò che serve nei tempi e quantità giuste e al minimo costo possibile. In questo senso la programmazione della produzione costituisce uno dei principali strumenti a disposizione di un azienda per massimizzare la propria efficienza produttiva. In genere quando si devono affrontare problemi molto complessi, risulta più semplice ed efficace seguire un approccio gerarchico di ottimizzazione. Questa è stata appunto la proposta sviluppata negli anni 70 da alcuni studiosi del MIT di Boston secondo la quale il problema complessivo della programmazione della produzione di prodotti finiti viene suddiviso in sottoproblemi, ciascuno dei quali caratterizzato da un numero limitato di variabili operative e, quindi, da specifici obiettivi, più facilmente conseguibili. Il risultato della risoluzione di ciascun sottoproblema è utilizzabile come dato di ingresso del sottoproblema successivo in termini temporali e di livello di dettaglio. 24

25 Perciò il problema complessivo della programmazione della produzione industriale viene suddiviso nelle seguenti fasi operative, in cui il livello di aggregazione delle informazioni utilizzate diminuisce progressivamente: 1) pianificazione strategica della produzione 2) programmazione aggregata della produzione 3) programmazione operativa della produzione 4) fase di controllo della produzione Nella pianificazione strategica della produzione avviene la formulazione del budget di produzione per ogni unità produttiva, come stabilimento o linea produttiva (insieme di reparti per la trasformazione delle materie prime in prodotti finiti) a seguito di obiettivi globali di fatturato. Tali obiettivi vengono espressi, in questa fase della programmazione, in forma molto aggregata a livello di tipi o famiglie di prodotto (ad esempio a livello di modello di automobile, come berlina, utilitaria, ecc.) e non di specifico codice. Quindi le attività che riguardano la creazione o l adeguamento della capacità produttiva di uno stabilimento sono di pertinenza della programmazione di lungo periodo. In questa fase deve essere fornita una valutazione indicativa a livello mensile, riferita ad un arco temporale di un anno e più, delle quantità di prodotti da produrre e delle risorse produttive necessarie a tale scopo, in termini di quantità e tipo (ad esempio, materie prime, manodopera, impianti). Lo stabilimento o la linea di produzione vengono analizzate ad un livello di aggregazione tale che si prescinde dalla loro effettiva composizione. Si usa cioè un approccio a black box. Per ciascun stabilimento o linea, la capacità produttiva effettivamente disponibile, che viene valutata modificando quella teorica con coefficienti ricavati da dati storici di funzionamento, non deve essere considerata come vincolo stringente da rispettare. A valle della programmazione di lungo periodo, è anche possibile infatti giungere a decisioni strategiche che comportino l acquisizione o la cessione di capacità produttiva, in termini di impianti e/o manodopera (cioè decisioni del tipo make-or-buy) al fine di avere una nuova produttività dalle risorse aziendali a disposizione. Le informazioni e i dati necessari per poter prendere le decisioni strategiche di lungo periodo sono, ad esempio, i volumi di produzione previsti, i costi, i margini di contribuzione di ciascuna tipologia di prodotto, la disponibilità e la tipologia delle risorse produttive. La programmazione aggregata della produzione riguarda il medio periodo. L unità temporale di riferimento è in genere infatti il mese o la settimana (come valore limite) e l orizzonte di programmazione va dai sei ai dodici mesi. L obiettivo di tale 25

26 programmazione è la formulazione del Piano Principale aziendale di Produzione (Master Production Schedule (MPS)), in cui devono essere stabilite le quantità da produrre di ciascuna famiglia (prodotti raggruppabili in base a caratteristiche simili dal punto di vista del processo produttivo) di prodotto finito, nel rispetto di quanto stabilito nella programmazione di lungo periodo. In questa fase vengono stabiliti anche il programma di utilizzo della manodopera, i principali interventi di manutenzione preventiva e le emissioni di ordini di acquisto di materiali a lungo tempo di approvvigionamento. A livello di Piano Principale di Produzione, i vincoli che entrano in gioco sono quelli che riguardano, appunto, il raggiungimento del fatturato previsto e l effettiva disponibilità delle risorse produttive, prescindendo dalla disponibilità dei componenti di dettaglio del prodotto finito. Le informazioni e i dati necessari per poter stilare il Piano Principale di Produzione sono i volumi di prodotti finiti da ottenere (supposti con previsioni della domanda aggregata a livello di famiglia o noti grazie ad ordini effettivi), i livelli di servizio e il profilo di distribuzione della capacità disponibile, i costi della manutenzione, delle operazioni di attrezzaggio tra le varie famiglie produttive e del mantenimento a scorta dei semilavorati e dei prodotti finiti. La programmazione operativa della produzione, o programmazione di breve periodo, ha come obiettivo l individuazione delle specifiche risorse produttive su cui devono essere effettuati i lotti di produzione e della sequenza dei lotti e delle singole operazioni da effettuare. L arco temporale di riferimento può variare, a seconda del contesto produttivo, da quindici giorni, ad una settimana fino al singolo turno lavorativo. La programmazione operativa avviene quindi a livello dei singoli prodotti. Prima di effettuare la programmazione di breve periodo è necessario pianificare, per ciascun prodotto finito, i fabbisogni dei componenti e delle materie prime. Nel caso di produzioni di prodotti finiti caratterizzati da una distinta base complessa (quindi con più livelli come accade nelle produzioni per parti), il fabbisogno dei vari materiali viene calcolato grazie all esplosione della distinta base e alla tempificazione dei singoli tempi di approvvigionamento/produzione con sistemi del tipo Material Requirements Planning (MRP). Questo avviene naturalmente nel rispetto della quantità di prodotti finiti come stabilito nel Piano Principale di Produzione. Quando la distinta base del prodotto finito è semplice, come accade, ad esempio, nelle industrie di processo dove viene utilizzata una distinta base a pettine (riporta la ricetta per ottenere il prodotto), la programmazione di breve periodo può essere avviata direttamente dalla disaggregazione dei fabbisogni delle varie famiglie (come ottenuti dal Piano Principale di Produzione) in quelle dei singoli prodotti finiti. 26

27 Durante la programmazione operativa i vincoli operativi che entrano in gioco sono molto specifici, come, ad esempio, le date di consegna dei singoli prodotti, l effettiva esistenza nei magazzini di materie prime, semilavorati e prodotti finiti, la capacità produttiva effettivamente disponibile nei vari turni di lavoro, lo stato delle attrezzature necessarie per le singole lavorazioni. In conclusione la pianificazione di breve periodo si concretizza principalmente nella schedulazione giornaliera o per turno delle attività produttive, nella gestione della manodopera sui vari centri di lavorazione, nella gestione degli interventi preventivi di manodopera e infine nella gestione della movimentazione interna di stabilimento dei materiali durante il flusso produttivo. La fase di controllo della produzione, a differenza delle precedenti fasi, non pone problemi concettuali, ma unicamente tecnologici. Viene infatti semplicemente monitorata l esecuzione operativa della produzione, così come è stata pianificata nella fase precedente, e il suo avanzamento nel tempo. Le informazioni raccolte sono successivamente acquisite dal sistema di programmazione in modo da poter conoscere lo stato dei reparti ed aggiornare la pianificazione operativa di breve periodo. L arco temporale di riferimento del controllo della produzione è fortemente influenzato dal sistema informativo di monitoraggio effettivamente a disposizione nei reparti produttivi. Il controllo può quindi avvenire o a livello di singolo turno di lavoro o anche in tempo reale. Per realizzare il monitoraggio della produzione, è necessario disporre di strumenti di raccolta dati, di sensori a bordo di ciascuna macchina, pallet, ecc.. Il controllo della produzione si concretizza nella conoscenza delle rese di produzione, dello stato di avanzamento dei singoli ordini sulle varie macchine, delle quantità prodotte e scartate, dei consumi dei materiali, dei tempi spesi in attrezzaggi, interruzioni e manutenzioni. Tutte queste informazioni consentono, oltre che la programmazione di breve periodo e il controllo dell avanzamento della produzione rispetto a quanto pianificato, anche la pianificazione degli interventi di manutenzione su condizione e di messa a punto degli impianti. Il controllo di produzione è tanto più efficace, quanto minore è il tempo che intercorre tra il momento in cui si rileva lo scostamento e il momento in cui si esegue l azione di correzione. Nella figura seguente è riportato la struttura di un generico sistema di programmazione e controllo della produzione e le principali attività e strumenti utilizzati. 27

28 Tale figura è divisa in tre parti e mostra in particolare la struttura gerarchica delle fasi del processo di programmazione della produzione. La parte superiore della figura rappresenta la testa del sistema e corrisponde alla fase di programmazione di lungo periodo, costituisce l insieme delle attività impiegate per la definizione degli obiettivi e della strategia che l azienda deve seguire. La parte centrale, che rappresenta il corpo del sistema e corrisponde alla fase di programmazione di medio periodo, costituisce l insieme delle attività impiegate per la definizione dei programmi di dettaglio di produzione. La parte inferiore rappresenta, invece, la base del sistema e corrisponde alla fase di programmazione di breve periodo e 28

29 controllo di produzione. In questa parte, vengono raggruppate quelle attività che presentano un contenuto prevalentemente operativo e che hanno il compito di rendere esecutivi i piani precedentemente finiti I Sistemi Informativi a Supporto della Programmazione Vista la complessità e la molteplicità delle informazioni e delle procedure necessarie per sostenere le diverse attività di programmazione della produzione, risulta difficile non immaginare al giorno d oggi che vengano impiegati, come supporto per chi si occupa di queste attività, opportuni sistemi informatici. Questi sistemi sono noti come Manufacturing Planning and Control Systems (MPCS) o Manufacturing Resource Planning (MRP II). Il Manufacturing Resource Planning (MRP II) è un sistema informativo strutturato in modo gerarchico per il controllo dell intero flusso di materiali e componenti a tutti i livelli della programmazione della produzione. Tale sistema, particolarmente adatto per l industria manifatturiera per pezzi o assemblati, si rivolge sia alla pianificazione operativa dei componenti sia alla pianificazione finanziaria. Si avvale di simulazioni del tipo cosa accade se? (what if) per effettuare i controlli di capacità. L MRP II è caratterizzato quindi da svariate funzioni, tutte strettamente collegate tra loro in modo sequenziale: pianificazione di lungo periodo, MPS, MRP, controlli di capacità (ad esempio il Resource Requirements Planning (RPP)), schedulazione e controllo avanzamento della produzione. Le peculiarità del sistema MRP II, rispetto a quelli tradizionali di gestione della produzione, risiedono, in particolare, nel fatto che sono inseriti, all interno del processo di pianificazione, anche la fase di programmazione di lungo periodo (relativa al piano di marketing, a quello finanziario e a quello di produzione) e i controlli di capacità. Le richieste di utilizzazione delle risorse produttive sono oggetto, infatti, di controlli di capacità ai differenti passi del processo di pianificazione della produzione, ciascuno con differenti livelli di aggregazione dei prodotti, orizzonti temporali e capacità. Il sistema non passa da un livello al successivo finché il controllo di capacità non ha dato esito positivo, tramite un processo di pianificazione iterativo. È necessario osservare che il problema della gestione della produzione risulta estremamente complesso da informatizzare in quanto non prevede attività formali e standardizzabili, come invece accade in altri ambiti aziendali come l amministrazione e il commerciale. Le attività richiedono infatti problemi logici e ottimizzativi complessi e specifici per ogni realtà industriale. Queste difficoltà sono confermate dai tempi storici di sviluppo dei sistemi informativi aziendali. È infatti da circa più di venti anni che si sta tentando di gestire, dal punto di vista 29

30 informativo, la programmazione della produzione con modifiche dei sistemi proposti che si susseguono a tutt oggi. Altri sistemi informativi, come quello per il settore commerciale (anni 60) e amministrativo ( 70), sono invece ormai consolidati da decenni. Schema logico di funzionamento della programmazione e controllo della produzione secondo un sistema informativo MRP II. 30

31 Uno degli elementi distintivi dell MRP II rispetto al tradizionale MRP è la fase di Business Planning, in cui vengono integrati tra loro i piani di marketing (previsioni della domanda), i piani finanziari (quantità e costi delle risorse disponibili) e quelli operativi (stato delle risorse produttive). Il risultato di tale pianificazione è la redazione di un Piano di Produzione (Production Plan (PP)), in cui sono determinate le risorse di cui deve avvalersi l azienda per riuscire a produrre quanto previsto su un orizzonte temporale futuro di lungo periodo (un PP copre in genere un orizzonte temporale dai 6 ai 24 mesi): manodopera, materiali, capacità produttiva degli impianti e risorse economiche. In questa fase di programmazione, il piano delle vendite, stabilito dalla direzione commerciale in termini di obiettivo di fatturato complessivo atteso, la capacità produttiva degli impianti ed il piano finanziario (cioè il previsto budget di produzione, in cui sono messe a disposizione le risorse economiche eventualmente necessarie per l incremento della capacità produttiva) devono essere congruenti tra loro. Questo fatto consente di evitare future carenze nel fabbisogno di risorse produttive e, conseguentemente, problemi gestionali nella programmazione giornaliera della produzione. Per verificare che quanto pianificato nel PP sia coerente con le risorse a disposizione, si utilizza un primo modulo di controllo di capacità (Resource Requirements Planning (RPP)). Questo modulo, effettuando una simulazione del sistema produttivo, verifica la congruenza tra l obiettivo di fatturato di vendita e le risorse produttive a disposizione. Così il PP viene approvato solo se le varie risorse, come la manodopera, i macchinari, i materiali e i fondi necessari per l acquisto dei materiali, per gli stipendi degli operatori e per ogni altro tipo di spesa, sono sufficienti a coprire quanto richiesto dalle previsioni della domanda futura. In caso contrario, cioè quando il PP proposto non è soddisfacente e/o la richiesta di risorse non è fattibile, il PP non è accettato e sottoposto alle necessarie modifiche. Il procedimento di controllo di capacità prosegue con simulazioni di tipo what if, fino a che il PP non risulta fattibile e soddisfacente. L intero processo decisionale connesso con un PP è riportato in figura 2.1. Il PP definitivo risulta poi essere il dato di partenza per il sistema software MRP II e per le operazioni che portano alla stesura del Piano Principale di Produzione (MPS). 4.3 La gestione dei flussi che attraversano il sistema produttivo I sistemi di programmazione della produzione possono essere ricondotti a due logiche differenti: Logica della programmazione a spinta (gestione a fabbisogno - push ) 31

32 Logica della programmazione a trazione (gestione a scorta - pull ) Le due logiche si differenziano per il diverso punto di applicazione dell azione di programmazione e per il diverso anticipo con cui viene programmata e fatta eseguire una attività produttiva rispetto al momento in cui se ne verifica realmente il fabbisogno. Per capire il meccanismo che sta alla base delle due logiche bisogna definire il concetto di Lead Time aziendale. Esso rappresenta il periodo di tempo compreso tra l inizio della prima attività e la fine dell ultima attività di un ciclo di produzione; così il lead time è pari alla somma dei tempi necessari per compiere tutte le attività sequenziali, incluse quelle operative, i set-up, i controlli, le attese ed i trasporti. Un buon lead-time consente all azienda: di rimanere competitiva nei riguardi della concorrenza, mantenendo le proprie quote di mercato; di ridurre i costi di produzione attraverso una maggiore incidenza dei costi di gestione della produzione. Importante risulta la distinzione tra Delivery time e Production time. Delivery time: tempo di consegna, cioè l intervallo dal momento in cui il cliente ordina un prodotto ed il momento in cui vuole che questo prodotto gli venga consegnato. Production time: tempo di produzione, inteso come tempo di attraversamento cumulativo di un prodotto dal momento in cui vengono ordinate le materie prime a quello in cui vengono trasformate in prodotto finito, attraverso le varie fasi del processo. 32

33 Nella logica a gestione Push, l ingresso dei materiali in fabbrica e anticipato rispetto agli ordini per garantire il tempo di consegna richiesto dal mercato; l avanzamento della produzione e regolato sulla base delle previsioni dei fabbisogni e di un conseguente piano di sincronizzazione dei reparti in cascata; i prodotti usciranno in base agli ordini effettivi dei clienti. Il termine a spinta indica che il programma prevede (in una precisa sequenza temporale) il momento di consegna di un dato semilavorato da una fase di lavorazione a quella successiva, nel rispetto di determinate previsioni di vendita. Il problema principale del sistema push consiste nel fatto che la domanda effettiva può essere diversa dalla domanda prevista, in base alla quale si programma la produzione; si determina quindi un rischio di mercato, tipico delle produzioni per il magazzino. Il rischio è tanto più elevato quanto più lungo è l intervallo di tempo che intercorre tra la previsione della domanda e la vendita del prodotto. Gli errori nelle previsioni possono essere sia quantitativi (cioè relativi alla quantità domandata e quindi al volume di produzione) sia qualitativi (cioè relativi alle caratteristiche che il prodotto deve possedere per soddisfare la domanda). Entrambi finiscono per aumentare la complessità della gestione; il management è infatti è costretto a rivedere i piani di produzione elaborati in precedenza, per adeguarli alla situazione reale di mercato e a coordinare le attività in corso di svolgimento con le attività non programmate. Se la domanda effettiva è inferiore alla domanda prevista, si accumulano scorte di prodotti finiti, di semilavorati e di parti componenti, determinandosi una riduzione dell efficienza produttiva. Per ridurre tali inconvenienti occorre avvicinare il più possibile il momento della previsione al momento in cui concretamente si manifesterà la domanda; il che significa ridurre la durata del processo produttivo. Operare con lunghi tempi di pianificazione e di risposta al mercato, in contesti caratterizzati da rapide trasformazioni delle esigenze della domanda e delle azioni dei concorrenti, comporta il rischio di arrivare sul mercato con prodotti già obsoleti e incapaci di soddisfare le esigenze dei consumatori del segmento obiettivo prescelto. Nei sistemi a logica push il piano principale di produzione si estende per un orizzonte temporale pari al tempo di produzione. Il p-time è maggiore del d-time, quindi: P/D > 1. Rientra tipicamente in questa logica il criterio di emissione degli ordini stock control, in cui il fabbisogno determinato dalla domanda finale si trasforma immediatamente in un prelievo di magazzino, ma solo successivamente, raggiunto il segnale di livello di riordino, in ordini esecutivi alla produzione (come sarà chiarito più avanti). 33

34 In una gestione a logica rigorosamente Pull, l ingresso dei materiali in fabbrica non è anticipato rispetto agli ordini, ma i materiali vengono tirati in fabbrica dagli ordini in portafoglio; la produzione è regolata dai fabbisogni dei processi a valle del processo produttivo. Con la logica pull gli ordini effettivi tirano la produzione e l acquisto di tutti i materiali necessari per la fabbricazione del prodotto, trascinando in cascate sequenziale le varie fasi del processo produttivo. La programmazione della produzione avviene in base alla domanda effettiva, che si manifesta nella vendita e successivamente nel reparto di assemblaggio finale del prodotto. Con l adozione della logica pull, i rischi della programmazione della produzione sono minori, in quanto non è necessario prevedere la domanda. Storicamente le imprese sono passate dalla programmazione di tipo push alla programmazione di tipo pull, adottando la tecnica gestionale del Just in Time. La motivazione principale di tale scelta consiste nel fatto che l utilizzo di una logica di tipo pull consente di aumentare il livello di flessibilità del sistema produttivo (cioè la capacità di adeguare la produzione all andamento qualitativo e quantitativo della domanda) e di migliorare la sua capacità di risposta nei confronti del mercato. Il tempo di consegna, d-time (delivery time), è maggiore o al limite uguale al p-time (production time), quindi: P/D < 1 Il criterio flow control risponde a questa logica. Nel flow control i centri vengono attivati direttamente dal fabbisogno effettivo calcolato in base alla richiesta finale effettiva od in base a previsioni attendibili della richiesta finale (come sarà chiarito più avanti). 34

35 Nella realtà esistono sistemi misti Push - Pull. In genere le prime fasi del processo (i semilavorati) vengono gestite in logica push (tramite le previsioni), mentre vengono gestite in logica pull le fasi finali del processo (essendo il D-time superiore al P-time). Il punto di transizione tra le due logiche prende il nome di cerniera ed ha la funzione di elemento di disaccoppiamento tra le fasi a valle in logica pull e le fasi a monte in logica push. Nella pratica la cerniera è un magazzino di semilavorati (buffer di scorte) opportunamente dimensionato. Dal punto di vista temporale, la cerniera viene collocata nell istante P-D. 5 - LA GESTIONE INTEGRATA DEI MATERIALI Nello scenario socio-economico attuale, caratterizzato da forte concorrenza, apertura dei mercati e proliferazione di prodotti analoghi, la gestione dei processi logistici assume un'importanza fondamentale. Il livello di servizio che questa attività garantisce diventa una variabile chiave per il successo dell azienda. Il processo logistico, nel cui ambito sono incluse la gestione e la distribuzione dei materiali e dei prodotti, assume pertanto una grande importanza nella gestione aziendale e influisce fortemente sui risultati economici d'impresa. Nei sistemi aziendali, lo scopo della gestione dei materiali è quello di assicurare una ottimizzazione delle forniture dei reparti produttivi, minimizzando i costi da sostenere. Il materials management è strettamente connesso alla programmazione della produzione e rientra nella funzione di approvvigionamento dei fattori produttivi. La gestione dei materiali rappresenta uno dei fattori critici di successo dell impresa, in quanto una sua gestione efficace ed efficiente permette di perseguire i seguenti obiettivi: commerciali (assicurare l evasione degli ordini nei tempi concordati); 35

36 produttivi (assicurare la non interruzione delle operazione di trasformazione attraverso la presenza delle materie prime, dei semilavorati e di altri materiali); finanziari (ottimizzare il flusso di capitale da investire nelle scorte di magazzino). Le imprese, per affrontare la complessità dell ambiente in cui operano, devono adottare nuovi modelli gestionali idonei a seguire le dinamiche ambientali interagendo adeguatamente con principali attori. L evoluzione dell ambiente socio-economico si fonda sull innovazione, intesa come capacità di generare nuove conoscenze, nuove tecnologie e di adattare i prodotti ed i processi aziendali alle nuove esigenze dei clienti La Logistica nell approccio sistemico al governo dell impresa Secondo il Council of Logistic and Management americano per logistica si intende: quella parte della supply chain che programma, gestisce e controlla in maniera efficiente ed efficace il flusso di beni e servizi e delle relative informazioni dal punto di origine al punto di consumo con l obiettivo di soddisfare le richieste del cliente. Per citare una definizione data in Italia dall AILOG (Associazione Italiana di LOGistica): La logistica è l insieme delle attività organizzative,gestionali e strategiche che governano nell azienda i flussi dei materiali dall acquisto delle materie prime presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti ed al servizio post-vendita. Infine per il Comitèe Europèen de Normalization CEN/TC 273- Logistic- (1997) la logistica è: La pianificazione, la realizzazione e il controllo della movimentazione e collocazione di persone e/o beni e delle relative attività di supporto, all interno di un sistema organizzato per la realizzazione di obiettivi specifici. Basandoci su queste definizioni possiamo analizzare le caratteristiche fondamentali del processo logistico che pertanto è una: 1. Attività: volta a programmare, gestire, controllare e coordinare le attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell azienda i flussi dei materiali e la movimentazione e collocazione di persone e/o beni e delle relative attività di supporto; 2. Integrata: è unica per tutto il sistema d impresa essendo un attività sistemica che collega l azienda ai propri clienti e fornitori; 3. Di flussi: flusso fisico, flusso informativo, flusso documentale, flusso del valore, flusso informativo sui fabbisogni; 36

37 4. Sincronizzati e finalizzati: ricerca dell efficienza dei flussi in relazione alle risorse necessarie per obiettivi, piani, operazioni orientate al conseguimento di efficacia ed efficienza allo scopo di soddisfare le richieste del cliente ad un costo accettabile ed offrendo il prodotto giusto, al prezzo giusto, nel momento giusto, nel luogo giusto in un trend di miglioramento continuo (Kaizen). Dalla nascita ed evoluzione del termine si può intuire come la logistica non sia nata nell azienda ma in tutt altro ambito, nell ambito militare. Già nel 500 a.c. Lao Tzu nell Arte della Guerra riconosce l importanza della logistica scrivendo: un esercito senza il suo convoglio è perduto; senza provviste è perduto; senza basi di approvvigionamento è perduto. Nel 1838 il generale Antoine Henri Jomini suddivide la gestione degli eserciti in cinque parti: L arte della guerra si divide in cinque parti puramente militari: la strategia, la grande tattica, la logistica, l arte ingegneristica e la tattica del dettaglio 1. Per l ammiraglio statunitense A.T. Mahan la logistica è : L arte pratica di muovere gli eserciti 2. La logistica nel diciannovesimo secolo assurge quindi a funzione strategica di primo piano nell arte militare, ma non è ancora considerata di rilevanza strategica per l impresa. E a partire dal secondo dopoguerra che lo studio e l analisi della logistica si diffonde gradualmente anche in altri ambiti diversi da quello militare. A partire dalla seconda metà degli anni 70, la necessità di assicurare alti livelli di qualità e di affidabilità dei prodotti e di garantirne una tempestiva consegna al cliente porta la logistica ad assumere un importante ruolo strategico all interno dell impresa essendo essa deputata a mettere rapidamente in produzione e consegnare quanto richiesto ed adeguare la produzione alle richieste del mercato. Soprattutto laddove la qualità del servizio al cliente costituisce un fattore critico di successo, la logistica fornisce un indispensabile recupero di efficienza, generando valore e contribuendo alla sopravvivenza del sistema impresa. La logistica industriale persegue la massimizzazione del valore dei prodotti e dei materiali cercando di avere a disposizione i prodotti dove sono richiesti al momento giusto ed a un costo ragionevole. Di conseguenza, l utilità di un prodotto non dipende solo dalla sua forma, ma anche dal luogo dove si trova e dalla sua disponibilità al momento in cui è richiesto. Per Logistica, quindi, s intende l attività di organizzazione ed attuazione del flusso di materiali e di prodotti dai luoghi di origine a quelli di utilizzazione. Il processo logistico comprende il flusso globale dei materiali, dall acquisizione delle materie prime alla consegna dei prodotti finiti agli utilizzatori finali. 37

38 Per fornire una visione unitaria, globale e coerente con la capacità di rappresentazione del vertice aziendale, l adozione dell Approccio Sistemico Vitale (ASV) allo studio della logistica si palesa quale risposta adeguata a tale esigenza, in quanto consente di cogliere la portata ed il significato delle relazioni intercorrenti tra le componenti interne all impresa, attraversate e coinvolte dal processo logistico e tra queste e le entità esterne fornitrici e distributrici. L adozione dell approccio sistemico alla logistica consente d inquadrare in una cornice unitaria temi ed argomenti spesso trattati disgiuntamente, quali, ad esempio, i metodi e le tecniche di gestione, i rapporti di fornitura, i rapporti tra industria e distribuzione, l impatto dell ICT, le istanze dei sovra sistemi economico, politico e sociale. La gestione efficace ed efficiente della logistica e, quindi, la conoscenza degli strumenti e delle tecniche consolidate negli anni, non basta per l ottenimento di duraturi vantaggi competitivi. Questa riflessione scaturisce dal fatto che non solo l ambiente è mutevole, ma anche il contesto da esso estratto dal soggetto decisore è dinamicamente modificato. Serve a ben poco, quindi, disporre di tecniche e strumenti per la soluzione di un problema se non esiste ancor prima la possibilità di circostanziare il problema stesso. In sostanza, le decisioni, pur essendo riconducibili per analogia ed esperienze, a condizioni storicamente già praticate, di fatto si manifestano con caratteristiche specifiche tali da rappresentare varianti innovative di problematiche note. Di conseguenza l esigenza di governare la logistica, piuttosto che gestirla soltanto, richiede l elaborazione di nuovi schemi all interno dei quali calare la consolidata strumentazione predisposta dagli studiosi. Infatti, la dimensione interorganizzativa del processo logistico, che si manifesta attraverso la formazione di sempre più complesse ed articolate catene delle forniture e la competizione tra queste più che tra le imprese che vi appartengono, comporta che la creazione dei vantaggi sui concorrenti dipende anche dalla capacità di soddisfare le attese dei sovrasistemi rilevanti ed influenti, in modo da mantenere la struttura del processo logistico costantemente in condizioni di consonanza e risonanza con il contesto. Nell approccio tradizionale la logistica è intesa semplicemente come scienza dei movimenti e degli approvvigionamenti e scarsa attenzione è rivolta ai legami intercorrenti tra il mondo della produzione e quello della distribuzione e al ruolo di cerniera che, in quest ottica, la logistica riveste. Già a cominciare dalla fine degli anni 60, l approccio tradizionale alla logistica subisce severe critiche in seguito all affermarsi dello sviluppo sistemico del processo manageriale che evidenzia i legami intercorrenti tra le varie funzioni ed attività aziendali. 38

39 Tali considerazioni seguono il passaggio dall approccio tradizionale, alla gestione integrata della logistica, che si pone l obiettivo di gestire in modo ottimale il flusso dei prodotti verso i clienti, superando le barriere tipiche dell approccio funzionale, e alla sua successiva implementazione oltre i ristretti confini aziendali, denominata Supply Chain Management. L attenzione alla custumer satisfaction avendo posto il cliente al centro dell attenzione dell azienda ha portato al superamento della vecchia concezione basata sulla gestione meramente operativa per centri di costo (i trasporti, i magazzini, le scorte) generalmente indipendenti perché attribuiti a diverse responsabilità funzionali. L azienda necessita di una visione globale (integrata) delle attività del sistema logistico senza cui diventa difficile ottenere la soddisfazione del cliente a costi sostenibili. La logistica integrata nasce dunque dalle esigenze del marketing che ha introdotto nell area dei sistemi operativi una rivoluzione gestionale. La logistica integrata è dunque integrazione delle attività fisiche, gestionali e organizzative che governano il flusso fisico dei beni e delle necessarie informazioni per l acquisizione delle materie prime e dei materiali ausiliari dall ingresso in azienda fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti. Essa integra il processo logistico con le altre funzioni aziendali, gestendo in maniera completa i materiali che vengono movimentati sia in entrata che in uscita nell azienda e sincronizzando i piani di produzione con gli approvvigionamenti a monte e con la distribuzione a valle. Tramite questo suo ruolo di coordinazione delle altre funzioni aziendali, il processo logistico consente di migliorare i flussi e a ridurre gli sprechi. Il concetto di integrazione indica che la logistica industriale non è la semplice somma di attività tradizionali (trasporto, stoccaggio, gestione degli ordini, ecc.) ma un diverso concetto di management, basato sulla gestione integrata delle attività, per l ottimizzazione del sistema globale logistico e non dei singoli sottosistemi che lo compongono. La figura illustra le attività della logistica integrata. 39

40 A partire dagli anni 80 il successo imprenditoriale e produttivo delle imprese manifatturiere nipponiche, specie in campo automobilistico, ha portato alla ribalta le filosofie gestionali e le tecniche produttive che sono state denominate lean o snelle. In questo ambito il concetto di logistica si è espanso ulteriormente col passaggio dalla logistica integrata al Supply Chain Management (SCM). Cos è la Supply Chain? Nello studio dei sistemi produttivi si è verificato un crescente interesse ai sistemi complessi derivanti da una visione estesa dell impresa che non è più vista come entità indipendente, ma come sistema operante in modo interconnesso con i trading partners. La Supply Chain o Value Chain è la rete globale composta da entità economiche distinte, quali ad esempio: fornitori, aziende manifatturiere, magazzini, centri di distribuzione. La Supply Chain si configura proprio come una rete di organizzazioni che sono coinvolte, attraverso collegamenti a monte e a valle, in differenti processi e attività che producono valore nella forma di prodotti e servizi destinati al consumatore finale. La Figura, riportata di seguito, mostra i diversi flussi dei prodotti e delle informazioni che si sviluppano all interno di una Supply Network generica. Ogni entità (impianto, magazzino, centro di distribuzione, centro di servizio, ecc.) operante nella Supply Chain rappresenta un nodo, ognuno dei quali ha una propria domanda ed una certa capacità produttiva; la difficoltà principale in cui incorrono gli 40

41 agenti della catena è quella della gestione asincrona delle informazioni riguardanti tali parametri. Una delle principali caratteristiche che deve avere un azienda che opera in un ottica di impresa estesa, al fine di poter gestire in modo efficiente la domanda e la capacità produttiva, è quella di potersi riconfigurare in tempi brevi per poter rispondere in modo tempestivo alle fluttuazioni ma, soprattutto, per poter sfruttare le opportunità offerte dal mercato. Con lo studio della Supply Chain si passa dunque ad una visione di azienda globale che opera, o meglio collabora, con il sistema in cui è inserita per raggiungere un livello di efficienza che non potrebbe essere raggiunto operando, anche se in modo ottimale, soltanto sul sistema interno di gestione; tale aspetto viene spesso messo in evidenza con l uso del termine Supply Chain Integrata che si riferisce appunto alle organizzazioni, alle attività e risorse coinvolte nel processo di soddisfazione della domanda del cliente finale. Cos è il Supply Chain Management? Fin dai primi anni settanta, quando fece la sua comparsa il termine Supply Chain Management (SCM), questo approccio gestionale ha sempre rappresentato una fonte di miglioramento dei sistemi di distribuzione, di stoccaggio e di produzione. Nel passato la gestione era focalizzata sul singolo nodo della catena logistica e l obiettivo era quello di migliorarne l efficienza, ma successivamente ci si è resi conto che l ottimizzazione di tutto ciò che riguardava la singola entità non consentiva di ottenere un ottimo globale nella Supply Chain e che, dunque, era necessario ampliare l approccio. L SCM nasce dallo sviluppo e dall integrazione di due diverse aree di attività: 1. gli approvvigionamenti e la gestione dei fornitori 2. la logistica e i trasporti in quanto riconosce l importanza della gestione non solo delle attività interne, ma di tutte le attività svolte dalla catena di produzione e distribuzione. L SCM si configura come un processo il cui obiettivo consiste essenzialmente nell ottimizzazione della delivery al cliente, basato sull efficienza della comunicazione tra i diversi soggetti presenti lungo la catena. In particolare, l obiettivo di ottimizzazione è perseguibile attraverso: la diminuzione delle giacenze, legando la produzione alla domanda; la riduzione dei costi totali di produzione, velocizzando il flusso di merci all interno del processo produttivo e migliorando il flusso informativo tra l azienda, i fornitori e i distributori; il miglioramento della soddisfazione del cliente, offrendo velocità di consegna. 41

42 Il raggiungimento di tali obiettivi necessita di una forte integrazione tra i vari elementi della catena; una delle più moderne definizioni di SCM enfatizza proprio l aspetto dell integrazione dei processi aziendali che rendono disponibili i prodotti, i servizi, e le informazioni che aggiungono valore per i clienti, a partire dai consumatori finali risalendo fino ai produttori di materie prime [Cooper, 1997]. Il SCM altro non è che la gestione (management) della catena (chain) di fornitura (supply). L orizzonte di riferimento si allarga dall interno dell impresa all esterno includendo tutti i fornitori e sub-fornitori, passando per il processo produttivo ed arrivando al consumatore finale. La figura mostra schematicamente l ambito del Supply Chain Management: Il Council of Supply Chain Management Professionals (CSCMP) definisce come segue il Supply Chain Management: Il Supply Chain Management abbraccia la pianificazione e la gestione di tutte le attività inerenti alle risorse e agli approvvigionamenti, alla conversione di esse e a tutte le attività di gestione logistica. Essa include anche, in maniera preponderante, la coordinazione e la collaborazione con i partner di canale, che siano fornitori, intermediari, terzi fornitori di 42

43 servizi o clienti. In sostanza, il supply chain management integra la gestione della fornitura e della domanda all interno ed attraverso le imprese. Il Supply Chain Management è una funzione integratrice con responsabilità primarie nel connettere le principali funzioni e processi aziendali all interno ed attraverso le aziende in un modello di business coesivo e altamente performante. Esso include tutte le attività di gestione logistica di cui sopra cosi come le operazioni di produzione portando all integrazione dei processi e delle attività all interno ed attraverso le funzioni di marketing, vendite, progettazione del prodotto, finanza ed IT. Come emerge dalla figura, il processo logistico individua le componenti logiche capaci di svolgere un certo ruolo, osservando regole prefissate e in relazione ai legami esistenti con altre componenti. Questi elementi logici rappresentano un primo disegno delle unità organizzative addette a svolgere il processo logistico con le sottese attività. Tali unità organizzative, combinazione di elementi umani, tecnici e finanziari, sono specializzate per l esecuzione di determinati compiti e attività, in conseguenza delle modalità di divisione del lavoro operate dall impresa, nonché dalla specifica configurazione tecnica dei mezzi utilizzati. Con riguardo al processo logistico, generalmente le imprese affidano ad un unità organizzativa l attività di approvvigionamento, ad un altra quella di gestione delle scorte ed un altra ancora quella di distribuzione fisica. All unità organizzativa preposta all attuazione dell attività di approvvigionamento è richiesto di identificare le fonti, impostare il rapporto e acquistare, in modo economico, le quantità e le qualità di materie occorrenti allo svolgimento del processo di trasformazione, osservando le condizioni di tempo e luogo stabilite dai piani di produzione. Diversamente, all unità organizzativa addetta alla gestione delle scorte spetta i compito del ricevimento, stoccaggio e movimentazione interna delle materie necessarie alla regolare esecuzione del processo produttivo, con l obiettivo di garantirne la pronta disponibilità. Infine, all unità organizzativa deputata allo svolgimento dell attività di distribuzione fisica è affidato il compito del ricevimento e stoccaggio dei prodotti finiti ai vari livelli della rete di distribuzione, nonché della preparazione delle spedizioni e del trasferimento materiale dei prodotti dal magazzino prodotti finiti ai depositi, transit point, centri distribuzione e da qui al cliente e/o ai punti vendita, garantendo la disponibilità dei prodotti finiti sui loro mercati. Sovente tali unità organizzative sono dotate di un momento decisionale in parte autonomo dall organo di governo dell impresa e limitatamente alle deleghe ad esso rilasciate. Ciò le fa ergere da sub-sistemi operativi a sub-sistemi vitali, in quanto progressivamente riescono a maturare proprie capacità di autonoma sopravvivenza rispetto al contesto di appartenenza. 43

44 5.2 Il processo di Approvvigionamento L impresa industriale si approvvigiona dall esterno di variegate tipologie di beni e servizi, eterogenee sotto il profilo economico tecnico, quali, ad esempio, materie prime, materiali, parti, componenti, moduli, macchinari, ecc. Il processo di approvvigionamento risulta focalizzato sul cliente interno rappresentato dal processo di produzione, in quanto si occupa di soddisfare di soddisfare il fabbisogno di materie, componenti e parti necessarie alla trasformazione. Per quanto attiene alla finalità, il processo di approvvigionamento è orientato verso due direzioni, intimamente connesse l un l altra. Infatti, da un lato, è rivolto all identificazione delle fonti di approvvigionamento e all impostazione di rapporti di fornitura capaci di garantire la disponibilità di materiali, parti e componenti nel lungo termine; dall altro, ad acquistare in modo economico, le quantità di beni e servizi necessari all attuazione dei processi di produzione dell impresa, rispettando le specifiche qualitative, nonché le condizioni di tempo e di luogo richieste dai piani di trasformazione industriale dell azienda acquirente. Ciò genera valore, contribuendo al conseguimento della finalità del sistema impresa, cioè alla sopravvivenza. Infatti, dato che l utilità dell output dipende anche dalla sua disponibilità, che discende, a sua volta, da quella degli input del processo produttivo, la gestione dei materiali origina vantaggi competitivi e crea valore contribuendo a soddisfare in modo adeguato le attese dei sovrasistemi di riferimento, sia influenti che rilevanti. Inoltre, va rilevato che il processo di approvvigionamento risulta di tipo funzionale, in quanto si sviluppa e si esaurisce nell ambito del solo dipartimento aziendale in cui è collocato, qualunque sia la struttura organizzativa logistica prescelta. Infine, il processo di approvvigionamento è interorganizzativo, poiché ad esso è connaturato l intrattenimento di rapporti con le imprese fornitrici al fine dello scambio di materie e informazioni. Negli ultimi anni, in molti dei settori industriali si è rafforzata la tendenza delle imprese ad esternalizzare la produzione di componenti e moduli del prodotto finito e a concentrare le risorse sulle attività ritenute più critiche per il conseguimento del vantaggio competitivo. Ciò ha contribuito ad accrescere la rilevanza strategica e la complessità gestionale delle politiche di approvvigionamento. La politica di approvvigionamento comprende quell insieme di decisioni e di strumenti manageriali, attinenti alla gestione del rapporto con le imprese fornitrici, nelle sue diverse fasi (dalla contrattazione al controllo della qualità). In pratica, l approvvigionamento comprende le seguenti principali attività: analisi dei mercati d acquisto, ricerca e valutazione preventiva di nuovi fornitori, selezione 44

45 del fornitore, progettazione degli strumenti di controllo delle prestazioni del fornitore. Negli studi di management è ormai consolidata l idea l attività di approvvigionamento non può essere svolta in modo indifferenziato, ma deve essere pianificata e prevedere politiche articolate in funzione delle diverse caratteristiche degli apporti esterni. A tale fine un classico strumento utile per la definizione di appropriate politiche di approvvigionamento è costituito dalla matrice di Kraljic. Questa individua quattro tipologie di acquisti in funzione delle seguenti due variabili: l importanza economica e/o strategica del materiale acquistato nel processo produttivo dell impresa cliente; essa è strettamente collegata all impatto che l acquisto di uno specifico materiale esercita sulla redditività dell impresa acquirente; il rischio di approvvigionamento, che attiene al livello di difficoltà che l impresa acquirente incontra nel reperire il componente sul mercato. La rischiosità dell acquisto è maggiore, quando il numero dei fornitori di uno specifico materiale è ridotto (elevata concentrazione del mercato) e quando il grado di standardizzazione del semilavorato da acquistare è basso. Come rappresentato dalla figura, possono essere individuate le seguenti tipologie di materiali: 45

46 1. Materiali non critici. Rientrano in questa categoria i materiali e le componenti che non presentano problemi di reperibilità, essendo prodotti da un elevato numero di fornitori, e che hanno un impatto limitato sulla redditività dell impresa cliente. In questo caso l obiettivo principale della politica di approvvigionamento è la riduzione dei costi del processo d acquisto (efficienza funzionale), conseguita mettendo in concorrenza tra loro i fornitori dello stesso materiale e sfruttando il proprio potere contrattuale. 2. Materiali con effetto leva. Si tratta di materiali, che sono prodotti da un numero elevato di fornitori e che hanno rilevanti effetti sulla redditività dell acquirente (effetto leva). Proprio l importanza economica del prodotto acquistato rende ancora più critico l obiettivo della riduzione dei costi, che è ottenuto anche mediante la ricerca di materiali sostitutivi. Particolare enfasi va posta sulla riduzione del livello delle scorte, che può essere ottenuta con una gestione del flusso dei materiali sincronizzata rispetto ai tempi di lavorazione richiesti dal programma di produzione (logica del flow control). 3. Materiali colli di bottiglia. Questa tipologia di materiali si caratterizza per un elevato rischio di approvvigionamento e per una limitata importanza economica. Data la difficoltà nel reperire tali materiali (a causa delle ridotte possibilità di sostituire l attuale fornitore), l obiettivo principale della politica di approvvigionamento è quello di assicurare con continuità la disponibilità del materiale nella quantità e nei tempi richiesti dal programma di produzione. Il ridotto impatto economico del materiale può rendere conveniente la creazione di scorte, per fronteggiare eventuali ritardi o interruzioni nelle forniture. 4. Materiali strategici. Sono componenti chiave per l attività produttiva dell azienda acquirente (data la loro importanza economica e strategica) e vengono offerti sul mercato da un numero limitato di imprese. Le caratteristiche di questi materiali rendono opportune politiche di approvvigionamento volte non solo all efficienza, ma anche allo sviluppo di rapporti di collaborazione con i fornitori, che garantiscano la stabilità e la disponibilità del materiale nel lungo periodo. 5.3 Il processo di Gestione delle Scorte Il processo di gestione delle scorte è focalizzato sul cliente interno rappresentato dal processo di trasformazione, in quanto si occupa delle materie, componenti, parti e del conseguente flusso nell azienda dalle fonti esterne di approvvigionamento sino alla loro trasformazione in beni finiti tramite il processo produttivo. 46

47 Per quanto attiene la finalità, il processo di gestione delle scorte è orientato a ricevere, conservare e movimentare in modo economico i materiali indispensabili per la regolare attuazione del processo produttivo, assicurandone la pronta disponibilità agli utilizzatori. Ciò genera valore e contribuisce al conseguimento della sopravvivenza. Infatti, dato che l utilità dell output dipende pure dalla sua disponibilità e questa discende da quella degli input della trasformazione, il processo di gestione delle scorte crea vantaggi competitivi e crea valore contribuendo a soddisfare in modo adeguato le attese dei sovra sistemi di riferimento, sia influenti che rilevanti. Similmente a quanto osservato con riferimento al processo di approvvigionamento, anche questo processo è funzionale perché si estrinseca e si esaurisce nell ambito del solo dipartimento aziendale in cui è posto, a prescindere dalla struttura organizzativa adottata. Infine, non è interorganizzativo, in quanto il suo svolgimento non comporta l intrattenimento di rapporti con altre entità sistemiche esterne all impresa. In via generale le scorte sono costituite da tutti i materiali, di diversa natura, con differenti motivazioni e con vari obiettivi, che si trovano fisicamente in locali di produzione o di stoccaggio dell impresa, la quale ne esercita anche il controllo. Prescindendo dalle scorte speculative, che derivano dal tentativo di trarre un vantaggio economico collegato ad una variazione eccezionale dei prezzi in un dato periodo di tempo, secondo una classificazione, fondata sulla funzione svolta dai materiali nel sistema logistico, si rilevano: Le scorte di transito, che sono costituite dai materiali che devono essere trasferiti da un luogo all altro all interno o all esterno dello stabilimento; Le scorte di ciclo, che derivano dal fatto che l azienda produce o acquista in lotti e che sono collegate all entità dei lotti stessi, nonché alla diversa durata delle fasi di lavorazione; Le scorte di sicurezza, che sono dirette a fronteggiare gli effetti negativi di variazioni non previste nell andamento della domanda, nel rapporto con i fornitori o nello svolgimento dei processi di produzione. Il problema fondamentale è costituito dal fatto che la scelta dell impresa nella gestione dei materiali comprende due esigenze economiche concomitanti: Da un lato, c è l esigenza di avere disponibili i vari materiali, semilavorati, componenti o prodotti finiti, nel momento in cui questi sono necessari per poter svolgere convenientemente l attività successiva (di produzione o di distribuzione);in altri termini occorre evitare che, quando si rivolge a un 47

48 magazzino di un qualsivoglia materiale, l operatore umano non trovi la quantità richiesta di un determinato articolo; Dall altro, è opportuno che, per assicurarsene la disponibilità, la scorta di ogni materiale non risulti troppo elevata rispetto alla quantità occorrente, e non risulti troppo in anticipo, rispetto al momento in cui viene richiesta: l ideale è avere disponibile la quantità necessaria nell istante in cui questa viene richiesta. Ciò deriva dal fatto che, il mantenimento di scorte costituisce un vero e proprio investimento in risorse, che non genera un diretto rendimento economico: le scorte rappresentano infatti contabilmente un elemento del cosiddetto capitale circolante che rimane immobilizzato per il periodo di tempo in cui esse esistono. A ciò va poi aggiunta la destinazione di risorse per il sostenimento dei vari tipi di costi collegati al mantenimento delle scorte. Non c è dubbio che l impresa ha convenienza a esercitare un attento e costante monitoraggio delle stesse. Un utile indicatore è costituito dall indice di rotazione delle scorte (inventory turnover). Esso è dato dal rapporto tra la quantità totale di un dato materiale consumata in un certo periodo di tempo e la sua giacenza media nello stesso periodo. Esso indica quante volte la scorta media del materiale si rinnova in un dato periodo di tempo, in conseguenza degli utilizzi di materie prime e componenti nel processo produttivo e delle vendite dei prodotti finiti. L aumento dell indice di rotazione costituisce un fatto positivo per due motivi: a) Rivela un aumento del consumo del materiale, dovuto ad un incremento del volume di produzione e di vendita del prodotto finito; b) Segnala un minore periodo di permanenza delle scorte in magazzino, il quale si traduce in un minore immobilizzo di capitale. In genere la gestione dei materiali viene impostata secondo una delle due seguenti logiche: a) La logica dello stock control, denominata anche del look back (guardare indietro); b) La logica del flow control, denominata anche del look ahead (guardare avanti). 48

49 Ognuna presenta specifici vantaggi e svantaggi. La principale differenza tra le due logiche consiste nel differente momento in cui viene emesso l ordine d acquisto del materiale, rispetto al momento del fabbisogno di tale materiale. a) Nella logica dello stock control, viene prevista una scorta che viene reintegrata, mediante il lancio di un ordine di approvvigionamento, quando si accerta che il livello dello stock è diminuito rispetto al fabbisogno previsto, oppure secondo una cadenza costante nel tempo. Il fabbisogno non viene stimato in funzione di quanto potrà manifestarsi in futuro, ma si concreta in una congettura, formulata sulla base di dati storici. b) Nella logica del flow control, l attenzione si sposta dal controllo dello stock al controllo del flusso dei materiali. Invece di fondarsi sulla predisposizione exante di una scorta, tale metodo s incentra nella pianificazione e nel controllo del flusso che attraversa i vari stadi della supply chain. In genere gli studiosi attribuiscono una superiorità alla logica flow control, rispetto a quella dello stock control. I principali vantaggi del flow control posso essere sintetizzati nei seguenti elementi: Minore capitale immobilizzato nell investimento in scorte, poiché queste sono dirette a soddisfare una precisa domanda, la quale dovrebbe assorbire la totalità delle giacenze; Maggiore velocità nel porre in sintonia le variazioni delle attività produttive con le variazioni della domanda, grazie alla mancanza di ritardi dovuti alla presenza delle scorte; Minore rischi di obsolescenza degli articoli, dato che in genere viene fabbricata soltanto la quantità richiesta. È tuttavia opportuno rilevare anche i seguenti svantaggi: Il management aziendale non sempre dispone di dati effettivi sulle richieste di mercato e inoltre i fabbisogni previsti possono risultare molto incerti, compromettendo così la valida applicazione della logica flow control; Occorre predisporre un sistema informativo sofisticato e complesso, i cui costi di progettazione e gestione potrebbero superare i vantaggi connessi alla riduzione degli oneri di mantenimento degli stock. 49

50 La scelta della logica da adottare per la gestione di ogni tipologia di materiale si basa, inoltre, sull analisi di alcuni fattori: a) Il rapporto tra lead time e tempo di programmazione. La logica del flow control può essere adottata soltanto quando il lead time (tempo di riordino) di un dato materiale è inferiore al periodo di tempo che intercorre tra il momento in cui viene definito il programma di produzione e il momento in cui inizia la specifica fase di lavorazione in cui quel materiale è richiesto. b) Il valore d impiego dei materiali. Il valore d impiego di un materiale è dato dal prodotto tra la quantità consumata (o che si prevede di consumare) nel periodo consumato e il suo valore unitario (il prezzo d acquisto). Nella realtà accade spesso che una quota molto rilevante del valore d impiego complessivo di tutti i materiali si concentra su un numero esiguo di essi. Per i pochi materiali ad alto valore d impiego sarà conveniente attuare un controllo rigoroso delle scorte, al fine di contenere il relativo investimento: ciò è possibile con la logica flow control. Per i numerosi materiali (codici) a basso valore d impiego possono essere invece adottati metodi stock control, che risultano meno costosi, nonché più semplici e convenienti sotto il profilo gestionale. c) Natura della domanda. Si suole distinguere i materiali in due tipologie: Materiali a domanda dipendente (materie prime, componenti, moduli, ecc.), il cui fabbisogno può essere calcolato con precisione, a partire dalla domanda del prodotto finito. Per questi codici, l impresa può scegliere se adottare la logica flow control o la logica stock control: verrà privilegiata la prima specialmente per i materiali ad elevato valore d impiego; Materiali a domanda indipendente (prodotti finiti, pezzi di ricambio, ecc.), i cui fabbisogni derivano direttamente dalle casuali richieste del mercato. In questo caso, non essendo possibile individuare relazioni matematiche tra il fabbisogno del materiale e la domanda del prodotto finito, risulta inevitabile l impiego della logica stock control. 50

51 d) La frequenza d uso del materiale. Il fabbisogno dei materiali, che vengono utilizzati con un elevata frequenza nello svolgimento delle attività produttive, può essere previsto con un alto grado di affidabilità, utilizzando tecniche statistiche (analisi serie storiche). In tal caso per l impresa è conveniente adottare la logica dello stock control, in quanto semplice e poco costosa. Quando la frequenza d uso è bassa, si riduce la significatività dei dati storici e quindi l impresa ha convenienza a lanciare gli ordini di produzione e di approvvigionamento in base ai fabbisogni effettivi (logica flow control). Le principali finalità di un buon sistema di gestione delle scorte sono essenzialmente due: assicurare l esistenza a magazzino dei materiali necessari all attività industriale nel momento in cui essi necessitano; contenere al minimo gli oneri di gestione del magazzino ed i costi di approvvigionamento. Una corretta gestione delle scorte impone come primo elemento di valutazione l individuazione del quantitativo minimo di ogni articolo, che deve permanere costantemente in magazzino: questo valore è definito scorta minima o scorta di sicurezza. La scorta minima è quindi la quantità limite che deve sempre trovarsi in magazzino al fine di garantire il regolare svolgimento dei processi produttivi e distributivi. Per la determinazione della scorta minima è necessario conoscere: il lead-time, ossia il tempo richiesto per l approvvigionamento; la quantità che viene assorbita nel periodo intercorrente tra il momento di attivazione dell ordine e il momento di disponibilità dei materiali; il coefficiente di sicurezza con cui si vuole soddisfare la domanda. Numero compreso nell intervallo [0%;100%] 51

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