Biofilm microbici e igiene degli alimenti

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1 Biofilm microbici e igiene degli alimenti Valerio Giaccone, Dipartimento di Sanità pubblica, Patologia comparata e Igiene veterinaria, Facoltà di Medicina veterinaria, Università degli Studi di Padova. 1. Premessa Come impone l art. 14 del Reg. CE n.178/2002, non si possono commercializzare alimenti dannosi alla salute umana o inadatti al consumo perché deteriorati. Sovente un alimento diventa dannoso alla salute perché contiene un numero eccessivo di microrganismi pericolosi per l uomo e quasi sempre si deteriora in seguito alla forte proliferazione di una flora microbica magari banale, ma comunque in grado di modificarne in senso sfavorevole le caratteristiche sensoriali. I prodotti alimentari che si producono e si consumano nei paesi occidentali industrializzati sono molto diversi da quelli che formavano la dieta quotidiana dei nostri bisnonni, fino alla prima metà del 900 e che sono tutt oggi consumati dalle popolazioni dei paesi più poveri. Un tempo predominavano gli alimenti semplici, ottenuti in proprio o al massimo frutto di produzioni agricole su piccola scala. Il percorso dal campo alla tavola era molto limitato e anche le derrate che affluivano nelle città proveniva per lo più dal contado limitrofo; i prodotti di origine industriale erano pochi e limitato era il ricorso ai sistemi di conservazione degli alimenti. Oggi nei paesi occidentali buona parte degli alimenti che consumiamo (anche quelli freschi) seguono un percorso più o meno lungo e complicato che comporta quasi sempre l applicazione di qualche procedura di mantenimento o di vera e propria conservazione, a partire dall impiego delle basse temperature. Le modalità di produzione e manipolazione dei prodotti alimentari che oggi consumiamo, inoltre, comporta un frequente contatto delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti con una serie di superfici di lavoro e di utensili (nastri trasportatori e taglieri, tritacarne e impastatrici, coltelli, seghe, ecc. ecc.). Sovente sono proprio le superfici di lavoro e/o gli utensili e gli apparecchi a trasferire all alimento flore microbiche saprofitiche, alteranti o persino patogene per l uomo, secondo le modalità di produzione. Gli inquinamenti microrganismi delle superfici di lavoro e degli utensili assumono, quindi, un importanza determinante nel condizionare il profilo microbico del prodotto finito pronto al consumo e possono condizionarne in misura pesante sia la conservabilità che la pericolosità nei confronti della salute umana. L inquinamento delle derrate alimentari portato dalle superfici di lavoro e dagli utensili assume un notevole rilievo, soprattutto quando si parla degli agenti di malattia alimentare ubiquitari nell ambiente che trovano proprio in quegli ambiti una nicchia di persistenza e di possibile proliferazione. Stiamo parlando di Listeria monocytogenes, Staphylococcus aureus e delle bacillacee sporigene dei generi Clostridium e Bacillus (Clostridium perfringens, Clostridium botulinici e Bacillus cereus). Di contro, assumono uguale importanza preventiva le corrette procedure di detersione e sanificazione, che hanno appunto lo scopo di eliminare il più possibile da ambienti e superfici di lavoro i germi patogeni e ridurre ai minimi termini la carica microbica generica inquinante.

2 È un concetto ormai consolidato da anni che le superfici e gli utensili a contatto con gli alimenti debbano essere fatti con materiali facilmente lavabili e disinfettabili. Le norme di legge vigenti hanno portato, col tempo, a fare una selezione trai possibili materiali di costruzione, favorendo l impiego sempre più diffuso dell acciaio inossidabile e di materie plastiche a elevata durezza, escludendo sempre di più i materiali porosi come il legno che, secondo convinzioni più o meno scientificamente fondate, non fornisce sufficienti garanzie di igiene per la manipolazione degli alimenti. La preferenza per l acciaio inossidabile e le materie plastiche è anche giustificata dalla convinzione che i microrganismi aderiscano difficilmente a simili superfici, ma nel corso di questi ultimi anni in letteratura si sono accumulati studi e ricerche sperimentali che sfatano questa convinzione e che hanno portato a comprendere meglio come i microrganismi possono aderire alle superfici di lavoro e come riescono a persistere su di esse, resistendo persino alle disinfezioni messe in atto dall uomo. Le indagini hanno portato alla scoperta di quelli che sono chiamati biofilm e hanno evidenziato che all interno di queste colonie microbiche i batteri sono in grado di scambiare informazioni con meccanismi biochimici ancora in buona parte sconosciuti. Questo scambio di informazioni è chiamato quorum sensing. Questi due aspetti condizionano la funzionalità delle procedure di detersione e disinfezione nelle industrie alimentari e la loro conoscenza porta ad avere un approccio innovativo nella scelta dei materiali di costruzione di superfici e utensili di lavoro. Questa lezione mira a chiarire gli aspetti essenziali dei biofilm microbici nell ottica di una corretta igiene degli alimenti; in una seconda lezione approfondirò gli aspetti connessi al quorum sensing. 2. Che cosa sono i biofilm? Come hanno scritto Robbins e coll. (2005), in natura i batteri possono essere presenti in due differenti stati: (1) planctonico: singole cellule che fluttuano o si muovono libere nelle soluzioni acquose presenti dappertutto nell ambiente, alimenti compresi, lasciandosi trasportare dai moti ambientali come se fossero plancton (2) biofilm: particolari aggregati al cui interno i batteri sono adesi a una superficie qualunque, immersi in una matrice amorfa per lo più composta di mucopolisaccaridi. All interno di questi biofilm i batteri letteralmente cambiano abitudini di vita : - la loro crescita tende a rallentare e i batteri passano sovente alla fase di vita VBNC (Viable But Not Culturable cell) ossia di crescita stazionaria, di cellula viva, ma non vitale. Chiusi in questo stadio di vita, i batteri diventano molto più resistenti agli stress ambientali avversi quali il ph, la carenza di acqua libera, la presenza di soluti, ecc. - si osservano variazioni nella trascrizione dei geni rispetto a quanto di solito si rileva nelle stesse cellule allo stato libero - aumenta la sintesi di esopolisaccaridi - si registra di solito un aumento della loro resistenza ai trattamenti disinfettanti e sanificanti. Si è stimato che le cellule batteriche in stato di biofilm sintetizzano qualcosa come oltre 90 tipi di proteine in più rispetto alle loro consimili in stato di vita planctonico. Molte di proteine sono molecole specificamente coinvolte nei meccanismi di resistenza agli stress, alla sintesi di proteine e alle funzioni di omeostasi cellulare, quali le proteine da

3 shock acido o da shock termico (Hefford et al., 2005). In altri termini, il passaggio dalla condizione di vita planctonica a quello diciamo così sessile fa sì che i batteri riescano a sopportare meglio condizioni ambientali disagevoli, a partire dagli stress acidi o termici. Le nostre conoscenze sui biofilm sono ancora piuttosto frammentarie e tra gli studiosi ci sono ancora controversie, a partire della definizione del termine biofilm. Secondo una prima corrente di pensiero, per biofilm si deve intendere un insieme di batteri immersi in una matrice amorfa di polimeri extracellulari (EPS extracellular polymeric substances). Altri ricercatori, invece, definiscono biofilm un aggregato di cellule batteriche anche se apparentemente non immerse in una matrice amorfa extracellulare. In altri termini, secondo questa seconda corrente di pensiero un biofilm altro non sarebbe che un insieme di microcolonie di microrganismi, anche in assenza di una sostanza organica amorfa evidente al microscopio. L aspetto più importante dei batteri che formano un biofilm è che inglobati nella matrice organica diventano molto più resistenti del solito agli agenti antimicrobici. Questo aumento di resistenza si concretizza nel giro di poche ore dopo che i batteri hanno aderito alla superficie di lavoro, anche prima che essi si circondino di quella EPS che secondo alcuni è uno dei componenti essenziali di un vero biofilm. Cercando un compromesso fra le due correnti di pensiero, si può definire il biofilm come una comunità di microrganismi che aderiscono tutti insieme a una superficie e che sovente sono immersi in una matrice organica amorfa che li ingloba e li protegge. I biofilm si possono formare su una grande varietà di superfici, tra cui all interno di tubazioni e le industrie alimentari sono uno degli ambienti confinati in cui più facilmente si possono formare i biofilm, specialmente nei locali dove si manipolano le materie prime. In particolare, i biofilm si formano all interno dei tubi di convogliamento e sulle superfici in acciaio inossidabile. Una seconda questione ancora aperta tra gli studiosi è costituita dall architettura del biofilm stesso e dai fattori che la possono condizionare. Sulle superfici di lavoro presenti nelle industrie alimentari i biofilm microrganismi di regola non formano un velo uniforme e continuo distribuito su tutta la superficie, ma piuttosto un insieme di colonie più o meno piccole distribuite in modo disomogeneo fra loro che aderiscono, appunto, alle superfici di lavoro stesse. In altre situazioni, invece, i biofilm possono apparire come colonie microbiche molto grandi, a forma di fungo, separate fra loro da spazi vuoti o da canali in cui scorre acqua, osservando il tutto con un microscopio ottico a piccolo ingrandimento. In alcuni casi sono descritti dei biofilm molto densi in cui le singole colonie non sono più distinguibili e ci si trova di fronte a uno strato unico di batteri. È intuibile che gli ultimi due tipi di biofilm citati ora si possono riscontrare solo di rado e sulle superfici di lavoro regolarmente sottoposte a procedure di detersione e disinfezione. Si possono trovare, invece, su superfici di lavoro che sono quasi sempre immerse in un liquido e che, di conseguenza, non sono sottoposte a detersione con la medesima frequenza delle precedenti (pensate agli scambiatori di calore, o alle tubazioni per l acqua potabile o ancora a cateteri e deflussori vari). La formazione di un biofilm è un fenomeno del tutto naturale che si realizza quando ci sono microrganismi e una superficie cui essi possono aderire. La presenza di sostanze nutrienti derivate dagli alimenti sulla superficie interessata contribuisce a questa formazione e la favorisce, ma è dimostrato che per dare origine a un biofilm è sufficiente anche solo quella minima frazione di sostanza organica che è presente

4 nell acqua potabile. Per la formazione di un biofilm, l importante è che la superficie di adesione sia almeno lievemente umida. Ciò giustifica perché i biofilm si possano ricreare facilmente anche in condizioni di laboratorio, come è documentato da una serie di pubblicazioni scientifiche, ma è importante aggiungere che i risultati sperimentali ottenuti su questi biofilm artificiali non si possono applicare automaticamente a quelli che si formano, diciamo così, in natura ossia nelle industrie alimentari e ovunque si abbia una manipolazione di alimenti. Le indagini sinora condotte portano a concludere che i biofilm si possono formare praticamente su qualunque tipo di superficie presente in un industria alimentare. Tra le superfici più sovente sede di formazione di biofilm abbiamo i pavimenti, i chiusini di scolo delle acque e i nastri trasportatori. Lievemente meno predisposte ai biofilm sono, invece, le pareti dei locali di lavorazione e le superfici interne ed esterne degli apparecchi di lavoro. Ovviamente, gli infossamenti delle suddette strutture, le fessure e ogni altro tipo di struttura al cui interno si possa avere un accumulo di sporcizia diventano terreno ideale per lo sviluppo di un biofilm. Sulle superfici sottoposte a regolari procedure di detersione e sanificazione la massima densità microbica che si può raggiungere all interno di un biofilm è stimata intorno alle 10 7 ufc/cm 2, ma nei punti meno facilmente raggiungibili dalle pulizie queste cariche possono risultare anche maggiori. 3. Come si forma un biofilm La normale esistenza di un biofilm si articola in tre fasi successive che si ripetono ciclicamente fino a che non interviene un qualche evento che porti all eliminazione completa della pellicola: (1) l adesione dei batteri alla superficie (2) la colonizzazione della superficie da parte dei microrganismi (3) il distacco ciclico di parte delle colonie con liberazione di frammenti che possono portare alla colonizzazione di altre superfici ADESIONE ALLA SUPERFICIE I microrganismi riescono ad aderire alle superfici di lavoro grazie a un processo fisicochimico di interazione fra le molecole dello strato più esterno del materiale che forma la superficie di attacco e di quelle dello strato più esterno dei microrganismi con le molecole interposte fra le due strutture, vale a dire le molecole del fluido che ricopre la superficie e permea gli aggregati microbici. Sono tre le forze di legame che determinano questa interazione: (1) le forze di van der Waals (2) le interazioni elettrone accettore/elettrone donatore (3) le forze di interazione elettrostatica. Le (1) agiscono sempre in senso attrattivo, (2) e (3) possono agire come forza che attrae o respinge. Nella fase acquosa all interno degli alimenti (che hanno una forza ionica molto alta) le interazioni elettrostatiche sono di entità trascurabile. Invece nell acqua, in cui la forza ionica è molto bassa, le forze di interazione elettrostatica sono piuttosto rilevanti e limitano parecchio l adesione dei microrganismi alle superfici interne (si pensi a quelle delle tubazioni in cui scorre l acqua potabile), tenuto presente che tanto la superficie del microrganismi quanto la superfici inerti sono cariche di elettricità statica negativa e quindi si respingono.

5 Non appena un materiale solido è immerso in un liquido, nel giro di frazioni di secondo le molecole solubili in quel liquido si concentrano sulla superficie del solido e formano quello che si chiama uno strato condizionante che costituisce la base originaria di adesione dei microrganismi. Questi ultimi hanno bisogno di più tempo per aderire alle superfici inerti. Di conseguenza, perché si formi un biofilm è necessario che innanzi tutto sulla superficie inerte si depositi uno strato di materia collante, sulla quale i microrganismi possano aderire. Nelle industrie alimentari questo materiale collante che condiziona l adesività dei microrganismi alle superfici di lavoro è formato per lo più dai residui organici lasciati dagli alimenti stessi o in alternativa dai composti usati per le operazioni di detersione e/o disinfezione. Sono state riconosciute e dimostrate evidenti correlazioni tra tipo di materiale utilizzato per formare le superfici di lavoro e il tipo di alimenti che vi si lavorano. Un materiale idrofobico, che tende a respingere tutto ciò che contiene acqua, avrà un alta affinità per tutte le componenti grasse presenti negli alimenti processati. Vice versa un materiale molto idrofilico avrà maggiore affinità per i componenti proteici e zuccherini mentre respingerà i grassi. Di conseguenza, se in uno stabilimento predominano materiali di costruzione idrofobici probabilmente lo strato condizionante che si creerà sulla loro superficie conterrà una grande quantità di grassi. Se in quell azienda non si utilizzano sostanze grasse, il rischio della formazione di biofilm sarà relativamente basso, vice versa se i prodotti che vi si preparano sono ad alto tenore di lipidi. Il ragionamento può essere fatto, al contrario, se all interno dell azienda predominano materiali che respingono i grassi e attirano le proteine. In parole povere, la scelta dei materiali di costruzione delle superfici di lavoro all interno di uno stabilimento dovrebbe tenere conto, nei limiti del possibile, della natura degli alimenti che vi si intendono produrre. Più gli alimenti sono grassi più le strutture dovrebbero essere fatte in materiali idrofilici; se, invece, gli alimenti che vi si intendono lavorare sono poveri di grassi e ricchi di proteine, è opportuno scegliere un materiale idrofobico. Per quanto riguarda i microrganismi, le proprietà di superficie dei singoli cloni microbici dipendono dalle condizioni di crescita, quali ph, temperatura, composizione del mezzo di coltura, fase di crescita vitale e non vitale, ecc. Si è più volte osservato che le cellule microbiche in fase di digiuno o quelle in fase di crescita stazionaria aderiscono molto più facilmente alle superfici di quanto facciano le cellule in fase di crescita esponenziale. Una delle scoperte più importanti fatte in microbiologia negli anni 90 del secolo scorso è che i batteri che aderiscono alle superfici e formano i biofilm sono molto diversi, fenotipicamente parlando, dai loro consimili che vivono liberi nel substrato. Molte ricerche sperimentali hanno dimostrato che il processo di adesione alle superfici di lavoro stimolano l espressione del fattore sigma che, a sua volta, attiva la trascrizione di un ampia gamma di geni, con conseguente espressione di una serie di fattori che possono aumentare la resistenza del batterio alle condizioni stressanti. Per fare un solo esempio, l adesione può stimolare la produzione di molti enzimi che a loro volta catalizzano la sintesi da parte del batterio di esopolisaccaridi. In Vibrio parahaemolyticus il fattore sigma induce la produzione di flagelli laterali che aumentano la mobilità del batterio stesso COLONIZZAZIONE DELLA SUPERFICIE

6 Dopo l adesione le cellule microbiche cominciano a moltiplicare all interno dello strato condizionante e arrivano gradualmente a colonizzare parti più o meno estese della superficie. È stato dimostrato più volte che dopo l adesione i batteri cominciano a produrre maggiori quantità di esopolisaccaridi, aumentano la viscosità dello strato. L architettura che caratterizza il biofilm dipende da una serie di fattori differenti. Di recente è stato dimostrato che in Pseudomonas aeruginosa nella differenziazione del biofilm è coinvolto anche il quorum sensing del batterio con la regolazione dell espressione di alcuni geni. Per essere più precisi, un clone mutante lasi che non è in grado di sintetizzare la molecola segnale (un acil-omoserina-lattone AHL) formava un biofilm molto piatto, sottile e uniforme mentre nel biofilm costituito dalla variante in grado di sintetizzare quella molecola segnale le cellule batteriche erano aggregate in cumuli ben separati e distinti l uno dall altro. Questi segnali chimici (una sorta di segnali di fumo) sono stati rilevati nei biofilm naturali, non riprodotti in laboratorio. I fattori che incidono sulle possibili differenti architetture dei vari biofilm sono rappresentati dal clone batterico, dalla disponibilità di nutrienti nel substrato, dalle condizioni di idrodinamica nel sistema e da altre condizioni ambientali del substrato. Il tempo richiesto perché la popolazione batterica all interno di un biofilm possa raggiungere il suo massimo e quindi una condizione di stabilità, può essere anche molto lungo: c è chi lo stima in giorni, chi in settimane o addirittura mesi. Un altro dato di fatto deriva dalla determinazione della CMT all interno del biofilm. Si stima che al suo interno i microrganismi in grado di moltiplicare formino una frazione relativamente bassa del numero complessivo di microrganismi presenti: si stima appena il 10% circa di tutta la popolazione microbica. Questa popolazione microbica può variare consistentemente secondo il tipo di stabilimento alimentare che si prende in considerazione (vedi anche Tab. 1). Si è appurato che nelle aziende che lavorano carni e latte predominano Pseudomonas e Staphylococcus mentre nelle industrie di prodotti da forno predominano lieviti e coryneformi. In aggiunta, si è dimostrato che i biofilm in cui sono presenti le pseudomonadacee favoriscono l adesione alla superficie di Listeria monocytogenes, che da sola non avrebbe invece molta tendenza alla formazione di biofilm. 4. Proprietà dei biofilm 4.1. PROPRIETÀ CORRELATE ALLA EPS La matrice organica che compone la frazione non corpuscolata di un biofilm è formata da acqua, polimeri extracellulari (EPS), acidi nucleici e una serie di altri composti organici intrappolati nella matrice stessa. La natura e la varietà di questi composti organici varia ovviamente in base al tipo di prodotto alimentare che si lavora in uno stabilimento. Non si conosce ancora perfettamente la composizione chimica della EPS; si sa però che i due componenti fondamentali sono rappresentati da polisaccaridi e da proteine sulle quali però mancano ancora studi approfonditi. Per quanto riguarda gli esopolisaccaridi, al momento si ritiene che quelli presenti nelle cellule microbiche planctoniche e quelli delle cellule stanziali all interno del biofilm abbiano la medesima composizione, ma proprietà fisiche differenti RUOLO DELLA EPS NELL ADESIONE MICROBICA E NEL MANTENIMENTO DELLA STRUTTURA DEL BIOFILM

7 Non siamo ancora certi che gli esopolisaccaridi siano indispensabili per la formazione di un biofilm: è stato dimostrato sperimentalmente che esistono in natura alcuni cloni mutanti di batteri che non sono in grado di produrre questi polisaccaridi e che, comunque, cono capaci di aderire alle superfici. Bisogna, però, distinguere fra il sottile strato di polisaccaridi che formano la capsula mucosa dei batteri dalla ben più complessa formazione strutturata di esopolisaccaridi che costituisce la EPS e che sovente è presente in un biofilm. Come si è annotato prima, per una parte dei ricercatori la presenza di questa EPS è essenziale perché i batteri aderiscano fra loro e diano origine a una microcolonia. I dati della letteratura sono controversi: sovente è stato sottolineato che i polisaccaridi sono indispensabili per trattenere i batteri all interno del biofilm impedendo che se ne scappino via. Altri studi hanno però evidenziato che non sempre un aumento di produzione di questi polisaccaridi è connesso a un miglioramento dell adesione batterica alle superfici. Confrontando le caratteristiche biochimiche di un ceppo di Pseudomonas aeruginosa lasi mutante (quello non in grado di sintetizzare la molecola segnale di acil-omoserinalattone) e un ceppo selvaggio in grado di produrre questa molecola, si è scoperto che i due cloni microbici presentano lo stesso contenuto di polisaccaridi. Ciò malgrado, il clone mutante poteva essere facilmente mobilizzato dal biofilm trattandolo con socio dodecilsolfato (SDS) mentre ciò non accadeva con la variante selvaggia, segno che non sono i polisaccaridi a stabilizzare le cellule batteriche all interno del biofilm CAPACITÀ DELL EPS DI INGLOBARE COMPOSTI CHIMICI È dimostrato che la EPS è in grado di inglobare e trattenere come una spugna molti nutrienti derivanti dal contatto con gli alimenti o prodotti dai microrganismi stessi. Alcuni esopolisaccaridi possono adsorbire e legare ioni positivi, ioni di metalli tossici e altre sostanze che entrano in contatto con il biofilm. Questa capacità di trattenere varie sostanze si rivela essenziale e strategica nel caso dei biofilm che si sviluppano in ambienti acquatici o nei bioreattori perché gli ioni e le molecole così sottratte dal biofilm sono metabolizzate più velocemente dai batteri e ciò accelera la purificazione delle acque EPS E PERDITA DI ACQUA Un altra proprietà della EPS è quella di preservare i batteri dall essiccamento ossia da una pericolosa perdita di acqua che potrebbe uccidere la cellula. Molti polisaccaridi, infatti, sono in grado di formare un gel con grande capacità di trattenere i liquidi. Si è dimostrato che diminuendo la disponibilità di acqua libera si favorisce un aumento della sintesi della EPS; ciò potrebbe essere una delle spiegazioni per la sopravvivenza di molte specie di batteri Gram negativi sulle superfici di lavoro delle industrie alimentari, periodicamente soggette a un intensa perdita di acqua per evaporazione. È noto che i batteri Gram negativi sono molto più sensibili dei Gram positivi alla penuria di acqua nell ambiente che li circonda e l esistenza dei biofilm ne spiega l aumento di resistenza apparentemente inspiegabile ADATTAMENTO DEI BATTERI DEI BIOFILM ALLE SOLLECITAZIONI AMBIENTALI AVVERSE Nelle industrie alimentari i biofilm microbici devono superare una serie di condizioni disagevoli o decisamente stressanti, rappresentate dalla carenza di nutrienti, dal contatto con vari agenti chimici e dalla periodica carenza di acqua. Sappiamo per esempio che i pavimenti sono uno dei maggiori punti in cui si può trovare L. monocytogenes nelle industrie alimentari; nei caseifici, però, i pavimenti sono sempre

8 piuttosto acidi, per la presenza dei residui di siero di caseificazione, eppure il batterio è sovente ancora rinvenibile, verosimilmente per il fatto che esso è riuscito ad adattarsi alle condizioni stressanti imposte dalla lavorazione specifica. È stato dimostrato che cellule di L. monocytogenes adattate alle condizioni di acidità possono sopravvivere per oltre 90 minuti in soluzioni a ph 3,0. Per il concetto dell aumento di resistenza eterologo in caso di stress subletali come questo, questo adattamento può inoltre favorire ulteriormente la sopravvivenza del batterio anche in altre situazioni stressanti, compresi i trattamenti di sanificazione ROBUSTEZZA DELL ADESIONE DELLE CELLULE MICROBICHE NEL BIOFILM Sappiamo ancora poco sui meccanismi che regolano la forza dell adesione delle cellule microbiche all interno di un biofilm, anche perché non è stato ancora del tutto chiarito il ruolo che giocano in questa adesione composti come i polisaccaridi della EPS. Quello che sappiamo è che la tenacia con la quale un biofilm aderisce alla superficie di lavoro aumenta proporzionalmente col passare del tempo, ossia man mano che il biofilm invecchia e che dipende anche dalla natura del substrato di adesione. Si può facilmente erodere in parte un biofilm, facendo scorrere un liquido sulla superficie; così facendo si dilava una parte della flora microbica presente nel biofilm, ma la frazione di cellule microbiche che si riesce a staccare è trascurabile rispetto a tutte quelle presenti, per cui con un semplice lavaggio non si riduce quasi di nulla la carica microbica iniziale. È impossibile staccare tutti i microrganismi adesi a una determinata superficie con un biofilm se prima non si riesce a devitalizzarli. Il segreto sta quindi nell eliminazione della matrice EPS che avvolge i microrganismi RESISTENZA AI SANIFICANTI Per staccare un biofilm dalla sua superficie di adesione non c è niente di meglio dell acqua; è dimostrato che i composti acidi non hanno effetto, da questo punto di vista e che anche i composti alcalini hanno un efficacia relativa. Su biofilm artificiali realizzati in laboratorio si è accertato che un trattamento con i principali composti alcalini utilizzati dall industria per la detersione riescono a mobilizzare dal 10% al 90% delle cellule microbiche da un biofilm che ne conteneva inizialmente circa 10 7 ufc/cm 2. Tuttavia, ripetendo le prove con un detergente alcalino clorato non si sono ottenuti risultati significativi su un biofilm presente sul pavimento di un caseificio, nemmeno nell arco di 4 settimane di trattamento RESISTENZA AI COMPOSTI ANTIMICROBICI La maggiore caratteristica dei biofilm è costituita dall aumento di resistenza che le cellule microbiche inglobate nella matrice organica e adese alle superfici di lavoro fanno registrare rispetto alle cellule consimili libere di nuotare nell ambiente esterno (quelle che possiamo definire cellule planctoniche). Questo aumento di resistenza è documentato da una serie di ricerche sperimentali e permette ai batteri di sopravvivere per giorni e settimane adesi a una superficie, anche con regolari operazioni di sanificazione. L aumento di resistenza si registra pochi minuti dopo che al cellula microbica ha aderito alla superficie, prima ancora che sia inglobata da una quantità apprezzabile di EPS e si annulla quando la cellula si svincola dal biofilm e torna libera in un liquido. L aumento di resistenza dipende anche dalla natura dell agente disinfettante. I disinfettanti come i sali d ammonio quaternari o i composti anfoteri fanno segnare un consistente calo di efficacia contro i microrganismi inglobati in un biofilm rispetto alle

9 cellule libere nel mezzo. Invece, i fenoli hanno la medesima efficacia contro Pseudomonas aeruginosa sia in biofilm che libera nel mezzo. La natura del substrato al quale il biofilm aderisce influenza fortemente l efficacia antimicrobica dei disinfettanti in genere, almeno a quanto è dato desumere dalla prove di laboratorio su biofilm artificiali. Si sa, per esempio, che le superfici in acciaio si possono disinfettare molto più facilmente di qualunque altro tipo di materiale, compresi alluminio e polimeri plastici. Fino a qualche tempo fa si riteneva che la matrice EPS facesse da barriera e che ostacolasse le diffusione del biocida al suo interno, proteggendo i batteri, ma attualmente una simile teoria è messa in discussione perché oggi sappiamo che l architettura di un biofilm può anche favorire questo effetto biocida. È vero comunque che i polisaccaridi e le proteine che formano la EPS possono in qualche caso reagire chimicamente con l agente disinfettante. Per esempio, i composti proteici al suo interno e le proteine che fanno parte dei residui di alimenti intrappolati nel biofilm possono reagire con i composti clorati provocando un calo della concentrazione di cloro attivo che si libera e quindi ad un calo della sua efficacia. È un aspetto di notevole interesse, visto che i detergenti e i disinfettanti alcalini clorati sono largamente impiegati nelle procedure di sanificazione delle industrie alimentari. L elevata resistenza ai disinfettanti dei batteri è spiegabile con la fase di vita latente in cui sovente si chiudono i batteri che si trovano negli strati più profondi del biofilm. A sua volta, l induzione di questa fase di vita latente, nei batteri che si trovano negli strati più profondi del biofilm, si fonda su due dati di fatto: (1) negli strati più profondi del biofilm arrivano quantità ridotte di ossigeno e di nutrienti perché questi sono consumati in buona parte dai batteri presenti negli strati più superficiali sovrastanti, (2) le cellule che nascono da cellule in fase di sofferenza e di carenza nutritiva risultano in genere più resistenti delle consimili alle sollecitazioni avverse, compresi i disinfettanti. In conclusione, l aumento di resistenza ai disinfettanti è essenzialmente da attribuire a modificazioni della fisiologia dei batteri adesi alle superficie rispetto alle cellule che nuotano libere nel mezzo esterno. L aumento di resistenza può estendersi anche al fenomeno dell antibiotico-resistenza: un recente lavoro ha dimostrato che le cellule sessili di E. coli diventano più facilmente antibiotico-resistenti delle loro consimili. In queste cellule immobilizzate si è rilevato un calo dell espressione della proteina porina nelle cellule di E. coli che manifestavano un aumento di resistenza nei confronti degli antibiotici beta-lattamici. La porina è una proteina che facilita la penetrazione di varie molecole dall esterno della cellula batterica verso il suo citoplasma, compresi gli antibiotici beta-lattamici. Una sua carente espressione giustifica quindi l aumento di resistenza. 5. Come ridurre la formazione di biofilm 5.1. SOTTRAZIONE DI ACQUA Il sistema migliore per impedire o almeno limitare la formazione di biofilm è costituito dal mantenere il più possibile asciutte le superfici di lavoro e quelle degli utensili nonché l umidità atmosferica STRUTTURA DELLE SUPERFICI DI LAVORO

10 Le superfici di lavoro dovrebbero sempre essere costituite da materiali non porosi; di conseguenza, sono da escludere materiali come il cemento che è poroso. Anche il legno si è fatto una brutta fama per la sua porosità, ma ha degli indubbi vantaggi, tra i quali vanno citati almeno: 1) l effetto frenante nei confronti delle lame dei coltelli (sul legno i coltelli scivolano molto meno e quindi aumenta il grado di sicurezza degli operatori) 2) l adsorbimento di batteri lattici che favorisce la maturazione di prodotti quali i formaggi stagionati. I materiali che formano le superfici di lavoro dovrebbero sempre essere il più possibile lisci, non scabri, e senza infossamenti o fessurazioni. Per esempio, i pavimenti in resine sintetiche sovente presentano una serie di piccoli fori, visibili con lente di ingrandimento, che non sono utili per limitare l inquinamento microbico OPERAZIONI DI DETERSIONE E DISINFEZIONE I biofilm sono sempre difficili da eliminare, per cui nelle operazioni di sanificazione assume un importanza determinante la fase di detersione con asportazione meccanica del biofilm. La disinfezione deve sempre seguire la detersione, anche se questa è stata condotta ad arte, perché ci può sempre avere bisogno di inattivare alcuni batteri rimasti ancora vitali sulla superficie detersa, ma deve essere condotta spesso perché i batteri patogeni di recente introduzione possono essere colpiti più facilmente quando non hanno ancora potuto sviluppare la resistenza di quelli presenti nei biofilm da svariate settimane. Tra i vari composti, la soda caustica è un ottimo composto per eliminare la materia organica ed è molto efficace nei confronti dei batteri Gram negativi, ma non lo è quasi per niente nei confronti del Gram positivi. Anche i disinfettanti clorati e il perossido di idrogeno risultano efficaci, almeno con prove condotte in laboratorio. 6. LISTERIA MONOCYTOGENES NEI BIOFILM Listeria monocytogenes è uno dei microrganismi patogeni per l uomo più nettamente ubiquitari nell ambiente. Nelle industrie alimentari essa trova sovente condizioni ideali per annidarsi e proliferare, trasformando le superfici di lavoro più disparate e gli stessi utensili in vere e proprie nicchie di proliferazione. Da questi focolai di proliferazione il batterio è poi in grado di diffondere e di inquinare materie prime, semilavorati e soprattutto i prodotti finiti pronti per la vendita. Una volta che il batterio è riuscito a penetrare dall esterno nei locali di produzione insieme con le materie prime crude, ma sovente anche per mezzo di vettori passivi tra cui l uomo stesso, è molto difficile eradicarlo e nemmeno le normali operazioni di detersione e disinfezione sono in grado di eliminarlo. Fino a qualche anno fa non si riusciva a trovare una spiegazione soddisfacente a questo comportamento; oggi sappiamo che sono proprio i biofilm il sistema grazie al quale L. monocytogenes è in grado di persistere negli ambienti di lavoro e di resistere anche ai trattamenti con disinfettanti. Negli ultimi tempi in letteratura si sono accumulate indicazioni abbastanza specifiche sul tema L. monocytogenes nei biofilm. È raro che si formino biofilm di sola L. monocytogenes; il più delle volte il batterio aderisce a una superficie e dà origine a un biofilm in associazione con altri batteri, anche in base al tipo di flora microbica che con cui si trova a condividere l ambiente di lavoro (vedi quanto riassunto in Tab. 1).

11 Capita sovente che L. monocytogenes si associ a batteri Gram negativi quali Pseudomonas e/o Flavobacterium spp. Questa convivenza non è assolutamente casuale; si forma perché L. monocytogenes ottiene dei vantaggi dall associazione con questi due generi batterici tendenzialmente saprofiti. Bremer e coll. (2001) hanno dimostrato che L. monocytogenes, inserita in un biofilm insieme a Flavobacterium riesce ad aderire all acciaio meglio di quanto non faccia quando è da sola. Non solo: le cellule riescono a sopravvivere per tempi più lunghi, quando non sono da sole. Con buona fondatezza di dati si può quindi ipotizzare che questo tipo di associazione microbica stimoli L. monocytogenes a sviluppare meglio le sue caratteristiche di resistenza. I francesi Carpentier e Chassaing (2004) hanno isolato e identificato 29 ceppi batterici differenti da biofilm presenti su varie superfici di lavoro all interno di industrie alimentari, al termine delle normali operazioni di sanificazione. Successivamente hanno creato artificialmente un biofilm e vi hanno inserito di volta in volta uno dei ceppi isolati associandolo sistematicamente con un ceppo di L. monocytogenes. Lo scopo era di studiare l influenza che il primo ceppo, saprofita, poteva avere su L. monocytogenes all interno del biofilm. Gli studiosi hanno dimostrato che 16 dei 29 ceppi microbici da essi isolati inducevano un calo della carica microbica complessiva nel biofilm mentre 4 avevano un effetto positivo sull adesività di L. monocytogenes alle superfici in acciaio. Alcune ricerche hanno dimostrato che i ceppi di L. monocytogenes non sono tutti ugualmente abili nel formare biofilm e nell aderire alle superfici di lavoro (fra i molti autori cito qui Borucki et al., 2003 e Gandhi e Chikindas, 2007). Chae e Schraft (2000) hanno studiato l adesione alle superfici di vetro di 13 ceppi di L. monocytogenes, studiando le differenze di adesività e di sopravvivenza all interno dei biofilm specifici. Le cariche batteriche specifiche rilevate nei singoli biofilm risultavano molto differenti fra loro; ciò ha portato gli autori a concludere che ci sono significative differenze tra singoli ceppi di L. monocytogenes per quanto riguarda la capacità di aderire al vetro. Kalmokoff e coll. (2001), invece, hanno cercato di stabilire se all interno della specie L. monocytogenes sussistono differenze di adesività alle superfici in acciaio inossidabile. Gli autori sono riusciti a dimostrare che queste differenze non riguardano i vari sierotipi, quanto piuttosto i singoli cloni microbici. I risultati ottenuti da questi ricercatori sono stati in parte sconfessati da Borucki e coll. (2003) i quali hanno dimostrato una maggiore tendenza a formare biofilm nei sierotipi 1/2a e 1/2c di L. monocytogenes e nei ceppi isolabili con persistenza dagli impianti di lavorazione del latte rispetto ai ceppi a insediamento non persistente in azienda. È evidente che vi sono correlazioni tra le caratteristiche genomiche e di fisiologia dei singoli ceppi. È opportuno annotare che i sierotipi citati non sono quelli in assoluto prevalenti come causa di listeriosi umana. Secondo Midelet e Carpentier (2002) L. monocytogenes tende ad aderire con maggiore facilità sui polimeri di plastica che sul metallo e ciò vale per tutti i ceppi di listeria considerati. In generale, il batterio dimostra capacità di adesione superiori a quelle di qualsiasi altro microrganismo. Questa capacità comporta uno svantaggio notevole per i produttori di alimenti: quanto più il batterio aderisce facilmente a una superficie tanto più difficile sarà eliminarlo con la sanificazione. In altri termini, la disinfezione contro L. monocytogenes è più complessa e difficile nel caso delle superfici in plastica PVC che non in quelle di acciaio. Molte ricerche sperimentali riguardano i possibili sistemi per eliminare efficacemente L. monocytogenes dalle superfici di lavoro delle industrie alimentari. Norwood e Gilmore (2000) hanno dimostrato che per eliminare L. monocytogenes da una superficie di lavoro, quando il batterio vi è adeso sotto forma di biofilm, occorrono almeno 1.000

12 ppm di cloro libero emesso da un composto clorato lasciato agire per non meno di 20 minuti. Per devitalizzare le stesse cellule microbiche in fase planctonica, invece, sono sufficienti 10 ppm di cloro libero per 30 secondi. Somers e Wong (2004) hanno condotto studi per verificare l inattivazione di L. monocytogenes da parte di due differenti combinazioni di detergente e disinfettante. La prima combinazione era costituita da un detergente clorato alcalino e un sanificante peracido; la seconda era costituita da un detergente alcalino per ambienti e da ipoclorito come disinfettante. La sperimentazione è stata condotta con dei biofilm artificiali creati in laboratorio su vari tipi di materiali di plastica e metallo utilizzati dall industria. Entrambi i detergenti hanno dato origine a risultati analoghi. Per quanto riguarda i disinfettanti, invece, il composto peracido si è rivelato praticamente inefficace: la prima associazione riusciva a eliminare L. monocytogenes nel 50% delle superfici trattate mentre con la seconda combinazione si arrivava a un efficacia di oltre l 86%. Chmielwski e Frank (2004) hanno dimostrato che l uso di acqua calda a opportuna temperatura e per il giusto tempo permetterebbe di ottenere risultati paragonabili ai precedenti. Zhao e coll. (2004) hanno studiato l efficacia antimicrobica di batteri lattici quali Enterococcus durans e Lactococcus lactis contro L. monocytogenes. Gli autori con le loro prove hanno potuto dimostrare che l aggiunta dei predetti batteri lattici nei biofilm su acciaio è in grado di ridurre di 5 gradi logaritmici una carica iniziale di L. monocytogenes. Riferimenti bibliografici 1. Borucki M.K., Peppin J.D., White D., Loge F., Call D.R. (2003) Variation in biofilm formation among strains of Listeria monocytogenes. Appl. Environm. Microbiol., 69, Bremer P.J., MOnk I., Osborne C.M. (2001) Survival of Listeria monocytogenes attached to stainless steel surfaces in the presence or absence of Flavobacterium spp.. J. Food Protect., 64, Carpentier B., Chassaing D. (2004) Interactions in biofilms between Listeria monocytogenes and resident microorganisms from food industry premises. Int. J. Food Microbiol., 97, Chae M.S., Schraft H. (2000) Comparative evaluation of adhesion and biofilm formation of different Listeria monocytogenes strains Int. J. Food Microbiol., 62, Hefford M.A., D Aoust S., Cyr T.D., Austin J.W., Sanderrs G., Kheradpir E., Kalmokoff M.L. (2005) Proteomic and microscopic analysis of biofilms formed by Listeria monocytogenes 568. Can. J. Microbiol., 51, Kalmokoff M. L., Austin J. W., Wan X. D., Sanders G., Banerjee S., Farber J. M. (2001) Adsorption, attachment and biofilm formation among isolates of Listeria monocytogenes using model conditions. J. Appl. Microbiol., 91, Midelet G., Carpentier B. (2002) Transfer of microorganisms, including Listeria monocytogenes, from various materials to beef. Appl. Environm. Microbiol., 68, Norwood D. E., Gilmore A. (1999) Adherence of Listeria monocytogenes strains to stainless steel coupons. J. Appl. Microbiol., 86, Robbins J.B., Fisher C.W., Moltz A.G., Martin S.E. (2005) Elimination of Listeria monocytogenes biofilms by ozone, chlorine, and hydrogen peroxide. J. Food Protect., 68,

13 10. Somers E. B., Wong A. C. L. (2004) Efficacy of two cleaning and sanitizing combinations on Listeria monocytogenes biofilms formed at low temperature on a variety of materials in the presence of ready-to-eat meat residue. J. Food Prot. 67, Zhao, T., M. P. Doyle, and P. Zhao (2004) Control of Listeria monocytogenes in a biofilm by competitive-exclusion microorganisms Appl. Environ. Microbiol., 70,

14 Tabella 1 Flora microbica isolata da biofilm di vari tipi di industrie alimentari, in ordine decrescente di prevalenza dal genere più rappresentato a quello meno rappresentato. Industria di carni Prodotti da forno Prodotti lattiero-caseari Pseudomonas Lieviti Pseudomonas Staphylococcus Corynebacterium Staphylococcus Enterobacter Leuconostoc Flavobacterium Pseudomonas Lieviti Staphylococcus Kluyvera Aerococcus Achromobacter Acinetobacter Muffe Da Mettler e Carpentier, 1998, modificata

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