RELAZIONE INTRODUTTIVA AL CONVEGNO SULLE «DIRETTIVE ANTICIPATE DI TRATTAMENTO» Padova 22 ottobre 2004

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1 RELAZIONE INTRODUTTIVA AL CONVEGNO SULLE «DIRETTIVE ANTICIPATE DI TRATTAMENTO» Padova 22 ottobre 2004 di Fabrizio Turoldo Coordinatore del Progetto Etica e Medicina, Fondazione Lanza PERCHÉ QUESTO CONVEGNO? Il dibattito sulle «direttive anticipate di trattamento» si è, da qualche tempo, particolarmente intensificato. Le ragioni della particolare attenzione che questo tema va riscuotendo sono molteplici e vorrei brevemente richiamarle, per spiegare le motivazioni che hanno spinto la Fondazione Lanza ad organizzare questo convegno, in questo particolare frangente: 1. Il 4 aprile del 1997 i paesi membri del Consiglio d Europa hanno firmato ad Oviedo la Convenzione per la protezione dei diritti dell uomo e la dignità dell essere umano riguardo le applicazioni della biologia e della medicina. L articolo 9 di tale convenzione stabilisce che «i desideri precedentemente espressi da un paziente riguardo ad un intervento medico, devono essere tenuti in considerazione, anche se il paziente, al momento dell intervento, non è in grado di manifestare la propria volontà». 2. Le linee guida della Convenzione di Oviedo si sono concretizzate attraverso provvedimenti legislativi che, in alcuni paesi europei, hanno legalizzato i testamenti biologici. 3. Nel 2001 il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione di Oviedo, attraverso la legge 145/ Il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato, il 18 dicembre 2003, un apposito Documento sulle direttive anticipate di trattamento, di cui in seguito ci parlerà il prof. Demetrio Neri, membro del CNB, che è stato uno degli ispiratori del documento. Il documento del CNB, come si vedrà, si conclude con l auspicio dell approvazione di una legge in materia. Una tale legge, osserva il CNB, «servirebbe a dare sostegno giuridico alla pratica delle direttive anticipate, aiuto ai medici e certezze ai pazienti». 5. Il nuovo Codice di Deontologia Medica, approvato nel 1998, all articolo 32 afferma che «il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l acquisizione del consenso informato del paziente» e, al successivo articolo 34, sostiene che «il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso». 6. La Costituzione italiana riconosce, all articolo 32, il diritto al rifiuto delle cure. La mancanza di una legge sulle direttive anticipate, però, fa sì che questo diritto costituzionale risulti solo parzialmente garantito. Due casi di cronaca, verificatisi a breve distanza di tempo, hanno messo bene in luce, agli occhi dell opinione pubblica, tale contraddizione. Il primo caso riguardava una signora che aveva rifiutato l amputazione di una gamba affetta da cancrena, andando in questo modo incontro alla morte. Il secondo caso riguardava invece una testimone di Geova condotta urgentemente in ospedale in stato di incoscienza. Le sue condizioni richiedevano un immediata trasfusione di sangue, ma la signora teneva in tasca un foglietto in cui chiedeva di non essere sottoposta a trasfusioni di sangue, perché tale pratica non era consentita dalla sua religione. I medici si trovarono così di fronte ad un grave dilemma: il foglietto era privo di qualsiasi valore legale e, tuttavia, testimoniava in modo incontrovertibile la volontà della donna. Alla fine i medici dovettero praticare la trasfusione, per non rischiare di essere incriminati per omissione di soccorso. L opinione pubblica, però, si chiedeva: «perché ad un paziente in stato di incoscienza non è concesso il diritto costituzionale di rifiutare le cure che egli ha diritto a rifiutare se è cosciente?». Una tale contraddizione potrà essere risolta solo con l approvazione di una legge sulle direttive anticipate, legge che consentirà la piena realizzazione del dettato costituzionale su tale tema. 7. Sono stati presentati in Parlamento vari disegni di legge in materia di «direttive anticipate di trattamento». Ora la Commissione Igiene e Sanità del Senato sta esaminando le varie proposte per giungere ad un testo unico. Per questo abbiamo invitato a parlare, nella seconda parte della giornata, il senatore Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e Sanità, il senatore Antonio Del Pennino, autore di una proposta di legge in materia di direttive anticipate di trattamento e, infine, il senatore Francesco Salzano, che è il relatore in commissione del disegno di legge unificato sulle direttive anticipate. Dalle prime anticipazioni sembra che questa legge escluderà sia l accanimento terapeutico che l eutanasia, garantendo invece a tutti il diritto di esprimersi in questioni relative alle cure sanitarie e alle modalità di trattamento del proprio corpo. Più precisamente, la legge consentirà al paziente di esprimersi su seguenti aspetti: a) le cure che Copyright 2004 Fondazione Lanza 1/5

2 dovranno essere o meno attivate; b) l applicazione di misure di mantenimento in vita in stato vegetativo permanente (attraverso alimentazione e respirazione artificiale); c) il tipo di trattamenti palliativi e le terapie analgesiche da adottare; d) la disponibilità a donare gli organi e a concedere che il cadavere possa essere utilizzato per eventuali scopi scientifici; e) le misure da adottare a proposito dell assistenza religiosa, della sepoltura o della cremazione e così via. Su questo tema, comunque, saranno molto più precisi i politici, che prenderanno la parola a conclusione di questa giornata di studi. LA FILOSOFIA DELLE DIRETTIVE ANTICIPATE DI TRATTAMENTO: TRA AUTONOMIA E RELAZIONE La questione delle direttive anticipate di trattamento e dei testamenti biologici, si inserisce all interno del tema più generale dell autonomia del paziente. Autonomia che costituisce una conquista molto recente, contro un atteggiamento paternalistico che ha caratterizzato per molti secoli la professione medica. Un tale paternalismo non è più accettabile oggi per una duplice serie di motivi: 1) La medicina ha subito una rivoluzione interna che l ha condotta a ripensare le sue basi epistemologiche e, di conseguenza, il modo di intendere il rapporto medico-paziente. La vecchia logica clinica era determinista e stabiliva una relazione necessaria tra l eziologia, la specie morbosa e la cura della malattia. Questa impostazione conduceva inevitabilmente al paternalismo, perché il medico credeva di sapere molto bene quello che doveva fare e di non avere alcuna necessità di consultarsi con il paziente. Più recentemente invece la logica determinista è stata sostituita, in medicina, da una logica probabilistica e statistica. Oggi si ritiene infatti che per la gran parte delle malattie molte siano le cause possibili e, di conseguenza, che molte siano anche le cure adottabili. I casi che escono dalle vecchie norme deterministe risultano essere sempre più frequenti, al punto che l eccezione, ossia il caso dubbio, diventa sempre più la regola. Il medico è costretto a prendere delle decisioni in situazioni di incertezza, basandosi, perlopiù, sul calcolo delle probabilità. Stando così le cose, si rende assolutamente necessario coinvolgere nella cura gli stessi pazienti, esponendo loro un ventaglio di possibilità diagnostiche, di prognosi e di terapie sul caso, in modo che essi stessi diventino responsabili, assieme al medico, di una scelta che per forza di cose è sempre rischiosa. 2) Il principio di autonomia, inizialmente estraneo alla tradizione e alla pratica medica, ne è venuto progressivamente a far parte attraverso molte sentenze giudiziali aventi per oggetto la pratica clinica. La scienza del diritto e la pratica giuridica hanno saputo accogliere per prime il principio di autonomia e hanno saputo trasferirlo progressivamente anche ad altri campi, tra cui quello medico. Tale processo di trasferimento del principio di autonomia dall etica giuridica a quella medica è stato particolarmente intenso nella seconda metà dell 800, quando la comparsa dell anestesia chirurgica ha iniziato a sollevare gravi problemi di consenso informato. L anestesia chirurgica, infatti, veniva inizialmente usata non solo per evitare il dolore, ma anche per vincere la resistenza dei malati contro le operazioni. I medici del secolo scorso, com è infatti noto, ritenevano che il rifiuto di una cura efficace manifestasse la palese incompetenza del paziente e che, dunque, fosse lecito procedere, per il bene di quel paziente, contro la sua volontà. Nello scorcio finale dell 800 i tribunali americani si videro letteralmente assediati dalle denunce di pazienti che si ritenevano vittime involontarie della chirurgia. Agli inizi del 900 si era posto il problema delle vaccinazioni obbligatorie, con i conseguenti conflitti morali relativi all autonomia. Alcuni paesi, inoltre, sempre nella prima metà del 900, avevano proceduto alla sterilizzazione obbligatoria dei ritardati mentali, sollevando ulteriori conflitti e discussioni sul tema dell autonomia. Il fatto, comunque, che decise in modo irreversibile dell imprescindibilità del diritto all autonomia fu il flagello nazista, che si abbatté, con tutta la sua violenza ed i suoi orrori, nell Europa degli anni 30 e 40. Al processo di Norimberga (1946) vennero posti all attenzione della comunità internazionale anche i terribili casi di esperimenti su esseri umani condotti nei campi di concentramento nazisti. Sul banco degli accusati, assieme ai gerarchi nazisti, sedevano infatti anche 20 medici. Durante il processo, allora, emerse, con sempre maggiore chiarezza, il carattere cruciale della regola del consenso informato fornito dal paziente, a salvaguardia del valore imprescindibile della sua autonomia. Alla fine del processo la Corte fissò alcuni principi fondamentali, che entrarono a far parte del cosiddetto «Codice di Norimberga», al cui primo punto si trova scritto che «il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente imprescindibile». Sul tema dell autonomia, data la sua stretta pertinenza al tema delle direttive, interverranno, più approfonditamente, i tre relatori che seguiranno in questa mattinata. Il prof. Carmelo Vigna ci offrirà un quadro del dibattito filosofico sul tema, mentre il prof. Demetrio Neri ci illustrerà il ruolo che svolge il principio di autonomia nel documento del CNB sulle direttive anticipate di trattamento ed, infine, il prof. Antonio Autiero tratterà dell educazione alla gestione dell autonomia, nel quadro dell orientamento etico alle scelte di fine vita. Quest ultimo tema è particolarmente importante, perché non è vero che le persone nascono già formate ed autonome, esse, al contrario, emergono da un complesso di interazioni con i loro Copyright 2004 Fondazione Lanza 2/5

3 simili. L autonomia, allora, andrebbe concepita in termini relazionali e sarebbe oltremodo necessario iniziare a discutere di «educazione all autonomia». Credo che questa cifra, di un autonomia relazionale, possa costituire il filo conduttore anche delle prossime relazioni. Si tratta di un tema caro sia a Carmelo Vigna che ad Antonio Autiero, tema che costituisce anche uno dei punti focali del documento che ci illustrerà Demetrio Neri. Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica si esprime infatti in modo molto efficace questa logica della reciprocità. «Le dichiarazioni anticipate di trattamento», osserva infatti il CNB, «tendono a favorire una socializzazione dei momenti più drammatici dell esistenza e ad evitare che l eventuale incapacità del malato possa indurre i medici a considerarlo, magari inconsapevolmente e contro le loro migliori intenzioni, non più come una persona con cui concordare il programma terapeutico ottimale, ma soltanto come un corpo, da sottoporre ad anonimo trattamento». Le direttive anticipate, continua ancora il documento del CNB, «mirano a rendere possibile un rapporto personale tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame tra la solitudine di chi non può esprimersi e la solitudine di chi deve decidere» «È come se», conclude infine il CNB, «grazie alle dichiarazioni anticipate, il dialogo tra medico e paziente idealmente continuasse anche quando il paziente non possa più prendervi consapevolmente parte». Le dichiarazioni costituiscono un ponte umano gettato tra la solitudine di chi non può esprimersi e la solitudine di chi deve decidere. Il malato può compilare le direttive con l aiuto di qualche familiare, di un volontario o del personale sanitario e questo può favorire nel malato la narrazione del proprio vissuto, narrazione di cui il malato ha estremo bisogno e che non viene certo favorita nelle attuali condizioni del nostro sistema sanitario. La narrazione del paziente ha, almeno dal punto di vista soggettivo, un significato terapeutico. La capacità di portare la malattia a livello del linguaggio si contrappone all insignificanza e all isolamento. Parlare della malattia è un atto catartico. COME REALIZZARE OPERATIVAMENTE QUESTA FILOSOFIA? Tom Premergast, in un articolo pubblicato nel 2001 in «Critical Care Medicine», riporta il caso di un tentativo riuscito, tra tanti altri meno fortunati, di introdurre le direttive anticipate nella pratica medica. Il caso in questione è quello della contea di Lacross, nel Winsconsin, dove, nel periodo oggetto di osservazione, l 85% dei pazienti risultavano aver stilato delle dichiarazioni 1 o 2 anni prima della morte (i decessi presi in esame erano 540). Inoltre, il 95% di queste dichiarazioni risultavano presenti nelle cartelle cliniche e il 98% delle morti erano state precedute da qualche limitazione terapeutica, secondo le indicazioni dei pazienti. Com è stato possibile ottenere un tale successo? Innanzitutto si trattava di una piccola comunità, omogenea, dove i rapporti tra i 4 ospedali e tra gli ospedali e il territorio risultavano molto buoni. Ma il fattore che ha più inciso, è rappresentato senza dubbio dalla modalità attraverso cui le dichiarazioni sono state presentate e sottoposte alla popolazione. I promotori della pianificazione della cura intendevano le direttive come uno strumento per favorire e facilitare le discussioni relative ai valori e alle preferenze. Il luogo della discussione veniva spostato dall ospedale alla comunità e alla famiglia, con l aiuto di volontari adeguatamente formati a questo compito. Non era il medico a chiedere: «che cosa vuoi che ti faccia e cosa preferisci che io eviti di fare?», ma erano dei volontari, non medici, a chiedere: «come puoi aiutare i tuoi familiari, i tuoi cari, quelli che ti vogliono bene, a prendere le decisioni migliori per te?». Ciò su cui si faceva leva non era tanto il principio di autonomia, quanto piuttosto il tema delle buone relazioni personali. I volontari, poi, lavoravano in stretto contatto con i medici e con gli ospedali, allo scopo di garantire la presenza delle direttive anticipate nelle cartelle cliniche dei pazienti. L aver lavorato nelle comunità e nelle famiglie aveva comunque garantito un risultato eccezionale: l 85% dei pazienti avevano stilato delle dichiarazioni, contro una media del 25-30% ottenuta nel corso di altri tentativi analoghi. LA CONTROVERSA QUESTIONE RELATIVA ALLA SOSPENSIONE DELL ALIMENTAZIONE E DELL IDRATAZIONE ARTIFICIALE Il documento del CNB sulle direttive anticipate di trattamento costituisce una sintesi equilibrata delle diverse posizioni dei suoi membri ed un ottimo esempio di mediazione, che ha prodotto il risultato di far parlare il comitato con una voce che è al tempo stesso unica e rispettosa delle differenze. C è un solo punto su cui il documento registra una divergenza incomponibile di posizioni tra due schieramenti contrapposti, questo punto riguarda l ammissibilità di direttive relative alla sospensione di trattamenti di sostegno vitale, quali l alimentazione e l idratazione artificiale. È dunque opportuno che la questione venga approfondita, per poterla sottoporre al dibattito dell assemblea e per poterne cogliere tutte le implicanze. Tale questione risulta particolarmente delicata anche per un altro motivo: il documento del CNB esclude l eutanasia e distingue con molta cura il campo delle direttive anticipate dalla controversa questione dell eutanasia. Allo stesso tempo in Parlamento è presente un ampio accordo tra le forze politiche relativamente alle direttive anticipate, mentre c è grande disaccordo a proposito di eutanasia. Per questo, se una legge ci sarà, essa riguarderà solo le direttive anticipate e non l eutanasia. Il grosso Copyright 2004 Fondazione Lanza 3/5

4 problema, dunque, è proprio quello dei trattamenti di sostegno vitale perché, secondo alcuni, la possibilità di stilare direttive anticipate relative alla sospensione dell alimentazione e dell idratazione artificiale, introduce l eutanasia all interno delle direttive anticipate, dato che l alimentazione e l idratazione non costituiscono trattamenti sanitari. Insomma, una «piccola eutanasia», introdotta surrettiziamente, come Cavallo di Troia all interno della legge sulle direttive anticipate. Esaminiamo, allora, più da vicino la questione. Chi è contrario a direttive che possano richiedere anche la sospensione dei trattamenti osserva che: 1. L alimentazione e l idratazione artificiale non richiedono l impiego di sofisticati sistemi tecnologici e, dunque, non costituiscono mezzi straordinari, bensì mezzi del tutto ordinari. 2. Il nutrire non costituisce un trattamento medico, ma un normale trattamento infermieristico, equivalente a girare regolarmente un paziente o fornirgli delle frizioni con l alcool. Inoltre, il suo valore simbolico è di gran lunga superiore a quello di altri trattamenti infermieristici. 3. Il nutrire si differenzia dal curare, così come produrre cibo di cui forse si nutriranno anche dei soldati si differenzia dal combattere. La ragione è che chi produce cibo non produce quello di cui i soldati necessitano per combattere, ma solo quello di cui necessitano semplicemente per vivere. Diversamente accadrebbe, invece, se si considerassero i produttori di armi. 4. I pazienti in stato vegetativo permanente, a cui, secondo alcuni, potrebbero essere sospesi i trattamenti di sostegno vitale, non sono pazienti morenti. Queste osservazioni risultano in gran parte condivisibili, anche se la questione, ad uno sguardo più approfondito, risulta più complessa. Vediamo perché: La distinzione tra mezzi ordinari e straordinari andrebbe sempre rapportata al paziente, perché ciò che è ordinario per una determinata persona, ad un certo punto della sua vita, ad un certo stadio dell evoluzione della sua malattia, può non esserlo per un altra persona, o può non esserlo per la stessa persona in circostanze diverse. Sarebbe dunque preferibile parlare di mezzi proporzionati o sproporzionati, dove la proporzione o la sproporzione è sempre definita in relazione alle condizioni in cui si trova il paziente. Tuttavia, anche i termini «sproporzionato» e «proporzionato», non sono chiari e precisi. Su quale scala si possono misurare benefici e vincoli? Si può fare questo confronto al posto di un altro? In realtà quando facciamo questa scelta non stiamo misurando nulla, stiamo semplicemente decidendo che tipo di persona vogliamo essere e che tipo di vita vogliamo vivere. Provo a spiegarmi meglio: Nessuno ha l obbligo di vivere in un modo che miri ad assicurare la vita più lunga possibile. Se questo fosse un obbligo morale, molte tipologie di lavoro, di hobby, di sport, sarebbero proibite. Non sarebbe moralmente lecito sottoporsi ad un forte stress, nemmeno per realizzare qualche fine nobile. Noi, al contrario, in molte circostanze, prevediamo che alcune decisioni che stiamo per prendere possano abbreviare la nostra vita e, ciononostante, nel decidere questo, non riteniamo di avere come obiettivo la morte e non pensiamo di formulare un piano d azione che deliberatamente abbraccia la morte come un bene. Così, nelle decisioni relative al trattamento medico, la domanda a cui dobbiamo rispondere è la seguente: «sotto quali circostanze noi possiamo giustamente rifiutare un trattamento che può prolungare la vita, senza supporre che, prendendo questa decisione, noi stiamo scegliendo la morte?». La risposta è che noi possiamo rifiutare trattamenti che sono inutili o eccessivamente gravosi, senza rifiutare la vita, perché nel fare questo noi non scegliamo la morte, ma solo una delle molte vite possibili. Noi, in questo caso, non scegliamo la morte ma, piuttosto, come vivere, persino se lo facciamo quando stiamo per morire, persino se, tra le varie vite possibili, scegliamo la più breve. Questo è ancor più vero quando un paziente si trova irreversibilmente inserito nel processo di morte e quando quasi tutti i trattamenti sono diventati inutili. Nel rifiutare questi trattamenti un paziente non sceglie la morte, ma sceglie la vita: la vita senza quel tipo di trattamento ormai inutile. Inoltre, è legittimo che non solo i pazienti terminali, ma anche i pazienti che possono vivere per un tempo considerevolmente più lungo, possano rifiutare trattamenti eccessivamente gravosi. Ciò che si rifiuta, in questo modo, è il trattamento gravoso e non la vita. Una persona può scegliere una vita più lunga ed un trattamento gravoso, un altra persona invece sceglie una vita più breve ed un trattamento meno gravoso, ma entrambe scelgono la vita. Chiarito questo punto possiamo allora riprendere la questione dei trattamenti di sostegno vitale e dire che, se l idratazione e l alimentazione artificiale risultano, in certi casi, inutili o eccessivamente gravose, allora possono anch esse venire sospese. È questo il caso, ad esempio, dello stadio finale dell Alzheimer, quando l uso dell alimentazione risulta inutile e, a volte, può anche provocare sofferenze. Uno studio apparso sul «Journal of the American Medical Association» del 1999, dimostra infatti che in questi casi l uso dell alimentazione artificiale tramite sondino nasogastrico non prolunga la vita e non evita complicazioni come, ad esempio, l ab-ingestis. Diversamente, se un medico decide di sospendere i trattamenti di sostegno vitale perché pensa che la vita di una persona sia inutile, allora egli mira direttamente alla vita di quella persona. In altri termini: si può rifiutare un trattamento sulla base di una eccessiva gravosità o della inutilità del trattamento, ma se si decide di non curare perché sembra inutile o gravosa la vita stessa, allora non si Copyright 2004 Fondazione Lanza 4/5

5 sceglie un certo tipo di vita piuttosto che un altra, ma si sceglie la morte. Ciò che dobbiamo chiederci è: «il trattamento risulta inutile?». La domanda non deve essere: «la vita del paziente è forse una vita inutile?». L interrogazione, solitamente, termina sempre ponendo la questione dei malati in stato vegetativo permanente. Questi pazienti possono vivere nel loro stato vegetativo per molti anni e la nutrizione artificiale può preservare per molti anni queste vite. Anche in questo caso dobbiamo chiederci, allora: «il trattamento risulta forse eccessivamente gravoso?». La risposta che ci danno i medici è che i pazienti in stato vegetativo permanente, proprio a causa del loro stato, non possono percepire la nutrizione artificiale come gravosa. Qualcuno potrebbe giudicare la loro stessa vita come gravosa, ma in questo caso veniamo a porci su di un piano diverso: non abbiamo più a che fare solo con le direttive anticipate, ma con l eutanasia. PROBLEMI APERTI Concludo infine elencando alcuni interrogativi ancora aperti, su cui forse si soffermeranno più dettagliatamente i relatori che mi seguiranno: 1) Fino a che punto il medico e l infermiere sono vincolati al rispetto della volontà del malato? Le direttive devono essere, per gli operatori sanitari, vincolanti o solo orientative? 2) Come ovviare all astrattezza dei documenti, che spesso vengono presi in considerazione in un tempo ormai lontano, sia cronologicamente che psicologicamente, rispetto al tempo in cui sono stati stilati?; 3) Il fiduciario è una figura che non esiste nel nostro ordinamento giuridico. L unico riferimento possibile è solo quello alla tutela dei maggiorenni incapaci, ma questa figura di fiduciario è molto diversa, perché ha il ruolo di tutelare la gestione del patrimonio; 4)Molti confini sono labili e il medico si trova spesso costretto ad interpretare i documenti scritti dal malato, perché la medicina è una disciplina probabilistica. La BIOCARD della Consulta di Bioetica prevede, ad esempio, la richiesta di sospensione dei trattamenti quando il loro effetto è soltanto quello di mantenere il paziente in uno stato di incoscienza senza possibilità di recupero. Ma, ci si può chiedere: come fa un medico a stabilire questo con certezza? Wade, in un articolo pubblicato sul «British Medical Journal» del 2001, sostiene che la diagnosi dello stato di incoscienza permanente è probabilistica, perché a volte c è la possibilità che il paziente possa riprendere coscienza. Oltre agli errori di prognosi, ci sono poi gli errori di diagnosi. Di fronte a questi dilemmi si può forse dire che l incertezza di certe prognosi e l impossibilità di evitare del tutto l astrattezza dei documenti costituisce un argomento contro il carattere vincolante e a favore del carattere orientativo dei documenti. Importante, infine, è il ruolo del fiduciario, che può aiutare a superare l astrattezza dei documenti, esplicitando il pensiero del paziente e che può anche rappresentare i suoi interessi di fronte al medico. Copyright 2004 Fondazione Lanza 5/5

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