Occasional Paper. Maggio La sfida della rete L internazionalizzazione come strategia per competere nell economia globale.

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1 Maggio 2008 Occasional Paper La sfida della rete L internazionalizzazione come strategia per competere nell economia globale Paolo Guerrieri Dipartimento di Economia Pubblica - Università degli Studi di Roma La Sapienza Collegio d Europa, Bruges Ufficio Studi

2 Con La sfida della rete. L internazionalizzazione come strategia per competere nell economia globale del Prof. Paolo Guerrieri, continuano la pubblicazione gli Occasional Paper di Finmeccanica, curati dall Ufficio Studi della società. Alla base di questa iniziativa è la consapevolezza di Finmeccanica che tra i suoi compiti istituzionali vi sia anche quello di dare un contributo all approfondimento di temi di interesse generale in ambito economico, tecnologico ed industriale. Attraverso gli Occasional Paper, Finmeccanica intende partecipare concretamente alla formazione di linee di pensiero documentate e stimolare il dibattito fra diversi soggetti, sia nel settore pubblico che in quello privato, con l obiettivo di contribuire alla crescita del Paese ed a renderla più consapevole. Titoli già pubblicati: Una nuova stagione nelle strategie industriali e tecnologiche per la difesa: Il Regno Unito, e oltre, Keith Hayward, ottobre 2007 Imparzialità è un nome altisonante per indifferenza, che è un nome elegante per ignoranza (Gilbert K. Chesterton)

3 Il fenomeno della globalizzazione è fortemente influenzato da cambiamenti tecnologici, che provocano una profonda ristrutturazione dell economia, accrescendo l interdipendenza attraverso l organizzazione di grandi reti globali dei processi produttivi, basate sulla divisione internazionale del lavoro lungo tutta la catena del valore. La globalizzazione presenta pertanto due sfide: una di tipo tecnologico e una a livello di sistema. La crescita dei mercati e del commercio internazionale è trainata da attività ad alto valore aggiunto in grado di remunerare i costi dell alta tecnologia, come l aerospazio e difesa, l energia, la meccanica fine, l elettronica, le ICT e la chimica, che hanno tassi di crescita della domanda mondiale assai più elevati della media e che rappresentano veri e propri motori tecnologici della crescita globale. Le sorti dell economia si decideranno in questi settori di punta, che saranno e in parte già sono il terreno di confronto con i Paesi emergenti, a cominciare da Cina e India, che ormai sono in grado di competere, a costi più bassi, in settori come l aerospazio, l elettronica e la chimica. Si tratta di una sfida strategica per un gruppo come Finmeccanica, che sulla scommessa dell alta tecnologia sta puntando moltissimo. Gli elevati investimenti con alto rischio in ricerca e sviluppo sono sempre più difficili da sostenere in ambito puramente nazionale. Finora, uno dei metodi utilizzati per attrarre i finanziamenti adeguati, ottenendo al tempo stesso trasferimenti di tecnologia dall estero e ricadute tecnologiche per il comparto civile, è stato quello dell adesione ai programmi multilaterali. Ma questo approccio inizia a mostrare i propri limiti. Ad esempio, nei programmi di cooperazione transatlantici nel settore della difesa, i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa degli Stati Uniti rendono difficile agli altri partecipanti l accesso alle tecnologie più sensibili. Gli strumenti offerti dalla ristrutturazione dell economia globale possono permettere, anche a una media potenza come l Italia, di raccogliere i finanziamenti e di distribuire i costi in modo più efficiente. L internazionalizzazione - attraverso gli investimenti diretti esteri e la delocalizzazione delle fasi produttive - può dunque essere un valido strumento per recuperare competitività. Gli investimenti diretti all estero, inoltre, in tempi di dollaro debole ed euro forte, possono costituire un vantaggio per le industrie europee, per poter produrre ai prezzi più competitivi dell area del dollaro e dei Paesi emergenti, non potendo più ricorrere alla svalutazione competitiva, un metodo largamente utilizzato in passato dall Italia, ma che, in seguito all adesione all euro, non è più percorribile. La creazione di reti a livello globale - ottenuta attraverso investimenti diretti e un uso estensivo di tecnologie leganti come le ICT - può essere utilizzata per distribuire i costi di ricerca e sviluppo, concentrando queste attività in aree selezionate ad alta remunerazione dell investimento.

4 Se poi guardiamo all Italia nel suo complesso, la sfida è ancora più difficile. Infatti, il sistema produttivo italiano è caratterizzato da una specializzazione sfavorevole all alta tecnologia - con produzione di beni di consumo standardizzati ad alta intensità di lavoro non qualificato nei settori tradizionali - cosa che ci rende più sensibili alla concorrenza dei Paesi emergenti o addirittura in via di sviluppo. Il ritardo tecnologico del nostro Paese è, in realtà, un fenomeno relativamente recente. In passato, il sistema industriale italiano è stato capace di cogliere le svolte tecnologiche che più hanno avuto impatto sulla società si pensi alle ricadute della macchina a vapore e del motore a scoppio, alla diffusione dell uso dell elettricità e alle molteplici applicazioni della petrolchimica ma ha mancato sostanzialmente l ultima, cioè quella della microelettronica. Gran parte delle difficoltà attuali del nostro sistema produttivo sono una conseguenza del ritardo accumulato in questo ambito. Esiste poi una difficoltà legata alle dimensioni delle nostre imprese: vi sono troppe piccole e medie imprese (PMI) legate a realtà locali, e troppo poche grandi imprese già connesse nell economia globale. D altra parte, le grandi imprese italiane più competitive si stanno via via svincolando dal mercato nazionale divenendo attori globali e possono operare come motore della ripresa industriale italiana. Un gruppo come Finmeccanica che sta aumentando significativamente il proprio carattere transnazionale è sempre più interessato dai processi produttivi e dalla rete globale che si va formando, ma è una precisa responsabilità delle grandi imprese dare un contributo alla ristrutturazione dell economia italiana. Le PMI si sono sviluppate, a partire dagli anni 70, come fornitori della grande industria, che ha delegato loro parte della produzione. Oggi occorre un azione congiunta delle grandi imprese e delle PMI per inserire il tessuto industriale italiano all interno della rete globale. È questo, si deve dire, un fenomeno già in corso, da parte delle imprese più competitive, attraverso un azione di distruzione creatrice che premia le PMI che si attrezzano per concorrere a livello globale e penalizza le aziende legate al particolarismo dell economie locali. Tuttavia, perché la sfida a livello Paese possa avere successo, deve essere sostenuta da un opportuna politica economica estera, attraverso l azione attiva delle istituzioni a sostegno dell industria, che non si limiti ai metodi tradizionali della diplomazia commerciale o della promozione delle esportazioni, ma che utilizzi metodi nuovi sviluppando, in collaborazione con l industria, autentiche strategie di investimenti diretti esteri e opportunità di connessione alle reti globali. Allessandro Pansa Condirettore Generale Finmeccanica

5 sommario Occasional Paper LA SFIDA DELLA RETE L INTERNAZIONALIZZAZIONE COME STRATEGIA PER COMPETERE NELL ECONOMIA GLOBALE Introduzione CRESCITA E MUTAMENTI NELL ECONOMIA GLOBALE LA RETE GLOBALE LA RETE E L ECONOMIA ITALIANA LA FASE DI RIPRESA E IL RAFFORZAMENTO IN ATTO UNA PRESENZA TUTTORA MARGINALE NEL CONTESTO GLOBALE IL RILANCIO DELL INTERNAZIONALIZZAZIONE E LA POLITICA ECONOMICA ESTERA Riferimenti bibliografici Maggio 2008

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7 Occasional Paper Introduzione Nel corso dell ultimo decennio, la forte crescita del sistema economico globale è stata accompagnata da cambiamenti di vasta portata nelle modalità di produzione e distribuzione della ricchezza a livello mondiale: a titolo esemplificativo, è sufficiente citare l introduzione di nuovi beni e servizi prodotti, i rinnovati processi produttivi per realizzarli, una nuova organizzazione delle imprese nell ambito di diffusi network proiettati su mercati sempre più vasti, i nuovi paesi produttori a basso costo dell area emergente, in particolare asiatica. Sullo sfondo, si andava formando una rete globale che condiziona lo sviluppo complessivo delle imprese e dei sistemi produttivi definendo, nel contempo, il contesto di competizione tra le maggiori aree e paesi. In riferimento a tali processi, la collocazione internazionale dell economia italiana - che aveva contribuito in passato in misura determinante alla crescita del paese - ha subito un deciso deterioramento nell ultimo decennio. Le nostre imprese hanno incontrato crescenti difficoltà a partecipare ai processi di ristrutturazione della catena del valore a livello internazionale e i nostri territori sono riusciti ad attrarre assai poco le scelte di rilocalizzazione dell attività produttiva derivanti dalla nuova divisione internazionale del lavoro. La fase di ripresa, che ha caratterizzato la fase più recente ( ), ha senza dubbio migliorato la presenza delle imprese italiane sui mercati internazionali; di per sé, tuttavia, essa non è in grado di intervenire sulle fragilità competitive della nostra economia in considerazione delle caratteristiche micro-strutturali che le caratterizzano, non a caso esplose con le modifiche di contesto dell economia mondiale. 5

8 Nel complesso, resta vero che un grande sforzo è richiesto per accrescere il grado di internazionalizzazione delle nostre imprese e del nostro sistema produttivo, per spingerli verso una maggiore e più qualificata integrazione nella rete globale. L internazionalizzazione non è, dunque, uno dei tanti problemi da affrontare: evitare la marginalizzazione e divenire parte attiva dei processi in atto a livello globale rappresentano un problema chiave da avviare a soluzione. Il rilancio della crescita nei prossimi anni richiederà pertanto al nostro paese di giocare - al pari di quanto avvenuto in altre fasi di successo del passato - un ruolo da insider sui mercati internazionali, attraverso mirate ristrutturazioni all interno e rinnovati processi di integrazione produttiva e commerciale in campo internazionale. Un gioco in difesa, alimentato dall illusione di poter conservare strutture ed equilibri del passato, finirebbe per accrescere i rischi di forte concorrenza e spiazzamento delle nostre produzioni derivanti dal contesto internazionale. Nelle pagine che seguono, dopo aver meglio delineato i radicali mutamenti in atto a livello internazionale, verranno analizzate le cause che hanno tenuto ai margini del nuovo contesto globale per un lungo decennio il nostro sistema economico. Per rispondere alle sfide provenienti dall economia globale servono radicali trasformazioni. Nella parte finale del paper verrà argomentato come una delle maggiori priorità sia rappresentata da un rinnovato forte incremento dell apertura e dell integrazione internazionale della nostra economia e dalle politiche in grado di favorirle. 6

9 Occasional Paper CRESCITA E MUTAMENTI NELL ECONOMIA GLOBALE La fase di crescita dell economia mondiale degli ultimi cinque anni è stata accompagnata da mutamenti nella divisione internazionale del lavoro che contribuiranno ad alimentarla, al di là delle oscillazioni cicliche, anche nel medio-lungo periodo. Sono cambiamenti di vasta portata che, a partire dallo scorso decennio, hanno impresso una poderosa spinta alla crescita dell interdipendenza tra paesi: attraverso un aumento del commercio internazionale due volte più elevato della produzione mondiale; attraverso l esplosiva crescita dei movimenti di capitale; attraverso la forte diffusione degli investimenti internazionali e degli accordi internazionali tra imprese. Questi legami di interdipendenza si sono estesi - per la prima volta su una scala così ampia - ad un consistente numero di paesi emergenti, a basso e medio-reddito, soprattutto asiatici, che sono divenuti molto importanti, in poco tempo, in veste sia di produttori che di mercati di sbocco. Tasso medio annuo di crescita del PIL mondiale, per aree GRAFICO 1 6 Fonte: EIA, IEO2005 su dati Global Insight 5 4,5 5,3 4,7 4,4 5,1 4 3,7 3 2,6 2,4 2, Economie di mercato mature Economie in transizione Economie emergenti Le implicazioni di questo processo di integrazione globale sono molte e di varia natura, a partire dall aumento generalizzato del grado di contendibilità dei mercati. Tra gli effetti più 7

10 rilevanti vi sono, da un lato, le politiche di liberalizzazione che sono state adottate da tutti i paesi più avanzati, a partire dagli Stati Uniti, e da molte economie emergenti in questi ultimi due decenni. Ne sono derivate rinnovate marcate riduzioni delle barriere commerciali, finanziarie e di altri impedimenti più o meno strutturali all accesso ai mercati nazionali. Dall altro, l accelerato cambiamento tecnologico ha portato alla diffusione di un insieme di innovazioni di tipo radicale, imperniate in particolare sulle tecnologie dell informazione e della comunicazione (Information & Communication Technology), e alla conseguente affermazione di una nuova organizzazione dei prodotti e processi produttivi. In particolare tali tecnologie in quanto generali incidono non solo su cosa si produce, ma su come lo si produce, e richiedono quindi mutamenti profondi nell organizzazione delle imprese e nel funzionamento dei mercati dei fattori, del lavoro e del capitale. A livello internazionale questa riorganizzazione ha generato nel nuovo contesto di competizione globale processi di ristrutturazione in tutti i maggiori paesi, unitamente a processi di frammentazione e rilocalizzazione internazionale dei processi produttivi. L adozione delle nuove tecnologie e i costi decrescenti di trasporto e comunicazione hanno, infatti, reso possibile una divisione in molteplici fasi della catena del valore alla base dei processi produttivi, con incentivi crescenti a localizzare tali fasi nelle parti più svariate del mondo in ragione dei diversi contenuti fattoriali, da un lato, e dei vantaggi comparati e competitivi locali, dall altro. Una parte così non trascurabile dei manufatti e dei servizi prodotti sono oggi ottenuti e distribuiti all interno di reti o network di imprese che si estendono a livello di grandi macroregioni con forte specializzazione delle singole unità produttive. Alcuni paesi emergenti ne sono stati particolarmente favoriti affermandosi come nuovi paesi competitori con un ampio ventaglio di vantaggi comparati. Alcuni di essi, in primo luogo la Cina, sfruttando strategie di sviluppo industriale orientate all esterno e beneficiando dell apertura dell economia mondiale, stanno registrando alti tassi di crescita ed un significativo upgrading industriale e tecnologico. L integrazione internazionale di questi paesi dotati di abbondante manodopera a basso costo e capaci di mobilitare tecnologie medie e avanzate sta determinando un mutamento qualitativo nella divisione internazionale del lavoro, in cui le sfide non provengono, a differenza del passato, solo dai bassi salari. Un fenomeno - quello della frammentazione e della delocalizzazione - assai 8

11 Occasional Paper poco sviluppato, se non addirittura assente in altre fasi storiche, allorché intensi tra il Nord e Sud del mondo erano gli scambi di natura interindustriale, del tipo manufatti contro materie prime. Tutti i fenomeni sopra ricordati sono destinati a consolidarsi e a portare, di qui a qualche decennio, a una geografia profondamente mutata dell economia mondiale. Lo confermano numerose analisi di scenario globale che sono state condotte di recente sull assetto del sistema globale nei prossimi decenni. In meno di dieci anni la Cina salirà al terzo posto per dimensione del PIL dopo Stati Uniti e Giappone, superando la Germania che sarà seguita da Francia e Regno Unito. L Italia resterà al settimo posto, ma tra i primi dieci entreranno India, Corea del Sud e Russia. Si affermeranno così i BRICs (Brasile, Russia, India e Cina) le grandi economie emergenti di questi ultimi anni. Se si guarda più lontano - al lo scenario subisce modifiche ancor più radicali la Cina diventerà la prima economia del mondo seguita dagli Stati Uniti e dall India; seguiranno, ma decisamente distaccati per dimensione, Giappone, Brasile, Messico, Russia; in ultimo, l Italia si collocherà al quattordicesimo posto. Seguono, ma distaccati per dimensione, Giappone, Brasile, Messico, Russia. L Italia scende al quattordicesimo posto Le maggiori economie nel 2005 GRAFICO 2 (2005, miliardi di dollari Usa) Cina USA India Giappone Brasile Messico Russia Germania Gran Bretagna Francia Indonesia Nigeria Corea Italia Canada Vietnam Turchia Filippine Egitto Pakistan Iran Bangladesh 9

12 La facile previsione, dunque, è che un insieme di paesi emergenti diverranno nuovi rilevanti protagonisti dell economia mondiale perché riusciranno a crescere relativamente di più dei paesi più avanzati. Tutto ciò produrrà mutamenti nella divisione internazionale del lavoro e profonde modifiche delle specializzazioni produttive dei paesi. Vi si dovranno adattare tutti i maggiori paesi modificando nel tempo cosa e, soprattutto, come produrre. Chi non vorrà e/o non saprà farlo subirà forti penalizzazioni nel proprio potenziale di crescita. 8 Tasso medio annuo di crescita del PIL mondiale, per paesi GRAFICO 3 Fonte: EIA, IEO2005 su dati Global Insight USA Canada Messico Giappone Ovest Europa Russia Est Europa Cina India Corea del Sud Medio Oriente Africa Brasile LA RETE GLOBALE Nelle mutate condizioni di contesto dell economia mondiale, l internazionalizzazione rappresenta una modalità di sviluppo decisiva per tutte le economie avanzate, in quanto fonte e opportunità di acquisizione di nuovi vantaggi competitivi e quindi di nuove specializzazioni. In conseguenza delle ristrutturazioni in corso l internazionalizzazione dell attività economica sta assumendo caratteristiche nuove, anche se per ora limitate ad alcuni settori e gruppi di paesi. Basti ricordare che negli ultimi due decenni la dinamica di crescita degli investimenti diretti 10

13 Occasional Paper esteri (Ide) - una delle leve più importanti dei processi di internazionalizzazione in atto - é stata di gran lunga più elevata di quelle della produzione e delle esportazioni mondiali. E questo è dovuto ai cambiamenti di vasta portata nel modo di produrre e distribuire la ricchezza a livello mondiale che si sono verificati in questi anni e che abbiamo sopra ricordato. Anche la ripresa globale degli ultimi anni ha comportato un forte rilancio dei processi di internazionalizzazione. Gli Ide a livello mondiale sono cresciuti sensibilmente nel 2006 fino a toccare la ragguardevole cifra di 1,1 trilioni di dollari, con un incremento del 22 per cento rispetto al Va comunque ricordato che gli Ide mondiali avevano registrato una secca battuta d arresto nel dopo la forte crescita della seconda metà degli anni Novanta - a causa del rallentamento globale nella fase iniziale di questo secolo e alla fine del precedente boom di operazioni di fusione e acquisizione (M&A). Flussi di Investimenti Diretti Esteri (stime e proiezioni) (Miliardi di dollari Usa) Flussi IDE Mondiali , , , , ,407.3 Tassi di crescita (%) Flussi IDE verso i Paesi Sviluppati % totale mondiale Flussi di IDE verso i Paesi Emerg % totale mondiale Stock mondiale di IDE 6,433 7,102 8,455 9,622 10,317 11,450 12,639 13,888 15,192 16,560 Tassi di crescita (%) Stock di IDE verso i Paesi Svil 4,253 5,07 6,088 6,778 7,068 7,759 8,500 9,297 10,134 11,020 % totale mondiale Stock di IDE v.i Paesi Emergent 2,181 2,024 2,367 2,844 3,249 3,691 4,140 4,591 5,058 5,540 % tot. mondiale Fonti: Statistiche Nazionali; FMI; UNCTAD; Economist Intelligence Unit stime e proiezioni Nel biennio gli Ide hanno ripreso a crescere beneficiando soprattutto i mercati dei paesi emergenti che hanno assorbito la cifra record di 400 miliardi di dollari, circa il 40% del totale. Un po tutti i paesi emergenti se ne sono avvantaggiati con la sola eccezione dell America Latina. La concentrazione degli Ide nell area emergente è comunque molto for- 11

14 te, visto che dieci paesi sono stati in grado di assicurarsi più del 60% dei flussi totali. Il grosso dei paesi in via di sviluppo e soprattutto i più poveri restano del tutto marginali nelle scelte degli investitori internazionali. Tra i BRICs la Cina è il paese di gran lunga più favorito dagli Ide, con un flusso in entrata pari a 80 miliardi di dollari nel 2005, circa il 20 per cento del totale. India e Russia seguono fortemente distanziate per quanto abbiano fatto registrare incrementi nel periodo più recente. Negli anni 90 le privatizzazioni avevano rappresentato il fattore determinante degli Ide diretti ai paesi emergenti, ma in questi ultimi anni tra le motivazioni più ricorrenti figurano le delocalizzazioni di fasi produttive a più alta intensità di lavoro e l outsourcing dei servizi. È importante sottolineare anche la crescita, più di recente, degli Ide in provenienza dai paesi nel Sud del mondo - e in particolare dai BRICs - e diretti sia verso l area sviluppata sia verso altri paesi del Sud. Gli Ide in uscita rappresentano per ora una fetta modesta dei flussi totali per i paesi emergenti visto che nel 2005, ad esempio, gli Ide in uscita dei paesi BRICs sono ammontati a poco più di 28 miliardi di dollari, una quota addirittura inferiore al 5% del totale Ide mondiali effettuati in quell anno. Se guardiamo al futuro le previsioni parlano in favore di una rinnovata forte concentrazione degli Ide nell area più avanzata grazie a una forte ripresa delle operazioni di M&A. Va ricordato che nel solo 2005 le M&A internazionali sono state stimate pari a 827 miliardi di dollari, concentrate per oltre il 70 per cento nell area più sviluppata e con un incremento del 35 per cento rispetto all anno precedente. Entro il 2010 si prevede un ritorno degli Ide mondiali ai livelli dell anno 2000 ovvero alla cifra record di 1,4 trilioni di dollari. Le dinamiche di crescita degli Ide dovrebbero così risultare superiori a quelle della produzione mondiale con un ulteriore incremento alla fine del decennio in corso del grado di interdipendenza tra le maggiori aree e economie. Per riassumere, i processi di internazionalizzazione di imprese e sistemi economici hanno subito una netta accelerazione in questo ultimo decennio, alimentata da una forte crescita degli Ide e da una loro parziale riallocazione verso i paesi di nuova industrializzazione e in via di sviluppo. Tutto ciò è parte integrante di una ristrutturazione - riconversione in atto e che é destinata a consolidare la formazione di una rete globale e cambiare in profondità le posizioni relative delle imprese e dei sistemi-paese nella nuova geografia economica internazionale. 12

15 Occasional Paper I flussi mondiali di IDE, GRAFICO 4 (Dati in miliardi di dollari Usa) Paesi in via di sviluppo Paesi avanzati Fonte: UNCTAD, World Investment Report I settori più profondamente interessati dai processi di internazionalizzazione via Ide e accordi internazionali tra imprese sono quelli ove si sperimentano le maggiori opportunità tecnologiche, ovvero i settori ad alto contenuto tecnologico. Ancora, l insieme delle imprese multinazionali conta ormai per oltre due terzi della spesa privata mondiale in R&S e per più della metà di quella totale, a confermare la stretta relazione che si instaura tra ricerca, innovazione e internazionalizzazione produttiva delle imprese. In terzo luogo, la stessa attività di ricerca e sviluppo (R&S) diviene oggetto crescente di internazionalizzazione produttiva, con un trend che accomuna tutti i paesi industrializzati, pur a partire da differenti livelli iniziali. I processi in atto stanno dunque cambiando profondamente non solo la distribuzione delle capacità produttive a livello internazionale ma sempre più influenzano la generazione e la diffusione delle tecnologie e più in generale delle conoscenze collegate. Eppure, nonostante la sua indubbia rilevanza, l internazionalizzazione é un processo molto spesso sottostimato e/o mal definito, perché circoscritto alla mera proiezione commerciale estera, ovvero all export delle imprese di un paese. In realtà, esso comprende ormai tutte quelle forme di integrazione profonda tra il sistema di un paese ed altri territori o imprese, che nascono sia dalla capacità di queste ultime di radicarsi su altri mercati tramite 13

16 investimenti all estero e accordi non meramente commerciali (la cosiddetta internazionalizzazione attiva); sia dalla valorizzazione del suo territorio attraverso l attrazione di flussi di investimenti diretti e di localizzazioni dall estero (la cosiddetta internazionalizzazione passiva). Sono due aspetti tra loro collegati dal momento che si tratta del medesimo processo di ricomposizione internazionale delle attività produttive. E sono due tendenze che avanzano (o regrediscono) insieme in un paese, perché non si può essere forti nell investimento estero se non si è altrettanto forti nell attrarre investimenti dall estero. Se guardiamo, in effetti, alla classifica dei paesi maggiori investitori troviamo conferma di questa significativa correlazione tra Ide in uscita e Ide in entrata dei singoli paesi (Unctad, 2006). La necessità di essere parte attiva dei processi che stanno contribuendo alla formazione di una nuova rete mondiale è diventato così un imperativo categorico per le imprese e i sistemi produttivi di tutti i paesi avanzati. E lo è anche per il nostro paese, come vedremo qui di seguito. Il rilancio della sua competitività è legato alla capacità o meno di partecipare ai mutamenti in corso nell economia mondiale evitando di finire relegato in ruoli marginali e periferici. LA RETE E L ECONOMIA ITALIANA Il nuovo contesto di competizione globale ha posto anche all economia italiana e alle sue imprese un insieme di nuove sfide e vincoli a cui il nostro paese ha provato a rispondere, per ora, solo parzialmente e con molto ritardo. Nel periodo che va dalla metà degli anni Novanta alla prima metà del decennio in corso, l economia italiana ha attraversato una delicata fase di transizione, in cui a fronte di un positivo risanamento dal punto di vista finanziario si è determinato un rapido e preoccupante deterioramento della sua collocazione a livello internazionale. Una fragilità competitiva che denota caratteristiche micro-strutturali e che riflette una propensione complessiva al cambiamento e all aggiustamento assai scarsa, per intensità e per qualità. Il dato più significativo di questo mancato positivo aggiustamento è rappresentato dalla marcata riduzione della quota italiana di partecipazione alle esportazioni mondiali, che si 14

17 Occasional Paper è manifestata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta e si è prolungata fino al periodo più recente. Rispetto ai livelli della metà degli anni Novanta la quota italiana sulle esportazioni mondiali - se misurata a prezzi correnti ha accusato una diminuzione di circa un punto percentuale, dal 4,3 per cento del 1997 al 3,4 per cento del Il calo della quota si è verificato sia nei confronti dei nuovi paesi emergenti del sud-est asiatico e dell est Europa, sia dei nostri principali partner europei. Quote dei paesi europei sulle esportazioni mondiali (Composizione in percentuale) Unione Europea 39,6 37,7 40,4 41,4 40,7 38,7 37,6 UEM 30,5 29,2 31,5 32,5 31,9 30,1 28,9 Italia 4,3 3,7 3,9 4,0 3,9 3,6 3,4 Germania 9,3 8,6 9,5 9,9 10,0 9,4 9,3 Paesi Bassi 3,0 3,6 3,8 3,9 3,9 3,9 3,9 Belgio 3,1 2,9 3,3 3,3 3,4 3,2 3,1 Austria 1,1 1,1 1,2 1,3 1,3 1,2 1,2 Francia 5,3 5,1 5,2 5,2 5,0 4,5 4,1 Spagna 1,9 1,7 1,8 2,1 2,0 1,9 1,7 Portogallo 0,4 0,4 0,4 0,4 0,4 0,4 0,4 Cina 3,3 3,9 5,1 5,8 6,5 7,4 8,1 Fonte: Ice (2007) Certo, si manifestano in questi anni anche tendenze e segnali di evoluzione positiva, con punte di eccellenza nel campo delle performance internazionali, in tema ad esempio di imprese esportatrici stabili e del numero medio di mercati su cui insistono. Ma il dato complessivo resta negativo. Dietro questo secco arretramento non é difficile leggere innanzi tutto le difficoltà sperimentate dalle nostre imprese con la fine del deprezzamento della lira e l ingresso nell area della moneta unica. I costi e i prezzi dell Italia sono aumentati molto più degli altri paesi industrialmente più avanzati a partire dalla fine degli anni Novanta. I manufatti esportati dal- 15

18 l Italia hanno registrato così, con un accelerazione nella prima metà del decennio in corso, un secco deterioramento della loro competitività di prezzo. Altrettanto netto é stato il peggioramento dell indicatore di competitività basato sui costi del lavoro per unità di prodotto (Clup). Non tanto a causa di una eccessiva dinamica dei salari e dei costi del lavoro per dipendente, che sono aumentati pressoché in linea con quelli degli altri paesi europei, quanto per la diminuzione (nella prima parte del decennio in corso) della dinamica della produttività totale dei fattori in Italia, un indicatore di grande rilevanza - com è noto - che sintetizza l efficienza nell uso delle risorse produttive a parità di rapporto capitale-lavoro (vedi più avanti). Il gap competitivo nei confronti degli altri paesi dell area dell euro - soprattutto Germania e Francia - é così aumentato fortemente nello stesso periodo. Gli avversi andamenti dei costi e prezzi relativi possono tuttavia spiegare solo una parte della perdita di competitività delle merci italiane. Un altra parte, altrettanto rilevante, circa la metà, é da attribuire alle peculiarità strutturali che caratterizzano da tempo il sistema produttivo italiano rispetto al resto d Europa. Le anomalie-debolezze che differenziano il sistema industriale italiano da quelli degli altri paesi avanzati sono rappresentate da una struttura fortemente frammentata e che continua a insistere - a differenza di quelle degli altri maggiori paesi europei - su un foltissimo insieme di piccole e piccolissime imprese, su poche grandi imprese e su una presenza ancora marginale, per quanto in crescita, di imprese di media dimensione. La piccola impresa italiana è dinamica e flessibile, ma è refrattaria a crescere, e finisce così per condizionare la capacità di ricerca-innovazione e la presenza all estero del sistema produttivo italiano, perpetuando una condizione di debolezza e sottodimensionamento. Ma è la stessa specializzazione produttiva delle imprese italiane impegnate nella competizione internazionale a essere condizionata dalla frammentazione del sistema. L industria italiana risulta innanzi tutto debole e fortemente despecializzata, a differenza degli altri maggiori paesi concorrenti europei, sia nei settori ove predominano le imprese di grandi dimensioni e forti sono le economie di scala, sia nei settori in cui il contenuto tecnologico e le spese di R&S sono relativamente più elevate (chimica, farmaceutica, nuovi materiali, elettronica, informatica). Molti di questi settori sono stati caratterizzati nell ultimo decennio da tassi di 16

19 Occasional Paper crescita della domanda mondiale assai più elevati della media e hanno rappresentato dei veri e propri motori tecnologici delle ristrutturazioni globali in atto. Sono punti deboli che chiamano in causa le fragilità tecnologiche e organizzative della struttura industriale italiana, emerse con forza nel decennio e che hanno portato alla pressoché totale scomparsa delle grandi imprese manifatturiere private e all uscita del nostro paese da molti settori oligopolistici di punta. In passato, negli anni cinquanta e sessanta, nella fase del miracolo economico e del processo di modernizzazione del paese, le grandi imprese (private e pubbliche) italiane avevano svolto un ruolo fondamentale, introducendo i nuovi processi produttivi e prodotti che hanno radicalmente trasformato gli stili di vita e di consumo dell intera popolazione italiana. La proprietà ed il controllo di molti gruppi privati erano nelle mani di poche grandi famiglie, le stesse - il più delle volte - che li avevano fondati ed avviati all inizio del secolo. Specializzazioni settoriali dell Italia GRAFICO 5 Italia: saldi commerciali settoriali valori in milioni di euro Prodotti Prodotti dell industria agroalimentari estrattiva Prodotti della moda M. agricole e industriali P. chimici e farmaceutici Prodotti ICT Mezzi di trasporto Elaborazioni su dati ICE Nei successivi due decenni, il sistema delle grandi imprese italiane, tuttavia, si è dimostrato incapace di continuare a sviluppare - nella misura ed intensità richieste - le ristruttura- 17

20 zioni produttive ed organizzative imposte, a tutte le economie avanzate, dall accelerazione del cambiamento tecnologico e dell integrazione dei mercati internazionali. La maggioranza dei grandi gruppi pubblici ha conosciuto così una lenta ma inesorabile crisi, mentre nell area del capitalismo familiare privato si è arrivati all edificazione di un sistema di stretto controllo e regolazione del potere economico, basato su pochi grandi attori che si spostano sempre di più nei comparti dei servizi ove più elevate sono le rendite monopolistiche. In declino, per contro, è il ruolo di molte grandi imprese italiane in quei settori che - come si è detto - rappresentano, per dinamismo tecnologico e innovativo, il cuore dell oligopolio industriale internazionale. Per converso, la specializzazione italiana si è molto rafforzata, com è noto, nei settori più tradizionali dei beni di consumo, ad impiego relativamente più intensivo di manodopera e/o basso-medio valore aggiunto, dominati dalle piccole e medie imprese (abbigliamento, pelle-calzature, mobilio, plastica, prodotti di metallo, marmi, piastrelle), nella meccanica strumentale e nei macchinari industriali. Sono stati giustamente sottolineati negli anni i circoli virtuosi che hanno interessato questa parte più dinamica del nostro apparato produttivo - soprattutto la realtà dei distretti - e che hanno dato origine alle positive performance commerciali del passato, con punte di eccellenza nel campo delle esportazioni, in termini di aumento delle imprese esportatrici stabili e del numero medio di mercati su cui insistono. Ma altrettanto importante è ricordare i limiti che hanno caratterizzato e caratterizzano queste dinamiche seppur positive. Limiti, peraltro, assai noti perché al centro di un vasto ed intenso dibattito, e che vanno da processi innovativi che assumono per lo più carattere incrementale e sono rappresentati prevalentemente da innovazioni di processo incorporate nei beni capitali; diffuse fragilità dal punto di vista organizzativo e finanziario in molte delle piccole e medie imprese operanti nei settori più dinamici; perdurante precario inserimento sui mercati internazionali delle nostre imprese, largamente basato sulla mera esportazione di beni e poco sostenuto da una più avanzata internazionalizzazione delle strutture produttive e commerciali; bassa adozione delle ICT e delle conseguenti riorganizzazioni degli assetti d impresa. Le due peculiarità strutturali prima ricordate - dimensione e specializzazione - hanno pesato, a loro volta, su un terzo fattore critico: l efficienza produttiva. La crescita della produttività 18

21 Occasional Paper media del lavoro in Italia, in qualunque modo la si misuri, ha subito a partire dalla seconda metà degli anni Novanta - come si è già ricordato - un forte rallentamento, tanto da diventare negativa nel periodo dei primi anni del secolo (2002 e 2003). L Italia si differenzia dal resto dell Europa per la particolare intensità e per la rapidità di questo declino della produttività. Esso va attribuito in misura prevalente al deterioramento della cosiddetta produttività totale dei fattori, cioè della capacità di combinare in maniera efficiente la dotazione totale dei fattori produttivi, più che a una deficienza di investimenti o d intensità di capitale. 2,5 2 1,5 Regno U. Andamento della produttività in Europa GRAFICO 6 Germania Francia 1 Italia 0,5 0 PL TFP PL TFP PL TFP -0,5-1 -1, PL: produttività media del lavoro TFP: produttività totale dei fattori PL TFP Tale deterioramento si riconnette al vistoso ritardo con cui le nuove tecnologie dell informazione e della comunicazione si vanno diffondendo e radicando nel sistema produttivo italiano. Il ritardo nella digitalizzazione del sistema produttivo, a sua volta, discende in larga misura dalla prevalenza di imprese piccole e specializzate in produzioni tradizionali, caratteristiche che mal si prestano a trarre vantaggi di efficienza dall adozione delle ICT e dalle conseguenti riorganizzazioni degli assetti d impresa. Tutto ciò ha portato nel decennio che va dalla seconda metà degli anni Novanta alla prima me- 19

22 tà del decennio in corso a un secco ripiegamento del paese sul fronte della proiezione internazionale della nostra economia ricorrendo a strategie d internazionalizzazione tradizionali, ancora del tutto mercantili, non in grado di cogliere le nuove opportunità offerte dal mercato globale. Dal momento che l internazionalizzazione - come si è ricordato - costituisce fonte ed opportunità di acquisizione di nuovi vantaggi competitivi, tale arroccamento ha finito per penalizzare seccamente le potenzialità di crescita della nostra economia sempre meno in grado di affrontare le sfide competitive che le imprese e gli stessi sistemi devono fronteggiare nella penetrazione dei mercati e nell attrazione dei flussi di investimenti esteri (vedi più avanti). Per molti anni, la collocazione internazionale dell Italia aveva contribuito in modo positivo e determinante a stimolare la crescita e la performance della nostra economia. Se si guarda al passato, i contributi alla crescita provenienti dal comparto estero sono stati sempre positivi e molto elevati. Nella prima metà del decennio in corso questo contributo positivo cessa e si trasforma in un apporto nullo o addirittura negativo in talune fasi abbassando la crescita della nostra economia al di sotto della media dei paesi dell UE. LA FASE DI RIPRESA E IL RAFFORZAMENTO IN ATTO A partire dal dicembre 2005 e con un accelerazione nell ultima parte del 2006 si è sviluppata una fase di ripresa in Italia, sostenuta da un rilancio del sistema produttivo che ha posto fine alla lunga fase di ristagno durata quasi cinque anni, la più lunga del dopoguerra. Nel 2006 il PIL dell economia italiana è tornato a crescere dell 1,9 per cento, il tasso di espansione più elevato dal lontano Ad alimentare la ripresa è soprattutto il rilancio del sistema industriale e fra le componenti della domanda che sostengono l incremento della produzione industriale figurano in prima fila le esportazioni di merci, a testimonianza di una rinnovata capacità delle imprese italiane di sfruttare la crescita degli scambi mondiali. Le esportazioni italiane beneficiano soprattutto della fase di espansione in corso nell area europea e in particolare nel gruppo dei paesi dell euro, con in testa la Germania che resta il mercato di sbocco più importante per l export italiano. 20

23 Occasional Paper Un esperienza ciclica favorevole, dunque. Ma il ritorno alla crescita trainata dalle esportazioni è anche il risultato di altro, ovvero di un processo di riposizionamento sui mercati internazionali delle imprese e dei territori italiani assai vasto e profondo che rappresenta una prima significativa risposta alle nuove sfide provenienti dal sistema globale e dalla concorrenza dei paesi emergenti. Alcuni analisi più recenti, in particolare, appaiono indicare che l uscita dalla fase di stagnazione dell ultimo quadriennio sia avvenuta grazie a un processo di ristrutturazione e selezione molto drastica, che si è svolto a partire dagli anni di maggiore difficoltà dell inizio del decennio e ha determinato un restringimento della base produttiva ma anche la possibilità di poggiare quest ultima su fondamenta competitive assai più robuste del passato. L economia italiana: la ripresa in corso (variazioni percentuali) * PIL 0,0 1,2 0,1 1,9 1,9 V.A. Industria -2,3-0,8-1,8 2,6 2 - Manifatturiera -2,4-1,3-2,5 3,7 Investim. Fissi Lordi -1,7 1,6-0,5 2,3 2,8 - Macchine e Attrezz. -3,8 2,9-0,4 1,8 Esportazioni -2,4 3,3-0,5 5,3 4,6 - Beni -2,3 2,9-1,2 4,4 - Servizi -2,9 5,2 2,3 8,8 Importazioni 0,8 2,7 0,5 4,3 3,2 - Beni 0,5 2,9-0,7 3,4 - Servizi 1,9 1,7 5,3 7,9 Servizi 0,3 1,1 1 1,6 2,4 Serv. Finanz. e Professionali 1,6-0,5 0 1,1 Fonte: Istat, Ice, *stime: EIU,2007 Ad animarlo sono state le imprese - spesso piccole e medie - dei settori di vantaggio comparato dell Italia quali moda, arredo-casa, meccanica strumentale, agroalimentare. Oltre a rappresentare il 90 per cento e quindi la fondamentale spina dorsale del sistema produttivo del nostro paese, le Pmi - o per lo meno molte di esse - hanno proceduto in questi ultimi anni a profonde ristrutturazioni e riorganizzazioni delle loro attività con processi di in- 21

24 novazione e internazionalizzazione di vasta portata. Questi processi sono stati portati avanti con grande fatica e per lo più dalle sole imprese, data l assenza di politiche in grado di accompagnarne gli sforzi di ammodernamento. Il processo di dura selezione svoltosi in questi anni ha visto l uscita dal mercato delle imprese meno efficienti e un ampia riallocazione delle quote di mercato a favore di quelle rimaste perché in grado di elevare la qualità dei propri prodotti (Barba Navaretti, Bugamelli, Tucci, 2007). È così diminuita l incidenza delle imprese specializzate prevalentemente in sub-fornitura e per contro è aumentato - soprattutto nelle aree del Centro Nord - il numero di quelle in grado di produrre e esportare nei segmenti a più alto valore aggiunto. A questo riguardo alcune indagini condotte dalla Banca d Italia (2007) mostrano come in questa prima parte del decennio una fetta significativa delle imprese industriali abbia adottato nuove più efficaci strategie aziendali rinnovando la gamma dei prodotti offerti, effettuando investimenti nei marchi e riuscendo a diversificare la produzione verso segmenti diversi da quelli occupati all inizio del decennio. In forte aumento nelle strategie di queste imprese risulta altresì il peso di attività e servizi complementari alla produzione quali la ricerca, il design, il marketing, la distribuzione commerciale. Esistono altresì evidenze, per quanto sommarie, che questi processi di ristrutturazione siano stati nel Mezzogiorno di portata più ridotta di quelli registrati nel resto del Paese. Le imprese meridionali operanti nel comparto dei beni tradizionali hanno sofferto soprattutto una più accentuata frammentazione dell offerta. In esse, la presenza di attività e servizi complementari alla produzione a monte e a valle della catena del valore è tuttora modesta mentre la forte concentrazione sul manifatturiero inteso in senso stretto avrebbe impedito loro di cogliere le opportunità più redditizie dei processi di ristrutturazione che si concentrano in queste attività (Svimez 2007). Per quanto riguarda le imprese esportatrici, è stato rilevante soprattutto il ruolo guida delle medie imprese. I dati del panel costruito dall Istat mostrano come il contributo all incremento delle esportazioni nell ultimo biennio proveniente dagli operatori di maggiori dimensioni sia stato particolarmente importante, anche se con intensità diversa da settore a settore (Istat, 2007). Le imprese più grandi che fatturano oltre 50 milioni di euro al- 22

25 Occasional Paper l anno hanno realizzato ben il 47,7 per cento del valore totale esportato nel 2006 pur rappresentando appena lo 0,5 per cento del numero totale di operatori che esportano. Una quota quest ultima che è cresciuta significativamente negli ultimi anni. Un altra conferma dei processi di selezione in atto viene da un trend consolidatosi da qualche anno relativo ai valori unitari delle esportazioni italiane che crescono più rapidamente di quelli dei maggiori concorrenti europei e anche dei prezzi alla produzione di manufatti destinati al mercato interno del nostro paese. Questo divario, che risulta particolarmente marcato nei principali comparti di nostra specializzazione (tessile-abbigliamento, cuoio-calzature, mobili, macchine e apparecchi meccanici), non andrebbe letto in senso tradizionale, ovvero come segno di perdita di competitività delle merci italiane, ma come il riflesso dei processi di selezione e riqualificazione dei prodotti sopra ricordati (Basile et al. 2007). Nel determinare la fuoriuscita dai mercati di esportazione delle imprese meno efficienti collocate su fasce di prodotto a più basso valore unitario e nello spingere le imprese più innovative a riqualificare la propria produzione verso segmenti di mercato a più alto valore unitario e minore elasticità di prezzo, le ristrutturazioni in atto avrebbero determinato il trend crescente dei valori unitari, da prendere dunque come l indicazione dei crescenti vantaggi qualitativi acquisiti dai prodotti esportati italiani in questi ultimi anni. Per quanto riguarda le performance dei distretti industriali, che continuano a costituire uno dei punti di forza del modello di sviluppo italiano, essi hanno fatto registrare in questi ultimi anni marcate differenziazioni: tra chi è riuscito a rinnovare con successo le basi della propria competitività e chi non ha ancora trovato risposte soddisfacenti alla nuova forte concorrenza proveniente dai paesi emergenti. Le economie esterne legate al territorio hanno giocato finora un ruolo rilevante nel decretare il successo o meno delle risposte dei sistemi distrettuali. Anche se la trasformazione dei distretti industriali in sistemi produttivi transnazionali in grado di mantenere salde radici territoriali, resta comunque un problema aperto e sta trovando risposte assai diversificate: tra queste spicca certamente l organizzazione in gruppi di imprese, ovvero in aziende tra loro collegate e coordinate gerarchicamente da una capo-gruppo. Per riassumere, si è verificato in questi ultimi anni un consolidamento del tessuto imprenditoriale sia attraverso l uscita delle imprese più deboli, in larga misura esportatori margina- 23

26 li e inadatti a sostenere le nuove sfide globali, sia attraverso il rilancio di imprese in grado di riorganizzarsi e affermare una crescente presenza sui mercati internazionali, spesso organizzate in gruppi di aziende. Le imprese italiane hanno mostrato dunque segni di rilancio, riqualificando la loro presenza commerciale e produttiva sul più difficile terreno competitivo dei mercati internazionali. Di fronte a questi trend decisamente positivi la prima constatazione è che si tratti di un fatto molto rilevante e in grado di dischiudere nuove potenzialità del nostro sistema produttivo. Di per sé, tuttavia, non rappresenta ancora una vera e propria svolta per il sistema produttivo nel suo complesso, in grado di riportare l economia italiana su un sentiero di crescita elevata e stabile dopo il lungo decennio di difficoltà e ripiegamenti. Come risultato dei positivi andamenti degli investimenti e delle esportazioni il PIL dell economia italiana è tornato a crescere ma anche nel 2006, come avviene da oltre un decennio, l Italia è cresciuta meno rispetto alla media dei paesi europei e in particolare dell area dell euro, anche se il differenziale di crescita negativo si è ridotto lievemente (-0,8%) rispetto allo scorso anno (1,2%). E se guardiamo al biennio e all ipotesi di una perdurante seppur molto meno vigorosa crescita dell area economica europea - almeno stando agli scenari di previsione ad oggi più accreditati che escludono shock recessivi di rilevante entità per l Europa - il gap nei confronti dei maggiori partner europei è destinato a persistere e perpetuarsi. Un divario di crescita da imputare - come si è già detto - alle debolezze strutturali del nostro sistema produttivo e a quel circolo vizioso che ne è conseguito e che ha portato al mancato adattamento al nuovo paradigma affermatosi nell economia globale (Guerrieri e Rossi, 2005). La ripresa in corso non è in grado di per sé di modificare queste tendenze di medio-lungo periodo. Per un inversione di rotta sarebbero necessari mutamenti profondi e di natura strutturale, che sono da avviare subito, anche se gli effetti saranno inevitabilmente differiti nel tempo. Una conferma viene proprio dal processo di apertura e internazionalizzazione della nostra economia e dal suo andamento più recente. 24

27 Occasional Paper UNA PRESENZA TUTTORA MARGINALE NEL CONTESTO GLOBALE La fase di ripresa del biennio ha portato a un deciso rafforzamento della presenza delle imprese italiane sui mercati internazionali: non soltanto attraverso le esportazioni, ma anche con attività distributive e produttive realizzate tramite investimenti diretti o accordi di collaborazione con imprese straniere (Banca d Italia, 2007). In primo luogo, nell Unione Europea, che rimane la principale area di destinazione delle partecipazione italiane in imprese estere, e nell Est Europa e, più di recente, anche in aree lontane quali l Asia, in particolare la Cina. In quest ultimo caso soprattutto per le imprese di medio - grandi dimensioni (Ice, 2007). Come si è già sottolineato, il fenomeno dell internazionalizzazione si inserisce in quella redistribuzione internazionale del lavoro resa possibile dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione dei mercati con l ascesa di nuovi paesi emergenti di cui abbiamo parlato all inizio del paper (cfr. par. 3). Allo stesso tempo il fenomeno dell internazionalizzazione produttiva delle imprese comprende molteplici svariate forme che vanno dagli accordi di tipo commerciale e/o tecnico produttivo, di partenariato a progetto, fino alla creazione di imprese italiane all estero per merito di imprenditori italiani con capitale proprio o locale. Negli ultimi due anni, il fatturato realizzato all estero dalle imprese partecipate da aziende italiane è cresciuto in progressione, in particolare nei settori di specializzazione dell industria italiana, ma anche in diversi comparti dei servizi. Le imprese di grandi dimensioni (ovvero con più di 250 addetti) hanno continuato a avere un ruolo predominante nell insieme degli investitori italiani all estero e sono responsabili di oltre l 80 per cento del fatturato complessivo e del 78 per cento degli addetti all estero coinvolti (Ice, 2007). A questo riguardo, un ruolo importante sul fronte dell internazionalizzazione sta giocando un nutrito insieme di medie imprese che hanno raggiunto in questi anni importanti livelli di fatturato, sfruttando soluzioni nuove dal punto di vista organizzativo e manageriale e un accresciuta proiezione internazionale. È a partire dagli anni Novanta che le imprese di medie dimensioni hanno mostrato un particolare attivismo sui mercati internazionali in particolare nei settori di tradizionale competitività dell industria italiana. E il vantaggio competitivo di queste imprese é derivato in molti casi proprio dalla capacità di muoversi e stabilirsi all estero. 25

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