capitolo terzo IL SISTEMA DI WELFARE

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1 capitolo terzo IL SISTEMA DI WELFARE

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3 1. - CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Il welfare è già cambiato, ma non in meglio: l urgenza di nuove strategie Se la crisi accelera processi di cambiamento in generale, nel welfare ciò emerge con estrema nettezza: l evoluzione dei principali fenomeni dell anno trascorso evidenzia la coesistenza tra la notevole flessibilità adattiva delle famiglie, che stanno affrontando de facto una diversa configurazione della protezione sociale, e una certa inerzia istituzionale che associa i tagli alla cristallizzazione quasi ideologica di un modello di finanziamento ed erogazione del welfare sempre meno efficiente e sostenibile. Anche dopo la profonda razionalizzazione di spese e consumi, il welfare continua ad essere una voce significativa dei bilanci familiari dispersa in tanti rivoli, dalla sanità all assistenza all istruzione; la dinamica che si è innescata e che le successive manovre di tagli e inserimenti di nuove spese approfondiscono è quella dello spostamento di spese fuori dal pubblico, con l inevitabile dicotomia tra chi riesce a coprire le prestazioni e chi invece finisce per rinunciare o rinviare. Nei fatti l unico esercizio di governo del sistema in questi anni difficili è stato quello sui tagli alla spesa, ed al di là delle dichiarazioni di principio e al richiamo continuo a ricette di razionalizzazione, su cui, peraltro tutti si proclamano d accordo da anni, non si è concretamente fatto nessun passo concreto verso una ristrutturazione organizzativa solo evocata. L esito è quello di una trasformazione sottotraccia, il cui tratto più evidente è l auto-organizzazione, di cui le famiglie si sono rese protagoniste su più fronti, dando luogo a dinamiche di consumo sanitario sempre più complesse ed articolate, come bene esemplificato dalle scelte che sono state chiamate ad effettuare di fronte a ticket talvolta più alti del costo per accedere alle prestazioni private. Anche a livello di offerta sanitaria è evidente una sorta di navigazione a vista, in cui a fronte di livelli decisionali fortemente concentrati sulle questioni di compatibilità economica, sono gli operatori a garantire con il loro impegno quotidiano l operatività dei servizi,

4 Rapporto Censis traendo il massimo della motivazione professionale dal rapporto con i pazienti, e lottando ogni giorno con crescenti difficoltà logistiche ed organizzative, frutto diretto dei continui tagli lineari. Emerge inoltre con chiarezza che lo sforzo di adattamento richiesto alle famiglie nel welfare è ingente, ed è fatto di risorse monetarie da mettere in campo e anche di coinvolgimento diretto, ad esempio nel caso del care a non autosufficienti, disabili o malati di patologie croniche; ma tali risorse diventano sempre più una risposta puntuale di fronte ad un rischio sociale che si materializza, mentre si perde ogni dimensione di investimento intertemporale o intracomunitario, cosa che finisce per rendere sterile il welfare rispetto alla sua mission. Longevità crescente, cronicità, non autosufficienza, e ancora micronizzazione delle famiglie fino all esplosione di famiglie unipersonali, rendono urgente anche un investimento sulle reti sociali intese in senso ampio, dalla famiglia fino a non profit e volontariato. Infatti già oggi emergono le difficoltà che incontrano le reti informali, dalle famiglie al non profit, che come più volte evidenziato sono una componente decisiva del welfare, tanto più nella crisi; l erosione dei legami sociali, l impatto di processi sociodemografici di lunga deriva e di dinamiche congiunturali tendono a disorganizzare il welfare così come si è strutturato nel nostro Paese e che, tutto sommato, ha dato anche buona prova di sé in questi anni. Come già evidenziato lo scorso anno, sono questi processi reali che si stanno imponendo nel cuore del welfare italiano al di là delle discussione di principio sulla forma istituzionale e il grado di copertura formale del welfare nostrano; occorre semplicemente prendere atto che la crisi ha reso evidente che il finanziamento pubblico del welfare non riuscirà più ad alimentare una matrice di servizi e interventi adeguata per dimensione e configurazione alla domanda e che se non si attivano altre forme di finanziamento, e in parallelo non si incrementa la produttività di quelle pubbliche e non pubbliche, già ora investite, si finirà per avere un welfare che approfondisce le differenze sociali piuttosto che generare inclusione e coesione. In sostanza, dopo anni di riforme annunciate, magari minuziosamente descritte in documenti programmatici, si può dire che sotto i nostri occhi il nuovo welfare sta già nascendo ed è molto meno inclusivo e molto meno equo di quello preesistente, di cui porta alle estreme conseguenze alcune torsioni, a cominciare dal razionamento di quote di domanda.

5 Il sistema di welfare 209 A poco però serve indicarne i limiti evidenti, occorre capire nel welfare quali sono i processi che pure si stanno manifestando e che potrebbero attivare dinamiche diverse, più in linea con quelle esigenze di coesione comunitaria essenziale anche in prospettiva di un nuovo sviluppo. Ci vuole un salto di qualità culturale anche per non vedere più le reti comunitarie come realtà puramente ancillari, magari destinatarie di un oursourcing funzionale alla spending review, piuttosto che come protagoniste di quel welfare comunitario che può generare coesione, qualità e sostenibilità. Nel concreto diventa importante rilanciare un approccio da assicurazione sociale, in termini di cultura, di pratiche e di concreti strumenti sostenibili per le famiglie che li devono utilizzare e per il sistema che ne ha bisogno nel lungo periodo; vanno accompagnate le propensioni, minoritarie ma esistenti, a impegnare risorse, magari ridotte, in logiche di investimento intertemporale rispetto ai rischi sociali, così come occorre creare condizioni di contesto, in termini di informazione e conoscenza, in grado di far comprendere i vantaggi reali di un welfare integrativo, senza lasciare spazio a facili illusioni. Pur nell urgenza delle spending review e delle manovre che tagliano senza remore servizi a volte essenziali per categorie di cittadini più fragili e bisognosi, occorre capire che esiste una dimensione culturale decisiva per il welfare, che rimanda alla necessità di incentivare in ogni modo la propensione alla ridistribuzione temporale e comunitaria dei rischi, portando i cittadini, le istituzioni e i soggetti di offerta a capire che sarà altamente deleterio per il nostro Paese un sistema che a un bastione formale pubblico sempre più stretto affianca una prateria in cui ciascuno se la deve cavare da solo, con una pericolosa coesistenza tra alto impatto sui bilanci delle famiglie e inadeguata tutela sociale.

6 2. - I PROCESSI SETTORIALI L empowerment degli operatori fa la buona sanità In tempi in cui l interesse delle istituzioni appare fortemente concentrato sulle esigenze di razionalizzazione del servizio sanitario, una nuova attenzione sta maturando per l analisi e la promozione di tutti i fattori, che all interno dei servizi e delle organizzazioni sanitarie, possono impattare positivamente sul benessere ed il clima organizzativo. Concentrarsi sugli aspetti e le azioni che possono influire sull empowerment degli operatori è ancora una operazione di avanguardia, e per di più ristretta, ma è un segnale del lento ma importante affermarsi di una duplice consapevolezza: da una parte che gli operatori della sanità rappresentano uno straordinario giacimento di occupazione di qualità su cui bisognerebbe investire molto di più, dall altro che intervenire per migliorare il benessere organizzativo nelle istituzioni sanitarie significa ottenere importanti risultati anche in termini di efficacia, efficienza, produttività e qualità percepita dall utente. Molti sono gli aspetti da considerare nel definire ed analizzare il concetto di empowerment dei lavoratori, che deve tener conto sia del benessere strettamente connesso all organizzazione che di quello di tipo più soggettivo, legato sia all esercizio della propria attività lavorativa che alla dimensione relazionale. E ormai diffuse sul territorio nazionale sono le iniziative volte a valutare quanto l organizzazione sia in grado di promuovere l empowerment del professionista, con particolare attenzione a quelle dimensioni che più di altre contribuiscono a determinare la percezione complessiva di benessere organizzativo (ad esempio, la valorizzazione e l equità). Le prime indagini di carattere locale o nazionale che hanno analizzato questo aspetto tra i professionisti della sanità hanno messo in luce alcuni elementi ricorrenti. Un primo esempio è il progetto Iconas ( Il clima organizzativo nelle aziende sanitarie italiane ), realizzato dalla Agenzia Sanitaria Regionale della Regione Emilia-Romagna nel 2004 e relativo ad 11

7 Il sistema di welfare 211 Aziende sanitarie del Centro e del Nord Italia. Un set di indicatori per misurare il clima organizzativo e la soddisfazione del personale è stato predisposto anche in un progetto della Regione Toscana che ha visto coinvolte tutte le aziende territoriali ed è stato realizzato nel Va infine segnalata la recente l iniziativa dell Agenas in collaborazione con il Censis, che, a partire dall analisi dei diversi metodi e strumenti per la valutazione dell empowerment già utilizzati in molte sperimentazioni, soprattutto di livello locale, tra cui quelle dei due studi già citati, si è posta l obiettivo di individuare, sperimentare e validare un modello di valutazione dell empowerment nelle organizzazioni sanitarie, che possa essere agile, sostenibile e condiviso a livello nazionale. Un primo elemento di riflessione è che gli indicatori ed i questionari predisposti ed utilizzati in tutti i progetti citati fanno parte integrante di sistemi più ampi di valutazione complessiva dei servizi e delle performance del sistema sanitario, nel cui ambito viene quindi attribuito all empowerment degli operatori un ruolo centrale, come elemento in grado di contribuire a definire la qualità complessiva di un sistema delle cure. Un secondo elemento da sottolineare attiene ai risultati degli studi, in cui è ricorrente che gli aspetti del clima organizzativo definiti più positivamente dagli operatori risultino quelli che attengono al rapporto con i pazienti. Nel lavoro quotidiano il lavoratore segnala la propria capacità di trovare soluzioni per le esigenze dei pazienti ed essere gratificato per le capacità esercitate ma nel rapporto con i colleghi e soprattutto con i superiori emergono le criticità legate alla mancata corrispondenza tra impegno, risultato e riconoscimento. Così, sia nell indagine Iconas che in quella condotta dalla Regione Toscana, il giudizio su diversi aspetti dell attività lavorativa, dalla responsabilizzazione all attenzione alle richieste degli utenti dalla capacità di lavorare in équipe alla qualità delle prestazioni, si colloca al di sopra del punteggio medio previsto dalla scala utilizzata. Quando è chiamato in causa l operato e il rapporto con il management i giudizi positivi diminuiscono con punteggi decisamente più bassi (tab. 1). Anche nello studio sperimentale relativo a due realtà ospedaliere condotto nel 2013 da Censis e Agenas, volto a rilevare le diverse dimensioni dell empowerment dei lavoratori in sanità, sia a livello aziendale che centrale, sono emerse situazioni di soddisfazione pro-

8 Rapporto Censis Tab. 1 - Indagini sul clima organizzativo in sanità (val. medi) Il clima organizzativo nelle Aziende sanitarie (Iconas, Emilia Romagna, 2004) in scala da 1 a 10 Il sistema organizzativo delle performance della sanità toscana (2007) in scala da 1 a 5 L attività lavorativa Clima organizzativo mediamente percepito dalle Aziende sanitarie 4,79 - Condizioni di lavoro - 3,19 Responsabilizzazione verso il proprio lavoro 7,3 - Soddisfazione verso il lavoro svolto 6,1 3,52 Attenzione alle richieste degli utenti 7,3 - Qualità prestazioni erogate - (*) 4,5 Lavoro di gruppo/confronto in caso di imprevisti 7,0 3,09 I rapporti con il management L operato dell Azienda - 2,30 Il management - 2,92 Capacità della Direzione aziendale di motivare gli operatori 3,3 - Attenzione della Direzione aziendale alle esigenze degli operatori 3,1 - Conoscenza della mission e della vision dell Azienda 3,0 - Conoscenza del Piano delle azioni dell Azienda 2,9 - (*) In scala da 1 a 7 Fonte: elaborazione Censis su dati Iconas e Regione Toscana fessionale anche elevata, soprattutto a livello di specifica unità operativa, ma anche in questo caso non mancano aree di criticità. Gli aspetti su cui si concentrano i più elevati livelli di soddisfazione sono ancora una volta quelli che attengono al rapporto con il paziente e subito dopo a quello con i suoi familiari, con quote di molto e abbastanza soddisfatti che superano il 90% dei rispondenti (fig. 1). Le percentuali di soddisfazione rimangono elevate ma si abbassano un po quando si considera il rapporto tra competenze, profilo professionale e attività svolte e si segnala una certa problematicità rispetto alla capacità di valorizzazione delle competenze professionali

9 Il sistema di welfare 213 Fig. 1 - La soddisfazione degli operatori (*) (val. %) È soddisfatto del rapporto che stabilisce con i pazienti È soddisfatto del rapporto che stabilisce con i familiari dei pazienti C è corrispondenza tra il lavoro che svolge e le sue competenze/profilo professionale Ha voglia di investire nuove energie per l azienda/unità operativa 98,5 93,9 85,9 82,7 Si sente realizzato attraverso il lavoro 80,2 Riesce a trovare un equilibrio tra il lavoro e la sua vita privata Il suo lavoro corrisponde a quello auspicato per il suo progetto di vita 79,8 79,3 L immagine dell azienda all esterno è positiva 78,2 Le sue capacità professionali sono valorizzate 62,6 (*) Risposte di chi si ritiene molto o abbastanza soddisfatto Fonte: indagine Censis, 2013 e più in generale all operato dell Azienda, in particolare in merito alla distribuzione di ruoli e compiti (fig. 2). Non è un caso quindi che l identificazione risulti molto più forte con il proprio gruppo di lavoro piuttosto che con l Azienda ed anche sul fronte delle relazioni si nota che i rispondenti si dichiarano più soddisfatti dei rapporti di tipo orizzontale piuttosto che verticale. Quello che si delinea è un empowermet che si fonda sull operatività e che vede nei risultati del lavoro quotidiano la vera fonte di soddisfazione degli operatori ma che sconta tutte le difficoltà di una gestione aziendale spesso oggi troppo concentrata sulla gestione delle risorse economiche.

10 Rapporto Censis Fig. 2 - L esercizio dell attività lavorativa (*) (val. %) Ha fiducia nelle sue capacità professionali Ritiene adeguata la qualità dell assistenza che fornisce ai suoi pazienti/utenti Ha fiducia nelle capacità professionali dei suoi colleghi Ha accesso alle informazioni necessarie per svolgere il suo lavoro Ha autonomia nello svolgimento del suo operato Il suo lavoro le permette di utilizzare tutte le sue capacità e conoscenze Ha a disposizioni i mezzi e le risorse necessarie per svolgere il suo lavoro Ritiene adeguata l organizzazione della turnistica nella sua unità operativa Si sente libero di esprimere le sue opinioni anche quando sono in contrasto con quelle dei suoi superiori Ritiene adeguata la distribuzione delle responsabilità, la divisione dei compiti, tra le diverse figure professionali 98,0 94,4 94,0 90,4 89,8 82,3 75,6 74,6 66,5 63,6 (*) Risposte di chi si ritiene molto o abbastanza soddisfatto Fonte: indagine Censis, 2013 I dati confermano dunque la centralità dell impegno e della qualità delle risorse umane come fattore strategico di qualità e anche di efficacia dell attività sanitaria, ma nello stesso tempo mettono in luce ampie aree di miglioramento rispetto alla gestione da parte delle aziende di un personale che sembra continuare a dare il massimo, nonostante tutte le difficoltà di questa fase spinta di razionalizzazione economica che troppo spesso si traduce in tagli indiscriminati. Oggi più che mai quindi la sanità sembra camminare sulle gambe degli operatori, di un personale che continua a garantire il proprio impegno professionale con attenzione alla qualità delle prestazioni e ad essere fortemente identificato nella propria mission professionale che rimane quella della salute dei pazienti.

11 Il sistema di welfare La spesa farmaceutica nella crisi del Ssn La spesa farmaceutica è da sempre al centro delle politiche di razionalizzazione economica che hanno investito la sanità e questa tendenza, legata anche alla più diretta efficacia delle misure applicabili a questo comparto, appare ancora più marcata negli anni della crisi economica. La progressiva riduzione della spesa farmaceutica territoriale totale, pubblica e privata, ha fatto registrare in Italia nel 2012 un totale di milioni di euro, con una riduzione rispetto al 2008 di -1,9% e di -5,6% rispetto all anno precedente. In questa dinamica generale della spesa farmaceutica sono rinvenibili alcuni aspetti rilevanti: a fronte della riduzione costante della spesa pubblica, diminuita in termini nominali in un solo anno del 8,0%, la spesa privata fa registrare un andamento opposto di crescita costante (dal 2008 al ,3%), con l esclusione dell ultimo anno in cui si è registrata una lieve riduzione (da milioni di euro del 2011 a del 2012, pari a -1,5%) (tab. 2); nell ambito della spesa privata è la spesa per ticket sui farmaci che cresce di più, del 117,3% dal 2008 al 2012, e anche nell ultimo anno (+5,2%), raggiungendo quota 1 miliardo e 400 milioni, mettendo in luce anche l incremento del peso del ticket sul totale della spesa privata che nel 2012 ha raggiunto il 18,6%; diminuisce pertanto la quota di spesa coperta dal Ssn, che è passata dal 65,9% del 2008 al 61,0% del 2012; sono significative anche le altre quote di spesa privata per i farmaci, poco più di 1 miliardo di euro per l acquisto privato di farmaci di fascia A, 3 miliardi per i farmaci di classe C con ricetta e 2,128 miliardi per quelli di automedicazione (Sop e Otc), tutte voci in crescita, con l unica esclusione della spesa per farmaci di classe C con ricetta. Non stupisce quindi che a questi dati strutturali corrisponda la sensazione espressa dalla maggioranza dei cittadini che la spesa di tasca propria per l acquisto dei farmaci, sia essa legata al pagamento dei ticket, che per il pagamento eventuale della differenza di prezzo per i farmaci con marchio, sia per quelli a pagamento intero, sia molto o abbastanza aumentata (fig. 3).

12 Rapporto Censis Tab. 2 - Spesa per l assistenza farmaceutica territoriale pubblica e privata, (milioni di euro, val. % e var. %) Var. % Var. % Spesa convenzionata netta ,1-10,3 Distribuzione diretta e per conto di fascia A ,8 0,2 Totale spesa pubblica ,3-8,0 Compartecipazione del cittadino: ,3 5,2 Ticket fisso ,7 5,3 Scelta del cittadino di pagare la differenza rispetto al generico ,6 5,2 Acquisto privato di fascia A (*) ,2 0,6 Classe C con ricetta ,4-6,5 Automedicazione (Sop e Otc) ,6 0,7 Totale privata ,3-1,5 Totale spesa farmaceutica ,9-5,6 Quota a carico del Ssn (val. %) 65,9 65,0 65,1 62,6 61,0 (*) Il dato relativo alla spesa privata di farmaci rimborsabili dal Ssn è ricavato per differenza tra la spesa totale e la spesa a carico del Ssn Fonte: elaborazione Censis su dati Osmed e Farmindustria Fig. 3 - Le opinioni sull andamento della spesa out of pocket per i farmaci (ticket, differenza di prezzo per i farmaci con marchio, pagamento intero) nell ultimo anno, per ripartizione territoriale (val. %) È aumentata molto È aumentata abbastanza È rimasta uguale Si è ridotta ,0 1,1 2,9 2,0 2,0 43,5 35,3 35,6 32,5 36,8 37,1 46,3 39,1 35,4 38,7 19,0 17,4 22,4 28,4 22,5 Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Totale Fonte: indagine Censis, 2012

13 Il sistema di welfare 217 Fig. 4 - Le opinioni sull andamento della copertura garantita dal Servizio sanitario nazionale per i farmaci nell ultimo anno, per ripartizione territoriale (val. %) Ampliata Ridotta Rimasta uguale ,4 51,1 56,9 40,1 49, ,4 38,4 35,1 49,1 40, ,2 10,5 8,0 10,8 10,1 Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Totale Fonte: indagine Censis 2012 Tuttavia, a questo incremento non corrisponde la percezione di un ampliamento della copertura garantita dal Servizio sanitario nazionale per i farmaci di cui hanno bisogno: il 49,6% afferma che è rimasta inalterata ed il 40,3% che è addirittura diminuita (fig. 4). La sensazione di trovarsi davanti ad un sistema che costa di più senza dare di più è ancora più marcata nelle regioni meridionali (il 49,1% ritiene che la copertura farmaceutica sia diminuita), laddove si registrano anche i valori più alti di spesa farmaceutica pro-capite convenzionata e di compartecipazione dei cittadini (tab. 3). Le famiglie risultano costrette in questa dinamica anche per la scarsa elasticità dei consumi sanitari: l indagine Istat sui consumi delle famiglie rileva che, nel panorama complessivo di riduzione della spesa media delle famiglie, quella per la sanità è l unica che mostra un pur lieve incremento in valore reale dal 2007 al 2012 ed è proprio la spesa per farmaci, che con i suoi 499 euro annuali rappresenta la spesa media familiare sanitaria più elevata, a mostrare un incremento significativo (insieme a quella per i servizi ospedalieri che però presenta un valore medio decisamente più ridotto) (tab. 4).

14 Rapporto Censis Tab. 3 - Spesa farmaceutica convenzionata (popolazione pesata), 2012 (euro, val. % e var. %) Spesa netta pro-capite Spesa lorda pro-capite Compartecipazione del cittadino (1) Euro Var. % Euro Var. % Pro-capite (euro) Val. % (2) Var. % Val. % ticket fisso (3) Val. % quota prezzo di riferimento (3) Piemonte (4) 138,8-9,3 170,4-6,7 16,2 9,5 2,3 21,3 78,7 Valle d Aosta 140,9-8,2 167,9-5,5 12,0 7,1 14,5 0,0 100,0 Lombardia (4) 141,7-8,0 186,1-5,2 25,5 13,7 4,2 55,9 44,1 Bolzano (4) 101,8-17,0 132,6-13,5 19,1 14,4 3,8 50,8 49,2 Trento 131,4-9,2 154,1-6,8 8,6 5,6 11,7 0,0 100,0 Veneto (4) 127,5-9,8 168,9-6,6 25,6 15,2 4,4 51,1 48,9 Friuli V.G. 143,1-10,6 171,7-8,3 12,3 7,2 10,1 0,0 100,0 Liguria (4) 128,5-16,6 167,0-10,5 23,1 13,8 31,8 46,2 53,8 Emilia R. (4) 124,5-14,3 153,4-10,5 15,3 10,0 19,1 20,6 79,4 Toscana (4) 126,4-11,9 154,5-8,0 14,4 9,3 23,1 21,0 79,0 Umbria (4) 141,1-8,4 172,5-5,1 16,7 9,7 18,6 14,9 85,1 Marche 145,6-10,0 176,7-7,2 14,9 8,4 10,6 0,0 100,0 Lazio (4) 173,0-13,5 220,7-10,1 26,2 11,9 7,1 30,6 69,4 Abruzzo (4) 165,2-10,6 206,6-8,3 22,0 10,7 0,0 33,2 66,8 Molise (4) 147,6-13,1 190,6-8,0 27,3 14,3 18,4 32,8 67,2 Campania (4) 173,3-8,0 231,3-4,8 34,3 14,8 1,1 45,9 54,1 Puglia (4) 169,1-11,7 220,4-8,2 31,0 14,0 5,4 44,8 55,2 Basilicata (4) 142,6-15,7 180,4-9,7 21,8 12,1 43,2 33,7 66,3 Calabria (4) 178,5-8,7 223,4-6,6 25,0 11,2 0,9 28,4 71,6 Sicilia (4) 186,6-8,7 245,3-7,2 34,4 14,0-6,5 59,5 40,5 Sardegna 192,3-4,3 229,5-1,8 15,0 6,5 9,2 0,0 100,0 Italia 151,3-10,3 193,4-7,2 23,7 12,2 5,2 40,8 59,2 Nord 134,3-10,4 171,7-7,1 21,0 12,3 7,4 43,4 56,6 Centro 151,3-12,2 188,9-8,8 20,0 10,6 11,6 24,2 75,8 Sud e isole 175,9-9,1 227,7-6,4 29,8 13,1 0,7 45,0 55,0 (1) Comprende la compartecipazione per confezione, per ricetta e la quota eccedente il prezzo di riferimento dei medicinali a brevetto scaduto (2) Percentuale calcolata sulla spesa lorda (3) Percentuale calcolata sulla compartecipazione totale (4) Regioni con ticket in vigore nel corso del 2012 Fonte: elaborazione Censis su dati Agenas

15 Il sistema di welfare 219 Tab. 4 - Spesa media annua delle famiglie per tipologia di spesa, (euro per famiglia a prezzi correnti e var. % reale) Var. % reale Alimentari, bevande e tabacco ,0 Vestiario e calzature ,8 Abitazione, acqua, elettricità, gas ed altri combustibili ,7 Mobili, elettrodomestici e manutenzione casa ,9 Sanità ,5 di cui: Prodotti medicinali, articoli sanitari e materiale terapeutico ,6 Servizi ambulatoriali ,2 Servizi ospedalieri ,0 Trasporti e comunicazioni ,1 Ricreazione, cultura e istruzione ,8 Alberghi e ristoranti ,7 Beni e servizi vari ,7 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Anche negli anni della crisi gli italiani si vedono costretti a spendere di più per fronteggiare i propri bisogni di salute e di nuovo questo è confermato dalle percezioni di una ampia maggioranza di cittadini interpellati in una recente ricerca Censis: il 58,5% ritiene infatti che nell ultimo anno le spese out of pocket per la salute della propria famiglia (e non solo per i farmaci, ma anche per le visite mediche, le analisi, il dentista) siano aumentate. Il problema è che questo aumento di spesa privata, almeno nella percezione dei cittadini, è legato in primo luogo all accesso alle prestazioni con ticket, e di nuovo in primo luogo all acquisto dei farmaci, nell ambito del Servizio sanitario nazionale che, come è evidente, sono comunque quelle a cui ricorre una quota maggioritaria di italiani (fig. 5). Le percentuali di chi indica che ad essere aumentate molto o abbastanza sono le spese per la compartecipazione oscillano infatti tra il 63% ed il 65%.

16 Rapporto Censis Fig. 5 - Opinioni degli italiani sulle voci della spesa privata per la salute aumentate molto e abbastanza nell ultimo anno (val. %) Farmaci con il ticket 65,1 Ticket per visite mediche specialistiche 64,4 Ticket per analisi e radiografie 62,8 Farmaci senza ricetta 61,3 Visite mediche specialistiche a pagamento intero 52,7 Odontoiatria 48,1 Analisi e radiografie a pagamento intero 42,6 Fonte: indagine Censis, 2012 Ma a fronte di questo incremento, di nuovo, come rilevato per la copertura farmaceutica, gli italiani appaiono divisi sul giudizio di adeguatezza dei propri servizi sanitari regionali, con una netta divisione tra il Nord che ne afferma l adeguatezza ed il Centro e soprattutto il Sud che invece li considera in misura maggiore inadeguati (fig. 6). L aumento della compartecipazione alla spesa e della spesa privata tout court ed il giudizio sull adeguatezza dei servizi sanitari in cui sono significative le valutazioni negative sono un importante segnale di una progressiva contrazione di fatto della copertura pubblica che, per le zone del Paese con situazioni di offerta più precaria e per le fasce più deboli, può tradursi anche in un rischio di uscita dal servizio pubblico. Infatti l accesso al farmaco, che rappresenta uno strumento diffuso di risposta ai bisogni sanitari, è il primo ma non il solo ad essere caratterizzato da questa dinamica problematica, ma rimane emble-

17 Il sistema di welfare 221 Fig. 6 - Opinioni degli italiani sull adeguatezza del servizio sanitario della propria regione, per ripartizione territoriale (val. %) Adeguato Inadeguato Non so ,8 24,4 20,1 30,7 25, ,6 21,1 50,3 40, , ,6 54,5 33,5 29,6 11,7 Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Italia Fonte: indagine Censis, 2013 matico di una nuova situazione in cui l aumento della spesa privata comincia a rappresentare una importante condizione dell accesso alla stessa tutela garantita dal Ssn Finanziare e impiegare meglio le risorse, vera priorità del welfare La spesa pubblica per la protezione sociale in Italia è pari a quasi il 30% del Prodotto interno lordo, valore inferiore a quello di Paesi Ue come la Francia (33,8%), la Germania (30,7%), la Svezia (30,4%) o i Paesi Bassi (32,1%), ma superiore a quello di altri Paesi rilevanti come il Regno Unito (28%) o la Spagna (25,7%) (tab. 5). In rapporto al Pil la quota della spesa sociale in Italia nel periodo di crisi è cresciuta di 3,2 punti percentuali, anche a seguito della robusta caduta del prodotto interno lordo che ha ridotto il denomina-

18 Rapporto Censis Tab. 5 - La spesa pubblica per la protezione sociale: un confronto internazionale (euro, val. % e var. %) 2010 Val. % sul Pil diff. % in euro 2010 Val. pro-capite var. % Italia 29,9 3, ,0 5,1 Francia 33,8 2, ,8 6,7 Paesi Bassi 32,1 3, ,1 12,9 Germania 30,7 2, ,7 9,8 Svezia 30,4 1, ,0-1,4 Regno Unito 28,0 3, ,9-16,5 Spagna 25,7 5, ,1 15,4 Ue 29,4 3, ,4 9,0 Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat tore; la dinamica incrementale si è avuta anche negli altri Paesi citati, dalla Francia (+2,8%), alla Germania (+2,8%), alla Spagna (+5%), al Regno Unito (+3%), alla Svezia (+1,2%), all Olanda (+3,8%). È evidente che a livello macro e di comparazione internazionale la limatura progressiva della spesa pubblica per il welfare in atto in Italia non è ancora pienamente visibile, mentre essa sta già impattando seriamente sui bilanci delle famiglie. Nel welfare infatti vanno emergendo effetti paradossali delle successive manovre correttive come dimostrano i dati relativi ad un comparto essenziale come la sanità; da un indagine realizzata dal Censis su un campione nazionale di cittadini si evidenzia che il 27% degli intervistati dichiara che gli è capitato di dover pagare un ticket su una prestazione sanitaria superiore al costo che avrebbe sostenuto se avesse acquistato la prestazione nel privato pagando il costo per intero di tasca propria (tab. 6); il dato sale nettamente nelle Regioni sottoposte a Piani di rientro (oltre il 36%) nelle quali la sanità è epicentro di un processo di ristrutturazione indotto dallo stato finanziario, e in quelle del Sud (quasi il 40%). Ad un ulteriore 12,4% di italiani è capitato di trovare una differenza molto ridotta tra il ticket su una prestazione e il costo nel privato. Per molte attività diagnostiche ed accertamenti il livello raggiunto dai ticket rende di fatto più conveniente il ricorso alla sanità a pagamento nei laboratori e ambulatori privati o in intramoenia, ancor

19 Il sistema di welfare 223 Tab. 6 - Italiani a cui è capitato di pagare un ticket su una prestazione sanitaria superiore al costo che avrebbero sostenuto pagando tutto di tasca propria: confronto Regioni con Piano di rientro e altre Regioni (val. %) Regioni con Piano di rientro Altre Regioni Totale Sì, mi è capitato 36,6 19,8 27,2 No, ma la differenza era molto ridotta 13,2 11,7 12,4 No, non mi è capitato 50,2 68,5 60,4 Totale 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis, 2013 più se si considera la lunghezza delle liste di attesa per l accesso alle prestazioni in ambito pubblico. Riguardo alle tipologie di prestazioni che gli intervistati più hanno svolto in strutture private a pagamento intero, esse riguardano (tab. 7): l odontoiatria con quasi il 90% dei cittadini che vi ha svolto estrazioni dentarie semplici, con anestesia; la ginecologia con oltre il 57% delle intervistate che vi ha svolto l ultima visita in ordine di tempo; la riabilitazione motoria in motuleso semplice che concerne oltre il 36% degli intervistati; le visite ortopediche riguardanti il 34,4% degli intervistati; l ecografia di addome completo svolta dal 29% degli intervistati, la mammografia (19,5%) e la colonscopia (16,7%). Opta molto più per il privato una domanda diagnostica o terapeutica tendenzialmente più light e/o meno coperta dal Servizio sanitario nazionale come ad esempio l odontoiatria connotata da sempre da mercati privati, molecolari, oggi sotto l impatto del low cost nell offerta. Ha fatto ricorso all intramoenia il 30,7% degli intervistati per la riabilitazione motoria in motuleso semplice, il 14,7% per una ecografia all addome completo, l 8,1% per una mammografia e l 8,3% per una colonscopia. Riguardo al trend negli ultimi anni del ricorso al privato con pagamento intero da parte dei cittadini, emerge che il 38% degli italiani ne ha aumentato il ricorso per la riabilitazione motoria, oltre il 35%

20 Rapporto Censis Tab. 7 - Il ricorso degli italiani alla sanità privata e all intramoenia per alcune prestazioni sanitarie (val. %) Cittadini che nell ultimo anno hanno fatto ricorso: Cittadini che negli ultimi anni hanno aumentato il ricorso al privato all intramoenia al privato all intramoenia Estrazione dentaria semplice compresa anestesia 89,6 3,0 23,2 14,7 Visita ginecologica 57,2 5,4 31,5 13,5 Riabilitazione motoria in motuleso semplice 36,3 30,7 38,6 23,3 Visita ortopedica 34,4 7,6 33,8 16,7 Ecografia addome completo 28,7 14,7 34,0 16,8 Mammografia 19,5 8,1 29,9 13,2 Colonscopia 16,7 8,3 35,4 7,4 Fonte: indagine Censis, 2013 per la colonscopia, il 34% per le visite ortopediche, il 31% per la ginecologia e il 30% per le mammografia. Per l intramoenia invece il 23,3% degli intervistati ha aumentato il ricorso per la riabilitazione motoria, oltre il 17% per l ecografia all addome completo, il 16,7% per le visite ortopediche ed il 14,7% per l estrazione dentaria semplice compresa di anestesia. Nel 2012 le famiglie italiane hanno speso per prestazioni sanitarie 28,1 miliardi di euro, valore in diminuzione rispetto all anno precedente quando era superiore a 28,8 miliardi di euro, ma in vero e proprio decollo rispetto all ultimo anno precedente la crisi, quando era stato di oltre 2 miliardi di euro inferiore. Nel contempo la spesa sanitaria pubblica è cresciuta nella prima fase della crisi, , di quasi 11 miliardi di euro, ma dal 2010 al 2012 è diminuita di quasi 2 miliardi di euro. Nel recente biennio quindi si registra una sforbiciata della spesa pubblica per la sanità compensata solo parzialmente dalla spesa privata (che anzi nell ultimo anno arretra) e che ha generato in parallelo il fenomeno, più volte evidenziato, del razionamento di fatto della domanda con la fuoriuscita dal sistema sanitario dei cittadini che non riescono ad acquistare le prestazioni nel privato o in intramoenia. L effetto netto quindi è il costituirsi già oggi nella percezione dei cittadini di un welfare essenziale che offre una serie di prestazioni di base lasciando al cittadino il compito di trovarsi e pagarsi il resto: il

21 Il sistema di welfare ,2% degli italiani ritiene che il Servizio sanitario offre sostanzialmente le prestazioni essenziali mentre le altre vanno pagate di tasca propria, il 14% reputa come insufficiente in generale la copertura per se stesso e la propria famiglia, mentre il 45% ritiene che la copertura è sufficiente. Nella esperienza dei cittadini si sta già andando verso una copertura pubblica fatta di prestazioni essenziali che lascia ampio spazio poi all acquisto diretto di prestazioni con risorse proprie; e questa percezione è più forte nelle Regioni con Piano di rientro in cui le tante manovre più hanno ridefinito la sanità locale dove è il 20% dei cittadini a considerare la copertura offerta dal Servizio sanitario nazionale insufficiente per sé e per la propria famiglia ed il 44% a pensare che il Servizio sanitario nazionale copra le prestazioni essenziali e richieda l acquisto diretto di tasca propria delle altre. Aumento della spesa privata e razionamento della domanda, con conseguenti gravi diseguaglianze sociali coinvolgono nel welfare non solo la sanità perché, ad esempio, la spesa per l assistenza privata ai non autosufficienti, piuttosto rigida anche nella crisi, può essere stimata intorno a 8 miliardi di euro annui. Ci sono poi le spese collaterali legate all insorgere di patologie gravi e croniche, come ad esempio nel caso dei 2,4 milioni di persone con diagnosi di tumore nella loro vita le cui spese non mediche (come, ad esempio, trasporti, care domiciliare, ecc.) sono stimate pari a circa 6,3 miliardi di euro annui, mentre gli aiuti monetari da parte di familiari sono pari a 1,3 miliardi di euro; poi le spese annuali in capo alle famiglie delle persone in stato vegetativo che sono pari a quasi 41 milioni di euro. E ancora tipologie di spese per il welfare cresciute anche nella crisi, come ad esempio la spesa familiare per la formazione e l istruzione aumentata di oltre il 9% dal È evidente che questi livelli di spesa delle famiglie per il welfare genera un discrimine rispetto alla capacità di sostenerle e di conseguenza attiva forme di razionamento della domanda, che possono toccare anche bisogni significativi di tutela delle famiglie. Nel complesso esiste una quota significativa di risorse monetarie private delle famiglie che serve già oggi a finanziare l acquisto di servizi e prestazioni di welfare inteso in senso ampio e che confluisce su mercati molecolari, dove si registrano compravendite diffuse. Si può dire che la spesa privata frammentata e sommersa è una realtà sostanziale per il welfare italiano, addirittura eclatante anche nella sanità che pure ha una antica e consolidata vocazione universalista.

22 Rapporto Censis Il paradosso del welfare in questa fase è evidente: il pubblico offre meno, nel mentre molte famiglie spendono di più per avere comunque meno e altre rimangono semplicemente senza copertura; cercando di preservare la sua sostenibilità con i vecchi modelli di finanziamento ed erogazione il sistema di welfare perde la sua anima, cioè non riesce a garantire in modo ampio la copertura reale dai rischi sociali quando essi si manifestano. Un punto di attacco quindi deve riguardare la produttività delle risorse pubbliche e private che oggi finanziano il welfare, vale a dire se a parità di risorse non sia possibile già oggi garantire una copertura più ampia, e se inoltre non sia possibile ipotizzare processi economici e socioculturali in grado di attivare nuovi canali di finanziamento. L attenzione quindi deve rivolgersi sempre più verso l organizzazione del rapporto tra domanda e offerta di risorse, a cominciare da meccanismi di valorizzazione di quelle private che oggi sono utilizzate dalle famiglie per rispondere alla manifestazione puntuale di un rischio sociale, dalla malattia alla perdita di lavoro alla formazione dei figli. Sta infatti andando persa la dimensione di investimento del welfare, quella di un accumulo di lungo periodo finalizzato a coprire l insorgere di un rischio ed a ridistribuire il costo del rischio stesso. Da qui anche la necessità di promuovere processi di valorizzazione di nuove opportunità di finanziamento del welfare che sono in grado di riarticolare la spesa nel tempo e nelle comunità; ciò va praticato a livello micro e a livello macro, di sistema della protezione sociale. A questo proposito, è interessante che gli italiani giudicano negativamente le manovre di finanza pubblica sulla sanità, non solo perché hanno tagliato i servizi e ridotto la qualità (61%), o perché hanno accentuato le differenze di copertura tra regioni, ceti sociali, ecc. (73%), ma perché hanno puntato troppo sui tagli e poco sulla ricerca di nuove fonti di finanziamento, dai fondi sanitari alle polizze malattie (67%), e nelle Regioni con Piano di rientro la quota che fa propria questa opinione è superiore al 70%. La ricerca di modi alternativi, anzi complementari, di finanziare il welfare nasce dalla necessità di garantire sostenibilità al sistema e dall esigenza di un rilancio di una diversa cultura di assicurazione e investimento sociale anche nelle famiglie; infatti, se si guarda in prospettiva è chiaro che non ci sarà bilancio pubblico in grado di finanziare una copertura sociale adeguata rispetto alla dinamica della

23 Il sistema di welfare 227 domanda di prestazioni; il rischio è un aumento delle famiglie impossibilitate a fronteggiare il costo dei rischi sociali quando si manifestano, con l intensificazione di una nuova dinamica di divaricazione sociale che può accelerare la rottura della coesione comunitaria. In una congiuntura in cui il 41,7% delle famiglie italiane dichiara di non poter fronteggiare pagamenti improvvisi e imprevisti di 800 euro, è inevitabile una iniquità profonda se la tutela sociale dipende dalla capacità puntuale di pagare delle famiglie. Per questo lo sviluppo di meccanismi efficaci di finanziamento, in termini di valorizzazione delle risorse già oggi mobilitate, costituisce un problema chiave per il welfare italiano, altrimenti lasciato alla pericolosa deriva di una componente pubblica più corta perché con minori risorse, e di componenti private che solo in parte possono compensare quel che il pubblico non garantisce più. Non lavorare su modalità aggiuntive, anzi integrative, di finanziamento rischia di lasciare sempre più sole le famiglie a fronteggiare quello che il pubblico non garantisce più, con effetti dirompenti sull equità sociale; va peraltro detto che in nicchie significative di famiglie sta maturando una propensione alla cultura mutualistica, di assicurazione sociale che già oggi per la sanità integrativa si stima possa mobilitare un potenziale di circa 500 milioni di euro annui, intese come le risorse che dichiarano di potere mettere in campo le famiglie attualmente disponibili a sottoscrivere strumenti della sanità integrativa. Fermo restando le esigenze di equilibrio attuariale che deve sempre caratterizzare gli organismi mutualistici e assicurativi, rimane che di fronte alla crisi di sostenibilità che fa convivere meno spesa pubblica, maggiore esposizione privata e minore copertura sociale dai grandi rischi, diventa prioritario trovare nuove modalità di organizzazione e utilizzo delle risorse pubbliche e private che oggi finanziano la protezione sociale nel nostro Paese, oltre che canali aggiuntivi praticabili per le famiglie. La necessità di un utilizzo più produttivo delle risorse non pubbliche già oggi mobilitate può essere esteso anche ad altri canali di finanziamento, dalle fondazioni private alle donazioni spontanee al cinque per mille; la molteplicità di fonti in non pochi casi genera sovrapposizioni e anche sprechi, e in questa fase non riesce a contribuire, come potenzialmente potrebbe, ad evitare nuove disuguaglianze proprio sul fronte del welfare che, invece, dovrebbe essere la piattaforma per eccellenza votata alla coesione sociale.

24 Rapporto Censis Centralità delle reti di relazioni e rischi di erosione Il welfare italiano ha nelle reti di relazioni informali, dalla famiglia agli amici, dal volontariato al non profit, una componente fondamentale che contribuisce in modo originale alla produzione aggiuntiva e di qualità di servizi e prestazioni e, in questi anni, in modo significativo alla tenuta rispetto agli impatti della crisi. Per le persone, infatti, il grado di internità alle reti informali condiziona il benessere e la tutela di cui possono beneficiare, così come per le comunità le reti di relazionalità sono una determinante della qualità della vita e una terapia preventiva rispetto al degrado dei contesti. Infatti, i luoghi più insicuri, a più alto degrado sociale sono quelli ove si è spenta la relazionalità collettiva con la ritirata delle persone dagli spazi pubblici, abbandonati all egemonia della devianza e dell illegalità e alla connessa moltiplicazione di patologie sociali ad alto costo per le persone più fragili e per il welfare. Nel tempo le reti di relazioni sono state l incubatore dell innovazione nelle modalità di risposta a bisogni sociali insorgenti (si pensi alla copertura della domanda di assistenza a longevi non autosufficienti) e le interpreti migliori di un welfare centrato più sulla persona che sulle risposte professionalizzate e categoriali a singoli bisogni. La relazione infatti rende gli organismi informali, dalle reti familiari a quelle sociali organizzate o meno, capaci di praticare una protezione sociale in cui la dimensione umana, empatica, di rapporto tra persone in sofferenza e persone che danno supporto conta almeno quanto la necessaria tecnicità, generando quindi anche una barriera rispetto all eccesso di tecnicismo e di categorizzazione dei bisogni sociali che moltiplicano frammentazione e depersonalizzazione. Sono tante quindi le ragioni che rendono la relazionalità sociale, e le reti che nei vari ambiti nascono da essa, una dimensione strategica per l efficacia e la sostenibilità del welfare, tanto più nell attuale contesto di crisi che allarga la forbice tra la domanda di copertura e le risposte sostenibili. Esistono però segnali crescenti di erosione delle reti informali, che rinviano all intreccio tra fattori congiunturali e processi di lunga deriva, a cominciare da quelli sociodemografici che toccano il pilastro centrale del sistema, la famiglia. Un esempio eclatante è quello dell incremento delle persone che vivono sole che imponendosi come fenomeno da grandissimi numeri

25 Il sistema di welfare 229 rischia di scardinare l organizzazione del nostro welfare che tende a internalizzare nelle famiglie, sia pure allargate, le risposte ad una molteplicità di bisogni sociali. Certo, vivere da soli non vuol dire essere soli e tuttavia è una condizione di fragilità potenziale in una società in cui domande di tutela stringenti (per esempio, il supporto in caso di patologia, l assistenza continuativa in caso di non autosufficienza o disabilità, ecc.) sono di fatto in capo a coniuge, figlio, ecc. Le persone che vivono sole sono attualmente oltre 7,5 milioni di persone pari al 14,5% della popolazione da 15 anni in poi; di queste quasi 2 milioni hanno tra 15 e 45 anni (è l 8,2% di questa classe di età), poco più di 2 milioni hanno tra 45 e 64 anni (il 12,2%) e oltre 3,6 milioni sono anziani (29,5%). Rispetto al 2002 si registra un aumento del 36,6% pari a quasi 2 milioni di persone in più; rispetto alle classi di età si registra che: tra gli anziani la quota di persone che vive sola è aumentata del 24,8% ( ); tra le persone con meno di 45 anni del 31% ( ); tra coloro che hanno tra i 45 e i 64 anni del 71% circa ( ). Il vivere da soli non è solo l esito dell età che avanza e della conseguente perdita di quote di relazioni sociali, ma una condizione di vita che sempre più coinvolge tutte le fasce di età. Infatti, se quasi il 66% delle persone che vivono sole non ha scelto di farlo, oltre il 34% la definisce una propria libera e autonoma scelta: dichiara di avere scelto di vivere da solo oltre l 83% delle persone fino a 34 anni, il 73,3% di quelle tra 35 e 44 anni, poco più del 69% dei 45-54enni, il 17,6% dei 55-64enni e meno del 16% degli over 64 anni (tab. 8). Piace vivere da soli a oltre l 83% degli intervistati con età fino a 34 anni, al 69% degli adulti fino a 54 anni, a meno di un quarto tra i 55-64enni ed a meno del 16% tra i longevi (tab. 9). Vivere da soli è fino ad un età piuttosto avanzata da adulti una condizione scelta e soddisfacente, per poi diventare una condizione subìta e che genera insoddisfazione. Si è dinanzi ad un gruppo sociale molto composito in cui coesistono stili di vita, modelli comportamentali ed esigenze molto diverse che rappresentano la complessità del nesso tra condizione di vita, relazioni e rischio solitudine, che sta avendo, e avrà sempre più, impatti rilevanti sul nostro welfare.

26 Rapporto Censis Tab. 8 - Persone che hanno scelto di vivere da sole, per classe di età (val. %) anni anni anni anni 65 anni e più Totale Sì 83,3 73,3 69,2 17,6 15,8 34,3 No 16,7 26,7 30,8 82,4 84,2 65,7 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis, 2013 Tab. 9 - Persone a cui piace vivere da sole, per classe di età (val. %) anni anni anni anni 65 anni e più Totale Sì 83,3 66,7 69,2 23,5 15,8 34,3 No 0,0 6,7 7,7 41,2 59,6 39,8 Non saprei 16,7 26,6 23,1 35,3 24,6 25,9 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis, 2013 È infatti evidente che vivere da soli è una condizione che proietta verso l esterno una domanda di relazionalità e di tutela, e che richiede l integrazione di una efficace rete di relazioni; è una scelta di vita, volontaria o subìta, che ha bisogno di contesti comunitari adatti in cui deve potersi incastonare una parte di quella produzione di servizi e interventi che oggi passa tramite le famiglie in senso stretto; ecco perché la voglia di comunità dei cittadini, inclusi i più giovani, non è una pulsione passatista di ritorno a contesti chiusi fatti di controllo e conformismo, ma una richiesta di qualità nel modo di vivere i contesti urbani, che coinvolge anche la tutela dai rischi sociali e quindi il welfare. Diventa fondamentale investire sulla generazione e promozione delle reti, puntando a creare contesti pro-relazionali, perché esse non sono solo una espressione spontanea, ma il risultato di una lunga sedimentazione fatta di investimenti sociali dei cittadini e delle istituzioni; generare relazioni quindi è un obiettivo importante per il welfare perché ne condiziona la qualità delle prestazioni, la sostenibilità e l impatto sulla coesione delle comunità.

27 Il sistema di welfare 231 Come rilevato le reti sono il portato anche di investimenti di lunga deriva di cittadini e istituzioni e ne è prova il non profit, realtà vitale ed essenziale della protezione sociale e più in generale della società, capace di lavorare sulla frontiera dell innovazione. Il non profit non è solo un insieme di organismi che producono servizi e interventi, ma in primo luogo un aggregato di contesti pro-relazionali in cui si intrecciano vite ed esperienze di operatori, beneficiari e volontari, e che in molti contesti difficili esercitano un effetto rivitalizzante sul piano socioeconomico, culturale, civile e istituzionale. Dati Istat indicano che le istituzioni non profit nel nostro Paese al 2011 sono , con un incremento di quasi unità pari al +28% rispetto al 2001; nel complesso vi operano 5,7 milioni di persone, di cui 4 milioni e volontari, quasi dipendenti, lavoratori esterni (collaboratori a progetto, con contratto occasionale, con contratto occasionale di tipo accessorio) e lavoratori temporanei. Rispetto al 2001 si registrano dinamiche di crescita significative: i volontari sono aumentati del +43,5%, i dipendenti del +39,4%, i lavoratori esterni del +169,4% e i temporanei del +48%. Le tipologie esistenti disegnano una realtà molto articolata: ci sono infatti associazioni non riconosciute ( , pari al 66,7% del totale), associazioni riconosciute (68.349, pari al 22,7%), cooperative sociali (11.264, pari al 3,7%), fondazioni (6.220, il 2,1%), istituzioni con altra forma giuridica (14.354, il 4,8%) come comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative. Un aggregato composito che opera in una fitta matrice di settori, alcuni decisivi per il welfare, e che trasversalmente ha nella produzione di relazioni un valore aggiunto oggi strategico. L analisi della distribuzione regionale evidenzia una delle criticità maggiori, vale a dire la diversa dotazione dei territori che ovviamente condiziona la qualità della vita e del welfare locale (tab. 10): in termini di incidenza delle istituzioni non profit sui residenti locali si passa dai valori massimi di Valle d Aosta (104 istituzioni non profit ogni abitanti), Trentino Alto Adige (100 ogni ) e Friuli Venezia Giulia (82 per abitanti), ai valori più bassi di Campania (25 strutture ogni abitanti), Puglia (37), Sicilia (39) e Calabria (40); il rapporto volontari/residenti va dai valori di Valle d Aosta (1.475 ogni abitanti), Trentino Alto Adige (1.210) e Friuli Ve-

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