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1 Alma Mater Studiorum Università di Bologna FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia LA DERMATOSCOPIA DEL CUOIO CAPELLUTO NELL ALOPECIA AREATA Tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia Relatore: Chiar.ma Prof.ssa ANTONELLA TOSTI Presentata da: FRANCESCO FELETTI Sessione I Anno Accademico

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3 INDICE I. Introduzione...pag. 3 II. La dermatoscopia...pag Definizione...pag Cenni storici...pag Fenomenologia ottica della cute...pag La visione dermatoscopica...pag Strumentazioni e acquisizione di immagini dermatoscopiche...pag. 12 III. Alopecia areata...pag Definizione...pag Cenni storici...pag Eziologia e patogenesi...pag Clinica...pag Istopatologia...pag Prognosi...pag Diagnosi differenziale...pag Esami di laboratorio...pag Terapia...pag. 28 IV. La dermatoscopia nell alopecia areata...pag Esame della letteratura...pag Ricerca personale...pag. 43 Materiali e metodi...pag. 43 Risultati...pag. 46 V. Discussione...pag. 49 VI. Bibliografia...pag. 53 3

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5 I. INTRODUZIONE La diagnosi clinica dei disordini del capello e del cuoio capelluto non è sempre agevole. In particolare questo è vero per quanto riguarda l Alopecia Areata (AA) e soprattutto nei casi che non si presentano con il classico aspetto a chiazze, ad esempio la forma incognita, che richiedono per la diagnosi e la diagnosi differenziale un approccio invasivo come la biopsia. Le tecniche diagnostiche classiche semi-invasive più largamente utilizzate sono il pull test (e il wash test), il tricogramma, la conta dei capelli, l esame della crescita dei capelli, la valutazione della scriminatura. Tutte queste metodiche sono tuttavia non standardizzabili e operatore dipendente: servono quindi strumenti diagnostici più semplici sensibili, affidabili e riproducibili. La dermatoscopia, che ha trovato finora largo impiego nello studio delle lesioni pigmentate, è stata applicata solo recentemente allo studio dei disordini del capello e del cuoio capelluto. Si tratta di un esame rapido e non invasivo che sfrutta il videodermatoscopio, una apparecchiatura composta da un computer dotato di una videocamera ad esso collegata mediante un fascio di fibre ottiche, da un monitor ad alta risoluzione e da un software che permette l archiviazione e la manipolazione delle immagini. Gli obiettivi della videocamera variano, come ingrandimento da 20X a 70 X con incrementi di 10 X ogni volta. Nella nostra ricerca abbiamo applicato questa tecnica allo studio della AA: oltre ad evidenziare, con ricchezza di particolari, tutte le caratteristiche cliniche note dell AA, può essere ripetuta infinite volte a differenza della biopsia e l archiviazione delle immagini consente il confronto periodico delle stesse in corso di terapia: aspetto estremamente utile nello studio di nuovi farmaci per il trattamento dell AA e per identificare i primi segni di miglioramento in corso di terapia, allorché questi siano ancora poco visibili alla semplice ispezione clinica. 5

6 Nella nostra ricerca, abbiamo inoltre avuto modo di osservare due caratteri finora non riportati nell AA: il Mosaic Pigment Pattern e gli Yellow Dots Monomorfi, aspetti che potrebbero permettere o facilitare la diagnosi nei casi clinicamente di difficile interpretazione. 6

7 II. LA DERMATOSCOPIA 1. Definizione La dermatoscopia (DS), definita anche dermoscopia, microscopia ad epiluminescenza, epimicroscopia, microscopia di superfìcie, microscopia a luce incidente o microscopia a luce riflessa, è una metodica diagnostica non invasiva che permette di valutare microscopicamente la morfologia e la disposizione di addensamenti di pigmento melanico, di anse capillari, di vasi ectasici e lacune ematiche nell'ambito dell'epidermide, della giunzione dermoepidermica e del derma superficiale, non altrimenti apprezzabili alla semplice ispezione clinica (1-10). Per tali prerogative, la DS ha trovato principale campo di applicazione nella diagnostica delle lesioni di natura melanocitaria e nella differenziazione di queste ultime da altre lesioni cutanee pigmentate, quali la cheratosi seborroica, l'epitelioma basocellulare, l'angioma, l angiocheratoma, il dermatofibroma, e altre. Non mancano tuttavia altre interessanti proposte di applicazione della D., da quelle ormai storiche nel lupus vulgaris a quelle più recenti nella scabbia, nelle verruche virali, nel mollusco contagioso, nel granuloma piogenico, nell idradenoma sebaceo, delle calcificazioni cutanee distrofiche (11-13), per non considerare l'ampio settore della capillaroscopia, metodica diagnostica di cui la DS è, a tutti gli effetti, figlia. 2. Cenni storici Le prime documentazioni sulla microscopia a luce incidente risalgono alla seconda metà del XVII secolo, allorché J.C. Kolhaus pubblicò le sue originali osservazioni sulla morfologia dei capillari della matrice ungueale mediante un rudimentale microscopio. Per circa due secoli la microscopia a luce incidente continuò ad essere utilizzata prevalentemente per affinare le conoscenze sulla rete vasale cutanea e mucosa. Solo alla fine del secolo XIX, P.G. Unna iniziava ad applicare in modo sistematico la metodica in campo dermatologico; partendo dall'osservazione che lo strato corneo si oppone otticamente alla libera penetrazione della luce nella cute, egli si adoperò a codificare un 7

8 procedimento (basato essenzialmente sull'applicazione di un vetrino portaoggetti sulla superficie cutanea, resa traslucida da una goccia di olio idrosolubile o di altri fluidi) che permettesse un'adeguata visione delle strutture sottostanti. Una figura essenziale nell evoluzione tecnica della DS fu quella di J. Saphier che, nel primo dopoguerra, pubblicò alcuni fondamentali studi sulle possibili applicazioni della microscopia di superficie; a lui si devono non solo il termine di dermoscopia ma anche i primi studi comparativi sugli olii da immersione. Dal secondo dopoguerra, sulla spinta delle osservazioni di L. Goldman, la DS è andata sempre più delimitando il suo naturale campo d applicazione a quello della valutazione preoperatoria delle lesioni melanocitarie. Tuttavia, soltanto nell ultimo decennio essa ha incontrato l attenzione e il consenso della comunità dermatologica internazionale, pur con diffuse sacche d indifferenza e scetticismo. Il merito della definitiva maturazione di questa tecnica diagnostica va equamente ripartito fra le scuole dermatologiche tedesca e austriaca, senza per questo dimenticare gli importanti contributi di molti altri studiosi europei ed extraeuropei. Nel 1987 Pehamberger propose un modello d analisi di pattern; nel 1989 furono pubblicate le prime correlazioni istopatologiche da parte di Soyer e coll; nello stesso anno fu pubblicato il consensus meeting di Amburgo che portò alla stesura definitiva di una terminologia comune univoca per i molteplici criteri dermatoscopici individuati dai vari autori. Le prime monografie sull argomento risalgono a Kreusch e Rassner nel 1991 in lingua tedesca e a Stolz e coll nel 1994 in lingua inglese (14). 3. Fenomenologia ottica della cute Le radiazioni elettromagnetiche dello spettro ottico, cioè quelle comprese fra 250 nm nell ultravioletto e i 3000 nm nell infrarosso, penetrano nei tessuti biologici più o meno profondamente a seconda della loro lunghezza d onda ( ) ed intensità (15). Il nostro occhio è peraltro in grado di percepire solo le radiazioni con situata fra i 400 e i 780 nm, essendo insensibile a tutte le altre; questa 8

9 banda del visibile è dotata di una notevole capacità di penetrazione nella cute. I fenomeni dovuti all interazione tra luce e cute sono oltremodo complessi, in virtù della particolare struttura microscopica di quest ultima, che costituisce un mezzo ottico disomogeneo, multistratificato, dinamico e variabile. Per tentare di comprenderli intimamente, è stato da tempo sviluppato un modello generale quantitativo che segue le teorie fenomenologiche riguardanti il trasferimento delle radiazioni nei mezzi ottici torbidi (la più nota delle quali è quella di Kubelka e Munk) applicate a ciascuno degli strati cutanei. Considerando gli spettri d assorbimento e la localizzazione dei principali cromofori cutanei da un lato, e i fenomeni di diffusione ottica dall altro, è quindi teoricamente possibile giungere ad una descrizione matematica delle caratteristiche ottiche della cute. Quando un fascio di luce incide più o meno perpendicolarmente sulla cute incontrandone la superficie, il cambiamento repentino dell indice di rifrazione dell aria (=1) e dello strato corneo (=1,55) fa sì che circa il 4-7% dell energia luminosa venga riflessa sulla stessa (riflessione normale); il fenomeno viene da noi apprezzato visivamente come un riflesso superficiale. Il restante 93-96% penetra invece in profondità, andando incontro a fenomeni di diffusione e di assorbimento. Questi due processi, considerati nel complesso, governano, di fatto, sia la progressione della luce attraverso la pelle sia il rinvio da quest ultima della radiazione luminosa. Il fenomeno della diffusione è dovuto alla disomogeneità dell indice di rifrazione del mezzo ottico-cute, corrispondente alle differenti componenti strutturali. A livello epidermico, i fenomeni diffusivi appaiono di limitata entità, dando luogo a un debole rinvio epidermico (in buona parte attribuibile alla cheratina nelle sue tappe maturative intermedie e pari al 5% circa della luce incidente) da noi apprezzato come una tenue sfumatura giallastra. 9

10 L epidermide del Caucasico trasmette viceversa gran parte dell energia luminosa in profondità, a livello dermico, dove giunge quindi il 90% circa della luce incidente. Qui i fenomeni diffusivi si fanno imponenti e sono riferibili in massima parte alle fibre collagene; ne consegue un evidente rinvio epidermico, che viene percepito con il caratteristico chiarore di fondo della pelle. I fotoni di luce incidente possono tuttavia incontrare nel loro tragitto alcuni atomi o molecole detti cromofori, cessando di esistere; i vari cromofori mostrano, infatti, specifiche bande d assorbimento intorno a determinate lunghezze d onda: è il caso dell emoglobina, che assorbe selettivamente le lunghezze d onda blu, verdi e gialle riflettendo le restanti, dando luogo a immagini di colore rossastro. Differenti risultano le proprietà ottiche della melanina, la quale si comporta in pratica come un filtro fotografico grigio, assorbendo largamente attraverso lo spettro ottico e dando luogo ad un immagine di colore variabile da marrone a nero. L impiego di una lente d ingrandimento convenzionale, a causa dei suaccennati fenomeni di riflessione della luce da parte del corneo e della particolare struttura a solchi e rilievi della superficie cutanea, non permette in realtà di visualizzare adeguatamente le strutture sottostanti. Si viene in pratica a determinare lo stesso fenomeno prodotto dalla luce solare sulla superficie increspata del mare: la scomposizione del riflesso superficiale in mille piani differenti produce un fastidioso riverbero che impedisce, di fatto, la percezione dei particolari più profondi. Per ovviare a tale limitazione è necessario ricorrere all applicazione preventiva sulla cute di un olio d immersione o di un altro fluido con proprietà ottiche equivalenti, che permetta di abbattere gran parte della riflessione superficiale dovuta alle diverse caratteristiche rifrattive di aria e corneo, rendendo quest ultimo trasparente. La contemporanea lieve pressione con una lastrina di vetro sull area cutanea così tratta completa l opera, realizzando una superficie idealmente piana e proponendo quindi al fascio di luce incidente un unico piano di riflessione. 10

11 Affinché il risultato sia ottimale, il fluido deve disporsi a colmare perfettamente gli spazi d aria fra la superficie del vetro e i corneociti del disgiunto, minimizzando la percezione delle varie interfacce e realizzando una fase ottica (aria/vetrino/fluido/corneo) quanto più omogenea. Tra i fluidi per la microscopia classica più comunemente impiegati, l olio di legno di cedro, con il suo indice di rifrazione (IR) di 1,53, pressoché identico a quello del vetro (1,52), appare dotato di caratteristiche ottimali per la DS. Nella pratica dermatoscopica, tuttavia, per evitare effetti indesiderati, sono state da tempo adottate svariate alternative quali la glicerina, l olio d oliva, l olio di paraffina,i gel idrofilici per xeroftalmia, i gel per ecografia ecc. Un fluido oleoso è probabilmente più indicato di una soluzione idroalcolica, più utile a sua volta in caso di lesioni perfettamente piane e normocheratosiche. Così, in linea di massima, si preferisce impiegare, per le aree seborroiche dell'estremo cefalico (ad eccezione delle aree perioculari) e del tronco, una miscela alcol iso-propilico/acqua demineralizzata, mentre si ricorre frequentemente all'olio di paraffina in caso di lesioni pigmentale degli arti, soprattutto inferiori, dove la maggiore viscosità permette di ridurre la formazione d'artefatti (sacche d'aria tra vetrino e superfìcie cutanea). L'elevato grado di viscosità di un fluido d'interfaccia può essere inoltre sfruttato qualora si voglia valutare attentamente il pattern vascolare di una lesione acromica o scarsamente pigmentata: in tali casi, infatti, la compressione del vetrino sulla lesione, ischemizzandola, non permette di evidenziare le più sottili ectasie; l'impiego di un gel viscoso, quale quello per ecografìa, permette invece di mantenere leggermente discosto il vetrino dalla superficie cutanea, pur mantenendo una contiguità tra vetrino, fluido e strato corneo. Un'alternativa ai fluidi per DS è rappresentata dalla polarizzazione: si sfrutta in questo caso la capacità di speciali filtri ottici di trasformare la luce riflessa dalla superficie cutanea (che tende naturalmente a propagarsi in tutte le direzioni perpendicolari a quella d'origine) in luce polarizzata, cioè propagantesi con moti vibrazionali orientati su di un unico piano geometrico. Ciò permette di abbattere la riflessione irregolare del corneo senza ricorrere 11

12 all'artifìcio della apposizione del vetrino e del fluido d'interfaccia sulla superfìcie di quest'ultimo. Se, da un lato, l'abolizione di ogni contatto diretto con la pelle elimina i fenomeni compressivi che possono portare ad una distorsione ottica, dall'altro va detto che le immagini ottenute con videomicroscopia che adottano questa tecnologia presentano spesso una fastidiosa dominante rossa che, di fatto, impedisce di rilevare adeguatamente le differenti sfumature di colore della lesione ed il pattern vascolare; anche altri fondamentali criteri dermoscopici risultano poco apprezzabili, quali il velo biancastro e le pseudocisti cornee, che perdono la caratteristica luminescenza. Di contro, la componente reticolare sembra stagliarsi più definitamene (14,15). 4. La visione dermatoscopica Una volta resa ottimale la visione in profondità, il nostro sguardo è finalmente in grado di percepire l'immagine dermoscopica, vale a dire la proiezione bidimensionale delle strutture pigmentate dell'epidermide) della giunzione e del derma superficiale. In tal modo vengono osservati, come se fossero disposti su di un unico piano, particolari in realtà situati su piani differenti. Le diverse tonalità di colore che essi presentano ci fanno comunque risalire con buona precisione alla loro profondità di localizzazione ed al loro spessore/densità. All'esame dermoscopico l'epidermide normale appare, come accennato, giallastra; quando essa è marcatamente acantosica, il colore vira verso il giallo-marroncino opaco, sino ad arrivare al grigio-brunastro nelle aree ove è più elevato il numero di cheratinocìti pigmentati. Su tale sfondo si stagliano, più o meno distintamente, gli addensamenti melanocitari localizzati a livello epidermico, giunzionale o dermico superficiale. Entrando nello specifico, gli accumuli da eliminazione transepidermica di pigmento melanico, situati nel corneo o nelle assisi più esterne del malpighiano, particolarmente densi e nel contempo estremamente superficiali, assorbono la luce incidente in modo pressoché completo e diretto, senza interposizioni di tessuto che ne schiariscano l'immagine; il rinvio di luce da tale punto è quindi nullo, e nero appare il loro colore. Se il pigmento è invece localizzato nelle assisi epidermiche inferiori ed alla giunzione esso risulta di 12

13 color marrone, di tonalità più chiara o più scura in virtù della seconda variabile, ossia lo spessore/densità. L'addensamento di melanina è situato in questo caso ancora abbastanza superficialmente, e quando viene raggiunto dalla luce incidente solo minimamente smorzata nell'intensità dai fenomeni diffusivi delle strutture epidermiche soprastanti, in buona parte la assorbe (di qui il colore scuro), ma in parte non trascurabile la trasmette nel derma sottostante. Quanto più denso e/o spesso è l'accumulo, tanto più scura è la tonalità del marrone, perché minore la quota di luce che, riflessa dal derma sottostante, è in grado di schiarirne l'immagine (Figg.1,2). Quando il pigmento melanico è situato nel derma papillare, assume in genere un colore grigio o grigio-bluastro, essendo espressione della presenza di melanina a livello dei macrofagi ("melanofagi") o libera nel derma. In questo caso, una componente fibrosa (otticamente molto riflettente) ospita nel suo contesto una componente melanica (otticamente molto assorbente) finemente dispersa; la combinazione ottico/cromatica che ne sortisce è appunto quella di una tonalità grigiastra d'aspetto omogeneo o "pulverulento", a seconda del livello di dispersione dei microaddensamenti melanici. Infine, se l'addensamento di pigmento si localizza nella porzione più profonda del derma, esso tornerà ad avere tonalità di colore prossime al nero, con evidente sfumatura blu-acciaio, il lungo tragitto che il fascio di luce incidente deve percorrere per incontrare la melanina e lo spessore cospicuo delle proliferazioni pigmentarie a tale livello non permettono infatti il superamento dell ostacolo, che quindi assorbirà l energia luminosa pressoché completamente. La nuance blu può essere attribuita al fatto che gli imponenti fenomeni diffusivi provocati dalle fibre collagene del derma superficiale interessano maggiormente le lunghezze d onda luminosa più corte (blu) rispetto alle più lunghe (rosso). Pertanto, scarsa è la componente di luce blu che viene assorbita, mentre ben maggiore è quella che viene riflessa, dando luogo ad un vero e proprio effetto Tyndall in vivo (14-25). 13

14 nero marrone grigio Fig. 1. II colore del pigmento melanico varia a seconda della profondità della sua localizzazione (14). Fig. 2: rappresentazione schematica della visione in epiluminescenza: è possibile osservare, come se fossero disposti su un unico piano, particolari in realtà situati in piani differenti, cioè nell epidermide, alla giunzione e nel derma superficiale. 5. Strumentazioni e acquisizione di immagini dermatoscopiche 14

15 La configurazione minima che permetta un agevole quanto attendibile esame dermatoscopico è rappresentata dal dermoscopio manuale portatile, delle dimensioni di un otoscopio, con ingrandimento fisso a 10x (Fig. 3). I vantaggi di tale strumento sono la maneggevolezza, i costi contenuti, la buona qualità dell'immagine e le condizioni standard in cui tale immagine si ottiene. È disponibile anche uno specifico obiettivo per la documentazione fotografica. Fig. 3. Dermatoscopio manuale Altre strumentazioni che possono essere impiegate sono: lo stereomicroscopio, binoculare, che dispone di più ingrandimenti ma risulta scarsamente maneggevole e dal costo elevato e il videodermatoscopio. Il videodermatoscopio è una apparecchiatura composta da un computer dotato di una videocamera ad esso collegata mediante un fascio di fibre ottiche, da un monitor ad alta risoluzione e da un software che permette l archiviazione e la manipolazione delle immagini (misurazione dei diametri, dei contorni, delle aree, esame statistico, ecc.) (Fig. 4). Gli obiettivi della videocamera variano, come ingrandimento, da 20x a 70x, con luce polarizzata e non. Ingrandimenti maggiori sono utilizzati soprattutto per la capillaroscopia. L'impiego di programmi di analisi computerizzata dell'immagine finalizzati alla diagnosi automatica della lesione è da considerarsi limitato a fini di ricerca e al momento non utilizzabile nella pratica clinica. 15

16 Fig. 4. Rappresentazione schematica di videodermatoscopio: computer, unità di acquisizione immagini con sonda, stampante Il fondamento della semeiotica dermatoscopica è la concordanza fra parametri dermatoscopici e determinate strutture istologiche. Alcuni parametri dermatoscopici sono specifici delle lesioni di natura melanocitaria (reticolo pigmentario, globuli marroni, strie radiali, pseudopodi), mentre altri si possono ritrovare in lesioni pigmentate sia melanocitarie che non melanocitarie. Nessuno di questi parametri è tuttavia specifico di malignità. Pertanto, la diagnosi dermatoscopia del melanoma non può fondarsi sulla identificazione di un singolo parametro bensì deve essere il risultato di una analisi di pattern, che deve tenere conto di più parametri dermatoscopici e la cui efficienza diagnostica risente grandemente della esperienza dell'osservatore. Il percorso mentale che porta alla diagnosi dermatoscopica prevede pertanto due fasi: 1. riconoscimento analitico di tutti i parametri presenti nella lesione e delle loro caratteristiche morfologiche. In linea generale si reperiscono più di frequente nei melanomi che nei nevi i seguenti caratteri dermoscopici: reticolo irregolare, prominente, che si interrompe bruscamente in periferia, pigmentazione diffusa irregolare, globuli 16

17 marroni e punti neri irregolari, presenza di strie radiali, pseudopodi, area grigio-blu, velo biancastro, area bianca similcicatriziale 2. valutazione comparativa del loro valore diagnostico in una visione d'insieme in cui giova un ruolo fondamentale l'esperienza dell'osservatore. Un settore di particolare interesse tuttora in fase di sviluppo è quello degli algoritmi dermoscopici finalizzati ad una più agevole diagnosi del melanoma. Tali algoritmi utilizzabili esclusivamente nel caso di lesioni melanocitarie costituiscono procedimenti diagnostici semplificati rispetto alla analisi di pattern nei quali non tutti i parametri dermoscopici bensi quelli associati a maggiore specificità diagnostica (bassa probabilità di falsi positivi) vengono presi in considerazione. L'algoritmo più utilizzato è il cosiddetto ABCD dermoscopico, procedimento di calcolo semiquantitativo che culmina in un punteggio numerico attribuito sulla base di alcune caratteristiche dermoscopiche (asimmetria, interruzione netta del reticolo/pigmento ai bordi della lesione, numero di colori presenti, numero di strutture dermoscopiche). A tale fine, la semeiotica standard è stata parzialmente modificata introducendo nuove variabili derivanti dall'accorpamento di alcuni parametri (ad es. le estroflessioni raggiate includono sia gli pseudopodi che le strie radiali, le aree prive di strutture includono la pigmentazione diffusa, la ipopigmentazione, la area grigio-blu e l'area bianca similcicatriziale). In base a tale algoritmo si ottiene mediante moltiplicazione dei punteggi parziali con fattori di correzione un punteggio dermoscopico totale (TDS) identificativo della natura della lesione: benigna con valori di TDS inferiore a 4.75, maligna con valori >5.45, dubbia con valori intermedi, da sottoporre a biopsia escissionale oppure a controlli nel tempo. La sensibilità diagnostica di tale algoritmo è risultata del 92.8%, con una accuratezza diagnostica pari a 80%. Altri algoritmi recentemente descritti in letteratura sono invece caratterizzati dalla separazione a fini diagnostici fra caratteri dermoscopici maggiori e minori. Secondo l'algoritmo definito "7FFM" (seven features for melanoma) che utilizza caratteri predittivi di malignità sono da considerarsi criteri maggiori per la diagnosi di melanoma i seguenti parametri: i) 17

18 regressione-eritema, ii) strie radiali, iii) velo grigio-blu, iv) pseudopodi distribuiti irregolarmente, a cui viene attribuito un punteggio pari a 2. Criteri minori sono v) disomogeneità dermoscopica vi) reticolo pigmentario irregolare vii) interruzione netta alla periferia. A ciascun criterio minore viene attribuito un punteggio pari a 1. Viene considerato suggestivo per la diagnosi di melanoma un quadro dermoscopico con punteggio uguale o superiore a 2. La sensibilità diagnostica di tale algoritmo è risultata pari al 94.6% con una accuratezza del 87.6%. Secondo l'algoritmo definito "Seven point check list" sono da considerare criteri maggiori per la diagnosi dermoscopica di melanoma i seguenti parametri: i) reticolo pigmentario atipico (cioè irregolare o prominente) ii) area grigio-blu e iii) pattern vascolare atipico; a ciascuno di tali parametri viene attribuito un punteggio uguale a 2. Criteri minori (punteggio = 1) sono iv) estroflessioni raggiate (pseudopodi o strie radiali), v) pigmentazione diffusa a zolle distribuite irregolarmente vi) globuli o punti irregolari e vii) pattern di regressione (area bianca similcicatriziale o peppering). Secondo questo algoritmo un punteggio complessivo pari o superiore a 3 è indicativo di melanoma con una sensibilità del 95% ed una accuratezza diagnostica del 64%. L'impiego degli algoritmi diagnostici è da considerarsi vantaggioso rispetto alla analisi di pattern soprattutto nel caso di osservatori non molto esperti nella diagnosi dermoscopica del melanoma, risultando di più facile apprendimento rispetto alla modalità diagnostica standard (26-32). 18

19 III. ALOPECIA AREATA 6. Definizione L alopecia areata (AA) è un affezione caratterizzata da aree alopeciche ben delimitate, non infiammatorie e non cicatriziali, che può interessare oltre al cuoio capelluto, anche la regione della barba e le altre zone coperte da peli. L AA è un affezione molto diffusa che si osserva ad ogni età, dai primi anni di vita in poi, con maggior frequenza nell età giovanile, senza predilezione per il sesso (33,35). 7. Cenni storici Descritta da Celso, da cui ha preso il nome (area Celsi) è una patologia nota fin dall antichità. Nel De Medicina, il primo trattato sistematico sulla medicina arrivato ai nostri giorni completo, Celso tratta dettagliatamente le malattie cutanee e descrive l AA areata in un modo così perfetto che nessun dermatologo avrebbe ancor oggi difficoltà a riconoscerla. Nel Tomo V, Cap. IV, dice Esistono due tipi di AREE. Esse hanno un particolare in comune: che dal deperimento dell epidermide i capelli dapprima si diradano e poi cadono tutti assieme.in entrambi i tipi, il progresso è rapido in alcune persone e lento in altre. La specie denominata alopecia si diffonde in tutti i tipi di forma e compare sia nei capelli sia nella barba. Ma il tipo che, a causa della sua somiglianza con un serpente, prende il nome di ofiasi, inizia nella parte posteriore della testa, non supera la lunghezza di due dita per poi estendersi da due punti di prolungamento verso le orecchie ed in alcuni casi fino alla fronte, dove le due linee si uniscono.. La parola greca alopecia si riferisce alla perdita di capelli di qualunque genere mentre la parola latina areata indica il tipo di alopecia: in chiazze circoscritte. L attuale termine "alopecia areata" fu usato per la prima volta da Sauvage nel suo "Nosologia Medica", pubblicato a Lione nel Dal 1800 in poi ci fu un considerevole dibattito sulle cause dell alopecia areata. Grady nel 1843 suggerì che la malattia fosse il risultato di una 19

20 infezione parassitica, una credenza sostenuta anche da Croken (1903) ed altri in Inghilterra e in Francia. Altri si opposero risolutamente a questa ipotesi e le contrapposero l ipotesi neuropatica, originariamente suggerita a Berlino da Von Barensrung nel Chiamata anche ipotesi troponeurotica si fondava sull idea che l alopecia areata fosse un disordine nervoso, una concezione che fu ed è ancora difficile da provare o rifiutare del tutto. Numerose osservazioni cliniche, su giornali medici del tempo, associavano situazioni di stress emozionale all inizio dell alopecia areata. All inizio del ventesimo secolo l alopecia areata fu imputata a disordini delle ghiandole endocrine, particolarmente della tiroide. Molti scrissero che la causa scatenante dell alopecia areata era una disfunzione ormonale. Ma certamente fra le spiegazioni più strane, spiccava quella del Jaquet che nel 1902, a Parigi, assicurava che l alopecia areata era dovuta ad una malattia dentale. Il primo a parlarne come di una malattia autoimmunitaria fu Rothman nel Eziologia e patogenesi La patogenesi dell AA è ancora sconosciuta. Fra i vari fattori che sono stati presi in considerazione, si ricordano quelli genetici e le reazioni immunitarie aspecifiche e autoimmunitarie organo-specifiche. Sono stati chiamati in causa anche agenti infettivi, citochine, stress emotivi, alterazioni intrinseche dei melanociti e dei cheratinociti e fattori neurologici. Nella Fig. 4 è riportata una rappresentazione schematica dei più accreditati meccanismi patogenetici dell AA (35). Fattori genetici I fattori genetici hanno certamente un ruolo importante nell insorgenza dell AA. Gli individui affetti hanno frequentemente una storia di familiare di AA con una frequenza variabile dal 10 al 42% dei casi (35). I pazienti con insorgenza precoce di AA hanno una maggiore incidenza di familiarità per la malattia. Una familiarità è stata riscontrata nel 37% dei pazienti che hanno avuto la prima chiazza intorno ai 30 anni 20

21 d età e nel 7,1% di quelli con prima chiazza dopo i 30 anni. Inoltre, l AA è riportata nei gemelli, con concordanza del 55% nei gemelli identici (36). Diversi geni strettamente legati come il sistema genetico umano antigenico leucocitario (HLA) sono localizzati nel braccio corto del cromosoma 6 formando il complesso maggiore d istocompatibilità (MHC). Ogni gene dell HLA ha molte varianti (alleli) che differiscono l un l altro nella sequenza delle loro basi nucleotidiche. Il complesso HLA è stato studiato in pazienti con AA a causa dell associazione di molte malattie autoimmunitarie con aumentate frequenze di antigeni HLA. Nell AA è stata studiata l associazione sia della classe HLA I (HLA-A, -B,-C) sia della classe II (HLA-DR, -DP). I primi studi identificarono l associazione dell AA con diversi antigeni di classe I come HLA-A9 e B8, -B12, -B18, -B27 ma nessuno di questi studi è stato confermato. Negli ultimi anni, è stata rilevata l associazione con fra AA e antigeni HLA di classe II. Questi studi hanno evidenziato una significativa associazione di antigeni HLA-DR4, -DR5 e DQ3 in pazienti con AA, con HLA-DR5 legato alle forme di AA precoce e più estesa. L ipotesi della natura poligenica dell AA è anch essa riportata in letteratura. La frequenza della malattia sale dell 8,8% nella s. di Down il che suggerisce il coinvolgimento di un gene localizzato nel cromosoma 21 nel determinismo dell AA. Inoltre, un polimorfismo nel gene recettore antagonista nell interleuchina 1 (IL1) può associarsi alla gravità dell AA. Diversi studi hanno confermato l associazione fra AA e atopia, con le forme più gravi di AA correlate all atopia. In conclusione, molti studi evidenziano la possibilità che l AA sia una malattia poligenica, con alcuni geni correlati alla suscettibilità e altri alla gravità. Più probabilmente vi è un interazione fra fattori genetici e ambientali che innescano la malattia (37-51). Fattori immunologici Sono riportate associazioni fra AA e alcune patologie immunologiche classiche, principalmente con la vitiligine e le malattie della tiroide (52-55). 21

22 Immunità umorale Studi del passato volti ad identificare con immunofluorescenza diretta particolari anticorpi verso le cellule epidermiche o i follicoli piliferi nell AA non hanno portato ad alcun risultato. Tuttavia, alcuni Autori hanno evidenziato anticorpi verso i follicoli piliferi pigmentati con Western blotting nel siero del 100% dei soggetti affetti da AA contro il 44% dei controlli. Le strutture target sarebbero la guaina esterna, seguita dalla matrice, dalla guaina interna e dal fusto (35). Immunità cellulo-mediata Lo studio della immunità cellulo-mediata nei pazienti con alopecia areata mostra variazioni sia del numero totale dei T linfociti che delle sottopopolazioni linfocitarie nel sangue periferico. L'infiltrato peribulbare è costituito quasi esclusivamente da T linfociti con un aumento del rapporto T helper/t suppressor. Il rapporto Th/Ts è particolarmente alto nelle fasi di attività della malattia. La composizione dell'infiltrato si modifica nelle chiazze che non sono più in fase di attività o che rispondono alla terapia (Orkin M.). Molti linfociti T dell'infiltrato sono attivati ed esprimono gli antigeni DR. E' quindi plausibile che i linfociti attivati possano "aggredire" i cheratinociti della matrice del bulbo innescando il processo patologico. I linfociti T attivati hanno capacità di rilasciare linfochine come: interferone gamma, fattore alfa di necrosi tumorale, transforming growth beta factor. Queste linfochine, che inibiscono la proliferazione dei cheratinociti in vitro, potrebbero in vivo agire sulle cellule della matrice arrestando le mitosi Citochine Sembra che le citochine svolgano un ruolo patogenetico significativo nell AA. Le citochine sono immunomodulatori che mediano l infiammazione e regolano la proliferazione cellulare. Le citochine che derivano dai cheratinociti epidermici, IL-1alfa e IL-1beta a tumor necrosis factor alfa (TNF-alfa) sono potenti inibitori della crescita del follicolo pilifero e in vitro producono cambiamenti della morfologia follicolare simile a quelli dell AA. Anche le cellule T helper producono citochine e si dividono in due sottogruppi a seconda del pattern di 22

23 produzione citochimica. Il tipo 1 T helper (TH1) produce interferon gamma (IFN-gamma) e IL-2. il tipo 2 T helper (TH2) produce IL-4 e IL- 5. un espressione aberrante di citochine del tipo TH1 e IL-1beta è stato rilevato nelle aree del cuoio capelluto affette da AA (35). Infezioni In un lavoro è riportata la possibile presenza d infezione da citomegalovirus nelle chiazze dell AA del cuoio capelluto ma questo dato non è stato confermato da altri autori. L intero concetto di mimicria molecolare del follicolo pilifero con un virus è stimolante ma, attualmente, l evidenza dell origine virale dell AA non è conclusiva (56). Stress emotivi Diversi studi ipotizzano che lo stress possa rappresentare un fattore precipitante in alcuni casi di AA. Sono stati riportati psicotraumi acuti prima dell insorgenza dell AA, un maggior numero di eventi stressanti nei 6 mesi precedenti l insorgenza della caduta dei capelli, una maggiore prevalenza di patologie psichiatriche diagnosticate e particolari condizioni psicologiche e familiari. Viceversa, altri lavori evidenziano come gli stress emozionali non giochino alcun ruolo nella patogenesi dell AA (35). Alterazioni intrinseche dei melanociti e dei cheratinociti L analisi morfologica dei follicoli nelle lesioni attive di AA ha evidenziato alterazioni regressive nei bulbi piliferi dei follicoli in anagen. Reperti comuni sono l anomala melanogenesi e anomali melanociti. Questo reperto, insieme con la presenza di anticorpi verso i peli pigmentati dell AA può spiegare alcune delle anomalie pigmentarie che si osservano clinicamente nell AA acuta e l effetto dell AA sui peli pigmentati. Inoltre, nelle lesioni di AA attiva è stata osservata una degenerazione precorticale dei cheratinociti nei follicoli. Anomali melanosomi in aree cutanee clinicamente normali e alterazioni degenerative come la vacuolizzazione della parte esterna del fusto del pelo corrispondono bene all ipotesi di una condizione preclinica di malattia nelle zone clinicamente normali. 23

24 Fattori neurologici E stato ipotizzato che alterazioni locali del sistema nervoso periferico a livello della papilla dermica possano svolgere un ruolo nell evoluzione dell AA perché il sistema nervoso periferico può liberare neuropeptidi che modulano una certa gamma di processi infiammatori e proliferativi. Questa teoria è supportata da studi di Hordinsky et al (55) cha hanno evidenziato una diminuzione dell espressione del peptide calcitonina gene correlato (CGRP) e della sostanza P (SP) nel cuoio capelluto di pazienti con AA. Il neuropeptide CGRP ha una potente azione antinfiammatoria e il neuropeptide SP è in grado d indurre la crescita del pelo nel topo. Inoltre, applicazioni di capsaicina, che causa infiammazione neurogena e liberazione di SP, nell intero cuoio capelluto di due pazienti con AA rivelò un aumentata presenza di di SP nei nervi perifollicolari e determinò la crescita di pelo vellus. Fig. 7: patogenesi dell AA. I linfociti T mediano l ambiente immunologico perifollicolare innescando una cascata di eventi attraverso la produzione di citochine. La presentazione antigenica dell epitopo responsabile aiuta a condurre la situazione. L epitopo esatto può essere nel cheratinocita follicolare, nel melanocita, o nella papilla dermica. Anche i neuropeptidi, come anche l aumentata produzione anticorpale 24

25 verso componenti follicolari, può giocare un ruolo significativo. Ab: anticorpi; CK: citochine; FK: cheratinociti follicolari; LG: cellule di Langerhans; cellule presentanti l antigene; M: melanocita; N: terminazione nervosa; NP: neuropeptide; P: plasmacellula; TL: linfocita T (35). 9. Clinica L AA è diffusa in tutto il mondo. Rappresenta circa il 2% delle prime visite dermatologiche ambulatoriali nel Regno Unito e negli Stati Uniti. La prevalenza negli Stati Uniti è dell 0,1-0,2% della popolazione (dati del First National Health and Nutrition Examination Survey condotto dal 1971 al 1974). Il rischio nel corso della vita è di 1,7%. Il 60% dei pazienti presenta le prime chiazze prima dei vent anni di vita. L AA, nella sua forma più frequente, si manifesta con una o più aree alopeciche di forma rotondeggiante od avallare, di dimensioni variabili da 1 a 5-6 cm. di diametro. I limiti della chiazza sono netti e la superficie cutanea appare di aspetto normale, liscia, pallida, non eritematosa o desquamante. Gli sbocchi follicolari sono evidenti, carattere questo che distingue l AA dalle alopecia cicatriziali. Nella fase di attività della malattia alcuni capelli disposti al margine della chiazza alopecia, pur avendo aspetto normale, sono facilmente estraibili, senza dolore, anche con una minima trazione e presentano un bulbo non vitale, pieno e secco. In questa fase si possono osservare, alla periferia della chiazza, alcuni corti frammenti di peli, della lunghezza di mm., che presentano l estremità libera di aspetto normale e la parte prossimale e intrafollicolare progressivamente assottigliata e depigmentata con bulbo privo di vitalità. Sono i cosiddetti peli a punto esclamativo o peli a clava caratteristici dell AA e di notevole significato diagnostico, che indicano una fase attiva della malattia. Nel periodo di stato cessa la caduta dei capelli e non si rilevano capelli a punto esclamativo. Nella fase di risoluzione si osserva generalmente una ricrescita centrale ad evoluzione centrifuga di una lieve peluria a tipo di lanugine e di capelli sottili e chiari, di solito spessi e pigmentati verso l orifizio follicolare e più sottili verso l estremità libera (capelli a punto 25

26 esclamativo invertito). Progressivamente i capelli riprendono la loro pigmentazione e il loro normale spessore. Le chiazze si stabiliscono di solito rapidamente senza sintomi soggettivi; si estendono poi lentamente assumendo forma rotondeggiante od ovalare e raggiungendo in genere 5-6 cm. di diametro. Nelle forme comuni le chiazze alopeciche compaiono con uno o pochi elementi che risolvono spontaneamente nel giro di 2-3 mesi. In altri casi meno benigni le chiazze, più numerose, si estendono rapidamente e tendono a confluire, restano poi stazionarie per mesi e recidivano continuamente una volta determinatasi la regressione spontanea. In queste chiazze la cute è di colorito biancastro e spesso si osservano capelli fini e scoloriti. A lungo andare si può determinare un atrofia dei follicoli o una leucotrichia permanente. Nelle forme di antica data la pelle assume un colore avorio e per la sua ipotonia è facilmente sollevabile in pliche (segno di Jaquet). Al di fuori del cuoio capelluto l AA colpisce frequentemente la barba che può anche costituire l unica sede del processo morboso. Le chiazze, spesso simmetriche, sono in genere resistenti e tendono a recidivare per anni. Nelle forme gravi possono essere interessate anche le ciglia e le sopracciglia e si può inoltre osservare un onicopatia; le unghie delle mani presentano irregolarità di superficie per la presenza di depressioni cupoliformi simili a quelle che si osservano nella psoriasi o, più raramente, di striature longitudinali. Sono riportate linee di Beau, onicoressi, onicomadesi, onicolisi, coilonichia, leuconichia trasversale, lunula a chiazze rosse. E possibile l associazione dell AA con la vitiligine, le patologie tiroidee autoimmuni, la s. di Down e altre patologie (57-60). L AA presenta caratteri clinico-evolutivi particolari nella forma clinica denominata ofiasi e nell area Celsi decalvante. L ofiasi inizia alla regione occipitale con una o più chiazze simmetriche che si estendono successivamente alle regioni parietali e retroauricolari determinando un alopecia delle zone marginali del capillizio con aspetto serpiginoso. Questa forma, che si osserva anche nel bambino, ha evoluzione lunga e recidivante e porta frequentemente ad un alopecia decalvante. 26

27 L area celsi decalvante inizia in genere con aree isolate che rapidamente si estendono a tutto il capillizio determinando un alopecia totale. E una forma grave, a decorso spesso cronico, che si accompagna a notevole ipotonia del cuoio capelluto e che può estendersi alle ciglia, alle sopracciglia ed anche a tutto il sistema pilifero determinando il quadro morboso che viene definito alopecia areata universale. Una presentazione insolita della malattia è quella in cui la perdita dei capelli non è localizzata ma diffusa; in questo caso si parla di alopecia areata incognita e quindi va posta la diagnosi differenziale con il telogen effluvium. 10. Istopatologia Nell AA iniziale attiva il ciclo follicolare è alterato con follicoli che entrano in telogen o catagen prematuramente nelle aree interessate dalla malattia. La caduta dei capelli si evidenzia sia con peli intatti sia con peli spezzati. I peli spezzati sono peli telogen e sono dovuti al danno che coinvolge sia la corteccia sia la parte midollare, con frattura distale. Questi capelli sono descritti come a punto esclamativo poiché il loro segmento distale è più grosso di quello prossimale. Nell istopatologia dell AA si distinguono 4 stadi: la fase acuta di perdita dei capelli, l alopecia persistente, la conversione parziale da telogen ad anagen e la guarigione. In tutti gli stadi un infiltrato linfocitario peribulbare senza aspetti cicatriziali è caratteristico della malattia. L infiltrato infiammatorio è composto principalmente di T linfociti, di macrofagi e di cellule di Langerhans. Sono inoltre presenti peli miniaturizzati con numerosi tratti fibrosi e incontinentia pigmenti. Durante la fase acuta della perdita dei capelli, si notano alterazioni delle cellule e dei melanociti della matrice con formazione di fusti piliferi displastici. Un ridotto rapporto anagen-telogen può essere osservato in sezioni orizzontali di biopsie del cuoio capelluto. In pazienti con AA di lunga durata, i follicoli piliferi interessati si arrestano nella fase finale telogen. In questi casi, può essere presente un infiltrazione peribulbare insieme a un aumento di cellule di Langerhans, una diminuzione della densità follicolare e una miniaturizzazione follicolare. 27

28 In tutti gli stadi dell AA sono presenti anche gli eosinofili, sia nell infiltrato peribulbare sia nei tratti fibrosi. L AA deve essere differenziata, dal punto di vista istopatologico, dall alopecia androgenetica, dal telogen effluvium, dalla tricotillomania e dall alopecia sifilitica. Nell alopecia androgenetica, la miniaturizzazione del follicolo è presente in assenza di infiltrato linfoide a livello dell infundibolo e assenza di incontinentia pigmenti nei tratti fibrosi. Nel telogen effluvium si osserva un numero normale di follicoli senza miniaturizzazione e live riduzione del rapporto anagen/telogen. La tricotillomania è caratterizzata da follicoli anagen vuoti, da numerosi capelli catagen, da tricomalacia e da accumuli di pigmento nell infundibolo follicolare. L alopecia sifilitica è molto difficile da distinguere istologicamente ma la presenza di plasmacellule con pochi eosinofili e abbondanti linfociti nell istmo e nell area peribulbare indirizzano verso la forma sifilitica (35). 11. Prognosi La prognosi della alopecia areata è difficile e variabile da soggetto a soggetto. Si può affermare che è in relazione all'età di insorgenza, alla familiarità, alla superficie coinvolta, alla durata, alla presenza di atopia e di altre malattie autoimmuni, alla risposta a precedenti trattamenti (35). La guarigione delle forme a chiazze è generalmente sicura e spontanea. La prognosi peggiore è legata alle forme totali, universali, all'ofiasi ma la guarigione spontanea è comunque sempre possibile. Ancora oggi può essere considerata valida, soprattutto dal punto di vista prognostico, la classificazione di che divide l'alopecia areata in quattro tipi: tipo comune, molto frequente, tipico della tarda adolescenza o dei primi anni della vita adulta, ha decorso inferiore a 3 anni, la regressione delle chiazze avviene comunemente in meno di 6 mesi, non vi è nessuna associazione significativa con malattie autoimmuni; tipo atopico, esordisce quasi sempre nell'infanzia, ha decorso prolungato e prognosi sfavorevole. Può evolvere verso una alopecia totale, tipo preipertensivo, colpisce giovani adulti, con diatesi ipertensiva ed evolve rapidamente verso una alopecia totale, tipo autoimmune, si associa a malattie autoimmuni soprattutto endocrine, esordisce comunemente dopo i 40 28

29 anni, ha decorso persistente ed evolve nel 10% dei casi verso l'alopecia areata totale. 12. Diagnosi differenziale La diagnosi di alopecia areata nelle sue forme tipiche non presenta difficoltà. Talvolta però la malattia può presentarsi clinicamente con aspetti difficili e "mascherati". Come già abbiamo accennato l'alopecia areata può esordire con un quadro senza chiazze alopeciche ma simile al "telogen effluvium" e si parla in questi casi di "alopecia areata incognita". Un esame microscopico dei capelli che cadono mostrerà che nella alopecia areata la maggior parte degli elementi che cadono sono catagen o anagen distrofici assottigliati nella loro porzione prossimale (a punto esclamativo), nel telogen effluvio sono telogen maturi. Di fronte a una chiazza alopecica localizzata a livello fronto-temporale bisogna tenere presente la "alopecia triangolare congenita", così di fronte a una chiazza del vertice bisogna conoscere la "aplasia cutis verticis" che tuttavia si differenziano per l'assenza di peli a coda di topo (o a punto esclamativo) e per il dato anamnestico della presenza della chiazza fin dalla nascita. Le chiazze di lunga durata possono porre problemi differenziali con le alopecie cicatriziali nella fase di remissione, con il LED, il lichen ruber planus, con la pseudoarea di Brocq, con le cicatrici. Tutte queste condizioni hanno comunque un aspetto francamente più atrofico. Talvolta difficile ed importante è la diagnosi differenziale con le alopecie metastatiche specialmente da carcinomi mammari, che al tatto sono però più dure ed aderenti. L'eritema cronico migrante è molto simile, nelle sua fase di estensione, alla alopecia areata ma al centro della chiazza è comunemente visibile la necrosi cutanea dovuta alla pinzatura di zecca. La tricotillomania si distingue per l'aspetto spesso bizzarro delle chiazze, la presenza di peli spezzati e di colpi d'unghia. 13. Esami di laboratorio Non esistono esami di laboratorio utili ad individuare la possibile eziologia dell'alopecia areata ma sarà opportuno prescrivere quegli accertamenti volti ad evidenziare possibili malattie autoimmuni 29

30 associate: Emocromo, VES, Ra-test, TSH, ft4 autoanticorpi antinucleari. Talvolta un dosaggio urinario nelle 24h dell'acido vanilmandelico mostra valori collocabili nella fascia alta della normalità. Per la maggior parte degli Autori è inutile prescrivere al paziente accertamenti radiologici per la ricerca di foci dentari e sinusali, in quanto sembra ormai accertato che non esiste relazione fra alopecia areata e patologie focali (35). 14. Terapia Negli ultimi anni molto si è aggiunto alla conoscenza degli eventi patogenetici che sottendono la comparsa della alopecia areata e come diretta conseguenza si è assistito ad un perfezionamento dell'approccio terapeutico. Tuttavia un rimedio sicuramente efficace, soprattutto per quanto attiene le forme più estese a tutt'oggi non esiste. Questo perché ci troviamo a gestire una malattia che può esitare in guarigione, anche senza terapia, così come evolvere in una forma severa resistente a qualunque trattamento. Abbiamo inoltre una letteratura prodiga di dati, difficili però da confrontare e valutare perché si riferiscono a gruppi di pazienti arruolati con criteri di inclusione differenti da un gruppo di studio ad un altro, valutati con criteri di efficacia spesso soggettivi, sottoposti a terapie con il medesimo farmaco ma con protocolli diversi. Premesso ciò, l'impianto terapeutico deve basarsi su una strategia organizzata, in qualche modo plasmata sul singolo paziente e deve tenere conto di alcune regole generalmente valide: la alopecia areata associata ad atopia, la varietà ofiasica, l'alopecia areata che esordisce in età pediatrica presentano tutte una minore risposta alla terapia. Per tracciare quelle che si vanno configurando come linee guida di terapia, possiamo per convenzione considerare due gruppi di pazienti, a seconda che l'area di alopecia interessi più o meno del 50% del cuoio capelluto. Nelle forme di alopecia areata con interessamento inferiore al 50% sono proponibili le seguenti opzioni: Astensione terapeutica Discutibile ma contemplata è anche l'astensione terapeutica, considerando la frequente possibilità di una ricrescita spontanea. 30

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