Cap.I LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE
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- Berto Villa
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1 RIASSUNTO La tesi si apre, nel primo capitolo, con un excursus riguardo la Paralisi Cerebrale Infantile (PCI). Vengono affrontati i temi che riguardano la definizione, la classificazione, epidemiologia e l eziopatogenesi. In seguito vengono descritti i quadri clinici seguendo la classificazione di Hagberg che si è soliti usare a livello internazionale: l emiplegia congenita, la diplegia spastica, la tetraparesi, le forme discinetiche e le forme atassiche; affrontando il punto di vista motorio, le problematiche associate (epilessia, deficit sensoriali, ) e i deficit neuropsicologici. Si prosegue nel capitolo successivo trattando la fase adolescenziale attraverso una rapida presentazione dei maggiori autori che si sono interessati di adolescenza e definendo la fase preadolescenziale e adolescenziale propriamente detta, individuando i principali compiti evolutivi che un qualsiasi adolescente deve affrontare i questa fase. Nel terzo capitolo si entra nel cuore della tesi con la trattazione delle problematiche adolescenziali del ragazzo con PCI. In questa parte vengono affrontate: le problematiche motorie (contratture, retrazioni, deformità) dei diversi quadri di PCI, che si presentano solitamente in adolescenza; il rapporto del ragazzo con la malattia ed i vissuti ad essa associati; le problematiche familiari, descrivendo il ruoli che genitori e fratelli assumono per affrontare la patologia del figlio/fratello e le modalità delle relazioni intrafamiliari; le problematiche riguardo la sviluppo dell identità; l importanza dei rapporti con i coetanei, l amicizia, e le problematiche che si presentano in un contesto di disabilità; infine le difficoltà che si incontrano nel mondo della scuola e del lavoro (l inserimento sociale). Nel capitolo successivo, scendendo nella particolarità del concreto, vengono proposte le storie di due ragazzi e due ragazze con quadro di PCI ed analizzate le problematiche adolescenziali affrontate teoricamente nel capitolo precedente. La tesi si conclude con alcune riflessioni sul ruolo del terapista nell accompagnamento di questi ragazzi verso l autonomia possibile e soffermandosi in particolare sugli interventi di terapia occupazionale, l addestramento all uso di mezzi informatici e le pratiche di rilassamento. 4
2 Cap.I LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE Definizione La Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) costituisce un capitolo molto importante della NeuroPsichiatria Infantile. I disturbi del movimento sono noti sin dall epoca dei Sumeri tuttavia le prime identificazioni e descrizioni risalgono all epoca Vittoriana. Il termine Cerebral Palsy fu utilizzato per la prima volta da Burgess nel 1888 per definire un disordine del movimento dovuto ad una lesione cerebrale, ma il primo a descrivere tale patologia fu John Little nel Negli anni successivi dello stesso secolo altri autori si sono interessati dell argomento: William Osler, Sigmund Freud, Phelps e Ingram che nel 1955 usa il termine Paralisi Cerebrale Infantile per descrivere un gruppo di disordini non progressivi del bambino nei quali una lesione del cervello causa un disordine della funzionalità motoria. Infine nel 1964, dopo molte controversie, fu accettata a livello internazionale la definizione di Bax: La Paralisi Cerebrale Infantile è un disordine persistente, ma non immodificabile, del movimento e della postura, dovuto ad una lesione non progressiva del cervello immaturo. Attualmente si usa definire la Paralisi Cerebrale Infantile come una Umbrella Diagnosis (Mutch, 1992): una serie di quadri clinici a diversa eziologia e con diverse espressioni somatiche, che hanno in comune un disordine del movimento e la non progressività della lesione. I disordini del movimento possono essere l unica manifestazione clinica, o ad essi possono essere associati disordini di altre funzioni (cognitive, sensoriali, neuropsicologiche). Il problema definizione quindi è ormai risolto ma altre questioni ancora oggi rimangono aperte, a cominciare da quella della classificazione. 5
3 Classificazione Nella PCI, proprio per l eterogeneità dei fattori eziologici e la varietà dei quadri clinici, è stato utilizzato, fin dai primi tentativi di classificazione, il criterio descrittivo-fenomenologico che raggruppa i casi in base alle caratteristiche e alla distribuzione dei sintomi. La classificazione sintomatica più recente e diffusa a livello internazionale è quella della scuola svedese proposta da Hagberg nel Essa ha la finalità di individuare quadri clinici che agevolino gli studi epidemiologici e quindi risente di una certa semplificazione. Hagberg differenzia i quadri clinici delle PCI in 3 grandi aree in base al sintomo prevalente: Forme spastiche Emiplegia (compromissione di un emisoma in cui il deficit può prevalere all arto superiore o all arto inferiore). Diplegia (compromissione prevalente agli arti inferiori rispetto agli arti superiori). Tetraplegia (compromissione della stessa entità ai 4 arti o maggiore agli arti superiori). Forme atassiche Diplegia atassica (associata alla spasticità prevalente agli arti inferiori sono presenti segni atassici specie agli arti superiori). Atassia congenita (quadri di atassia semplice senza componente spastica). Forme discinetiche Coreoatetosi (caratterizzata da movimenti coreici, atetosici e coreoatetosici, coinvolgenti gli arti e il volto, con lieve ipotonia globale). Forma distonica (forma più grave dominata da distonie, dalla persistenza di pattern riflessi primitivi con grave ipotonia di tronco e distretti bucco-facciali). Una variante alla classificazione di Hagberg, più dettagliata nella descrizione della distribuzione dei sintomi, è stata proposta da Michaelis nel
4 Michaelis distingue le forme spastiche in forme monolaterali e in forme bilaterali in base alla distribuzione prevalente della spasticità. Forme bilaterali Leg dominated tetraparesis (corrispondente alla diplegia). Three limb dominated tetraparesis (corrispondente alla triplegia). Side dominated tetraparesis (spasticità prevalente ad un emisoma). Four limb tetraparesis (corrispondente alla tetraplegia). Crossed dominated tetraparesis (spasticità prevalente ad un arto superiore e all inferiore controlaterale). Forme monolaterali nelle quali sono incluse le forme emiplegiche pure e le monoparesi (considerate espressione di emiparesi a netta prevalenza ad un arto). Inoltre non sono contemplate in questa classificazione le forme di paraparesi, perché considerate espressioni di patologie midollari, e la forma ipotonica o aposturale, perché rilevata solamente nei primi due anni di vita, prima che emergano i segni di tipo distonico o atassico. Più recentemente, nel 1997, è stato proposto da un gruppo di ricercatori americani e canadesi (Palesano, Rosenbaum et al.) un approccio diverso alla classificazione, basandosi sui concetti di disabilità e limitazione funzionale; permettendo così di determinare i bisogni del bambino e di deciderne gli interventi terapeutici, nonché di verificare la validità del progetto terapeutico. Proprio per l utilità di questa classificazione in campo riabilitativo ne riporto schematicamente i contenuti: Livello I: il bambino cammina senza restrizioni sia in ambiente familiare che all esterno. Le limitazioni si evidenziano in abilità motorie più complesse (corsa, salto, ecc ). Livello II: il bambino cammina senza l uso di ausili in ambiente familiare, ma presenta limitazioni e necessità di assistenza negli ambienti esterni. Sale le scale con appoggio e non è in grado di correre o saltare. 7
5 Livello III: il bambino cammina con l aiuto di ausili sia in ambiente familiare che all esterno; in ambienti estranei o per lunghi percorsi deve essere trasportato. È in grado di mantenere la stazione seduta in autonomia. Livello IV: il bambino non è in grado di camminare anche con l uso di ausili e deve essere assistito anche nei passaggi da seduto ad eretto. Mantiene la stazione seduta con sostegno e per gli spostamenti utilizza la carrozzina. Livello V: il bambino presenta gravi limitazioni dell autonomia motoria anche con l uso di ausili. Non è in grado di mantenere la stazione seduta, né di controllare stabilmente il capo; inoltre deve essere trasportato e assistito in tutte le posture. Per ogni livello, inoltre, sono descritte le abilità funzionali e le limitazioni che caratterizzano le diverse fasce d età (prima dei 2 anni, dai 2 ai 4 anni, dai 4 ai 6 anni, dai 6 ai 12 anni). Epidemiologia L incidenza della PCI, che nei paesi occidentali risulta ormai stabile, è stimata intorno ai 2-3 casi ogni 1000 nati vivi. L incidenza è significativa nei bambini nati prematuri (in particolare sotto le 32 settimane di età gestazionale) e nei neonati di peso inferiore ai 1500gr. Queste particolari categorie di bambini hanno, infatti, una maggiore vulnerabilità ed una maggiore probabilità di andare incontro a fenomeni di alterazione prolungata del flusso cerebrale, indipendentemente dalle caratteristiche del parto, a causa dell immaturità dei loro sistemi di regolazione. La prevalenza è complessivamente stimata intorno a 1:500 bambini in età scolare. Gli studi più significativi, perché condotti regolarmente fino quasi ai giorni nostri, sono quelli del gruppo svedese di Hagberg. Tale studio mostra tra il 1954 ed il 1970 un decremento dovuto all introduzione delle nuove routine (correzione dell ipoglicemia, aumento della nutrizione, ) che hanno permesso una diminuzione della mortalità; dal 1970 al 1982 si è verificato invece un 8
6 aumento della prevalenza dovuta all introduzione delle cure intensive e alla diminuzione della mortalità perinatale; infine dal 1983 al 1990 si è verificato un processo di stabilizzazione dovuto al cessato aumento dell incidenza delle PCI nei nati pretermine e alla sua diminuzione nei nati a termine. Nel corso del tempo si è verificata inoltre una modificazione della prevalenza e delle caratteristiche cliniche delle diverse forme di PCI, che riflette il cambiamento del livello di assistenza e di prevenzione nelle fasi della vita fetale e neonatale, e che richiede un continuo adeguamento dell organizzazione delle strutture diagnostiche e terapeutiche. Eziopatogenesi Negli ultimi decenni si è assistito ad un rapido sviluppo delle tecniche neuroradiologiche che hanno permesso di definire l eziologia della maggiorparte dei bambini con PCI; in particolare per quanto riguarda i bambini nati a termine. I dati più recenti confermano la prevalenza dei fattori eziologici prenatali dei bambini nati a termine (51%) e la prevalenza dei fattori eziologici perinatali dei bambini nati pretermine di EG<32 sett. (79%). Fattori prenatali: alcuni studiosi includono in questo gruppo anche i fattori ereditari (cause di patologie quali la paraplegia spastica, i tremori congeniti e l atetosi familiare). Fra le cause prenatali si colloca al primo posto l anossia cerebrale indotta da alterazioni della placenta (distacco precoce, impianto anomalo, infarto della placenta) oppure da compressione del cordone ombelicale in fase intrauterina o da vari disturbi materni come l ipotensione e l anemia. Vi sono poi le infezioni virali materne e tra esse in particolar modo la rosolia, soprattutto se contratta durante il primo trimestre di gravidanza, e la toxoplasmosi; l esposizione ai raggi x (soprattutto nei primi 3 mesi di gravidanza); i disturbi dismetabolici tra cui il diabete. Infine la prematurità e l immaturità sono condizioni di particolare vulnerabilità del bambino, per il quale aumentano i rischi di eventi emorragici cerebrali e trombosi al momento del parto. Fattori perinatali: fra tutti l anossia del neonato è la causa più considerevole di PCI ed è spesso associata a lesioni vascolari che 9
7 determinano emorragie e necrosi dell encefalo. L anossia o l asfissia nel periodo perinatale può essere causata da lesioni traumatiche dei vasi, da torsione del cordone ombelicale, da ostruzioni respiratorie (inalazione di liquido amniotico) e da alterazioni della pressione sanguigna. Rientrano in questo gruppo i traumi diretti all encefalo, in caso di parto distocico o per l utilizzo di particolari strumenti come il forcipe e la ventosa. Sia le lesioni anossiche che traumatiche sono molto più pericolose se il bambino è immaturo. Fattori postatali: questo gruppo di fattori ha una minima incidenza nel determinare quadri di PCI. Vanno inclusi tutti i processi di tipo infiammatorio sia delle meningi che dell encefalo, e perciò tutte le encefaliti e le encefalopatie; le lesioni cerebrali postatali provocate in genere da traumi cranici; turbe vascolari e neoplasie. Quest ultimo gruppo in particolare porta ad esiti cicatriziali che possono ostacolare il successivo sviluppo neurologico. Quadri clinici L emiplegia congenita Secondo le principali casistiche, l emiplegia congenita costituisce il 70-90% di tutti i quadri di emiplegia del bambino, delle quali però è difficile determinare l eziologia. L incidenza è di circa lo per mille e complessivamente rappresentano circa il 30% di tutte le forme di PCI. Il quadro di emiplegia è l espressione più comune di PC nei nati a termine (oltre il 50%) e il secondo più frequente nei nati pretermine (il 20%). La diagnosi si facilita se associato all esame neurologico si osserva il comportamento spontaneo del bambino. Dal 3-4 mese, infatti, si rilevano le prime asimmetrie posturali associate ad una riduzione della motilità dell emisoma colpito. L arto superiore è mantenuto flesso e intraruotato mentre l inferiore è esteso ed intraruotato. Lo sviluppo motorio globale è caratterizzato da alterazioni più qualitative che quantitative, dovute all asimmetria del carico e all uso preferenziale dell emisoma sano. 10
8 Il cammino autonomo viene acquisito entro i 2 anni e presenta un pattern con extrarotazione dell arto inferiore, appoggio del piede in piatto-valgismo, importante asimmetria del carico e trascinamento dell emisoma paretico da parte dell emisoma sano che avanza, in seguito emerge in modo più netto la componente spastica che porta all instaurarsi, fra l altro, dell equinismo del piede. Ciò che contraddistingue questo quadro è la funzionalità dell arto superiore plegico. La disabilità che ne deriva è varia, prevalentemente distale, con particolare compromissione dei movimenti intrinseci, manipolatori, delle dita e del pollice. Spesso la stereognosia è ridotta con assenza del riconoscimento degli oggetti al tatto. Nel corso dell accrescimento vi è la tendenza persistente a privilegiare la funzione dell arto sano, più efficiente e rapido, con l esclusione dell arto plegico. Con il passare del tempo si possono instaurare ipotrofie scheletriche e muscolari e, come esito dell aumento della spasticità, retrazioni tendinee particolarmente all arto superiore (gomito e polso). Il manifestarsi di epilessia nel bambino emiplegico è un evento abbastanza frequente; l incidenza reale si attesta sul 20% dei casi (Uvebrant 1988). Il rischio di sviluppare l epilessia si riduce con l età mentre l evoluzione delle crisi nel corso dello sviluppo è variabile: nella maggiorparte sono sporadiche e ben controllate dai farmaci, mentre in un quarto dei casi sono farmacoresistenti. Associati al quadro emiplegico si riscontrano anche disordini cognitivi, che aumentano di frequenza in presenza di epilessia. Generalmente lo sviluppo cognitivo tende a rallentare con l età; le abilità linguistiche possono essere quasi totalmente compensate con limiti per gli aspetti più selettivi; mentre le abilità visuospaziali sono sempre lievemente inferiori. Si possono riscontrare in oltre disordini specifici di lettura, disordini ortografici e dell area matematica con un graduale scadimento delle prestazioni scolastiche soprattutto se richieste funzioni metacognitive ed astratte. In genere i bambini con emiplegia raggiungono una discreta autonomia funzionale e dimostrano un normale sviluppo cognitivo nella maggiorparte dei casi. 11
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