1. La Diplegia Spastica nell ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili

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1 Introduzione Durante il periodo di tirocinio svolto presso l ASL 8 di Moncalieri, affiancando nella loro attività lavorativa, le terapiste che si occupano della riabilitazione neuromotoria infantile, ho avuto occasione di incontrare e conoscere Patrick, un bambino nato pretermine, affetto da Diplegia Spastica e da una particolare patologia della retina, frequente nei bambini prematuri, definita Retinopatia del Pretermine (ROP), a causa della quale Patrick è cieco dalla nascita. Proprio da questo incontro e dall opportunità offertami di osservare, seppur per pochi mesi, il trattamento svolto dalla terapista a cui è stato affidato, è nato l interesse ad approfondire la conoscenza sulle problematiche riguardanti le modalità di approccio e le metodologie operative che il riabilitatore si trova a dover mettere in atto durante la presa in carico di un bambino che, oltre ad avere un grave deficit neuromotorio, si trova ad essere privato, contemporaneamente, di importanti afferenze visive. Essendo, in particolare, la cecità una condizione che modifica radicalmente le modalità con cui il bambino entra in rapporto con il mondo e lo spazio circostante, inducendolo inevitabilmente ad un maggiore utilizzo degli altri canali sensoriali in assenza di quello visivo, e costituendo l interazione con l ambiente un elemento promotore essenziale dello sviluppo psicomotorio infantile, le stesse modalità di apprendimento e sviluppo motorio ne vengono profondamente investite. Quando, poi, la cecità si associa ad una problematica neuromotoria quale la diplegia, che già di per sé, a causa di deficit sensitivi e motori, può alterare la capacità di adattamento all ambiente, il terapista si troverà a dover modificare sensibilmente gli strumenti operativi (attività, oggetti, proposte) da lui adoperati durante il percorso di trattamento nel caso del deficit neuromotorio singolo, per adeguarli ad una condizione diversa e, per certi aspetti, alquanto complicata. Cercare di approfondire, quindi, come tutto ciò si traduca, poi, nella pratica riabilitativa, è l obiettivo specifico di questo lavoro.

2 Introduzione A tale scopo, è stato scelto di prendere in considerazione nel dettaglio le fasi del trattamento che hanno accompagnato le diverse tappe di sviluppo di due bambini, entrambi affetti da diplegia spastica, ma, per uno dei quali, il quadro è aggravato da un deficit visivo pressoché totale, ritenendo che, proprio il confronto tra le due esperienze possa costituire il mezzo più semplice ed immediato al fine di far emergere le differenze operative nei due contesti. In una prima sezione di questo lavoro, in particolare, verrà svolto un breve inquadramento della Diplegia nell ambito del complesso capitolo delle Paralisi Cerebrali Infantili e, a seguire, un cenno al sistema visivo, al suo sviluppo, insieme ad alcune informazioni generali riguardanti la Retinopatia del Pretermine. La parte si conclude, poi, scendendo più nel particolare dello sviluppo motorio del bambino sano, del ruolo cruciale, in esso, della visione, e come questo viene notevolmente influenzato e modificato dal deficit neuromotorio e da quello visivo. La seconda sezione, invece, dopo aver fornito alcune delucidazioni generali sull elaborazione del programma riabilitativo e dopo aver definito ciò che per strumenti riabilitativi si vuole intendere, viene dedicata all approfondimento delle modalità operative del trattamento messe in atto nel caso di diplegia e di cecità, prima a livello teorico, per poi considerare, nei particolari, ciò che è stato svolto praticamente durante la presa in carico dei due bambini. 5

3 1. La Diplegia Spastica nell ambito delle Paralisi Cerebrali Infantili Per affrontare in modo completo le problematiche riguardanti la diplegia nell ambito dello sviluppo motorio del bambino, occorre innanzitutto inquadrarla all interno del vasto capitolo delle Paralisi Cerebrali Infantili, accennando appena alle spinose questioni della definizione e della classificazione, non con la pretesa di presentare in modo esaustivo un argomento sul quale autori di diverse nazionalità si sono confrontati per oltre un secolo, ma con il solo obbiettivo di rendere evidente la complessità dell argomento trattato. 1.1 Definizione di P.C.I. Fino ad oggi le definizioni, descrizioni e classificazioni della PCI, sono state le più diverse ed hanno subito numerose variazioni nel tempo, poiché sono state elaborate da punti di vista differenti. (1) È molto difficile dare una definizione e fare una descrizione che vada ad attribuire unità a questo gruppo eterogeneo di sindromi, anche se dal punto di vista clinico può essere considerato come un raggruppamento di quadri sintomatologici diversi, accomunati da un evidente disturbo motorio di origine encefalica. (4) Tra le tante definizioni, una delle più accreditate, ancora oggi, è quella elaborata dalla Spastic Society a Berlino nel 1966 che definisce la PCI una turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento, dovuta ad alterazioni della funzione cerebrale, per cause pre- peri- post- natali, prima che se ne completi la crescita e lo sviluppo. Il termine turba indica una condizione, cioè uno stato permanente, non tanto una malattia, passibile di evoluzione sia in senso positivo che negativo: una turba permane, mentre una malattia può cambiare. L'aggettivo persistente rinforza il concetto di turba come condizione stabile e definitiva, cioè non evolutiva e viene solo in parte attenuato dall'aggettivo non immutabile che indica come siano tuttavia possibili cambiamenti, migliorativi o peggiorativi,

4 spontanei o indotti. Sostengono i miglioramenti la plasticità della struttura del SNC, con le sue possibilità compensatorie, e soprattutto la capacità di apprendimento attraverso l esperienza. Per i peggioramenti dobbiamo considerare che, anche se la lesione di per sé non evolve, divengono sempre più complesse le richieste dell' ambiente al sistema nervoso con conseguente aggravamento della disabilità, in funzione sia del danno primitivo, sia dei deficit accumulati strada facendo in ragione della mancata acquisizione di esperienze e di nuove abilità. L'espressione "alterazioni della funzione cerebrale" sottolinea che la paralisi determina una incapacità del sistema, piuttosto che il deficit di uno o più dei singoli apparati che lo compongono. In questo senso il termine "cerebrale" va intesto come sinonimo di sistema nervoso e non di cervello. Solo in parte è possibile stabilire una correlazione significativa tra sede e misura del danno organico e natura e gravità della paralisi conseguente. L'espressione "crescita e sviluppo del sistema nervoso", che con una forzatura linguistica si riferisce all'aggettivo "cerebrale" piuttosto che al sostantivo "funzione", vuol significare che la PCI si distingue dalla paralisi dell'adulto in quanto mancata acquisizione di funzioni piuttosto che perdita di funzioni già acquisite. L'espressione rimane ambigua perché non definisce a quali funzioni ci si riferisce, anche se generalmente viene attribuita alla statica ed alla locomozione (2,3). 1.2 Eziologia delle P.C.I. Le cause di PCI sono varie e rappresentano qualsiasi evento in grado di determinare lesioni cerebrali, intercorso a partire dal periodo embrionario fino alla fine del 1-2 anno di vita. Sono sostanzialmente: 1. fattori prenatali (entro la 28ª sett. di gestazione): anossia fetale che compromette l apporto di sangue e di ossigeno al feto (disturbo fetale cronico e le alterazioni placentari); prematurità; infezioni materne (toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia, ); malattie metaboliche materne (diabete); ittero (da isoimmunizzazione Rh); alterazioni cromosomiche; malformazioni congenite; sindromi neurocutanee;farmaci; radiazioni. 7

5 2. fattori perinatali (dalla 28ª sett. di gestazione al 10º giorno di vita): prematurità (distress acuto con sindrome anosso-ischemica; emorragia ventricolare o parenchimale); distocia da parto (danni per cause meccaniche e distress fetale acuto o subacuto); farmaci. 3. fattori postnatali: alterazioni metaboliche; infezioni (meningo-encefalite); traumi; disidratazione.(6) La nascita pretermine, a causa della condizione di immaturità del neonato, costituisce un evento di gran rischio per lo sviluppo di patologie neuromotorie. Il rischio è tanto più grande quanto più basso il peso del neonato. La prematurità è strettamente correlata alla diplegia spastica poiché i nati pretermine, presentando una spiccata fragilità vasale, sono maggiormente soggetti ad alterazioni trombotiche o emorragiche nelle aree periventricolari, ove decorrono le fibre piramidali destinate agli arti inferiori. Circa il 10% delle PCI sono probabilmente dovute ad asfissia perinatale. Questa, alla nascita, comporta un ipossia o un ischemia cerebrale o, più frequentemente, i due meccanismi sono associati (encefalopatia ipossicoischemica). (5) L incidenza della PCI, che nei paesi occidentali risulta ormai stabile, è stimata intorno ai 2-3 casi ogni 1000 nati vivi. L incidenza è significativa nei bambini nati prematuri (in particolare sotto le 32 settimane di età gestazionale) e nei neonati di peso inferiore ai 1500 gr. La prevalenza è complessivamente stimata intorno a 1:500 bambini in età scolare. 1.3 Le Classificazioni Nella PCI, proprio per l eterogeneità dei fattori eziologici e la varietà dei quadri clinici, è stato utilizzato, fin dai primi tentativi di classificazione, il criterio descrittivo-fenomenologico che raggruppa i casi in base alle caratteristiche e alla distribuzione dei sintomi. La classificazione sintomatica più recente e diffusa a livello internazionale è quella della scuola svedese proposta da Hagberg nel Essa ha la finalità di individuare quadri clinici che agevolino gli studi epidemiologici e quindi 8

6 risente di una certa semplificazione. Hagberg differenzia i quadri clinici delle PCI in 3 grandi aree in base al sintomo prevalente: Forme spastiche Emiplegia (compromissione di un emisoma in cui il deficit può prevalere all arto superiore o all arto inferiore). Diplegia (compromissione prevalente agli arti inferiori rispetto agli arti superiori). Tetraplegia (compromissione della stessa entità ai 4 arti o maggiore agli arti superiori). Forme atassiche Diplegia atassica (associata alla spasticità prevalente agli arti inferiori sono presenti segni atassici specie agli arti superiori). Atassia congenita (quadri di atassia semplice senza componente spastica). Forme discinetiche Coreoatetosi (caratterizzata da movimenti coreici, atetosici e coreoatetosici, coinvolgenti gli arti e il volto, con lieve ipotonia globale). Forma distonica (forma più grave dominata da distonie, dalla persistenza di pattern riflessi primitivi con grave ipotonia di tronco e distretti bucco-facciali). Una variante alla classificazione di Hagberg, più dettagliata nella descrizione della distribuzione dei sintomi, è stata proposta da Michaelis nel Michaelis distingue le forme spastiche in forme monolaterali e in forme bilaterali in base alla distribuzione prevalente della spasticità. Forme bilaterali Leg dominated tetraparesis (corrispondente alla diplegia). Three limb dominated tetraparesis (corrispondente alla triplegia). Side dominated tetraparesis (spasticità prevalente ad un emisoma). Four limb tetraparesis (corrispondente alla tetraplegia). Crossed dominated tetraparesis (spasticità prevalente ad un arto superiore e all inferiore controlaterale). Forme monolaterali nelle quali sono incluse le forme emiplegiche pure e le monoparesi (considerate espressione di emiparesi a netta prevalenza ad un arto). 9

7 Inoltre non sono contemplate in questa classificazione le forme di paraparesi, perché considerate espressioni di patologie midollari, e la forma ipotonica o aposturale, perché rilevata solamente nei primi due anni di vita, prima che emergano i segni di tipo distonico o atassico. Più recentemente, nel 1997, è stato proposto da un gruppo di ricercatori americani e canadesi (Palesano, Rosenbaum et al.) un approccio diverso alla classificazione, basandosi sui concetti di disabilità e limitazione funzionale, permettendo così di determinare i bisogni del bambino e di deciderne gli interventi terapeutici, nonché di verificare la validità del progetto terapeutico. Livello I: il bambino cammina senza restrizioni sia in ambiente familiare che all esterno. Le limitazioni si evidenziano in abilità motorie più complesse (corsa, salto, ecc ). Livello II: il bambino cammina senza l uso di ausili in ambiente familiare, ma presenta limitazioni e necessità di assistenza negli ambienti esterni. Sale le scale con appoggio e non è in grado di correre o saltare. Livello III: il bambino cammina con l aiuto di ausili sia in ambiente familiare che all esterno; in ambienti estranei o per lunghi percorsi deve essere trasportato. È in grado di mantenere la stazione seduta in autonomia. Livello IV: il bambino non è in grado di camminare anche con l uso di ausili e deve essere assistito anche nei passaggi da seduto ad eretto. Mantiene la stazione seduta con sostegno e per gli spostamenti utilizza la carrozzina. Livello V: il bambino presenta gravi limitazioni dell autonomia motoria anche con l uso di ausili. Non è in grado di mantenere la stazione seduta, né di controllare stabilmente il capo; inoltre deve essere trasportato e assistito in tutte le posture. Per ogni livello, inoltre, sono descritte le abilità funzionali e le limitazioni che caratterizzano le diverse fasce d età (prima dei 2 anni, dai 2 ai 4 anni, dai 4 ai 6 anni, dai 6 ai 12 anni). Negli anni più recenti il problema della definizione è divenuto meno importante, poiché le nuove possibilità diagnostiche con le neuroimmagini e con le indagini genetiche hanno reso possibile identificare precocemente le caratteristiche, l eziologia e il timing delle lesioni. Attualmente è di uso comune in letteratura definire la PCI come una Umbrella Diagnosis (Mutch, 1992), cioè come una 10

8 serie di quadri clinici a varia eziologia e con diverse espressioni sintomatiche, che hanno in comune i disordini del movimento e la non progressività della lesione. I disordini del movimento possono essere l unica manifestazione clinica, o ad essi possono essere associati disordini di altre funzioni, che talora possono avere un rilievo predominante sulla sintomatologia motoria (7). I principali disturbi associati sono rappresentati da: disturbi della sensibilità; disturbi visivi; disturbi uditivi; disturbi dell integrazione percettivo-motoria; disturbi della dominanza laterale; disturbi del linguaggio; disturbi convulsivi; ritardo mentale; disturbi emotivi comportamentali. Queste manifestazioni patologiche, in associazione al disturbo motorio, sono causa nel bambino di un alterata acquisizione dello schema corporeo sia perché il bambino, a seconda della forma di PCI presente, utilizza contro gravità linee di forza anomale in intensità (come anomale si presentano le modalità di mantenimento delle diverse posture e di spostamento), sia perché le informazioni percettive che riceve dai segmenti corporei sani e da quelli malati sono discordanti, rendendo così difficoltosi gli adattamenti del proprio corpo a scopi relazionali ed inter-relazionali (5) La Diplegia Spastica Eziopatogenesi e diagnosi La diplegia spastica è la forma più frequente di PCI (40-45%) ed è correlata in particolare con la nascita pretermine. In realtà, gli studi epidemiologici e solamente l utilizzo recente della Risonanza Magnetica, hanno messo in evidenza l esistenza di un diverso pattern eziologico e patogenetico della diplegia nel neonato pretermine da quello del neonato a termine. 11

9 Nel bambino pretermine la diplegia ha un pattern neuropatologico omogeneo e ben conosciuto rappresentato dalla Leucomalacia Periventricolare (LPV), lesione anossico-ischemica presentata soprattutto dai bimbi affetti di età gestazionale compresa tra le 28 e le 36 settimane (Hagberg, 1993), caratterizzata dalla necrosi della sostanza bianca periventricolare con caratteristica distribuzione in quella adiacente agli angoli esterni dei ventricoli laterali. Volpe (1992) sostiene che la causa primaria di LPV è l ipotensione sistemica anche di lieve entità ed attribuisce un ruolo fondamentale a tre fattori nella sua patogenesi: 1) le strutture vascolari periventricolari, che rendono questa regione particolarmente vulnerabile all ischemia cerebrale nel pretermine; 2) la circolazione cerebrale del pretermine, che dipende passivamente dalla pressione arteriosa per l insufficienza dei meccanismi di regolazione vasale; 3) la maggior vulnerabilità delle cellule gliali periventricolari in fase di attiva differenziazione e mielinizzazione. Nel bambino di età gestazionale molto bassa invece (<28-30 settimane) predominano gli infarti emorragici periventricolari, di frequente associati ad emorragie intraventricolari, che evolvono in cavitazioni cistiche confluenti nei ventricoli laterali. La relazione fra gli aspetti morfologici della LPV e il quadro clinico della diplegia spastica è ormai chiaro: la compromissione motoria prevalente agli arti inferiori rispetto a quelli superori è dovuta alle lesioni della sostanza bianca prevalenti nelle aree laterali e dorsali dell angolo esterno dei ventricoli laterali e che interrompono i tratti cortico-spinali provenienti dalla corteccia motoria e diretti agli arti inferiori. Dagli studi di RM, inoltre, anche l estensione e la distribuzione della LPV è risultata correlata con diversi aspetti clinici della diplegia, quali disordini visuopercettivi (Koeda 1992) o il livello di Q.I. totale (Fedrizzi 1996). La proporzione di bambini nati a termine fra quelli affetti è nettamente più bassa rispetto ai nati pretermine (25-30%); il pattern di cause e di fattori di rischio è molto più eterogeneo e complesso rispetto a quella del pretermine. In particolare Hagberg (1993) ha messo in luce la netta prevalenza di fattori di sofferenza prenatale (malformazioni, lesioni pericorticali, LPV, lesioni poroencefaliche) o non identificabili, rispetto ai fattori perinatali, molto elevati nel gruppo dei pretermine. 12

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