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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTA DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN LINGUE PER LA COMUNICAZIONE COMMERCIALE E LA PROMOZIONE DEL TURISMO INTERNAZIONALE CURRICULUM: RELAZIONI COMMERCIALI INTERNAZIONALI TESI DI LAUREA SPECIALISTICA LA COMUNICAZIONE CROSS-CULTURALE NEI MERCATI EMERGENTI: IL CASO ALGIDA (KWALITY) WALL S Relatore: Ch.mo Prof. FABIO CASSIA Laureanda: LAURA CRESTANI ANNO ACCADEMICO

2 1- DALLA CULTURA ALLA COMUNICAZIONE CROSS- CULTURALE 1.1- ALCUNE DEFINIZIONI SIGNIFICATIVE DI CULTURA : SPECIFICITÀ E PUNTI DI CONTATTO Il concetto di cultura è sempre stato oggetto di ampi dibattiti, nonché di innumerevoli studi, sia in ambito antropologico che sociologico, tanto che tutt oggi risulta difficile, se non impossibile, fornire una definizione univoca e universalmente accettata del termine. Il primo a sottolinearne il carattere relativo è Edwart Burnet Tylor ( ) che definisce la cultura come il complesso che include le conoscenze, le credenze, l arte, la morale, il diritto, il costume e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall uomo in quanto membro di una società 1. I successivi sviluppi dell antropologia affermano ancora di più la dimensione relativista 2 ; Bronislaw Malinowski ( ), per esempio, intende la cultura come un vasto apparato costituito da tutti i costumi, gli oggetti materiali, le idee, le credenze che adempiono le funzioni necessarie a soddisfare i bisogni umani 3. L esponente più noto del relativismo culturale è Melville Herskovits ( ), il quale afferma l esistenza di una specificità di ogni cultura; in sostanza sostiene che i molteplici aspetti della cultura siano presenti in ogni comunità, ma che assumano in questa caratteri specifici che la identificano 4. 1 Tratto da: Tylor E. B., 1871, Primitive Culture, Ed. Murray, London 2 Si vedano anche studiosi come Benedict (1960, Modelli di cultura, Feltrinelli, Milano), Boass (1972, L uomo primitivo, Laterza, Bari, con prefazione di Herskovits; 1988, Race, language and culture, The University of Chicago Press, Chicago-London), Lévi-Strauss (2002, Razza e Storia; Razza e Cultura, Einaudi, Torino; 2008, Elogio dell antropologia, Einaudi, Torino), Mauss (1997, Sociologie et antropologie, Presses Universitaires de Paris, con introduzione di Lévi-Strauss). 3 Come riportato da Martorella C., 2005, Bunka, La cultura giapponese nella storia. Scontro tra dogmatismo e relativismo (on line ). 4 Tratto da Herskovits M. J., 1948, Man and his works : the science of cultural anthropology, Knoff, New York. 5

3 Con il procedere degli studi, autori come James Clifford (1945- ) vanno delineando una connotazione più dinamica: la cultura non è più vista come un bagaglio di modelli definiti, ma come un qualcosa in continuo mutamento dovuto al contatto con altre culture. Più l argomento viene approfondito più le definizioni si moltiplicano. Hall ( ) definisce innanzitutto la cultura come comunicazione, poi, grazie anche agli sviluppi della tecnologia, suggerisce la metafora della cultura come programma per computer, ossia un sistema per creare, spedire, memorizzare ed elaborare informazioni, come anche abitudini, tradizioni e costumi 5. Geertz ( ) la definisce come un insieme di meccanismi di controllo per monitorare il comportamento degli individui; secondo questa logica sono i modelli culturali stessi ad influenzare i comportamenti umani, come l esperienza guida le future azioni 6. Herbig nel 1995 la considera come un: - sistema di comunicazione alla base dell esistenza della società umana che integra i comportamenti biologici e tecnici degli esseri umani con i loro sistemi verbali e non verbali di espressione; - modo di vita che include i comportamenti attesi, le credenze, i valori, la lingua e le abitudini condivise dai membri di una società; - modello di valori, caratteristiche condivise dalla popolazione di una regione; - catalizzatore capace di trasformare significati privati e pubblici in modo che siano compresi dagli altri (futuri, non ancora nati) membri della società; - regole implicite ed esplicite attraverso le quali le esperienze sono interpretate; - strumento con cui le nuove generazioni acquisiscono la capacità di superare la distanza che separa una vita dall altra 7. 5 Tratto da Hall E. T. & Hall M. R., 1990, Understanding cultural differences, Intercultural Press, Yarmouth. 6 Tratto da Geertz C., 1987, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna. 7 Herbig P.A. come citato in Cavallone M., 2007, Gestire la comunicazione di marketing nella società multiculturale: problemi aperti e implicazioni per il management, Mercati e competitività, n.1. 6

4 Molte altre ancora potrebbero essere le definizioni citabili 8 ; in questa sede ne sono state richiamate solo alcune delle più note per far comprendere quanto ne sia relativo il significato e come, nonostante questo carattere distintivo, si riesca comunque ad individuare un denominatore comune: per quanto la sua definizione possa essere soggettiva, infatti, è indiscutibile che la cultura sia il legame che accomuna un determinato gruppo di persone che condividono alcuni elementi tra i quali i più importanti sono i valori. I valori, appunto, sono parte integrante del modello che si prenderà a riferimento per l analisi del caso pratico nella seconda parte del lavoro: il modello di Hofstede IL CONCETTO DI CULTURA SECONDO IL MODELLO DI HOFSTEDE 10 : LA CENTRALITÀ DEI VALORI Anche Hofstede, come Hall, utilizza il campo informatico per spiegare la sua concezione di cultura che chiama infatti software mentale o modelli di pensiero, ossia ciò che almeno parzialmente determina il comportamento dell individuo; parzialmente perché il programma mentale individua reazioni probabili o possibili, ma il singolo possiede comunque la capacità di deviare da questo programma e reagire in maniera nuova e creativa. Quando si parla di cultura intesa come software mentale 11, si parla sempre di un fenomeno collettivo: è la programmazione mentale collettiva ciò che distingue i membri di un gruppo o di una categoria da quelli di un altro/a, dove per gruppo si intende una serie di persone in contatto tra loro, mentre per categoria una serie di persone con qualcosa in comune ma non necessariamente in contatto 12. Un prezioso contributo all elaborazione del concetto di programmazione mentale collettiva è stato sicuramente fornito dal sociologo francese Pierre 8 Secondo le stime di Cavallone sarebbero addirittura più di Geert Hofstede (Haarlem 3/10/28) è uno dei più famosi psicologi tedeschi del XX secolo. 10 Per approfondimenti sulle teorie di Hofstede: Hofstede G., 1999, Culturas y organizaciones, el software mental, Alianza Editorial, Madrid. 11 Hofstede distingue due tipi di cultura: la cultura uno, cioè la cultura in senso stretto, intesa come raffinamento della mente, e la cultura due ovvero il software mentale. 12 Ad esempio la categoria delle donne sposate. 7

5 Bourdieu che qualche anno prima proponeva quello di habitus: i condizionamenti associati a una classe particolare di condizioni di esistenza producono un habitus, un sistema di disposizioni permanenti e trasferibili predisposte a funzionare come principi generatori e organizzatori di pratiche e rappresentazioni [ ] orchestrate collettivamente senza essere il prodotto dell azione organizzativa di un direttore d orchestra reale 13. Hofstede procede poi distinguendo la cultura dalla natura umana: quest ultima è la parte del software mentale che tutti gli esseri umani hanno in comune e si eredita di generazione in generazione; la cultura invece si apprende, non si eredita, e dipende dal proprio contesto sociale. Questo spiega l enorme varietà di culture esistenti e giustifica lo sviluppo del relativismo culturale del quale si è accennato in precedenza: il relativismo culturale non implica la mancanza di norme né per il singolo né per la società, ma impone la sospensione del giudizio quando si tratta di gruppi o categorie differenti dal proprio, infatti una cultura non possiede criteri assoluti per giudicare le attività delle altre culture come basse o elevate 14. Secondo Hofstede queste differenze culturali si manifestano secondo il seguente schema, di cui esistono due rappresentazioni: la cipolla (a cerchi concentrici) in fig. 1.1 e l iceberg (piramidale) in fig Figura 1.1: Rappresentazione a cipolla 15 Figura 1.2: Rappresentazione ad iceberg Bourdieu P., 1980, Le sens pratique, Les Editions de Minuit, Paris, pp Lévi-Strauss C.-Eribon D., 1988, De près et de loin, Ed. Odile Jacob, Paris, p Hofstede G., 1999, Culturas y organizaciones, el software mental, Alianza Editorial, Madrid, p Cavallone M., 2007, Gestire la comunicazione di marketing nella società multiculturale: problemi aperti e implicazioni per il management, Mercati e competitività, n.1, p

6 Come si può notare i valori costituiscono la parte più nascosta, poi, spostandosi più verso l esterno (o in superficie), si trovano rituali, eroi e simboli. Analizziamo le quattro componenti: - Simboli: sono parole, gesti, immagini o oggetti che assumono un significato concreto per chi condivide una determinata cultura, ma che sono facilmente riconoscibili anche da chi non la condivide proprio perché visibili e perciò situati nella parte più superficiale del modello. I simboli evolvono, spariscono e si sviluppano con facilità, spesso prendendo spunto da quelli vecchi o addirittura da quelli di altre culture, con cui non necessariamente hanno un legame. Il modo di vestire, piuttosto che una determinata pettinatura, rappresentano abbastanza chiaramente il concetto di simbolo. - Eroi: come suggerisce il termine, sono persone, vive o morte, reali o anche immaginarie, che possiedono caratteristiche ampiamente apprezzate in una determinata cultura, tanto da diventare dei modelli di condotta. Un esempio di eroe immaginario può essere Asterix nella cultura francese, mentre per quanto riguarda gli eroi reali vengono utilizzati sempre più frequentemente, oltre ai personaggi storici (che, in quanto tali, godono di riconosciute virtù), personaggi famosi come attori, cantanti, campioni sportivi e personaggi televisivi in generale, perché soggetti ad ampia visibilità. - Rituali: sono attività tecnicamente superflue, ma considerate essenziali all interno di una cultura. Sono rituali il modo in cui si saluta 17, le forme di cortesia, le cerimonie sociali e religiose. Sotto questo punto di vista il matrimonio in chiesa è certamente un rituale per la comunità cristianocattolica, ma lo è anche il galateo per la cultura occidentale. - Valori: sono le tendenze a preferire certi stati delle cose a certi altri. Come già accennato, sono l elemento centrale di una cultura e, non a caso, sono situati nella parte più interna del modello, la più nascosta, non solo a livello figurato, ma anche a livello pratico: i valori, infatti, non sono elementi visibili, risiedono nell inconscio dell individuo, dove si 17 Calore, tempestività, distanza, postura, variano notevolmente da una cultura all altra e, se tali rituali non vengono rispettati, possono anche essere presi come una sorta di mancanza di rispetto. 9

7 instaurano implicitamente sin dai primi anni di vita 18, e proprio per questo -al contrario dei simboli- sono difficilmente riconoscibili non solo dai non appartenenti alla medesima cultura, ma spesso anche da chi ne è il portatore diretto. In sostanza sono gli elementi distintivi di una cultura più radicati nell individuo e più difficili da riconoscere e da cambiare. Un altro autore, Rokeach, si è occupato in maniera particolare del concetto di valore. Egli lo definisce come convinzione permanente che un comportamento o un modo di essere sia personalmente o socialmente preferibile al modo d agire inverso 19. Come si può notare, la definizione è molto simile a quella fornita da Hofstede; in particolare entrambe sottolineano due tratti fondamentali: il carattere radicato dei valori nell individuo, e quello di guida di fronte a una scelta. Inoltre, Rokeach approfondisce distinguendo tra valori terminali, ossia quelli legati ad aspirazioni che si vogliono realizzare nel corso della vita (es. amore, felicità, serenità, ecc.), e valori strumentali, più pratici / materiali e legati alle modalità con cui le persone intendono realizzare le loro aspirazioni (es. potere, successo, denaro, ecc.) LA CULTURA NAZIONALE: LE DIMENSIONI DI HOFSTEDE 20 Hofstede riconosce la presenza di una cultura nazionale, che si distingue dalle altre grazie a cinque dimensioni 21 : - distanza dal potere (o distanza gerarchica): è la misura in cui gli individui meno potenti di un organizzazione o un istituzione (ma anche della famiglia) accettano e si aspettano che il potere sia distribuito in maniera 18 Gli psicologi affermano che, già all età di dieci anni, la maggior parte dei bambini abbia il suo sistema di valori fermamente stabilito. 19 Rokeach M., 1973, The nature of human values, The Free Press, New York, p Vi sono stati altri autori che hanno studiato la cultura nazionale tramite un approccio dimensionale: i primi sono stati Kluckholn e Strodbeck nel 1961 con un modello a sei dimensioni (natura delle persone, relazione persone-natura, individualismo vs collettivismo, modo di azione, concetto di spazio, orientamento temporale); in seguito, Edward T. Hall nel 1966 con un modello bidimensionale (highcontext vs low-context culture) e Martin J. Gannon nel 1994 rielaborando il modello di Hofstede. 21 Per approfondimenti sulle dimensioni di Hofstede si veda: Hofstede G., 1999, Culturas y organizaciones, el software mental, Alianza Editorial, Madrid, e 10

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