UNIVERSITA DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTA DI LETTERE E FILOSOFIA DIPLOMA UNIVERSITARIO IN SERVIZIO SOCIALE. Tesi di Diploma

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTA DI LETTERE E FILOSOFIA DIPLOMA UNIVERSITARIO IN SERVIZIO SOCIALE Tesi di Diploma IL CINEMA COME NARRAZIONE FORMATIVA. «TRE COLORI» DI KRZYSZTOF KIESLOWSKI. RELATORE: Dott. Alberto Agosti DIPLOMANDO: Lorenzo Guglielmi ANNO ACCADEMICO

2 Il cinema come evasione, si è detto tante volte, con una formula che vuol essere di condanna, e certo a me il cinema allora serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamento, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria dell inserimento nel mondo, una tappa indispensabile d ogni formazione. Certo per crearsi uno spazio diverso ci sono anche altri modi, più sostanziosi e personali: il cinema era il modo più facile e a portata di mano, ma anche quello che istantaneamente mi portava più lontano. (Italo Calvino, Autobiografia di uno spettatore)

3 INDICE INTRODUZIONE p. 9 PRIMA PARTE: IL CINEMA 1) Dal cinematografo al cinema p Il cinema fra realtà e fantasia p Il cinema fra arte e tecnica p Il cinema fra passato e futuro p. 40 2) La situazione cinematografica p Lo schermo: specchio o finestra? p Il film: dimensione onirica e dimensione narrativa p Lo spettatore: identificazione, proiezione e partecipazione p. 64 5

4 SECONDA PARTE: TRE COLORI di Krzysztof Kieslowski 3) Kieslowski: il regista delle emozioni p La vita ed i film p La narrazione nei film di Kieslowski p Tre colori : il tentativo di filmare i valori p. 96 4) L analisi dei film p Film Blu : la libertà p La trama p La libertà: morte e memoria p Colore blu, musica, simboli p Se non ho amore non sono nulla p Film Bianco : l uguaglianza p La trama p L impotenza di fronte alle differenze p Vendetta, denaro e possesso p L uguaglianza: ricomporre i pezzi diversi p Film Rosso : la fraternità p La trama p

5 4.3.2 La fraternità: comunicazione e ascolto p Blu, bianco, rosso: il lungo percorso dell amore p Il giudice in pensione, ovvero il narratore p. 154 CONCLUSIONI p. 159 BIBLIOGRAFIA GENERALE p. 165 BIBLIOGRAFIA MONOGRAFICA p. 171 RECENSIONI p. 173 FILMOGRAFIA COMPLETA p

6 INTRODUZIONE Questo lavoro, a prima vista piuttosto marginale rispetto alle principali tematiche del Servizio Sociale, tenta, in realtà, di fornire un contributo originale all interno di quello spazio indicato anche dal comma 44 del Codice deontologico degli assistenti sociali, che così recita: «L assistente sociale è tenuto alla propria formazione continua al fine di garantire prestazioni qualificate all utente ed al cliente». Gli aspetti formativi, invece, sono troppo spesso messi in secondo piano dalle urgenze relative alle problematiche più strettamente legate agli ambiti dell utenza e del servizio. Bisogna ricordare, però, che la formazione riveste un ruolo di importanza fondamentale, da non sottovalutare proprio perché permette di costruire e di rinnovare la professionalità stessa dell assistente sociale, poi a contatto sia con gli utenti che con i servizi. Il concetto di formazione acquista il valore di superamento dei due termini, spesso contrapposti, di educazione e istruzione, rinviando sia alla dimensione esistenziale dell educazione (e dunque a tutto ciò che influisce a livello soggettivo sul modo di essere dell individuo) sia alla dimensione tecnica e consapevole dell istruzione. 1 In questa occasione, pur ribadendo l importanza degli aspetti legati al continuo aggiornamento tecnico e professionale, noi ci soffermeremo sul primo aspetto e, quindi, su quelle circostanze dell esistenza che generano «auto-riflessione, coscientizzazione e 1 Bertolini P., Formazione in Dizionario di Pedagogia e Scienze dell Educazione, Zanichelli, Bologna 1996, p

7 meditazione, sulla propria personale storia di vita». 2 Sintetizzando, possiamo dire di concentrarci su un idea di formazione intesa come possibilità di trasformazione (quindi di cambiamento e verifica di sé) piuttosto che come modalità di informazione (quindi di acquisizione di nozioni). Da questo punto di vista, come afferma Demetrio, la formazione è da considerarsi come «un attività che alimenta bisogni polimorfi, che ovviamente non possono essere tutti, e contemporaneamente, soddisfatti; che ingenera una domanda ulteriore, non necessariamente di formazione strictu sensu, ma di socializzazione, partecipazione, uso diverso del tempo libero, allargamento e complessificazione dei modi di rapportarsi al reale ed anche alla dimensione desideriale». 3 Tutti questi aspetti devono interessare una figura, come quella dell assistente sociale, che nella propria attività offre, innanzitutto, la sua stessa persona e la sua umanità, sia come prima risorsa da impiegare, sia come primo strumento per l analisi dei bisogni. Per questo motivo vanno ricercate, anche da parte del Servizio Sociale, tutte quelle opportunità di formazione in grado di stimolare alla riflessione, al riconoscimento del proprio essere al mondo, alla ricerca di sé e al risveglio di interrogativi esistenziali troppo spesso sopiti. Noi crediamo di aver individuato molte di queste opportunità e potenzialità formative nelle dinamiche attivate dal mezzo cinematografico. E ormai un intuizione comprovata constatare che «si prova in teatro, al cinema, durante la lettura di un romanzo quello che non si riesce, quel che non è consentito, quel che non è dato provare nella vita reale. Ossia, sono il teatro, il cinema, i romanzi, le canzoni che danno forma, visibilità e nome ai 2 Demetrio D., Manuale di educazione degli adulti, Edizioni Laterza, Bari 1997, p Demetrio D., Saggi sull età adulta, Edizioni Unicopli, Milano 1986, p

8 sentimenti; questi insomma si scoprono attraverso le attività di loisir piuttosto che attraverso la vita reale». 4 Per loisir intendiamo, appunto, quelle attività collettive o individuali che occupano il tempo libero, i momenti di relax e gli spazi personali. Proprio questa connotazione di tempo separato, di contesto altro rispetto agli spazi ed ai tempi della vita ordinaria mette in moto dei processi tanto latenti quanto potenti, proprio perché non permettono solo una semplice evasione, ma una capacità, e una possibilità, di conoscere e riconoscere, di tollerare e metabolizzare, le emozioni ed i sentimenti. Possiamo affermare che quella delle immagini in movimento è la forma di loisir specifica del nostro secolo ed è in grado, se utilizzata al meglio, di fornire allo spettatore l opportunità di «far confluire le tensioni emotive in vissuti riconoscibili». 5 Le nostre emozioni, al di là di ogni retorica, devono essere considerate delle vere e proprie chiavi d accesso al nostro mondo interiore. La loro capacità di mettere in moto (da emovere, letteralmente smuovere, attivare) processi e dinamiche interne può diventare, opportunamente rielaborata, una fonte primaria di conoscenza di noi stessi. Proprio una figura come quella dell assistente sociale, che si basa sulle relazioni d aiuto con le persone, ha la necessità, se non il dovere, di coltivare in ogni modo questa continua interrogazione di sé, per una migliore conoscenza delle proprie reazioni emotive e per facilitare una maggiore apertura mentale sui molteplici punti di vista delle persone. La proiezione filmica e le sequenze cinematografiche ci possono arricchire, sotto questi aspetti, perché non sono semplici segni che riproducono e rappresentano, ma anche simboli, ossia 4 Franza A. - Mottana P., Dissolvenze. Le immagini della formazione, Clueb, Bologna 1997, p Ibidem. 11

9 aggregati di significato, di cui diventano coautori tanto i registi e gli attori che gli spettatori. 6 Pertanto nell osservare, anche se ne siamo poco consapevoli, c è sempre la presenza di un atto costruttivo e creatore di senso che fa emergere le peculiarità dell osservatore. Basti pensare, per rimanere al nostro caso, allo stupore con cui, dopo aver visto un film insieme ad altri, ci si accorge dell enorme difformità di impressioni e ricordi personali, tanto da arrivare a dubitare, addirittura, che si tratti dello stesso film. E questa possibilità ermeneutica, questa dinamica interpretativa attivata dall immagine cinematografica, la vera ricchezza formativa da coltivare. Se l uomo conosce il mondo solo interpretandolo, allora può cercare di conoscere meglio se stesso partendo dall interpretazione delle proprie reazioni emotive. Il cinema può essere, insieme ad altri, uno strumento per stimolare questo tipo di apprendimento delle (e dalle) emozioni, anche grazie alla possibilità di proiettarle in uno spazio immaginario e ricco di finzione (la storia del film) che permette, più facilmente, di liberare e far provare ciò che spesso è nascosto o represso. Per Franza e Mottana, quindi, il lavoro da svolgere intorno all osservazione del film deve concentrarsi nel saper «cogliere e far cogliere il rapporto fra oggetto primario dell esperienza (il film e l immagine) e il suo oggetto secondario implicito, ossia costituito dalla coscienza che la coscienza dello spettatore ha di se stessa mentre percepisce; fare e far fare di questo oggetto secondario implicito e mediato il campo di una esperienza primaria». 7 A questo punto, è bene sottolineare il fatto che, di fronte a queste premesse operative, il nostro lavoro compie un passo indietro. Infatti, non si svilupperà come un contributo empirico incentrato 6 Ivi, p Ivi, pp

10 sulle modalità di una corretta visione del film o su percorsi cinematografici specifici per assistenti sociali o, ancora, su eventuali griglie interpretative o lavori di gruppo. Questi aspetti (peraltro interessanti e degni di uno studio specifico) rappresentano possibili, e auspicabili, conseguenze pratiche di un utilizzo mirato del mezzo cinematografico all interno del Servizio Sociale. Il nostro lavoro, invece, affronta una fase antecedente in cui cerchiamo di andare a riconoscere ed analizzare, a livello teorico, quelle che sono le potenzialità formative del cinema, sia lungo la sua evoluzione, sia nello specifico momento della visione di un film. Vogliamo tentare, in altre parole, di lanciare uno sguardo al fenomeno cinema in tutta la sua complessità storica, tecnica ed espressiva, per arrivare a fornire una sorta di indagine e base conoscitiva dei suoi aspetti potenzialmente utilizzabili in attività di formazione vere e proprie. Per far questo abbiamo voluto, e dovuto, dare un preciso taglio al nostro tentativo di indagine, in modo da evidenziare subito la dimensione e l aspetto che, secondo noi, contiene le maggiori potenzialità formative e poterlo utilizzare, successivamente, come chiave di lettura dell intero lavoro. Abbiamo individuato questo aspetto nella dimensione narrativa che, da sempre, contraddistingue il cinema. Infatti, se pensiamo che anche una foto, con la sua immagine fissa, è in grado di raccontarci un intera storia, è facile immaginare come il cinema, che possiamo considerare, per semplicità, una sequenza continua di singole foto, abbia nella vocazione al narrare la sua più antica e specifica peculiarità. Il racconto, tramite parole, disegni o immagini, è un esigenza stessa dell umanità, lungo tutto l arco della sua storia. L aspetto formativo, che a noi interessa, di ogni storia raccontata è dato dalla creazione di uno spazio nuovo, di un punto d incontro, tra l oggettività della parola, del disegno o dell immagine, e la 13

11 soggettività di chi sta ascoltando o osservando. Durante questo incontro l ascoltatore/spettatore è stimolato a rispondere in prima persona attraverso una serie di dinamiche, che vanno dalla creazione di nuove connessioni alla rielaborazione di esperienze passate, dall attribuzione di significati alla nascita di nuovi sguardi sulle cose, tutto all interno di un ottica di cambiamento e crescita personale. L uomo, d altronde, ha sempre sentito il bisogno di raccontarsi per riuscire a conoscersi meglio. Così, dai graffiti primitivi alla mitologia, dalle immagini fotografiche a quelle elettroniche, sono cambiate le modalità, ma non il bisogno, intimo ed indispensabile, del racconto. In un epoca come la nostra, dominata sì dalle immagini, ma sempre più da quelle velocissime e frammentate, crediamo che il cinema possa ancora ritagliarsi lo spazio ed il tempo per utilizzare le stesse immagini in funzione, però, di una storia da raccontare. In questo modo il cinema può raccogliere il testimone dai suoi illustri predecessori e servirsi del mezzo più moderno, le immagini, per soddisfare il bisogno più antico: raccontare all uomo dell uomo. Per noi spettatori, assistenti sociali o meno, la visione sullo schermo di una storia assume, dunque, una valenza formativa nel darci la possibilità di rivivere, attraverso la vita di un altro, quelle scelte importanti, quei dilemmi morali, quelle lotte in nome dei valori che, normalmente, non ci permettiamo di vivere o, semplicemente, non ci fermiamo più a rielaborare. Rispetto, quindi, ad una formazione intesa come possibilità di cambiamento e di interrogazione continua di sé, il cinema può rappresentare, con le sue immagini e le sue storie, uno strumento particolarmente adatto a fornirci domande. La possibilità di rispondere, poi, dipende da noi stessi e dalla nostra consapevolezza, o meno, di sfruttare e vivere questi momenti al buio, di fronte ad uno schermo che proietta la storia di un altro, 14

12 come preziosi tempi personali, come spazi protetti dall incalzare delle nostre giornate e, infine, come vere e proprie pause introspettive e fonti di conoscenza. Nello specifico, abbiamo deciso di sviluppare questo lavoro dividendolo in due parti, una più teorica e una più pratica. Nella prima affronteremo il fenomeno cinema nel suo complesso, attraverso due momenti ben distinti. In un primo momento, infatti, cercheremo di analizzarne lo sviluppo storico ed evolutivo, per vedere, attraverso quelle che sono le contrapposizioni più comuni con cui è stato visto, come si è sviluppata l idea stessa di cinema e che peculiarità contiene al suo interno. In un secondo tempo, invece, ci dedicheremo, circoscrivendo il nostro raggio d indagine, alla specifica situazione cinematografica che si crea durante la visione di un film. Questo ci permetterà di analizzare singolarmente i tre protagonisti di questo momento: lo schermo, il film e lo spettatore. Lo faremo sfruttando, nuovamente, le oscillazioni fra le opposte definizioni che, in genere, ne vengono date. Nella seconda parte, invece, ci concentreremo, come esempio concreto, sulla figura di un singolo regista e sui suoi film. Abbiamo scelto il regista polacco Krzysztof Kieslowski e la sua trilogia di film intitolata Tre colori. Prima affronteremo la figura del regista nel suo complesso, attraverso il racconto della sua vita, dei suoi film e, per proseguire il nostro sguardo iniziale, del particolare tipo di narrazione che utilizza. Infine ci dedicheremo alla visione dei tre film scelti, tentando di riportarne, attraverso la nostra personale analisi, il maggior numero di stimoli e spunti formativi contenuti. Il cinema, secondo noi, è, a tutti gli effetti, uno strumento in grado di portare ad una vera e propria forma di conoscenza, soprattutto di se stessi e del proprio mondo interiore così spesso nascosto o 15

13 represso. Proprio una figura come la nostra, di assistenti sociali, ha l esigenza di continuare a ricercare ogni possibilità per aumentare la conoscenza e l accettazione di sé. Solo accettandosi e conoscendosi meglio c è la possibilità di riuscire ad accettare e conoscere l altro, come ci chiede continuamente di fare il nostro lavoro. Con questo lavoro abbiamo cercato di presentare e proporre proprio le potenzialità formative offerte dal cinema. Se impariamo a conoscerlo ed ad utilizzarlo al meglio, il cinema potrà anche sorprenderci e iniziare a rappresentare quello che un grande scrittore come Calvino ha così mirabilmente descritto: «Non c è un mondo dentro lo schermo illuminato nella sala buia, e fuori un altro mondo eterogeneo separato da una discontinuità netta, oceano o abisso. La sala buia scompare, lo schermo è una lente d ingrandimento posata sul fuori quotidiano, e obbliga a fissare ciò su cui l occhio nudo tende a scorrere senza fermarsi. Questa funzione ha - può avere - la sua utilità, piccola, o media, o in qualche caso grandissima». 8 Noi ne siamo convinti. 8 Calvino I., Autobiografia di uno spettatore in Quattro film, F. Fellini, Einaudi, Torino 1974, p. XIX. 16

14 PRIMA PARTE: IL CINEMA «Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere; così noi siamo in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi tra le sue sparse rovine» Walter Benjamin (1936) L arte nell epoca della sua riproducibilita tecnica 17

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16 1) DAL CINEMATOGRAFO AL CINEMA Una convenzione universalmente riconosciuta fa risalire la nascita del cinema alla sera del 28 dicembre del 1895, giorno in cui, nel Salon Indien del Grand Café di Parigi, i fratelli Lumière riescono ad organizzare la prima proiezione pubblica a pagamento. Grazie al cinematografo, lo strumento da loro brevettato, vengono proiettati sullo schermo una decina di brevi film della durata di qualche minuto. Si tratta di scene di vita comune come l arrivo di un treno alla stazione o l uscita degli operai dalla fabbrica, ma lo stupore non manca di fronte alla novità assoluta di poter vedere delle immagini in movimento, delle fotografie finalmente animate e una macchina che riesce a ritrarre la vita. Il cinema nasce come una vera e propria invenzione scientifica, come il perfezionamento tecnico di tutta una serie di ricerche che hanno cercato di ottenere la riproduzione illusoria del movimento. Come per quasi tutte le grandi scoperte vi è una coincidenza temporale fra i lavori di numerosi ricercatori, 9 ma i fratelli francesi sono i primi a riuscire a proporre la nuova invenzione direttamente ad un pubblico pagante e non ai convegni ed agli incontri tra addetti ai lavori. Appena nato, però, il cinema è già moribondo e rischia di rimanere una semplice curiosità tecnica visto che al momento della sua nascita «non si trova alcun progetto relativo all universo dell intrattenimento o 9 Moscati M., Breve storia del cinema, Bompiani, Milano 1999, pp Ricordiamo in particolare l americano Thomas Edison con cui i fratelli Lumière 19

17 dello spettacolo né, tanto meno, alcuna istanza estetica». 10 Per i primi anni di vita il cinema resta una sorta di fenomeno da baraccone, confinato come attrazione nei circhi e nelle fiere dove cineasti improvvisati mostrano le meraviglie delle immagini in movimento. D altronde per gli stessi fratelli Lumière il cinema è un arte senza futuro e così, dopo pochi anni dai loro primi film, si ritirano dal mercato cinematografico tornando a lavorare sulle lastre fotografiche e sulle pellicole. I due fratelli non sospettavano nemmeno, in quel momento, di aver aperto «una nuova pagina nel libro dell espressione umana». 11 Una pagina che cerchiamo, ora, di rileggere attraverso le frequenti oscillazioni che la definizione del fenomeno cinema ha sempre avuto lungo la sua storia. Proprio la continua libertà di movimento dell idea di cinema fra alcuni concetti fondamentali, e apparentemente antitetici (come realtà e fantasia, o arte e tecnica), riesce a rappresentare, al meglio, la complessità di questo protagonista del nostro tempo. hanno avuto interminabili vertenze giuridiche nella corsa contro il tempo per perfezionare la nuova invenzione. 10 Bettetini G., Cinema in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Treccani, Roma 1991, p Ivi, p

18 1.1 IL CINEMA FRA REALTÀ E FANTASIA Ciò che noi chiamiamo realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi M.Proust In mezzo al pubblico presente alla famosa proiezione del Grand Café di Parigi c è anche il celebre illusionista Georges Méliès, che, impressionato dalla novità del nuovo mezzo, pensa subito di poterne mescolare le potenzialità con il proprio repertorio di trucchi. La sua pur breve carriera (si conclude, infatti, nel 1912 con un tracollo finanziario nel tentativo di conquistare il mercato americano) risulta fondamentale per lo sviluppo dell intero mondo del cinema, che proprio con lui, secondo alcuni autori, 12 inizia ad essere spettacolo cinematografico. E di certo un immagine fortemente simbolica il pensiero che, alla prima proiezione cinematografica, fossero presenti nella stessa sala, attraverso le persone di Lumière e Mélies, le due anime che caratterizzano da sempre l attività cinematografica: quella realista, documentarista e informativa rappresentata dai Lumière e quella fantastica, magica e immaginaria rappresentata da Mélies. Due aspetti che per il cinema sono inconcepibili l uno senza l altro, dal momento che «il fantastico al cinema è consentito solo dal realismo irresistibile dell immagine fotografica». 13 Sia la realtà che 12 Morin E., Il cinema o dell immaginario, Silva Editore, Milano 1962, pp Méliès è il primo ad utilizzare trucchi ed effetti speciali (sovrapposizioni, dissolvenze, primi piani etc.), che poi diverranno tecniche chiave dell arte cinematografica; con lui si avvia la trasformazione da cinematografo a cinema, il puro apparecchio diventa linguaggio e discorso per suoni e immagini. 13 Bazin A., Che cos è il cinema?, Garzanti, Milano 1999, p

19 la fantasia sono elementi indissolubili dall idea stessa di cinema, che nasce proprio dal connubio fra il realismo dell immagine e la finzione della scena di fronte alla macchina da presa. Con queste premesse è naturale immaginare questa perenne differenziazione come un perenne intreccio, che non solo accompagna tutta la storia del cinema, ma, soprattutto, permette il raggiungimento delle maggiori vette creative partendo dalla convinzione che: «la fedeltà riproduttiva sconfina spesso nei territori della ricreazione fantastica e la non-referenzialità immaginifica può aiutare a cogliere aspetti della realtà molto più veri e profondi di qualunque descrizione che si limiti alla superficie delle cose». 14 Nei primi anni del secolo queste possibilità sono, comunque, semplici prospettive potenziali, dal momento che siamo ancora in una fase di definizione e scoperta di nuove tecniche riproduttive da utilizzare, poi, per fini più o meno spettacolari. Infatti, i primi film dei Lumière sono ancora, fondamentalmente, delle fotografie in movimento mentre i film di Mélies, pur contenendo alcuni elementi di quello che sarà poi il cinema, sono pur sempre una serie di trucchi privi di una vera struttura. All elemento di realtà e a quello di fantasia si deve ancora aggiungere l elemento in grado di potenziarli e completarli entrambi, il collante perfetto: la dimensione narrativa. Un aspetto che, forse, è da sempre interno al cinema nel senso che un immagine, ed in particolare una serie di immagini, richiamano comunque la narrazione in quanto tentativo, attraverso la figurazione, di voler far significare il rappresentato, di volerne raccontare la storia. 15 «L accostamento di due immagini 14 Bettetini G., op. cit., p Aumont J. - Bergala A. - Marie M. - Vernet M., Estetica del film, Lindau, Torino 1995, pp Questa ed altre riflessioni sul tema verranno riprese nel successivo e specifico paragrafo sul film. 22

20 produce sempre un effetto psicologico che va oltre la semplice giustapposizione, stabilendo una sorta di tensione implicita che salda le due inquadrature abbinate con forza indissolubile, a suggerirne un attrazione reciproca di volta in volta narrativa o metaforica». 16 Realtà e fantasia si unificano proprio nel racconto cinematografico che, per sua natura, è reale e fantastico allo stesso tempo. Ma il cinema non è ancora pronto a sviluppare a pieno questa sua tendenza congenita, serve l arrivo e il perfezionamento di un altra invenzione: il montaggio. Se i film dei Lumière sono ancora una sorta di teatro filmato, dove una macchina da presa fissa riprende la scena che ha di fronte, Mélies introduce qualche elemento narrativo grazie alla successione di scene girate in momenti diversi, ma non possiamo ancora parlare di vero e proprio montaggio. Per montaggio intendiamo la scelta intenzionale, per ordine e durata, delle diverse inquadrature che compongono il film, cioè l effetto di senso prodotto dalla selezione e dall accostamento di diversi tipi di riprese (primi piani, campi lunghi, dettagli etc.). «Il montaggio si riduce a tre grandi operazioni: selezione, assemblaggio, raccordo; tre operazioni che hanno lo scopo di ottenere, a partire da elementi in partenza separati, una totalità, ossia il film». 17 E l elemento base per creare un vero linguaggio cinematografico, poiché mette insieme le singole inquadrature (come le parole), che, in questo modo, acquistano un senso preciso proprio in quanto collegate (come la frase). Come afferma il critico ungherese Balazs: «E un elemento produttivo, perché apprendiamo delle cose che le immagini stesse non mostrano». 16 Guidorizzi M. - Tedeschi Turco M., Guardare e vedere: guida all analisi del film, Casa Editrice Mazziana, Verona 1995, p Aumont J. - Bergala A. - Marie M. - Vernet M., op. cit., p

21 Il cinema è ancora muto, ma i film parlano perché possono iniziare a raccontare. L invenzione del montaggio accelera il processo di autonomia espressiva del cinema, che, dopo essere stato inventato per la riproduzione illusoria della realtà, dimostra sempre più la sua tendenza strutturale a costituirsi luogo di storie forti, racconti emozionanti e personaggi romanzeschi. 18 Con il definitivo affermarsi della funzione narrativa sia il reale che il fantastico trovano finalmente il terreno su cui liberarsi ed il cinema «nato come scrittura diventa linguaggio». 19 I film iniziano a raccontare delle storie ed il regista può scegliere ancora più liberamente come raccontarle poiché, grazie al montaggio, è lui stesso a creare il tempo e lo spazio del racconto. Nei primi film del cinema, il tempo e lo spazio filmici coincidono con il tempo e lo spazio reali della scena che si svolge di fronte alla macchina da presa fissa. Successivamente, con l affermazione del montaggio e il perfezionamento dei movimenti della macchina da presa, avviene che: «una storia suddivisa su di un arco di tempo (reale) più o meno esteso (giorni, anni, in certi casi perfino secoli!) e tra ambienti assai diversi, possa essere narrata sullo schermo in un tempo molto breve (quello del film) non venendo meno l intelligibilità e la compiutezza del racconto». 20 Questo stretto legame tra fermenti stilistici e continue evoluzioni tecniche è portato avanti quasi contemporaneamente in diverse parti del mondo dai cosiddetti pionieri del cinema, i registi dei primi anni del novecento che sperimentano empiricamente le prime soluzioni narrative. Gli studiosi hanno riassunto, un po per semplicità ed un po per verità storica, le evoluzioni di questo periodo soprattutto 18 Bettetini G., op. cit., p Verdone M., La cultura del film, Garzanti, Milano 1977, p AA.VV., La materia del sogno, Edizioni Cierre, Verona 1994, p

22 nella figura del regista americano D.W. Griffith, considerato il primo grande cineasta della storia del cinema. Con lui il cinema si può dire compiutamente narrativo riuscendo ormai ad utilizzare tutti gli artifici tecnici dei pionieri (dissolvenze, primi piani, montaggio etc.) in chiave di regole del racconto, costruendo i fondamenti di una vera e propria sintassi narrativa per immagini. 21 Con il suo film più importante, Nascita di una nazione (1915), Griffith riesce a dimostrare definitivamente tutte le potenzialità spettacolari, linguistiche ed economiche offerte dal cinema. E ormai chiaro a tutti che il film può essere uno spettacolo lungo ed articolato come una rappresentazione teatrale, e che può sviluppare una narrazione complessa e compiuta al pari di un romanzo. 22 Dopo di lui la storia del cinema acquista un nuovo vigore e un nuovo linguaggio a partire proprio dalla grammatica di cui Griffith è stato l artefice più completo. 23 Da questo punto, peraltro piuttosto convenzionale, il cinema ha iniziato a raccontare a tutti gli effetti ed in questo modo «il mondo si è fatto spettacolo sugli schermi di tutto il mondo». 24 Nei vari stati, un po ovunque, il cinema si afferma con veri e propri movimenti o con singole figure di spicco diventando un vero e proprio fenomeno di massa. Nel periodo che va dalla fine della prima guerra mondiale (1918) al crollo della borsa di Wall Street 21 Costa A., Saper vedere il cinema, Bompiani, Milano 1998, pp Ivi, p Moscati M., op. cit., p. 45. E curioso notare come la figura di Griffith sia al centro di un ideale passaggio di consegne in questa fase di sviluppo del cinema. Infatti, se lui stesso ha sempre ricordato i meriti di Mélies ( gli devo tutto p. 17), a sua volta è poi stato spesso ricordato dal teorico e regista russo Ejzenstejn, fondamentale capofila della cinematografia sovietica ( Egli ha tutto creato, tutto inventato per quanto mi riguarda gli devo tutto p. 44). 24 Bettetini G., op. cit., p

23 (1929), il grande sviluppo del cinema consolida sia l aspetto industriale che quello spettacolare, ed Hollywood impone la sua supremazia sull economia cinematografica mondiale. 25 Il racconto cinematografico con le sue sfumature di realismo e fantasia, ormai consolidate nel film muto, si appresta a vivere una vera rivoluzione durante gli anni trenta. Nel 1927 esce nelle sale Il cantante di jazz, primo film americano con delle parti sonore. In pochi anni il perfezionamento del sonoro porta alla scomparsa del film muto e all apertura di una nuova pagina della narrazione cinematografica. Le innovazioni tecnologiche che hanno accompagnato la storia del cinema fino ai giorni nostri (sensibilità della pellicola, sistema ottico degli obiettivi, colore, luci etc.) si sono sempre indirizzate verso il mito della perfetta riproduzione del reale. Con l avvento del sonoro l immagine cerca di strappare alla realtà anche «i suoi suoni, i suoi rumori, le sue voci». 26 Il difficile equilibrio fra realtà e fantasia, raggiunto nel racconto cinematografico del film muto, rischia di rompersi di fronte a questi perfezionamenti tecnici, che portano il cinema ad appiattirsi su una superficiale riproduzione del reale priva di spunti espressivi ed artistici. I film sono sempre più statici, appesantiti dal troppo parlato, si basano sul dialogo e sulla parola a scapito dell immagine e del movimento, il cinema rischia così di diventare un teatro filmato o un libro illustrato. Per fortuna queste premesse non hanno significato un automatica diminuzione del potere espressivo ed, anzi, in molti casi le innovazioni tecnologiche hanno favorito una rottura con gli schemi tradizionali (produttivi ed espressivi), permettendo nuove forme narrative con l affermazione sia di soggettività individuali (gli stili propri e personali dei grandi registi come Hitchcock, Welles, 25 Costa A., op. cit., p Bettetini G., op. cit., p

24 Bergman e tanti altri) sia di interi movimenti collettivi (il cinema sovietico, il free cinema inglese, il neorealismo italiano, la Nouvelle Vague francese etc.). 27 Tutto questo susseguirsi di singoli geni e correnti nazionali ha garantito, attraverso la creazione di precisi e diversi stili di racconto, la continuità e il rafforzamento della dimensione narrativa, rendendo il cinema l unico mezzo di scrittura capace di «imprimere sul nastro di celluloide la vita come era e allo stesso tempo farla diventare, per il pubblico, simbolo». 28 Dalla prima proiezione pubblica del 1895 fino ai giorni nostri si è aperta, per l uomo, fra capolavori immortali e degenerazioni avvilenti, una nuova possibilità espressiva, un linguaggio che sa raccontare e raccontarci, un discorso che si muove sempre fra i voli della fantasia e le illusioni di realtà. «La sua evoluzione espressiva si è manifestata come un oscillazione continua fra questi due poli della finzione, senza che si possa attribuire all uno o all altro, genericamente, una qualificazione differenziativa, nel bene o nel male». 29 Così il cinema, nato come fenomeno da baraccone e come attrazione dei saloni della tecnica, si è prima sviluppato come industria capace di fabbricare sogni e miti a buon mercato e poi ha raggiunto, nelle sue più alte espressioni, la possibilità di essere occasione di riflessione sugli eterni dilemmi dell uomo Costa A., op. cit., p Verdone M., op. cit., p Bettetini G., op. cit., p Scaglioso C., Cinema in Enciclopedia Pedagogica, Editrice La Scuola, Brescia 1989, p

25 1.2 IL CINEMA FRA ARTE E TECNICA Il cinema è la logica conclusione di tutta l arte moderna V. Majakovskij La definizione di cinema come settima arte deriva da quello che può essere definito come il primo teorico della storia del cinema: Ricciotto Canudo, un italo-francese nato a Bari nel 1879 e poi trasferitosi a Parigi. Nel 1911 pubblica il Manifesto della settima arte dimostrando di aver intuito, in un periodo in cui il cinema è ancora una distrazione per collegiali e un gioco di tecnica sperimentale, le possibilità del nuovo mezzo come strumento per poter esprimere un lirismo nuovo. 31 Canudo parla del cinema come settima arte, che riesce a conciliare tutte le altre, sia quelle immobili/plastiche (architettura, scultura e pittura) sia quelle mobili/ritmiche (musica, danza e poesia) e, proprio in quanto arte plastica in movimento, è anche «arte totale, fusione delle arti precedenti e, al tempo stesso, loro culmine». 32 Queste ed altre sue intuizioni, contenute nei suoi scritti ricchi di retorica e confusione, restano, comunque, oltre che suggestive, fondamentali a livello storico e teorico per aprire un discorso su questo nuovo mezzo ancora a metà fra la tecnica e l arte. Canudo è un vero precursore poiché cerca delle leggi generali all interno di film ancora anonimi, confusi e soffocati da troppi elementi diversi. 33 In lui ci sono già, più come intuizioni che come vere e proprie definizioni, alcuni degli aspetti fondamentali della teoria cinematografica come la 31 Aristarco G., Storia delle teoriche del film, Einaudi, Torino 1963, p Verdone M., op. cit., p Aristarco G., op. cit., p

26 possibilità di fusione di più tecniche, l idea di montaggio come specifico filmico e la sensazione che il cinema possa essere un arte e che per essere tale dovrebbe contribuire a «suggerire emozioni e non a riferire fatti». 34 Il riferimento alla figura di Canudo ci serve soprattutto per ricordare che, dalla nascita del cinema fino a diversi anni dopo, la discussione teorica ed intellettuale intorno al nuovo mezzo è stata incentrata quasi unicamente sulla sua legittimazione o meno ad essere considerato una forma d arte. Il cinema è arte? E se sì, perché? Oggi la discussione può apparire stucchevole e superata, dal momento che il cinema ha dimostrato negli anni di essere certamente un fattore culturale in grado di raccontare gli aspetti della società e dell uomo del suo tempo. Allora però, e intendiamo con questo soprattutto la prima metà del novecento, più che analizzare le singole opere ed i loro registi, per confermarne o meno la natura artistica, si cercava di studiare l intero fenomeno del cinema come espressione a metà fra la vocazione tecnica e quella artistica. Può essere utile ripercorrere alcune posizioni del tempo in quanto ancora indicative dei diversi approcci con cui si possono valutare le possibilità espressive del cinema. Dobbiamo pensare che per molti denigratori il cinema non era che una macchina che tentava di imitare il teatro, visualizzare la musica e illustrare la letteratura, quindi era naturale chiedersi come «questa macchina che era fatta solo per riprodurre avrebbe potuto anche creare». 35 A chi sosteneva, invece, che il cinema non era altro che la naturale conclusione della tendenza umana alla rappresentazione, si rispondeva che un arte, per essere tale, ha bisogno del confronto 34 Morin E., op. cit., p Amengual B., Per capire il film, Dedalo, Bari 1971, pp

27 con le altre arti da cui deve distinguersi trovando i propri caratteri specifici e differenzianti. Per questo motivo i primi anni della teoria del cinema sono stati spesi alla ricerca del carattere peculiare, del cosiddetto specifico filmico. In Francia, sulla scia del contributo di Canudo, Louis Delluc definisce il concetto di fotogenia come qualità poetica e intima delle cose, che il cinema soltanto (insieme alla fotografia) riesce a rivelare con la sua natura di mezzo specificatamente visivo. 36 Negli stessi anni in Russia il cinema viene già citato, insieme alle biblioteche e alle Università, come mezzo di autoistruzione per contadini e operai. 37 La cinematografia russa è molto viva, si giova del confronto con i film americani che vengono importati e fornisce all intero mondo del cinema un importante contributo dal momento che i suoi giovani registi non si limitano a girare film, ma portano anche continui apporti di tipo teorico. Pur con le dovute differenze fra di loro, i registi russi contribuiscono, come movimento d insieme, all affermazione del montaggio come vero specifico filmico. Fra i primi, Lev Kulesov paragona il montaggio «alla composizione dei colori nella pittura, o alla successione armonica dei suoni nella musica». 38 Per lui, come per il discepolo Vsevolod Pudovkin, l arte del film non consiste nella ripresa degli attori e 36 Aristarco G., op. cit., p Ivi, p Ivi, p Il contributo di Kulesov è rimasto nella storia del cinema grazie ad un esperimento i cui risultati portano ancora il suo nome: effetto Kulesov. Il regista aveva montato tre medesime inquadrature poco espressive di un attore con tre diverse situazioni: un piatto di minestra, la salma di una donna e una bambina che gioca. Gli spettatori attribuivano all identica immagine dell attore, di volta in volta, significati rispettivamente di fame, di dolore e di serenità. Si inizia così a parlare di montaggio costruttivo anche se tuttora resta da capire se la costruzione di senso è più opera del regista, che dispone a priori i tasselli, o dello spettatore, che comunque vede quello che vuole vedere. 30

28 delle singole scene, ma nel successivo ordine che il regista dà alle diverse inquadrature, dal momento che ad un ordine diverso corrispondono risultati e significati diversi. 39 Un altro tassello al consolidamento del montaggio come specifico filmico lo porta quello che, forse, è il più grande rappresentante della cinematografia sovietica: Serghej Ejzenstejn. Con il suo contributo si parla di un montaggio inteso come contrasto di immagini, dal quale deve balzare fuori il concetto che si vuole esprimere, cercando, in questo modo, di dirigere lo spettatore direttamente all emozione attraverso il pensiero ed il ragionamento. 40 Per Ejzenstejn il cinema è un arte che ha il compito specifico di riuscire ad «innestare nelle immagini idee astratte», 41 il film diventa un discorso articolato che si fonda sul riferimento figurativo al reale. Il montaggio si impone, al di là delle diverse definizioni, come la caratteristica distintiva del cinema, come la vera possibilità creativa di questo mezzo tecnico alla ricerca di una legittimazione artistica. Secondo la definizione del critico ungherese Bela Balazs, il montaggio rappresenta le forbici poetiche del regista, che, in questo modo, riesce a guidare l occhio dello spettatore, tagliando e unendo tra loro le inquadrature fino a creare un ritmo simile allo stile in letteratura. 42 Nel 1932 l uscita del libro Film come arte, dello studioso tedesco Rudolph Arnheim, riporta al centro del dibattito teorico la possibilità di considerare il cinema una vera e propria arte. 39 Ivi, p Ivi, p Ibidem. Per fare un esempio di montaggio di questo tipo ricordiamo la scena di Sciopero (1925) in cui si crea una significativa alternanza fra le immagini dei massacri compiuti dal regime zarista sui popolani e alcune scene filmate in un mattatoio. 42 Ivi, p

29 Arnheim parte affrontando l obiezione principale che viene rivolta al cinema: essere la riproduzione meccanica, e quindi passiva, della realtà, una macchina per stampare la vita. Secondo lui, invece, fra gli avvenimenti reali e la loro riproduzione sullo schermo esistono delle notevoli differenze ed è proprio in queste che risiedono le possibilità artistiche del cinema. I fattori differenzianti (per esempio l assenza di tridimensionalità, di suono e di colore) dimostrano l irrealtà della riproduzione e così, da apparenti manchevolezze, si trasformano in possibilità creative, in veri e propri mezzi formativi. 43 Più che il montaggio in quanto tale, a caratterizzare il film sono tutte le scelte (dalle inquadrature alle limitazioni del quadro, dalla distanza dagli oggetti al montaggio stesso) che il regista compie non meccanicamente, ma come espressione della sua personalità. La possibilità di creare dei simboli è la vera tendenza artistica dominante. Il regista può diventare l artista, che ci fa vedere il mondo non solo come appare oggettivamente, ma anche soggettivamente, in grado com è di creare nuove realtà, di evocare mondi magici, di costruire ponti simbolici tra fatti e oggetti che nella realtà non hanno alcun legame. 44 L analisi di Arnheim, apparentemente favorevole ad un cinema ormai forma d arte a tutti gli effetti, si conclude, però, con una nota pessimistica. Infatti, il continuo perfezionamento tecnico, secondo l autore, diminuisce drasticamente i fattori differenzianti avvicinando l immagine filmica all immagine fisica della natura e impedendo, di fatto, ogni possibilità artistica dell opera cinematografica. Per Arnheim, quindi, l unico film veramente artistico può essere quello muto. 43 Arnheim R., Film come arte, Feltrinelli, Milano 1960, p Ivi, p

30 Secondo questa visione la tecnica schiaccerebbe e impedirebbe l arte ed al cinema, mezzo moderno e meccanico per eccellenza, non resterebbe altro che abbandonare le sue velleità artistiche. Al di là della drastica conclusione del capostipite, in quegli anni altri studiosi hanno affrontato in modo diverso questo aspetto ribadendo la possibilità, per il regista, di poter sempre usare in modo antinaturalistico e artistico tutti gli elementi tecnici a sua disposizione. Da Balazs ad Ejzenstejn, in molti hanno visto nell elemento sonoro più che una somiglianza con la natura una nuova possibilità di trasfigurarla. Al tempo ed allo spazio, già irreali e filmici grazie al montaggio, si aggiungeva ora un sonoro irreale e filmico che, oltre l occhio dello spettatore, permetteva al regista di guidarne anche l orecchio. 45 Il film sonoro non diminuisce i fattori differenzianti dalla natura, ma, anzi, li aumenta permettendo, al regista, tutta una serie di nuove soluzioni per aumentare le capacità espressive del film: la voce fuori campo, il monologo interiore, la musica non come semplice sottofondo, ma come contrappunto espressivo alle immagini. Per Balazs, inoltre, l avvento del sonoro permette di scoprire ed utilizzare il mondo acustico che ci circonda e, paradossalmente, di dare valore espressivo al silenzio. 46 Diversi anni dopo l intervento di Arheim, troviamo, su posizioni diametralmente opposte, per quanto riguarda l opposizione fra arte e tecnica, il contributo di un altro personaggio fondamentale per la storia del cinema: il critico francese André Bazin. Alle prese, negli anni cinquanta, con un cinema arricchito e trasformato dai molti apporti tecnologici, Bazin propone un linguaggio cinematografico 45 Aristarco G., op. cit., pp Ivi, pp Per il critico ungherese, il montaggio visivo e il montaggio sonoro si devono fondere contrappuntisticamente come due melodie. 33

31 non più basato, come nel passato, sul montaggio, ma proprio su quegli elementi (il sonoro, la pellicola pancromatica, lo schermo panoramico etc.) che, accentuando l impressione di realtà dell immagine filmica, evidenziano il carattere artificioso e manipolatorio del montaggio tradizionale. 47 Contrariamente ad Arnheim, per Bazin la maggiore impressione di realtà permessa dalla tecnologia non solo non è da ostacolo alle possibilità espressive ed artistiche del cinema, ma, eliminando quasi ogni forma di interpretazione e manipolazione da parte dell uomo, permette di rivelare l essenza stessa delle cose rispettando le condizioni quotidiane della percezione. Oltre a rispettare il più possibile l oggettività dell evento rappresentato, in questo modo si rispetta soprattutto la soggettività dello spettatore nel poter decifrare, a suo modo, l ambiguità di ogni situazione. 48 Per Bazin il ruolo della tecnica è ridotto ad un intervento collaterale, ausiliario alla costruzione dell immagine, la quale ha già in sé ogni significato. Un po paradossalmente, per Bazin la tecnica è importantissima, ma con un ruolo accessorio rispetto al reale di cui deve valorizzare le possibilità artistiche, mentre per Arnheim la tecnica non è così importante, ma ha poi un ruolo fondamentale proprio nell impedire, con la sua presenza sempre maggiore, ogni 47 Costa A., op. cit., p Per Bazin il montaggio non può che ridurre l ambiguità presente nel reale in quanto la costringe ad assumere un solo senso nel momento in cui vuol far diventare il film un discorso. 48 Ivi, p Bazin auspica un ruolo attivo da parte dello spettatore cinematografico nel ricostruire i percorsi di lettura e le ambiguità di senso. Per questo motivo, nel tentativo di restituire ciò che già c è nella realtà, predilige a livello tecnico il piano-sequenza (la ripresa in continuità, senza stacchi), e parla di montaggio proibito ogni volta che l essenziale della situazione filmata dipende dalla presenza simultanea sullo schermo di due o più fattori dell azione ( per esempio la preda ed il cacciatore in una scena d inseguimento). 34

32 forma d arte. Le posizioni dei due autori rappresentano, forzando un po la semplificazione dei loro contributi, due grandi tendenze nella storia del cinema e nella specifica opposizione fra arte e tecnica: «coloro che credono all immagine (Arnheim) e coloro che credono alla realtà (Bazin), in altri termini coloro che fanno della rappresentazione un fine (artistico, espressivo) in sé, e coloro che la subordinano alla restituzione più fedele possibile di una supposta verità, o di un essenza, del reale». 49 L analisi di Bazin parte dal presupposto che la realtà di fronte alla macchina da presa ha già una sua ambiguità immanente, nessun evento è dotato di un senso del tutto determinato a priori, quindi il cinema, grazie alla tecnica, deve solo cercare di restituire più fedelmente possibile questa realtà per ottenere i suoi migliori risultati espressivi. Con lui si parla di trasparenza del discorso filmico, intendendo quella funzione essenziale del cinema di «dare a vedere gli eventi rappresentati e di non dare a vedere se stesso in quanto film». 50 All opposto Arnheim, come anche Ejzenstejn in questo caso, non vede nessun interesse nella realtà in se stessa, ma, semmai, nelle diverse letture che se ne possono dare e che il cinema è in grado di dare con risultati anche artistici. 51 Partendo da posizioni opposte i due autori arrivano alla loro personale ricetta per un cinema in grado di raggiungere i massimi risultati espressivi riuscendo ad essere, nei migliori casi, vera e propria opera d arte. Come abbiamo già visto per ottenere una chiara idea di cosa si intende per arte è necessario avere una chiara idea sul ruolo da destinare alla tecnica. 49 Aumont J. - Bergala A. - Marie M. - Vernet M., op. cit., p Ivi, p Ivi, p. 53. In questa visione è chiaro che il montaggio ha un ruolo centrale, é lui il vero principio organizzatore della produzione di senso voluta dal regista. 35

33 Riassumendo, per Arnheim il cinema può essere arte solo se non riproduce meccanicamente la realtà ed è per questo che la tecnica ed il suo sviluppo sono l ostacolo più grande, se non la negazione stessa, di ogni velleità artistica del cinema. Al contrario per Bazin la tecnica è la base stessa che ha permesso, finalmente, di portare in vita quell idea immanente all uomo di riuscire a rappresentare la realtà circostante. Ora grazie al cinema e alla fotografia ed in virtù del loro realismo integrale si può ottenere «una ricezione del mondo a sua immagine, un immagine sulla quale non pesasse l ipoteca della libertà di interpretazione dell artista né l irreversibilità del tempo». 52 Come altre evoluzioni, il passaggio dal cinema muto a quello parlato non rappresenta che il naturale sviluppo tecnico in grado, paradossalmente, di riavvicinare il cinema alle sue stesse origini di rappresentazione perfetta. Usando un immagine suggestiva Bazin paragona l idea di cinema al mito di Icaro, che ha dovuto attendere il motore a scoppio per scendere dal cielo platonico, ma che esiste nell anima di ogni uomo da quando contempla gli uccelli. 53 Nelle parole del critico francese l eterno contrasto tra arte e tecnica sembra risolto proprio grazie al cinema, ormai considerato come un «accordo meraviglioso fra una nuova tecnica ed un messaggio mai prima udito» e, quindi, debitore al progresso tecnico in quanto: «è la novità dell espressione a spianare il cammino ai nuovi temi». 54 È proprio su questa istanza di possibilità creativa, di cinema come opportunità nuova, che ci vogliamo soffermare. Siamo ormai lontani dai dibattiti sull artisticità o meno del cinema, oggi è chiaro che l arte va, comunque, al di là della creazione di un 52 Bazin A., op. cit., p Ivi, p Ivi, p

34 quadro, di una statua o di un film. «L arte è la qualità che costituisce la differenza tra la semplice testimonianza o produzione di cose, e l essere toccati, scossi, mutati, dalle forze inerenti a tutto ciò che diamo e che riceviamo». 55 Il cinema ha in sé queste possibilità, lo ha dimostrato nel passato e può continuare a dimostrarlo, sta ai singoli registi trovare l equilibrio tra le sue possibilità tecniche ed i loro intenti espressivi. Se, come dice Sartre, l opera d arte è il luogo di esercizio e di dialogo tra la libertà dell autore e quella del pubblico, il film riuscito non potrà che essere frutto della massima libertà espressiva del regista e della massima libertà interpretativa dello spettatore. Una situazione che rischia di non verificarsi se prendiamo le due precedenti visioni di Arnheim e Bazin nelle loro conclusioni più drastiche in cui tendono, chiaramente, a limitare questo equilibrio magico presente, invece, nella narrazione fra la libertà del narratore e quella di chi lo ascolta. Infatti, Bazin sembra togliere un po troppa libertà creativa all autore, confidando nella semplice riproduzione del reale e sottovalutando come, spesso, sia proprio l interpretazione soggettiva di un artista a colpirci profondamente per la sua capacità di cogliere l universale proprio nel dettaglio e nel simbolo scelti. D altro canto, Arnheim ed Ejzenstejn tendono a soffocare la libertà dello spettatore cercando di incanalarne e prevederne sempre le singole reazioni per poterlo portare ad aderire al discorso articolato e prestabilito del film. In ogni caso oggi, al di là dei modi che possono scegliere i registi, c è la certezza di un discorso già aperto e consolidato tra l istituzione del cinema e una larghissima fetta di pubblico, tanto che si può parlare di un vero e proprio consumo di massa, pur nella consapevolezza di riunire in questo modo sotto una stessa 55 Arnheim R., Verso una psicologia dell arte, Einaudi, Torino 1969, p

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