Studio dei decadimenti dei χ b (2P ) nell esperimento BABAR a SLAC

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1 Università degli Studi di Bari FACOLTÀ DI DI SCIENZE MM.FF.NN. Corso di Laurea Magistrale in Fisica Tesi di laurea magistrale Studio dei decadimenti dei χ b (2P ) nell esperimento BABAR a SLAC Candidato: Stramaglia Maria Elena Relatore: Ch.mo Prof. Palano Antimo Anno Accademico

2 i A mamma, papà, Francesco ed Antonello

3 Indice Introduzione 1 1 Sistemi legati Bottomonio Spettroscopia e decadimenti Canali oggetto dell analisi Esperimento BABAR Acceleratori Linac PEP-II Rivelatore BABAR Rivelatore di vertice al silicio Camera a drift Rivelatore Cherenkov Calorimetro elettromagnetico Magnete e bobina di compensazione Ritorno di Flusso strumentato Ricostruzione degli eventi Eventi Monte Carlo Ricostruzione degli eventi Analisi dei dati per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s) Analisi dei dati Monte Carlo per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s) Selezione sulle masse invarianti Conservazione dell impulso Selezione finale Contaminazioni Analisi dati reali per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s) Analisi dei dati per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s) Analisi dei dati Monte Carlo per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s) Ricostruzione della Υ(1S) e della Υ(3S) Segnale della ω ii

4 5.1.3 Selezione finale Analisi dei dati reali per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s) Misura di Branching Fractions 70 Conclusioni 73 Appendice 75 ECOC Bagged decision tree Bibliografia 81 iii

5 Introduzione La fisica delle particelle elementari è la branca della fisica che si occupa di indagare i costituenti e le interazioni fondamentali della materia. Mentre il secondo obiettivo è nato di pari passo all evoluzione scientifica, i componenti fondamentali della materia sono stati da sempre oggetto di ricerca. Nel diciannovesimo secolo Mendeleev fu il primo a dare una veste quantitativa alla ricerca di costituenti elementari raggiungendo un risultato straordinario: la tavola periodica degli elementi. Gli atomi sono la più piccola parte di ogni elemento in natura tale da conservarne le caratteristiche chimico-fisiche. La classificazione data da Mendeleev mise in risalto le caratteristiche dei loro componenti: elettrone, neutrone e protone. La periodicità aveva già suggerito la bassa probabilità che essi fossero l ultimo stadio raggiungibile, l esistenza di soli tre costituenti sembrava invece più consistente. Quando il passaggio dalla tavola periodica ai costituenti dell atomo sembrava risolvere il problema però, sono state scoperte tante altre particelle. Si può immaginare la meraviglia alla vista di una così ricca gamma di costituenti elementari ed il chiaro presagio che elementari non fossero per nulla. La caratteristica che accomunava queste ultime era l assenza di evidenti stati legati, la capacità di decadere (che fino ad allora era stata peculiare dei nuclei soltanto) o la quasi assenza di interazione. Si immagini poi l entusiasmo di scoprire che anche la luce (o i suoi componenti) potesse essere annoverata fra le particelle. Per catalogare tutte le particelle che man mano venivano scoperte si sono assegnati loro i cosiddetti numeri quantici. I numeri quantici non sono altro che indicatori: come se si dovessero distinguere diversi modelli di auto e si utilizzassero come segni distintivi la cilindrata, il peso, il colore e così via. I segni distintivi delle particelle furono scelti in base al loro comportamento relativamente a tre delle interazioni fondamentali: nucleare forte, nucleare debole ed elettromagnetica. Una caratteristica importante delle particelle è che alcune classi si distinguono da altre per avere lo stesso numero quantico di massa, e tutti gli altri numeri quantici opposti; in tal caso, le particelle appartenenti ad una delle due classi, vengono definite antiparticelle di quelle appartenenti all altra e viceversa. La classificazione più sintetica è quella che divide tutte le particelle esistenti in natura in due classi: bosoni e fermioni in base al numero quantico di spin. Lo spin è un numero quantico (ipotizzato nel 1925 da Goudsmith ed Uhlenbeck) che descrive il momento angolare intrinseco delle particelle. Se si immaginano le particelle come delle sferette che 1

6 ruotano attorno al proprio asse, lo spin può essere immaginato come un numero che descrive quella rotazione. Questa descrizione è in realtà solo una congettura per rendere familiare questo numero quantico, non può essere corretta dato che le particelle elementari sono considerate puntiformi, e dunque prive di ogni struttura. Tuttavia è la rappresentazione più immediata per entrare in confidenza con questo concetto. La terza componente dello spin può assumere valori interi o seminteri, mentre il valore assoluto è fissato per ogni particella, il segno può variare. Se una particella è caratterizzata da uno spin intero è detta bosone (da Bose), se è caratterizzata da uno spin semintero è detta fermione (da Fermi). I fermioni seguono la statistica di Fermi-Dirac e sono soggetti al principio di esclusione di Pauli (che impedisce loro di trovarsi contemporameamente nello stesso stato con gli stessi numeri quantici), i bosoni invece seguono la statistica di Bose-Einstein e non sono soggetti al principio di esclusione. Un altra suddivisione è quella che classifica le particelle in: adroni, leptoni e bosoni mediatori delle interazioni. Gli adroni sono soggetti all interazione forte, i leptoni interagiscono debolmente ed elettromagneticamente. Gli adroni sono poi suddivisi in mesoni e barioni: i mesoni sono bosoni, mentre i barioni sono fermioni. I mediatori infine, sono bosoni che vengono scambiati da leptoni e adroni perché l interazione avvenga. Essi sono: fotoni per l interazione elettromagnetica, gluoni per quella forte e bosoni Z e W ± per quella debole; per analogia, per l interazione gravitazionale si ipotizza l esistenza del gravitone. Fino alla seconda metà del ventesimo secolo si pensava che tutte le particelle allora note fossero indivisibili. In seguito alcuni comportamenti degli adroni hanno mostrato la loro natura composta che li differenzia dai leptoni. Da qui l ipotesi dell esistenza dei quark. I quark sono, insieme ai leptoni e ad i bosoni mediatori, considerati come particelle elementari. A differenza degli altri però, i quark non sono mai stati osservati allo stato libero sperimentalmente. La mancata apparizione dei quark come particelle libere non deve far pensare che siano frutto della fervida immaginazione dei fisici teorici, ma ha una spiegazione. I quark sono soggetti all interazione forte; essa aumenta con la distanza a tal punto da non permettere ai quark di muoversi separatamente gli uni dagli altri (almeno a distanze alle quali sia possibile identificarli). I quark quindi tendono a legarsi in particelle composte di due o tre che siano neutre rispetto all interazione forte e possano così muoversi libere. Quando un quark ed il suo antiquark si legano, vengono a formarsi i cosiddetti stati di Quarkonium. Questi ultimi saranno i protagonisti del presente lavoro di tesi. Si riporta di seguito in figura 1 la tabella riassuntiva delle particelle elementari allo stato attuale dell arte. I quark sono di sei tipologie diverse: up, down, charm strange, beauty e top detti sapore del quark. Ciascun quark di ogni tipologia può poi assumere un colore fra: rosso, verde o blu. Le rispettive antiparticelle saranno a loro volta caratterizzate dagli antisapori e dagli anticolori. Questi indicatori non rispecchiano un reale sapore o colore della particella: il sapore indica la classe a cui il quark appartiene, (con i rispettivi numeri quantici associati), il colore invece indica i possibili accoppiamenti di quark in stati legati. La particella formata da più quark 2

7 Figura 1: attuale. Tabella riassuntiva delle particelle elementari note allo stato deve essere priva di colore, e questo si ottiene o dall unione di un colore ed il suo anticolore in uno stato di singoletto o dalla presenza di tutti e tre i colori (anticolori) ancora in uno stato di singoletto, indipendentemente dai sapori in gioco. 3

8 Capitolo 1 Sistemi legati A distanze astronomiche gli oggetti sono tenuti insieme dalla forza gravitazionale. A distanze dell ordine di m domina la forza elettromagnetica tenendo gli elettroni legati al nucleo. Interazioni elettromagnetiche periferiche legano gli atomi in molecole o strutture più complesse. Il più semplice stato legato di natura atomica è l atomo di idrogeno, composto di un elettrone ed un protone in un sistema a due corpi non relativistico. In prima approssimazione gli stati legati ed i relativi livelli energetici si possono valutare dall equazione di Schrödinger non relativistica. Il potenziale Coulombiano V C 1/r (1.1) è quindi incorporato nella Hamiltoniana e dà origine alla quazione di Schroedinger: ( h 2 2m α hc ) ψ(r) = Eψ(r). (1.2) r Gli autostati sono caratterizzati dai numeri dei nodi N nelle funzioni d onda radiali e dal momento angolare orbitale l. Per il caso particolare del potenziale Coulombiano, gli stati con n = N + l + 1 identico sono degeneri ed n è perciò chiamato numero quantico principale. I livelli di energia permessi E n sono: E n = α2 µc 2 2n 2 (1.3) dove α è la costante di struttura fine e µ la massa ridotta del sistema. Il raggio di Bohr (indice delle dimensioni) è dato da: r b = h c αmc 2. (1.4) L interazione spin-orbita ( struttura fine ) e l interazione spin-spin ( struttura iperfine ) splittano la degenerazione dei livelli energetici principali, queste correzioni al comportamento generale 1/n 2 dei livelli energetici sono, ad ogni modo, molto piccole. La correzione di struttura fine 4

9 è dell ordine di α 2, mentre quella di struttura iperfine è dell ordine di α 2 µ p /µ e. Quando gli effetti di struttura fine vengono presi in considerazione, per indicare gli stati si usa la notazione nlj. I numeri quantici dei momenti angolari orbitali l = 0, 1, 2, 3 sono poi indicati con le lettere s, p, d, f. Il numero quantico j è il momento angolare totale dell elettrone, j = l + s. Un quarto numero quantico f viene utilizzato per descrivere gli effetti di struttura iperfine. Questo descrive il momento angolare totale dell atomo, f = j + i, con rotazione del protone i inclusa. Gli stati energetici del positronio, il sistema legato e e +, si possono trovare in modo analogo a quanto sopra. Le differenze principali sono che la massa ridotta è solo la metà di quella dell idrogeno e l effetto spinspin è molto più grande di prima, dato che il momento magnetico degli elettroni è circa 650 volte più grande di quello del protone. La massa ridotta più piccola significa che le energie di legame degli stati legati sono solo la metà di quelle dell atomo di idrogeno, mentre il raggio di Bohr è il doppio. Il più forte effetto spin-spin implica che lo spettro del positronio non mostra la chiara gerarchia tra effetto di struttura fine e iperfine che è evidente per l atomo di idrogeno. Le forze di spin-orbita e spin-spin sono di dimensioni simili. Così per il positronio i numeri quantici utili sono lo spin totale S, il momento angolare totale J, il numero quantico principale n ed il momento angolare orbitale L. S può assumere i valori 0 (singoletto) e 1 (tripletto), e J obbedisce la disuguaglianza triangolare, L S J L + S. E comunemente impiegata la notazione n 2S+1 L J, dove il momento angolare orbitale L è indicato con le lettere maiuscole (S, P, D, F). Dal momento che gli elettroni ed i positroni annichilano, il positronio ha una durata limitata. Decade principalmente in 2 o 3 fotoni, a seconda che lo spin totale sia pari a 0 o 1. A distanze dell ordine di m una struttura simile è creata dalle interazioni forti. Le interazioni forti tengono i quark legati nei nucleoni e le interazioni forti periferiche tengono i nucleoni legati nel nucleo. Diversamente dall atomo più semplice, un nucleone è un sistema a tre corpi complicato. In realtà sistemi a due corpi di coppie quark-antiquark sono state individuate contemporaneamente allo studio dei nucleoni, tuttavia anche questi sistemi non sono banali da studiare a causa delle velocità relativistiche dei quark e dell esistenza di tre quark differenti, ma con masse approssimativamente simili. La scoperta del sistema legato di quark pesanti charm anticharm nel 1974 è stato un momento di svolta nello sviluppo della teoria dei quark e delle loro interazioni. Stati legati di quark cc sono, in analogia con il positronio, chiamati charmonio. Per ragioni storiche viene impiegata una nomenclatura un po diversa per gli stati di charmonio rispetto al positronio. Il primo numero è n qq = N +1, dove N è il numero di nodi della funzione d onda radiale, mentre per il positronio viene utilizzata la convenzione atomica, secondo cui il numero quantico principale è definito come n atom = N + l + 1. Le coppie cc sono più facilmente prodotte nel decadimento dei fotoni virtuali generati in collisioni e e + con energia nel centro di massa di circa GeV. Possono essere rivelate varie risonanze cambiando l energia 5

10 del fascio alla ricerca di picchi nella sezione d urto. Questi vengono poi attribuiti ai diversi stati di charmonio. A causa del fotone intermedio virtuale, solo gli stati con i numeri quantici di un fotone, (J P C = 1 ), possono essere creati in questo modo. Lo stato più basso con tali numeri quantici è l 1 3 S 1, che si chiama J/ψ e ha una massa di GeV/c 2. Gli stati di charmonio hanno una durata limitata. Decadono prevalentemente attraverso l interazione forte in adroni. Gli stati eccitati possono tuttavia, dall emissione di un fotone, decadere in stati di energia più bassa, proprio come in fisica atomica o per il positronio. Se si confrontano gli spettri di charmonio e positronio, si trova che gli stati con n = 1 e n = 2 sono disposti in modo molto simile a meno di un fattore Gli stati superiori di charmonio, invece, non mostrano un comportamento 1/n 2 che si vedono nel positronio. Che cosa si può imparare da questo circa il potenziale e la costante di accoppiamento delle interazioni forti? Poiché il potenziale determina le posizioni relative dei livelli di energia, è chiaro che il potenziale di interazione forte deve, in modo simile a quello elettromagnetico, essere di tipo Coulombiano (almeno a distanze molto brevi, ad esempio, per n = 1, 2). Questa osservazione è supportata da cromodinamica quantistica che descrive la forza tra i quark attraverso lo scambio di gluoni e predice un potenziale che va come 1/r a breve distanza. L assenza, in confronto al positronio, di qualsiasi degenerazione tra gli stati 2 3 S e 1 3 P, suggerisce che il potenziale non è di una forma coulombiana pura anche a separazioni piuttosto piccole quark-antiquark. Dato che i quark non sono stati osservati sperimentalmente, è plausibile ipotizzare un potenziale che sia di tipo Coulombiano a brevi distanze e cresca linearmente con la separazione, determinando in tal modo il confinamento dei quark in adroni. Mentre un potenziale di Coulomb corrisponde ad un campo di dipolo, dove le linee del campo sono diffuse nello spazio, il termine proporzionale alla distanza porta ad un cosiddetto tubo di flusso. Le linee di forza tra i quark sono allungate e il campo energetico aumenta linearmente con la separazione dei quark. La costante di proporzionalità nel secondo termine del potenziale determina il campo energetico per unità di lunghezza ed è chiamato tensione della stringa. I livelli energetici del charmonio dipendono non solo dal potenziale ma anche dai termini cinetici nella Hamiltoniana. Per descrivere appieno i livelli energetici si devono incorporare ulteriori termini nel potenziale. Il potenziale di Coulomb descrive forze che diminuiscono con la distanza. L integrale di questa forza è l energia di ionizzazione. Il potenziale di interazione forte, invece, descrive una forza tra i quark che rimane costante a separazioni di grandi dimensioni. Rimuovere una particella colorata come un quark da un adrone richiederebbe una energia infinitamente alta. Così, dal momento che l isolamento di oggetti colorati è impossibile, troviamo solo oggetti incolori in natura. Questo non significa, tuttavia, che i quark non possono essere separati gli uni dagli altri. Durante la formazione di un adrone i quark sono separati, ma non sono liberi; se infatti l energia nel tubo di flusso fra una coppia quark-antiquark supera una determinata soglia vengono prodotte ulteriori coppie quark-antiquark che schermano l attrazione fra i due quark 6

11 della prima coppia. A questo punto è favorita energeticamente la formazione di adroni. Se, ad esempio, un quark è il prodotto di uno scattering profondamente anelastico, il tubo di flusso tra questo quark e il resto dell adrone originale si rompe quando il tubo raggiunge una lunghezza di circa 1-2 fm. Il campo energetico si converte in una coppia quarkantiquark. Questi poi separatamente, si attaccano alle due estremità del tubo di flusso e di conseguenza producono due adroni di colore neutro. Questo è il processo di adronizzazione. La somiglianza tra il potenziale della forza forte e quello dell interazione elettromagnetica è dovuto al termine coulombiano a breve distanza 1/r. Questa parte corrisponde allo scambio di un gluone (un fotone). Il charmonio mostra una forte divisione degli stati S, così come il positronio, e questo è dovuto alla interazione spin-spin. Questa forza è grande solo a piccole distanze, e quindi deve essenzialmente essere tenuto in conto lo scambio di un gluone in uno stato legato di quark. La scissione per interazione spin-spin, e quindi la stessa forza, è, tuttavia, circa 1000 volte più grande nel charmonio che nel positronio. Infatti essa è direttamente proporzionale alla costante di accoppiamento: V ss (e e + ) = 2π h3 3c ασ 1 σ 2 δ(x) (1.5) m 2 e dove le σ sono le matrici di Pauli. Le cariche di colore dei quark portano ad una interazione spin-spin chiamata interazione cromomagnetica o interazione magnetica di colore e, per generalizzare la forza elettromagnetica spin-spin in modo da descrivere l interazione cromomagnetica spin-spin, basta sostituire la costante d accoppiamento elettromagnetica α con la costante α s e modificare il fattore moltiplicativo per tener conto delle tre cariche di colore. È evidente ora la causa di tanta differenza. Si ottiene così uno splitting di energia da questa interazione cromomagnetica della forma: E ss = 4 8π h3 9c α s m q m q ψ(0) 2. (1.6) Questo splitting è importante solo per gli stati S, poiché solo allora la funzione d onda all origine è non nulla. La massa del quark c che si ottiene dallo studio dello spettro del charmonio è la massa dei quark costituenti, cioè, l effettiva massa del quark in stato legato. La massa costituente ha due componenti: la massa intrinseca o nuda e quella dinamica che deriva dalla nube di quark del mare e di gluoni che circondano i quark di valenza. Il fatto che gli adroni charmati siano dalle 4 alle 10 volte più pesanti rispetto agli adroni leggeri implica che la massa costituente del quark è predominantemente intrinseca poiché la componente dinamica deve essere pressoché la stessa in tutti gli adroni. Non bisogna dimenticare che anche se le masse dinamiche sono piccole rispetto a quelle intrinseche dei quark pesanti, il potenziale che è stato utilizzato è fenomenologico e descrive meramente l interazione fra quark costituenti. Un ulteriore gruppo di risonanze strette è stato trovato nello scattering e e + ad energie di cento di massa di circa 10 GeV. Queste sono state 7

12 comprese essere stati legati bb e vengono chiamate stati di bottomonio. Lo stato più basso che possa essere ottenuto in questo tipo di esperimenti è chiamato Υ(1S) ed ha una massa di ± GeV/c 2. Sono anche stati trovati tati eccitati con masse di circa 11 GeV/c 2. Ci si aspetta un ampia gamma di stati legati corrispondenti a diverse eccitazioni di momento radiale (numero quantico n) ed orbitale (numero quantico L), ed a diverse configurazioni degli spin dei quark. Poiché il sistema è non relativistico, la massa di ciascuno stato dipende prevalentemente dai numeri quantici n ed L. Gli effetti relativistici generano effetti di splitting fine ed iperfine. Lo spin-parità di un dato livello di massa è determinato a partire dai numeri quantici intrinseci: L S J L + S, P= ( 1) L+1,C= 1 L+S. Si usa il simbolo spettroscopico (n) 2S+1 (L) J P C per denotare i diversi livelli bb. La tabella 1.1 riassume i possibili numeri quantici per un sistema fermione-antifermione in entrambe le notazioni utilizzate in letteratura J P C e S+1 L J.Questa seconda notazione è valida solo in approssimazione non-relativistica in quanto effetti relativistici porterebbero gli autostati J ad essere miscele di autostati con L diverso (non con S diverso perché altrimenti avrebbero P e C diversi). Tabella 1.1: Numeri quantici per uno stato legato fermione-antifermione. L = 0 L = 1 L = 2 S = 0 J P C Singlet S+1 L J 1 S 0 1 P 1 1 D 2 S = 1 J P C 1 (0, 1, 2) ++ (1, 2, 3) T riplet S+1 L J 3 S 1 3 P 0,1,2 3 D 1,2,3 La nomenclatura (n) 2S+1 (L) J P C è la più completa, e tiene conto anche dell eccitazione radiale n dello stato. Varie transizioni elettromagnetiche tra vari stati di bottomonio sono state anche osservate. Lo spettro di questi stati segue parallelamente quello del charmonio. Ciò indica che il potenziale quark-antiquark è indipendente dal sapore del quark. La massa del quark b è circa tre volte quella del quark charm. Il raggio dello stato fondamentale è inversamente proporzionale sia alla massa del quark che alla costante di accoppiamento forte. Lo stato bb Υ(1S) quindi ha un raggio di circa 0.2 fm, cioè, circa la metà di quello dello stato equivalente cc. La differenza di massa fra gli stati 1S e 2S, approssimativamente uguale in entrambi i sistemi, mostra come il potenziale che regola la formazione degli stati legati debba essere unico. Un potenziale puramente Coulombiano comporterebbe una proporzionalità fra i livelli e la massa ridotta del sistema. È quindi chiaro che la parte di potenziale proporzionale alla distanza, a grandi distanze cancella la dipendenza di massa dei livelli energetici alle scale di massa dei quark c e b. La trattazione non relativistica del bottomonio è meglio giustificata rispetto al caso precedente: per le Υ(nS) si ha (v/c)

13 Poiché i sistemi non relativistici sono più semplici da descrivere teoricamente, il sistema delle Υ(nS) gioca un ruolo fondamentale nello studio delle interazioni forti; esso offre, rispetto al charmonio, un numero maggiore di stati a lunga vita media in un sistema meno relativistico. Il quark t ha, a causa della sua massa, un tempo di vita medio estremamente breve. Per questo motivo non ci si aspetta alcuno stato legato tt di toponio. Ci sono quattro modi principali in cui gli stati di quarkonia possono cambiare il proprio stato e decadere. Questi sono: un cambio di livello di eccitazione tramite l emissione di un fotone (elettromagnetico); annichilazione quark-antiquark in fotoni reali o virtuali o gluoni (elettromagnetico o forte); creazione di una o più coppie di quark dal vuoto per formare mesoni leggeri (interazione forte); decadimento debole di uno o due quark pesanti. il percorso elettromagnetico, nonostante il piccolo valore di α, compete con quello forte poiché nel caso forte tre gluoni devono essere scambiati per conservare il colore e la parità. Un fattore di α s 3 quindi abbassa la probabilità di questo decadimento (confrontata con α 2 ). Nella pratica il decadimento debole appena citato è di scarsa importanza ed i decadimenti elettromagnetici procedono molto più rapidamente. Il decadimento forte è in linea di principio, il più probabile, ma questo può avvenire solo al di sopra di una certa soglia poiché le coppie leggere di quark necessitano di essere create dall energia di legame di quarkonia. Quindi solo i primi due decadimenti sono possibili al di sotto di questa soglia. I processi elettromagnetici come la diseccitazione per emissione di fotoni è relativamente lenta. Inoltre, sebbene l adronizzazione tramite annichilazione in gluoni sia un processo forte, questi decadimenti sono, in accordo con la regola di Zweig, soppressi rispetto a quelli del terzo tipo in cui i quark iniziali esistono ancora. Scopo di questa tesi è studiare alcuni decadimenti di stati di bottomonio, da qui in poi dunque, ci si concentrerà su questi mesoni. [15] [9] 1.1 Bottomonio Il sistema Υ(nS) fu scoperto nelle collisioni di un fascio di protoni alta energia su un bersaglio nucleare fisso. La distribuzione di massa invariante delle coppie µ + µ prodotte in queste collisioni hanno rivelato picchi interpretati come tre risonanze adroniche Υ(1S) Υ(2S) Υ(2S), le quali decadono in coppie di muoni. L esistenza di questi stati fu presto confermata in produzione e + e Y (n) stati di quark leggeri. In questo processo tutta l energia di collisione dell elettrone e del positrone 9

14 si converte in massa a riposo dello stato Υ(nS) nel sistema di centro di massa. L energia dei fasci è fissata al valore della massa di risonanza, quindi solo la risonanza Υ(nS) può essere prodotta direttamente in quell istante. D altro canto, l assenza di frammenti del fascio o di produzione rende il canale estremamente pulito per lo studio delle proprietà delle Υ(nS). Nonostante queste componenti di fondo siano assenti, non sempre lo scattering dà luogo ad un canale risonante; questa componente, detta di continuo, costituisce la principale causa di background. Sino ad ora la conoscenza delle proprietà di questi stati proviene prevalentemente da collisioni e + e e dalle recenti analisi ad LHC. Infatti durante la fase iniziale di LHC, si sono tenute d occhio tutte le particelle elementari già note appartenenti al modello standard, per verificare il buon funzionamento dell acceleratore e dell apparato. Tutte queste particelle sono state ritrovate con successo nelle prime settimane di presa dati, in particolare quelle composte di coppie quark-antiquark. Nelle collisioni e + e l analisi della sezione d urto di annichilazione in adroni leggeri in funzione dell energia di centro di massa ha permesso di rivelare più stati Υ(nS). La formazione della risonanza Υ(nS) nell annichilazione e e + è mediata da un fotone virtuale e + e γ* bb; quindi questi stati devono avere i numeri quantici di un fotone:j P C = 1. Le prime tre risonanze Υ(nS) si osservano con larghezze pari alla risoluzione sperimentale. Le loro larghezze naturali si ricavano indirettamente in relazione alle loro vite medie e sono dell ordine di kev/c 2. Diversamente, la quarta Υ(nS) ed i successivi picchi di risonanza sono più larghi della risoluzione sperimentale. La larghezza naturale della Υ(4S), per esempio, è di 24 MeV/c 2. Se cinematicamente permesso, infatti, questi stati decadono attraverso un tipico processo di interazione forte in coppie mesoni formati da un quark leggero ed un b (o un b) con una ampia larghezza naturale. La differenza di larghezza a questo punto è spiegata se si tiene conto del fatto che questo tipo di decadimento (quando permesso) è favorito rispetto agli altri possibili e che la larghezza di una risonanza è inversamente proporzionale al tempo di vita medio di quest ultima. Le prime tre Υ(nS) hanno massa sotto la soglia cinematica per la generazione delle coppie B B. Esse possono ancora decadere attraverso interazioni forti se la coppia bb annichila in tre gluoni con successiva adronizzazione. Il processo di annichilazione dei quark però è più lento di diversi ordini di grandezza rispetto alla produzione di coppie B B. Poiché gli stati bb sotto la soglia sono a lunga vita media e non relativistiche, essi creano uno stato legato simile a quello del positronio tenuto insieme dalle interazioni forti. Si associano i nomi di Υ(nS) per gli stati in onda S e χ b per quelli in onda P per quanto riguarda l ortobottomonio (stati di tripletto di spin); si chiamano, invece, η b ed h b gli stati di parabottomonio (singoletto di spin) rispettivamente per onda S e P. Le masse degli stati bb possono essere riprodotte con un approccio che usa un modello di potenziale. Tra gli stati sotto soglia, solo n 3 (S) 1 ed n 3 (D) 1 hanno i numeri quantici di un fotone. L intensità di accop- 10

15 piamento ad un fotone virtuale è proporzionale al valore della funzione d onda radiale nell origine, che è non nulla solo per gli stati S 1. Quindi, gli stati Υ(nS) scoperti nello spettro di massa invariante delle coppie di muoni nella produzione adronica e nella sezione d urto di annichilazione degli e + e devono corrispondere alle seguenti eccitazioni radiali degli stati di tripletto S: Υ(1S),Υ(2S),Υ(3S),Υ(4S),... A causa del fatto che i decadimenti forti degli degli stati bb sotto la soglia sono soppressi, le interazioni elettromagnetiche diventano competitive e vengono osservate le transizioni radiative tra vari stati eccitati del sistema bb. L energia di eccitazione può anche essere rilasciata attraverso l emissione di gluoni soft, che adronizzano in particelle leggere, senza alcun cambiamento nel contenuto di quark dello stato legato. Sono le transizioni dagli stati n 3 (S) 1 agli stati più bassi dunque, che permettono la produzione e lo studio degli stati bb con numeri quantici differenti. I decadimenti negli stati più bassi possono avvenire attraverso le transizioni di dipolo elettrico, queste obbediscono alle regole di selezione L = 1 e S = 0. Stati intermedi con momento angolare totale 0, 1 o 2 e parità positiva devono quindi essere creati in decadimenti del genere. La parità della funzione d onda spaziale è ( 1) L, dove L è il momento angolare orbitale. Inoltre fermioni e antifermioni per la teoria di Dirac hanno parità intrinseca opposta. Così la parità degli stati qq è generalmente ( 1) L+1. Grazie a queste informazioni si può ricostruire lo schema. Vi sono inoltre transizioni di dipolo magnetico, le quali obbediscono alle regole di selezione L = 0 e S = 1 per la conservazione di P e C. Essi corrispondono a uno spin flip di uno dei b-quark. Le transizioni di dipolo magnetico sono più deboli di quelle di dipolo elettrico a causa della massa dei quark b. Esse possono, tuttavia, essere osservate dal momento che l interazione spin-spin per gli stati bb è significativamente più forte che in sistemi atomici. Ciò è dovuto alla separazione molto inferiore tra i partner rispetto ai sistemi atomici. Le lunghezze d onda dei fotoni nelle transizioni radiative tra gli stati bb sono maggiori o al più comparabili alle dimensioni del sistema radiante; le transizioni di dipolo quindi dominano. Le transizioni radiative non esauriscono tutti i possibili decadimenti. Gli stati Υ(nS) possono anche decadere leptonicamente e avere transizioni e decadimenti di tipo adronico; i χ b sono dotati di transizioni mesoniche. Le Υ(nS) decadono in coppie leptoniche µ + µ, e + e, τ + τ, per mezzo di un fotone virtuale. Poiché l accoppiamento del fotone virtuale ai leptoni dipende solo dalle cariche elettriche e non dal loro sapore, i branching ratio di questi processi ci si aspetta che siano uguali: B µµ = B ee = B ττ =B ll. Per definizione B ll = Γ ll /Γ tot e risulta che B ll «1 poiché i canali preferenziali sono quelli adronici. Le transizioni adroniche devono avvenire per mezzo dell emissione di almeno due gluoni per considerazioni di colore. A causa della differenza di massa relativamente piccola, i gluoni sono soft e non possono essere trattati con un approccio di tipo perturbativo. Mentre le transizioni fotoniche connettono stati con parità opposta, le transizioni all ordine più basso, caratterizzate dall emissione di due gluoni, connettono stati con stessa parità. Prevalentemente questo tipo di transizione avviene (per gli 11

16 stati Υ) con emissione di pioni o di η; il secondo canale però è soppresso rispetto al primo. I χ b invece possono decadere con emissione di ω come si vedrà meglio in seguito. Quali transizioni o decadimenti avvengano, e in che percentuale rispetto a tutte le possibilità, è determinato da diversi fattori: primo fra tutti lo spazio delle fasi attraverso la cui conoscenza è possibile sapere a priori se un decadimento è permesso o proibito, lo spazio delle fasi indica inoltre, quali decadimenti siano favoriti dal punto di vista energetico. [9] [21] Lo spettro e le relative transizioni, sono rappresentati in figura 1.1. Figura 1.1: Spettro di massa degli stati legati bb sotto la soglia di produzione di coppie di mesoni B. 1.2 Spettroscopia e decadimenti Nel 1977 al FERMILAB di Chicago fu osservato che la sezione d urto per produzione di adroni nelle interazioni a bersaglio fisso pn l + l X, presentava un picco molto evidente nella regione di massa invariante intorno ai 10 GeV/c 2 [7]. Tale risonanza fu chiamata Υ(nS) e rappresentava la prima evidenza sperimentale dell esistenza del quark b, postulata da Kobayashi e Maskawa per spiegare la violazione di CP. [19] L.Lederman ed i suoi collaboratori costruirono a Fermilab uno spettrometro a due bracci disegnato per studiare coppie µ + µ prodotte da interazioni di protoni da 400 GeV su un bersaglio di rame o platino. La reazione studiata era la produzione inclusiva di coppie µ + µ da processi di Drell-Yan in interazioni adrone-adrone. Subito dopo la distribuzione di massa invariante delle coppie µ + µ prodotte in queste collisioni rivelò picchi interpretati come gli stati eccitati: Υ(2S) ed Υ(3S), che decadevano in due muoni [8] [1] [6] [2]. 12

17 L esistenza delle Υ(nS) fu presto confermata nel processo inverso e + e Υ (n) stati di quark leggeri a DESY(1978). In questo tipo di processi, tutta l energia della coppia elettronica si converte nella massa a riposo della Υ(nS). Inoltre, la mancanza di frammenti di produzione e del fascio produce un ambiente particolarmente pulito per lo studio delle proprietà della Υ(nS). L esperimento CUSB al CESR presso l Università di Cornell, raggiunse l energia della Υ(3S) nel 1982 e, con un calorimetro in NaI(Tl) di risoluzione sufficiente nella rivelazione dei fotoni, scoprì i tre stati delle χ bj (2P ). Gli stati n 3 P J ++ sono stati trovati studiando i decadimenti radiativi delle Υ(nS). Questi ultimi sono predominanti verso gli stati n 3 P J ++ (J=0,1,2), ovvero i χ b, a causa delle regole di selezione. Nel frattempo DORIS, con ulteriore statistica alla Υ(2S) e due nuovi rivelatori come lo spettrometromagnetico ARGUS e il calorimetro in NaI(Tl) Crystall Ball, confermò i risultati di CUSB e stabilì, dalle distribuzioni angolari dei prodotti γγl + l, gli spin degli stati χ b1,2 (1P ). Ulteriori progressi nei risultati sperimentali arrivarono dieci anni dopo con CUSB-II e CLEO-II e poi con CLEO-III che migliorò le misure delle energie dei fotoni seppur limitate dagli errori sistematici nella calibrazione del calorimetro. Un esempio di spettro di massa invariante per le coppie leptoniche è in figura 1.2. Figura 1.2: Sezione d urto per la produzione inclusiva di adroni in funzione dell energia di centro di massa. In figura compare la notazione Υ, Υ essa sta ad indicare la risonanza Υ(1S) ed i suoi stati eccitati. [15] Le larghezze delle righe sono consistenti con la risoluzione sperimentale, questo indica che i χ b sono a loro volta stati a lunga vita media. La misura dell energia dei fotoni in queste transizioni determina le masse dei χ b ; le ampiezze ed i branching ratio. La Υ(1S) può però anche decadere leptonicamente. L esperimento Crystall Ball ha analizzato le correlazioni angolari fra i fotoni ed i leptoni e determinato lo spin dei χ b in maniera indipendente dal modello. La Υ(2S) riesce solo a produrre χ bj (1P ) per spazio delle fasi. La produzione di χ bj (2P) è evidente nelle transizioni radiative della Υ(3S). Le transizioni radiative della Υ(3S) sono più complesse delle precedenti. Transizioni di dipolo elettrico possono produrre χ bj (2P) e χ bj (1P ). Inoltre i χ bj (2P) possono decadere in Υ(2S), Υ(1S) o Υ(1D). 13

18 Gli stati Υ(1D) possono a loro volta decadere in χ bj (1P ). CUSB e CLEO, come anticipato, si sono occupati per primi di studiare questi canali, CUSB-II inoltre ha fornito evidenza del raro decadimento Υ(3S) γ χ bj (1P ) ma nessuno dei due è stato in grado di individuare, allora, le transizioni degli stati Υ(1D). I principali risultati sono riassunti in figura 1.3 ed in tabella 1.2. [15] Tabella 1.2: P. Parametri delle transizioni radiative dagli stati S agli stati Transition J a B(%) E γ(mev ) M a (MeV/c 2 ) M cog(mev/c 2 ) M J=2 M J=1 M J=1 M J= ± ± ± 1.3 2S γ1p ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± 0.6 3S γ2p ± ± ± ± ± ± ± ± 0.8 Figura 1.3: (a)spettro di energia del fotone emesso nel decadimento della Υ(3S) nell analisi inclusiva del decadimento dalla collaborazione CLEO-II. (b) Spettro una volta eliminato il fondo. Gli stati Υ(1D), η b ed h b, sebbene previsti dalla teoria, sono stati scoperti solo nell ultimo decennio. Sino ad allora, non sono stati individuate altre evidenze di stati di bottomonio. In ordine cronologico la Υ(1D) è stata scoperta nel 2004 analizzando i dati di CLEO-III per la catena di decadimento: Υ(3S) γχ b (2P ) γυ(1d) γχb (1P ) γυ(1s) ed il branching ratio è stato trovato pari a B(γγγγl + l )Υ(1D) = (2.5 ± 0.5±0.5) Per cercare la Υ(1D), si è richiesto che gli eventi fossero 14

19 consistenti con una cascata fotonica dalla Υ(3S) alla Υ(1S) per mezzo di un χ b (2P ) ed un χ b (1P ). Sono stati utilizzati solo J pari ad 1 o 2 perché gli stati con J=0 hanno piccole frazioni di decadimento per transizione elettromagnetica. Le energie dei fotoni in questione, anche in ragione dei successivi boost di Lorentz, cadono negli stessi intervalli energetici dei fotoni provenienti dal processo dominante di Υ(3S) γχ bj (2P ) e quindi non si è potuto risolverli nello spettro inclusivo; in aggiunta richiedere la presenza di almeno due fotoni non è stato di grande aiuto a causa del forte fondo di π 0 con cui bisogna fare i conti ogni qual volta si cerchi di studiare i decadimenti della Υ(3S). I problemi sono stati risolti con un approccio esclusivo richiedendo la rivelazione sperimentale di tutte le fasi del decadimento considerando il canale leptonico per la Υ(1S) finale. La ricostruzione è stata effettuata con il metodo del χ 2 [3]. Per cercare gli eventi di Υ(1D), si è imposto agli eventi di essere consistenti con una cascata fotonica dalla Υ(3S) alla Υ(1S) attraverso un χ b (2P J ) ed un χ b (1P J ). Sono stati utilizzati solo J=1 o 2 poichè gli stati con J=0 hanno frazioni di decadimento per transizione elettromagnetica basso. Per ogni combinazione J 2P ed J 1P si è calcolato un χ 2 : χ 2 1D,J 2P,J 1P (M Υ(1D) ) = 4 ( E γj E expected γj (M Υ(1D), J 2P, J 1P ) ) 2, (1.7) σ Eγj j=1 dove E γj sono le energie dei fotoni misurate; E expected γj sono quelle attese calcolate a partire dalle masse note degli stati bb e le direzioni dei fotoni misurate in ogni evento. Le masse degli stati Υ(1D) non erano note. Quindi si è minimizzato il χ 2 suddetto rispetto ad M Υ(1D) alla quale è stato permesso variare in ogni evento. I risultati sono mostrati in figura 1.4. Il continuo impegno nella ricerca degli stati η b (1S) è stato ricompensato nel I risultati sono stati confermati dall esperimento BABAR nell analisi dei decadimenti radiativi soppressi di dipolo magnetico Υ(3S) γ η b (1S) come anticipato dalle previsioni teoriche di Godfrey e Rosner. Infatti, anche queste transizioni soppresse sono osservabili, contrariamente a quanto farebbero pensare i piccoli elementi di matrice associati, per il fatto che hanno grandi spazi delle fasi [25] [23]. Il decadimento è stato osservato con un branching fraction pari a B(Υ(3S) γ η b (1S))Υ(1D) = (4.8 ± 0.5(stat) ± 1.2(syst)) L impiego di tante risorse sperimentali è giustificato dall importanza teorica, oltre che sperimentale, di questa scoperta. La misura dello splitting di massa iperfine fra gli stati di tripletto e di singoletto nei sistemi di Quarkonia è sempre stato un elemento chiave per la comprensione del ruolo delle interazioni spin-spin e per testare diversi calcoli di QCD. Si mostra in figura 1.5 lo spettro inclusivo dell energia del fotone. [18] Le h b (1P ) ed h b (2P ) sono state invece scoperte recentemente, nell Agosto 2011, dalla collaborazione di Belle nella reazione e + e π + π h b (np ) nella regione di risonanza della Υ(5S). Le evidenze sono state 15

20 Figura 1.4: Esperimento CLEO: (a) Distribuzione della massa misurata della Υ(1D) usando il metodo della massa di rinculo (b) Distribuzione della massa misurata della Υ(1D) usando il metodo del χ 2. Sono sovrapposti i risultati dei fit. Il metodo del χ 2 produce picchi satellite. Figura 1.5: Esperimento BABAR: Spettro inclusivo dell energia dei fotoni nella regione 0.5 < E γ < 1.1 GeV, una volta sottratte tutte le componenti di fondo. trovate nello spettro di massa mancante ai due pioni, come è evidente nella figura 1.6. Si può inoltre notare il picco relativo alla Υ(1D). [13] Il rapporto di sezioni d urto fra il canale di produzione della h b (np ) rispetto alla Υ(2S) è pari a R=0.46± per la h b(1p), R=0.77± per la h b(2p). 1.3 Canali oggetto dell analisi Scopo di questa tesi è quello di misurare il rapporto di branching ratio fra il decadimento adronico dei mesoni χ bj (2P) ω Υ(1S) ed il decadimento per transizione radiativa: χ bj (2P ) γ Υ(2S). Questo secondo canale ha una statistica molto più abbondante del primo: è favorito dallo spazio delle fasi, inoltre il decadimento adronico richiede l emissione di un minimo di tre gluoni per considerazioni di colore. 16

21 Figura 1.6: Esperimento Belle: Spettro inclusivo di massa mancante M miss una volta sottratto il fondo dovuto al combinatorio ed il contributo dovuto al K 0 S (punti con errori). È sovrapposto il fit del segnale (curva in blu). Le linee verticali indicano i limiti delle regioni di fit. Per entrambi i canali il decadimento è stato studiato utilizzando il decadimento della Υ(1S) sia in una coppia e + e che in una coppia µ + µ. Si riportano di seguito le catene di decadimento sotto analisi: Υ(3S) γχ b (2P ) γυ(2s) π + π Υ(1S) l + l (1) Υ(3S) γχ b (2P ) ωυ(1s) π + π π 0 l + l dove l + l = µ + µ o e + e. La catena (1) procede attraverso una prima transizione radiativa in uno degli stati χ bj (2P ), la reazione avviene con il (13.1 ± 1.6)% per J=2, il (12.6 ± 1.2)% per J=1, ed il (5.9 ± 0.6)% per J=0. I primi due branching ratio sono consistenti entro gli errori, il terzo invece è sensibilmente più basso; questa differenza è in completo accordo con i calcoli teorici ed è dovuta al comportamento dell elemento di matrice. Il fotone emesso, essendo il decadimento a due corpi, è monocromatico nel centro di massa della Υ(3S); il suo impulso può essere valutato attraverso l espressione: E γ = M 2 m 2 2 +m2 1 2M dove M è la massa della particella madre, ed m 1 ed m 2 sono le masse delle particelle figlie. Una seconda transizione radiativa segue la prima, riportando il sistema in uno stato di singoletto: la Υ(2S). I branching ratio sono ancora a favore degli stati con J=2 ed 1, per motivazioni del tutto analoghe alle precedenti e per una componente di spazio delle fasi. 17 (2)

22 Essi sono pari a (16.2 ± 2.4)% per J=2, (21 ± 4)% per J=1 e (4.6 ± 2.1)% per J=0. Anche in questo caso il decadimento è a due corpi ed il fotone è mocromatico nel centro di massa del chi b (2P ); il suo impulso in tale sistema di riferimento è superiore al corrispondente della transizione precedente, e questo a causa del maggior divario energetico. La successiva transizione è invece di tipo adronico, con produzione di una coppia di pioni. I pioni hanno spin nullo, la transizione dunque è fra stati caratterizzati da stesso momento angolare orbitale e di spin; esempi relativi ai decadimenti adronici della Υ(2S) comprendono la generazione di un singolo π 0 o di una coppia di pioni (carichi o neutri) o di una η. Per considerazioni di spazio delle fasi, ma soprattutto per la necessità di uno spin flip, il decadimento con emissione di η è soppresso. Altrettanto soppresso, a causa di violazione di isospin, quello in un singolo π 0. Se invece si confrontano i decadimenti adronici che coinvolgono una coppia di pioni carichi con quelli che coinvolgono una coppia di pioni neutri, le considerazioni di spazio delle fasi propenderebbero per i secondi, ma l elemento di matrice dei primi è doppio per considerazioni di isospin come si può dedurre dai coefficienti di Clebsch-Gordan. Questo è il termine determinante che dunque rende il branching ratio della transizione adronica con emissione di pioni carichi, quasi doppia rispetto a quella che prevede l emissione di una coppia di pioni neutri. L ultimo decadimento delle catene sotto discussione è il decadimento leptonico della Υ(1S) in una coppia muonica o elettronica. Questo decadimento avviene per annichilazione della coppia bb in una coppia di leptoni. Di questi decadimenti si è già discusso in precedenza mostrando la totale indipendenza dal sapore leptonico. Il primo decadimento è stato studiato dalle collaborazioni CUSB prima e CLEO-II dopo [4]. CLEO-II aveva a disposizione ± decadimenti risonanti della Υ(3S), le catene considerate erano del tipo: Υ(3S) γχ b (2P ) γγ(υ(1s)oυ(2s)) γγ(µ + µ oe + e ) (1.8) con la richiesta che ci fossero esattamente due particelle cariche. Le principali fonti di background erano dovute a muoni cosmici ed a stati finali e + e non risonanti. I primi potevano essere eliminati con misure del tempo di volo, i secondi con considerazioni di tipo cinematico. Il decadimento del mesone χ b0 (2P ) non fu visto, ma ne furono stimati i limiti superiori. I Branching ratio ottenuti per i decadimenti χ bj (2P ) γυ(ns) sono riportati in tabella 1.3: Fra le catene studiate da CLEO-II in questa analisi non è inclusa la (1) in quanto allora non vi fu evidenza del decadimento Υ(2S) π + π Υ(1S) stimato con una correzione del 4% ottenuta tramite simulazione Monte Carlo. Nella catena (2) la transizione χ bj (2P ) ωυ(1s) è fortemente soppressa dallo spazio delle fasi e dalla necessità di emettrere almeno tre 18

23 Tabella 1.3: Branching Ratios in percentuale. Transizione χ bj (2P ) γυ(ns) J=2, Υ(2S) 13.5 ± 2.5 ± 3.0 J=1, Υ(2S) 35.6 ± 4.2 ± 7.8 J=0, Υ(2S) < 8.9 (90% C.L.) J=2, Υ(1S) 7.2 ± 1.4 ± 1.3 J=1, Υ(1S) 12.0 ± 2.1 ± 2.1 J=0, Υ(1S) < 2.5 (90% C.L.) gluoni per considerazioni di colore come anticipato; per J=0 essa è proibita perché anche solo la somma delle masse a riposo delle particelle figlie supera quella della particella madre. Per J=1 o 2 essa invece è permessa. Non essendo il mesone ω stabile, si considera anche il decadimento di quest ultimo in π + π π 0 che costituisce la frazione maggiore dei decadimenti della ω: 89.2 ± 0.7 %. Anche lo studio di questa transizione è stato effettuato dalla collaborazione di CLEO-III [5]. Il set di dati totale consiste di (5.81 ± 0.12) 10 6 decadimenti della Υ(3S). Il numero limitato di eventi costringe a considerare anche eventi in cui le tracce cariche e/o neutre siano superiori di una rispetto al previsto. Le principali fonti di background provengono dai decadimenti: Υ(3S) γχ b (2P ), χ b (2P ) γυ(2s), Υ(2S) π + π Υ(1S) Υ(3S) π 0 π 0 Υ(2S), Υ(2S) π + π Υ(1S). Nel primo caso lo stato finale γπ + π π 0 l + l di interesse può essere prodotto dall aggiunta di una valanga spuria nel calorimetro; nel secondo caso per la perdita di un fotone da uno dei due pioni neutri a causa dell accettanza o della soglia in energia. Lo spettro π + π π 0 ottenuto è riportato in figura 1.7. Figura 1.7: CLEO-III: Massa invariante di π 0 π + π per eventi selezionati per l analisi finale ad eccezione del taglio sul χ 2 /d.o.f. del fit cinematico sulla ω. L istogramma sovrapposto mostra gli eventi Monte Carlo (normalizzati) ed indica la buona riproduzione da parte del Monte Carlo della forma e della posizione del picco della ω. Gli eventi ricostruiti nell analisi finale sono in numero esiguo a cau- 19

24 sa della bassa statistica, altrettanto ardui da risolvere sono gli spettri dell energia del fotone di rinculo che mostrano la frazione di eventi appartenente ad ogni χ b (2P) come si mostra in figura 1.8. Figura 1.8: CLEO-III: Spettro di energia dei fotoni per la selezione finale. L istogramma rappresentato con una linea continua mostra il contributo di entrambi i χ b (2P ), mentre i punti e le linee tratteggiate delineano gli istogrammi che mostrano i contributi individuali. La linea tratteggiata indica la regione oltre la quale non è ammesso che i fotoni abbiano energia diversa da zero per spazio delle fasi. I branching ratio ottenuti sono: B(χ b1 (2P ) ωυ(1s)) = ( )% B(χ b2 (2P ) ωυ(1s)) = ( )%. 20

25 Capitolo 2 Esperimento BABAR Nei trenta anni successivi alla scoperta della violazione di CP nel decadimento dei mesoni KL 0, il Modello Standard si è considerevolmente evoluto. Lo studio delle asimmetrie (sintomo della violazione di CP) nei decadimenti dei mesoni B 0 in autostati di CP prometteva di fornire un test per la spiegazione data dal Modello Standard di tale violazione. Questa impresa si è evoluta attraverso l azione combinata di eventi eventi sperimentali e teorici. Se da un lato era chiaro da diversi anni che le misure di asimmetria di violazione di CP nei decadimenti dei B 0 avrebbe potuto portare a test importanti della matrice CKM, gli esperimenti sembravano fuori portata. La scoperta di una lunga vita media del quark b da MAC e Mark II a PEP nel 1983, insieme all inatteso ampio mixing B 0 B 0 da UA1 ed ARGUS nel 1987 rese possibile il pensiero di mettere in atto queste misure. Divenne presto chiaro che l approccio più diretto e proficuo si otteneva con collisioni leptoniche. Sebbene gli esperimenti a ridosso di acceleratori adronici avessero una ampia statistica di produzione dei mesoni B, dovevano confrontarsi con problemi di trigger e di combinatorio. La situazione sperimentale più favorevole in collisioni e + e, cioè quella che produceva l errore statistico meno influente con la minima luminosità integrata, era l anello di accumulazione proposto per primo da Oddone. L acceleratore doveva boostare il mesone B 0 in decadimento per permettere agli strumenti di misura di vertice di misurare il tempo di decadimento nonostante la breve distanza di volo. Questo comunque, avrebbe richiesto campioni di eventi ottenibili solo con significativi miglioramenti di luminosità negli anelli di accumulazione. Un detector progettato per portare avanti un programma sperimentale così ambizioso doveva essere dotato di una eccellente efficienza di ricostruzione. Richiesta necessaria per ricostruire statif inali esclusivi estremamente rari in presenza di fondo sia dovuto al combinatorio, sia generato dall acceleratore. Questo requisito poteva essere ottenuto imponendo condizioni sull angolo solido di copertura, sulla risoluzione del momento delle particelle cariche, sull identificazione di queste e sull efficienza di rivelazione, oltre che sulla risoluzione per i fotoni. Si indicano le principali caratteristiche: Accettanza elevata ed uniforme anche per piccoli angoli polari rispetto alla direzione del boost (reso difficile dal boost di energia 21

26 che convoglia la metà delle particelle nella regione per cui cosθ > 0.5); Eccellente efficienza di ricostruzione per particelle cariche con impulso superiore a 60 MeV/c e per fotoni di energia superiore a 20 MeV; Eccellente risoluzione d impulso per distinguere il segnale dal fondo; Eccellente risoluzione angolare ed energetica per fotoni nel range energetico compreso fra 20 MeV e 4 GeV; Ottima risoluzione di vertice; Identificazione efficiente degli elettroni e dei muoni per il tagging del flavour dei mesoni B e per lo studio dei decadimenti che coinvolgono leptoni; Identificazione efficiente ed accurata degli adroni entro un esteso range di impulsi per il flavour-tagging dei B e per la ricostruzione di stati esclusivi; Tolleranza ad elevate dosi di radiazione e capacità di operare in modo affidabile anche in condizioni di fondo elevato; Sistema di trigger flessibile, ridondante e selettivo; Monitoraggio dettagliato e calibrazione automatica; Sistema di calcolo e storing in grado di sostenere un grande volume di dati. L esperimento che concentrò tutte queste aspettative fu BABAR. BABAR fu allestito a SLAC (Stanford Linear Accelerator Center): il laboratorio nazionale statunitense che opera presso la Stanford University per il dipartimento dell energia degli USA. Nonostante la ricerca della violazione di CP fosse la sfida per BABAR più entusiasmante, non era la sola opportunità da sfruttare. La configurazione asimmetrica e la separazione risultante dei vertici dei B rendeva possibili ricerche di rari decadimenti di questi mesoni come le transizioni b u, in un ambiente molto pulito. L alto rate di produzione per il charm, anche in eventi di continuo o indirettamente dai decadimenti dei B, forniva l opportunità per sviluppare questa fisica. L alta luminosità inoltre avrebbe permesso lo studio di aspetti della fisica del τ e degli stati di Quarkonia con grande statistica. Come in ogni esperimento di alta energia, erano presenti due componenti: un acceleratore di particelle ed un rivelatore. 2.1 Acceleratori L esperimento BABAR utilizzava, in realtà, due acceleratori: l acceleratore lineare di SLAC (linac) e l anello di accumulazione PEP-II rappresentati in figura

27 Figura 2.1: Acceleratore lineare linac, storage ring PEP-II e rivelatore BABAR Linac L acceleratore principale era un acceleratore lineare RF lungo 3 km e sepolto 30 piedi (circa 10 metri) sotto terra, che poteva accelerare elettroni e positroni fino ad un energia di 50 GeV con una luminosità di cm 2 s 1. Con 2,0 miglia (circa 3,2 km) di lunghezza, è ancora l acceleratore lineare più lungo in tutto il mondo, e si dice che sia l oggetto più dritto del mondo. All estremità occidentale del tunnel di due miglia che ospita la linea del fascio, vi è il cannone elettronico che produce gli elettroni da accelerare. Nel cannone elettronico polarizzato, la luce laser polarizzata estrae elettroni dalla superficie di un semiconduttore ed un campo elettrico li accelera verso la fine del tubo. Il cannone elettronico polarizzato è mantenuto a un livello di vuoto ancora più basso dell acceleratore, fino a Torr. I positroni sono prodotti deviando alcuni degli elettroni provenienti dal cannone e facendoli urtare su un grande bersaglio di tungsteno. Questa collisione produce un gran numero di coppie elettrone-positrone. I positroni sono deviati da magneti e inviati lungo una linea separata dagli elettroni all ingresso del linac. Le onde elettromagnetiche che spingono gli elettroni nel linac sono create da microonde provenienti da un klystron nella Galleria Klystron e incanalate nella struttura dell acceleratore tramite guide d onda. Il linac è composto da oltre dischi e cilindri di rame brasati insieme. All interno della struttura dell acceleratore le microonde del klystron generano correnti nel rame. Le correnti a loro volta generano campi elettrici oscillanti diretti lungo l asse dell acceleratore e campi magnetici oscillanti circolari all interno del tubo. Lo scopo è quello di far arrivare gli elettroni o positroni in ogni cavità dell acceleratore proprio al 23

28 momento giusto per essere accelerati quasi al massimo dal campo elettrico nella cavità stessa. Naturalmente, poiché positroni hanno carica opposta rispetto agli elettroni, devono arrivare quando il campo è quasi al minimo. Così, dopo i primi tre metri del linac, gli elettroni viaggiano in gruppi (bunch) con una energia di circa 10 MeV. Una tale energia implica che gli elettroni hanno raggiunto il 99,9% della velocità della luce. Questi bunch hanno la tendenza a diffondere perpendicolarmente alla direzione del fascio. Un fascio affetto da tale spread genera meno collisioni di uno altamente focalizzato, i bunch di elettroni e positroni vengono inviati in anelli di smorzamento (a nord elettroni, positroni a sud). Questi sono piccoli anelli di accumulazione situati su entrambi i lati dell acceleratore. Quando i bunch circolano nei ring di smorzamento, perdono energia per radiazione di sincrotrone e sono riaccelerati ogni volta che passano attraverso una cavità alimentata con campi elettrici e magnetici. La radiazione di sincrotrone riduce il movimento in ogni direzione, mentre la cavità riaccelera solo nella direzione desiderata. Così, il gruppo di elettroni o positroni diventa sempre più collimato. I bunch vengono poi reimmessi nell acceleratore lineare. Le dimensioni delle cavità nell acceleratore corrispondono alla lunghezza d onda delle microonde in modo che i pattern di campo elettrico e magnetico si ripetano ogni tre cavità lungo l acceleratore.ciò significa che, in linea di principio, ci potrebbero essere bunch di elettroni ogni tre cavità, e bunch di positroni al centro. Di solito la distanza tra i bunch però viene mantenuta maggiore (anche se sempre in multipli di tre cavità per le particelle stesso segno). Quando gli elettroni ed i positroni raggiungono la fine del linac ed entrano nel Beam Switch Yard (BSY), lì venivano deviati in direzioni diverse da un potente magnete dipolare ed iniettati nell anello di accumulazione PEP-II PEP-II PEP-II rappresentava un nuovo tipo di collider e + e ed era dunque, un progetto ambizioso. La priorità assoluta era costruire una macchina affidabile e semplice nel funzionamento con una luminosità molto alta e basso background. Era costituito da due anelli di accumulazione di diametro circa 2 km, uno ad alta energia (High Energy Ring, HER) per il fascio di elettroni, e uno a bassa energia (Low Energy Ring, LER) per il fascio di positroni. I due fasci si muovevano in direzioni opposte e venivano fatti collidere nella regione di interazione (beam spot) dove era situato il rivelatore BABAR. Si occupava della produzione asimmetrica di elettroni a 9 GeV e positroni a 3.1 GeV con errori relativi rispettivamente pari a σ e =9 MeV e σ e+ =2.5 MeV a causa dell irraggiamento. L acceleratore era detto asimmetrico a causa delle diverse energie dei fasci collidenti: il sistema di centro di massa era in moto rispetto al sistema di laboratorio con un βγ = E e E e + E CM =

29 Usando la precedente relazione si nota che una particella emessa nel sistema centro di massa con un angolo polare di 90 saranno, nel sistema di laboratorio, emesse con un angolo di 60. L asimmetria genera il boost voluto per i mesoni B, tuttavia incide sulle richieste di efficienza di rivelazione nella parte in avanti del detector. L energia del centro di massa E CM = GeV corrispondeva all energia di produzione della Υ(4S). Ha raggiunto nell ottobre 2000 la luminosità di picco di cm 2 s 1, e nel 2005 una luminosità istantanea di di L alta luminosità è stata ottenuta grazie all elevata corrente dei fasci ed alla separazione dei fasci stessi al di fuori della regione di interazione. Al fine di minimizzare le collisioni parassite intorno al punto di interazione, sono stati utilizzati sistemi di focalizzazione che tenevano i fasci separati prima e dopo la collisione. PEP-II ha permesso di raccogliere dati sia in corrispondenza della Υ(4S) (on-resonance), sia ad un energia inferiore di 40 MeV rispetto alla Υ(4S) (off-resonance). Questa seconda condizione era utile per ottenere una stima del contributo continuo al di sotto del picco Υ(4S) per qualunque processo. La beam pipe (il tubo a vuoto in cui viaggiava il fascio) era composto da due strati di berillio ricoperti di uno strato di oro di 10µm per attenuare la componente di fondo dovuta alla radiazione di sincrotrone. Lo strato più interno aveva un diametro di 50 mm ed uno spessore di 800µm, il più esterno uno spessore di 400µm. Oltre all radiazione di sincrotrone, ed agli onnipresenti raggi cosmici, altre componenti di fondo generate nel collider erano: Bremsstrahlung e diffusione coulombiana residua nel tubo di gas a vuoto; Diffusione Bhabha elastica; Interazioni anelastiche tra le particelle del fascio e quelle del gas residuo. Il rate di produzione di B B sarebbe stato 3 Hz alla luminosità iniziale per raggiungere alla fine 10 Hz. La sfida sperimentale era fornire alta efficienza, alta risoluzione nella ricostruzione degli stati esclusivi in una situazione nuova per le collisioni e + e : un centro di massa in moto nel sistema di laboratorio. 2.2 Rivelatore BABAR Affinché la rivelazione e l identificazione delle particelle, oltre che la ricostruzione delle tracce, sia efficiente, è necessario che un detector sia costituito da diversi sottorivelatori. Un rivelatore di vertice (generalmente al silicio) il più vicino possibile al punto di interazione; Uno o più rivelatori di traccia; 25

30 Uno spettrometro magnetico per la separazione di particelle di carica opposta; Un calorimetro elettromagnetico necessario per la rivelazione dei γ; Eventualmente un calorimetro adronico; Un rivelatore di muoni (quest ultimo è indispensabile a causa dell elevato tasso di penetrazione caratteristico di queste particelle). Anche BABAR non faceva eccezione, si riporta in figura 2.2 la sezione del detector in cui sono evidenziati i componenti. Figura 2.2: Componenti del rivelatore BABAR Partendo dal più vicino al punto d impatto verso il più lontano si possono riconoscere: Rivelatore di vertice al silicio; Camera a drift; Rivelatore Cherenkov; Calorimetro elettromagnetico a CsI; Solenoide da 1.5T e bobina di stabilizzazione; Ritorno di flusso strumentato. La geometria del rivelatore è stata progettata tenendo conto che circa la metà dei prodotti di decadimento della Υ(4S) sarebbero stati in una regione caratterizzata da θlab < 60. L asse di collisione dei fasci e l asse del rivelatore non erano paralleli: il secondo era inclinato, intorno all asse verticale rispetto alla direzione del beam, di 20 mrad. Il detector inoltre non era centrato nel punto di interazione, ma spostato di 0.37 m nella direzione del fascio meno 26

31 energetico: questa condizione massimizzava l accettanza geometrica per i decadimenti della Υ(4S). La copertura in angolo polare si estendeva fino a 350 mrad in avanti e fino a 400 mrad dietro. Il rivelatore era compatto, le dimensioni trasverse erano limitate dalla elevazione del fascio di 3.5 m da terra. Il raggio del solenoide era stato scelto per bilanciare le richieste fisiche e le performance della camera a drift e del calorimetro con il costo del rivelatore Rivelatore di vertice al silicio Il rivelatore di vertice (SVT) è rappresentato in figura 2.3. Figura 2.3: Rivelatore di vertice al silicio. Era costituito da cinque strati concentrici di rivelatori a strip di silicio a doppia faccia. I primi tre strati erano suddivisi in sei moduli, fornivano principalmente informazioni relative all angolo ed alla posizione per la misura della posizione del vertice. Erano montati ad una distanza dal tubo di raffreddamento di berillio, tale da minimizzare l effetto dello scattering Coulombiano multiplo sulla misura del vertice. I due strati esterni erano caratterizzati dalla presenza di 16 e 18 moduli rispettivamente, si trovavano a raggi molto maggiori, e fornivano le informazioni angolari e le coordinate necessarie per collegare le informazioni di traccia determinate dai moduli interni, a quelle misurate dalla camera a drift. I moduli esterni erano inoltre piegati alle estremità in modo tale da avere la massima copertura angolare, specialmente in avanti minimizzando il silicio da utilizzare. I moduli interni erano inclinati in φ di 5, permettendo una sovrapposizione della regione tra moduli adiacenti, una caratteristica che ha fornito piena copertura azimutale ed è stata vantaggiosa per l allineamento. I moduli esterni non potevano essere inclinati a causa della geometria ad arco. Per evitare gap e per avere una sovrapposizione adeguata nella coordinata φ, gli strati 4 e 5 vennero divisi in due sub-strati e messi a raggi leggermente diversi. Le strip sui lati opposti di ogni strato erano orientate ortogonalmente; un set di microstrip si disponevano lungo la linea del fascio per dare informazioni sull angolo φ, quelle ortogonali davano invece informazioni sulla direzione z. Le strip erano separa- 27

32 te da strisce di fibra di carbonio/kevlar. La disposizione dei moduli è rappresentata in figura 2.4. Figura 2.4: Sezione trasversa dell SVT. Per soddisfare tutte le richieste dei 5 strati, erano necessari sensori di diverse dimensioni: i più piccoli erano di 43 43mm 2 (z φ), i più grandi 68 53mm 2. Due sensori identici trapezoidali erano poi aggiunti per formare i moduli ad arco. L SVT permetteva di raggiungere una copertura angolare 17 <θ lab < 150, pari ad un accettanza del 91% e soddisfava la richiesta di una elevata risoluzione spazialenel determinare le tracce delle particelle cariche. Il rivelatore di vertice al silicio (SVT) era posto all interno di un tubo di supporto (lungo 4.5 m e di diametro interno pari a m) che era sfalsato rispetto ai supporti del fascio. L SVT era stato progettato per misurare angoli, impulsi e posizioni di particelle cariche subito fuori dalla beam pipe. Per fornire un impatto significativo alla risoluzione delle misure di asimmetria di CP la principale risoluzione di vertice lungo l asse z per un decadimento del B completamente ricostruito doveva essere migliore di 80µm. La risoluzione richiesta nel piano xy risultava dalla necessità di ricostruire gli stati finali nei decadimenti dei B esattamente come in quelli dei τ e del charm. Si sono raggiunte risoluzioni intrinseche di 10-15µm nel paino xy e di 15-30µm nella direzione z. Oltre alla ricostruzione dei vertici di decadimento, l SVT permetteva la separazione di π/kper p t < 120 MeV/c mediante misure di de/dx. Un altra funzione dell SVT, non meno importante di quelle appena considerate, interessava le tracce cariche di impulso trasverso molto basso (40 MeV/c < p t < 120 MeV/c): esse non avrebbero raggiunto la camera a deriva o, pur giungendovi, non potevano essere correttamente ricostruite. In questo caso dunque, le informazioni dell SVT erano le uniche disponibili e fornivano una efficienza del 90%. Per particelle rivelabili anche dalla camera a drift l efficienza saliva al 96%. Per migliorare le prestazioni del detector erano stati presi particolari accorgimenti: il raffreddamento e l installazione dell elettronica all esterno del volume attivo. 28

33 2.2.2 Camera a drift La camera a drift era montata in modo tale da essere ancorata internamente al tubo di suppporto contenente l SVT, ed esternamente al rivelatore Cherenkov. Aveva la struttura di un cilindro cavo, era posizionata in maniera asimmetrica rispetto al punto di interazione; la lunghezza in avanti (1749 mm) fu scelta in modo tale che una particella emessa ad un angolo di 17.2 attraversasse almeno la metà degli strati. Nella direzione opposta la lunghezza scelta (1015 mm) forniva lo stesso risultato per particelle emesse fino ad angoli pari a Il raggio interno misurava 23.6 cm e quello esterno 80.9 cm; la lunghezza totale era di 280 cm. Una sezione della camera a deriva è mostrata in figura 2.5. Figura 2.5: Sezione longitudinale della camera a deriva. L obiettivo principale dellla camera a drift (DCH) era la rivelazione efficiente di particelle cariche e la misura dei loro momenti e dei loro angoli con elevata precisione. Queste misure ad alta precisione permettevano la ricostruzione dei decadimenti dei mesoni pesanti B e D con minimo background. La camera a drift completava le misure di parametro di impatto e direzione delle particelle cariche fornite dall SVT vicino al punto di interazione. La ricostruzione del decadimento e dei vertici di interazione al di fuori del rivelatore di vertice si affidavano esclusivamente alla camera a deriva. A questo scopo, la camera doveva essere in grado di misurare non solo i momenti e le posizioni trasversi al fascio, ma anche la componente longitudinale delle tracce con una risoluzione di 1 mm. La camera a drift necessitava inoltre di aggiungere informazioni per il trigger di particelle cariche entro un intervallo di tempo di 0.5µs. Per particelle di basso momento era richiesto che la camera a deriva fornisse una identificazione tramite misure di perdita di energia per ionizzazione. Una risoluzione del 7% permetteva la separazione π/k fino a 700 MeV. Questa capacità era complementare a quella del rivelatore Cherenkov per la zona del barrel, mentre a piccoli angoli in avanti ed indietro la camera a drift rimaneva la sola a fornire discriminazione sulle particelle di massa differente. La camera a drift era di diametro relativamente piccolo, ma lunga almeno 3m, con 40 strati cilindrici di piccole celle esagonali che fornivano fino a 40 misure spaziali e di energia rilasciata per ionizzazione per particelle cariche con momento trasverso maggiore di 180 MeV/c. 29

34 L informazione sulla posizione nella direzione longitudinale era ottenuta ponendo i fili in 24 dei 40 livelli a piccoli angoli rispetto all asse z. Gli strati erano raggruppati a 4 a 4 in 10 superstrati con la stessa orientazione dei fili ed ugual numero di celle per ogni strato. Gli strati successivi all interno di un superlivello avevano le celle sfalsate di metà in modo tale da eliminare l ambiguità destra sinistra. I superstrati erano posizionati a diversi angoli stereo, alternativamente uno assiale (A), ed una coppia stereo (U,V) nell ordine: AUVAUVAUVA. Gli angoli stereo variavano tra ±45 mrad e ±76 mrad; erano stati scelti in modo che gli schemi di foratura fossero identici per gli strati iniziale e finale. Le celle erano esagonali, di lunghezze 11.9 e 19.0 mm nelle direzioni radiale ed azimutale. Una visione schematica delle celle si riporta in figura 2.6. Figura 2.6: Celle della camera a deriva. La forma esagonale era utile perché per una grande porzione di cella si approssimava una simmetria circolare. La scelta delle proporzioni ha permesso permetteva di ridurre il numero di fili e l elettronica di lettura mantenendo il rivelatore in uno spazio limitato. Ogni cella consiste di un filo di sense circondato da sei fili di campo tutti e sette riverstiti in oro. 30

35 I fili di sense erano di renio-tungsteno di diametro 20µm e tensionati ad un peso di 30g. La scelta di fili di campo in alluminio ed una miscela costituita di elio-isobutano in rapporto 80:20 ad una pressione di 4 mbar, riduceva al minimo lo scattering multiplo all interno della camera, meno dello 0.2%X 0 di materiale. Le celle che si trovavano alle estremità superiore ed inferiore di ogni superstrato presentavano due fili di di guardia in grado di adeguare il guadagno di tali celle a quello delle celle presenti negli strati più interni; infine, prima delle celle dello strato 1 e dopo le celle terminali dell ultimo superstrato erano presenti due fili di compensazione per cella per raccogliere le cariche create a seguito della conversione dei fotoni nelle pareti. Il campo all interno delle celle aveva la forma disegnata in figura 2.7. Figura 2.7: Campo elettrico interno ad una cella.. La parete cilindrica interna della DCH era stata resa sottile in modo tale da facilitare il raccordo fra le tracce rivelate dall SVT e dalla camera, per migliorare la risoluzione di traccia per particelle con alto momento, e per minimizzare il fondo generato dalla conversione o dalle interazioni fotoniche. Il materiale della parete esterna e nella zona in avanti era anche ridotto al minimo per non influenzare la performance del rivelatore Cherenkov e del calorimetro. Per questa ragione la distribuzione di alta tensione e tutta l elettronica di lettura erano montate sulla zona posteriore della camera. Le caratteristiche della camera a deriva permettevano di ottenere una risoluzione spaziale di 140µm in media ed in energia del 7-8%. L SVT e la camera a drift costituiscono il sistema di tracciamento. 31

36 2.2.3 Rivelatore Cherenkov Il sistema di PID utilizzato inbabar era un nuovo tipo di ring-imaging Cherenkov chiamato DIRC. Si presentano in figura 2.8 i componenti del rivelatore. L acronimo DIRC sta per Detector of Internally Reflected Cherenkov light. Figura 2.8: Componenti del rivelatore Cherenkov. Il DIRC era basato sul principio che l ampiezza degli angoli si mantiene costante dopo la riflessione su una superficie piana. In figura 2.9 si mostra uno schema della geometria del DIRC che illustra i principi di produzione, trasporto, ed imaging della luce. Figura 2.9: Schema del DIRC. Il materiale radiatore era quarzo sintetico fuso in barre lunghe e sottili di sezione rettangolare. Queste barre fungevano da radiatore e da tubi di luce per la porzione di luce intrappolata nel radiatore per riflessione totale interna. Il materiale era stato scelto per l alta resistenza ala radiazione ionizzante, per la grande lunghezza di attenuazione, grande indice di rifrazione bassa dispersione cromatica nell intervallo di lunghezze d onda di accettanza del DIRC e perché forniva un eccellente finitura ottica sulla superficie delle barre. Le barre del DIRC erano disposte attorno ad un dodecagono avente come asse la direzione del beam pipe. A causa dell asimmetria nell energia del fascio, le particelle venivano prodotte preferenzialmente nella zona anteriore del detector. Per minimizzare l interferenza con altri rivelatori i fotomoltiplicatori erano posti però nella zona posteriore. I componenti principali del DIRC erano le barre poste in 12 contenitori chiusi ermeticamente chiamati bar boxes. Questi ultimi erano fatti di 32

37 pannelli di alluminio sottile. Ogni box conteneva 12 barre otticamente isolate da un gap d aria di 150µm e rafforzate da appositi spessori di fogli di alluminio. Le barre erano spesse 17 mm, larghe 35 mm e lunghe 4.9m. Il complesso dei radiatori era immerso in azoto allostato gassoso. Nel seguito si utilizzerà la variabile θ c per indicare l angolo Cherenkov θ c =1/βn, φ c per l angolo azimutale del fotone Cherenkov attorno alla direzione della traccia, ed n per indicare il principale indice di rifrazione delle barre di quarzo fuso (n=1.473). Per particelle con β 1, alcuni fotoni rimanevano intrappolati per riflessione interna nelle barre a seconda dell angolo di incidenza delle particelle e condotti alle estremità. Per evitare di strumentare entrambe le estremità delle barre con rivelatori di fotoni, si era posto uno specchio all estremità anteriore, perpendicolarmente alla barra, per riflettere i fotoni incidenti indietro verso l estremità posteriore strumentata. Il fatto che le barre avessero sezione rettangolare e che le superfici fossero lavorate con estrema precisione ottica assicurava che il valore dell angolo Cherenkov fosse conservato durante tutto il trasporto. D altra parte, però, in conseguenza delle riflessioni sulle superfici del radiatore, intervenivano ambiguità destra-sinistra e su-giù che avrebbero dato luogo ad una immagine doppia dell anello di luce Cherenkov. Questo effetto venne eliminato ponendo una guida di luce a contatto ottico con l estremità di lettura di ogni barra. Le guide di luce, realizzate in quarzo sintetico, erano lunghe 9 cm, avevano all incirca la stessa larghezza delle barre ed erano caratterizzate da un profilo trapezoidale. Una volta emersi dall estremità libera delle guide di luce, i fotoni passavano in una zona di espansione, chiamata Standoff Box, limitata da un involucro in acciaio inox contenente 6000 litri di acqua pura e venivano poi rivelati dai fotomoltiplicatori. La guida di luce inoltre rifletteva i fotoni a grandi angoli rispetto all asse della barra. Questo riduceva la dimensione della superficie di rivelazione richiesta e recuperava quei fotoni che altrimenti sarebbero andati persi a causa della riflessione interna al confine fra quarzo fuso ed acqua. I fotomoltiplicatori erano circondati da coni riflettenti per catturare la luce che sarebbe sfuggita dall area attiva dei fotomoltiplicatori. I fotomoltiplicatori erano posti ad una distanza di 1.17 m dall estremità della barra. Il pattern atteso della luce Cherenkov a questa superficie era una sezione conica, dove l apertura dell angolo del cono era l angolo Cherenkov prodotto modificato dalla rifrazione all uscita della finestra di quarzo fuso. Il DIRC forniva un immagine tridimensionale utilizzando la posizione ed il tempo di arrivo del segnale dei fotomoltiplicatori. Per associare un fotone ad una traccia, il vettore che partiva dalla terminazione della barra e terminava nel fotomoltiplicatore veniva utilizzato per il calcolo degli angoli α x, α y ed α z. Poiché la posizione della traccia e gli angoli erano noti dal sistema di tracciamento, i tre angoli potevano essere utilizzati per determinare i due angoli Cherenkov θ c e φ c. Inoltre, il tempo di arrivo del segnale forniva una misura indipen- 33

38 dente della propagazione del fotone, e poteva essere correlata all angolo di propagazione α. Le limitazioni sugli angoli e sul tempo di arrivo del segnale erano di particolare utilità nella trattazione di ambiguità nella associazione del segnale e nell esclusione del fondo ad alti rate. L impiego del DIRC con un acceleratore asimmetrico era particolarmente vantaggiosa, le particelle erano infatti prevalentemente caratterizzate da incidenza obliqua e producevano un numero elevato di fotoni. La copertura angolare era garantita dal DIRC nella regione con 25 < θ lab < 147, pertanto la sua accettanza era inferiore a quella del rivelatore di vertice; l identificazione di particelle nella regione non coperta dal DIRC era però garantita dalla camera a drift Calorimetro elettromagnetico Il calorimetro elettromagnetico (EMC) era progettato per misurare gli sciami elettromagnetici con eccellente efficienza e risoluzione angolare ed energentica nel range di energia che andava da 20 MeV a 9 GeV. Questa capacità permetteva di rivelare fotoni sia provenienti da π 0 ed η che da processi di tipo radiativo. Identificando gli elettroni, il calorimetro contribuiva al flavour-tagging dei mesoni B neutri, alla ricostruzione di mesoni vettori ed allo studio di decadimenti rari semileptonici dei mesoni B e D e dei τ. Il limite superiore al range di energia fu posto per la necessità di misurare processi di QED, per la determinazione della luminosità e per la calibrazione. Il limite inferiore invece per la necessità di ricostruire con efficienza elevata i decadimenti dei mesoni B contenenti molti π 0 ed η. Le richieste esposte portarono alla scelta di un calorimetro ermetico, ad assorbimento totale e composto si un array di cristalli di CsI (Tl) finemente segmentato. Il calorimetro elettromagnetico consisteva di un barrel cilindrico ed un endcap conico anteriore. Aveva una copertura totale in azimuth e si estendeva in angolo polare da 15.8 a che corrispondeva ad una copertura angolare del 90% nel sistema di centro di massa come mostrato in figura Figura 2.10: Calorimetro elettromagnetico, sezione longitudinale.. 34

39 Il barrel consisteva di 5760 cristalli organizzati in 48 anelli distinti con 120 cristalli ognuno. L endcap conteneva 820 cristalli disposti in 8 anelli, raggiungendo un totale di 6580 cristalli. I cristalli avevano una sezione trasversa trapezoidale. La lunghezza dei cristalli variava da 29.6 cm nella zona posteriore a 32.4 cm nella zona anteriore per limitare gli effetti di perdita di sciame a causa della energia crescente delle particelle. Per minimizzare la probabilità di presciamazione, i cristalli erano supportati esternamente con solo un sottile strato di gas davanti. Uno schema dei cristalli è mostrato in figura Figura 2.11: Cristallo di CsI(Tl).. Le superfici dei cristalli erano rivestite di un riflettore bianco dello spessore di 165µm per limitare al massimo le perdite di luce di scintillazione. I cristalli erano letti con fotodiodi di silicio poco soggetti ad effetti di campo magnetico. I fotodiodi erano connessi a preamplificatori a basso rumore. La risoluzione energetica di un qualunque calorimetro omogeneo può essere descritta in maniera empirica come la somma in quadratura di due termini: σ E E = a b (2.1) E(GeV ) 4 dove E e σ E si riferiscono all energia del fotone ed all relativo errore quadratico medio misurati in GeV. Il termine a dipende dall energia e vien fuori principalmente dalle fluttuazioni statistiche, ma è anche determinato da una componente di rumore elettronico. Inoltre, il fondo generato dal fascio porta generalmente un gran numero di fotoni aggiuntivi che si sommano al rumore. Questo termine è dominante a basse energie. Il termine b invece è costante e domina ad alte energie (>1 GeV). Deriva dalla disuniformità della raccolta di luce, perdita per assorbimento nel materiale fra i cristalli ed incertezze nella calibrazione. 35

40 La maggior parte di questi effetti può essere influenzata dalle scelte di progetto e resta costante nel tempo, un altra componente invece può essere sensibile alle variazioni di condizioni di lavoro quali variazioni di temperatura o eventuali danneggiamenti e varia nel tempo. La risoluzione angolare è determinata dalle dimensioni trasversali dei cristalli e dalla distanza dal punto di interazione. Essa può essere parametrizzata in maniera empirica come la somma di un termine dipendente dall energia ed uno costante: σ θ = σ φ = c E(GeV ) + d (2.2) dove E è misurata in GeV. L EMC era in grado di identificare i fotoni con una risoluzione energetica σ E E che varia da 5.0 ± 0.8% per i fotoni ad energie dell ordine dei 20 MeV a 1.9 ± 0.07% per i fotoni di enrgie di qualche GeV. La risoluzione angolare variava fra 12 mrad a basse energie, e 3 mrad ad energie più elevate. Infine l efficienza di identificazione degli elettroni è del 94.8% e la probabilità di misidentificazione dei mesoni π è dell ordine di 0.3% Magnete e bobina di compensazione I rivelatori fin qui descritti erano contenuti all interno del sistema magnetico di BABAR. Questo era composto da un solenoide superconduttore, un flusso di ritorno finemente segmentato ed una bobina pere compensare il campo. Il sistema forniva un campo magnetico di 1.5 T che permetteva di misurare i momenti delle particelle cariche. L intensità del campo scelta permetteva di raggiungere la risoluzione voluta per il momento e che tale risoluzione si mantenesse costante in tutto il volume attivo di tracciamento in modo da semplificare il tracciamento. Il campo magnetico giaceva per lo più lungo l asse z, approssimativamente in corrispondenza dei fasci, la componente azimutale era inferiore ad 1 mt ovunque nel volume di tracciamento. Il solenoide superconduttore era costituito di filamenti di Nb-Ti di diametro inferiore a 40 µm. Il punto termico di lavoro del magnete era 4.5 K ed era mantenuto stabile da una tecnica termosifone: elio liquido veniva fatto defluire attraverso dei canali saldati al cilindro che supportava il solenoide stesso. Il campo magnetico di 1.5T era ottenuto facendo scorrere attraverso il solenoide una corrente di 7110A. La uniformità del campo fu raggiunta introducendo una maggiore quantità di conduttore nella regione centrale del solenoide, in maniera tale che in quella regione la densità di corrente risultasse dimezzata. Con questo accorgimento fu possibile limitare le disuniformità del campo magnetico del 2%, ma soprattutto, fu possibile far in modo che le zone in cui il campo magnetico presentasse disuniformità fossero molto ridotte e localizzate in regioni tali da non poter influenzare in maniera significativa l operato della camera a deriva. 36

41 La funzione della bobina di compensazione era ridurre la perdita di linee di campo magnetico nei componenti di PEP-II e nei fotomoltiplicatori del DIRC. Essa era una bobina di rame di 10 strati raffreddata con acqua. Oltre a provvedere al campo magnetico, il sistema magnetico sosteneva i componenti del detector e fungeva da assorbitore di adroni per migliorare la separazione adrone/muone Ritorno di Flusso strumentato La struttura di acciaio per il ritorno di flusso magnetico solenoidale era il costituente portante di un altra sezione del detector BABAR: il ritorno di flusso srtumentato (IFR), ed il rivelatore più esterno di BABAR. L IFR, come tutti gli altri sottosistemi BABAR, aveva una struttura asimmetrica con una copertura di angolo polare pari a 17 <θ lab <150. La struttura era in ferro, aveva una sezione esagonale (concentrica con il beam pipe), era lunga 3.75 m ed era segmentata in piani di spessore crescente dall interno verso l esterno: da 2 a 10 cm. Essa era divisa in tre parti: il barrel attorno al solenoide, costituito di 6 sestanti a coprire una distanza radiale compresa fra m e m, e gli endcap anteriore e posteriore, che coprivano rispettivamente la zona positiva e negativa dell asse z. Ciascuno degli endcap era diviso a metà in senso verticale per consentire l accesso alle componenti più interne del detector BABAR. Ogni metà, inoltre, era divisa in tre sezioni orizzontali per mezzo di spaziatori necessari per sostenere l azione delle forze magnetiche come presentato in figura Figura 2.12: Componenti del ritorno di flusso strumentato.. In origine l IFR era costituito da 19 strati di Resistive Plate Chamber (RPC) nella regione del barrel e 18 strati nelle regioni in avanti e indietro, posizionati negli interstizi di 3.2 cm degli strati di ferro. Il ferro era utilizzato per il giogo magnetico solenoidale di ritorno di campo. Più tardi, una parte delle RPC è stata sostituita da Tubi Streamer in regime limitato (LSTs). Già nel 2006 gli endcap erano strumentati con RPC planari, mentre nel barrel le RPC planari e cilindriche erano state era completamente sostituite con LST. 37

42 Le RPC planari erano costituite di due elettrodi piani di bachelite a distanza di circa 10 cm l uno dall altro. Gli elettrodi di bachelite sono debolmente conduttori (avendo una resistività molto elevata ρ Ω cm. Le loro superfici esterne erano rivestite da uno strato di grafite per ottenere una resistività di 100kΩ/. I segnali prodotti dalle RPC venivano raccolti su entrambi i lati delle camere; le strip in alluminio erano sottili, di circa 40 micron di spessore e 1 cm di larghezza. Le strip erano disposte in su piani isolanti dello spessore di 200 micron. Su ogni piano esse erano disposte perpendicolarmente al precedente in modo da avere una visione bidimensionale. La miscela di gas utilizzata era composta per il 56.7% di Argon, per il 38.8% di Freon-134a e per il 4.5% di Isobutano. La tensione di lavoro fra le due superfici di grafite era 7.5 kv. Le superfici erano protette da un film isolante in mylar. I piani di ferro che separavano i piani di RPC erano riempiti con un sistema di raffreddamento ad acqua che manteneva la temperatura costante a 20 C.La risoluzione spaziale ottenibile era dell ordine di qualche millimetro. Gli LST erano invece a simmetria cilindrica. Ogni tubo era composto di 7 o 8 celle; ogni cella aveva una sezione di mm con un filo centrale placcato in argento ed un rivestimento interno in grafite. Il filo forniva l alta tensione mentre il segnale era letto da strip come nelle RPC. La tensione di lavoro era 5.5 kv. La miscela di gas utilizzata era composta per il 2.5% di Argon, per il 9.5% di Isobutano e per l 88% di CO 2. I muoni venivano identificati misurando il numero di lunghezze di interazione attraversate in tutto il detector e confrontandolo con il numero di lunghezze di interazione attese per un muone di dato momento. Inoltre, venivano calcolate le intersezioni di una traccia con i piani di RPC; per ogni piano di lettura tutti i cluster di strip accesi all interno di una distanza predefinita dal predetto incrocio venivano associati alla traccia: il numero medio e il valore efficace della distribuzione di strip in RPC ed LST per ogni strato dava un ulteriore potere discriminante per le coppie µ/π. Ci si aspettava infatti che il numero medio di strip per piano fosse maggiore per i pioni che producevano una interazione adronica piuttosto che per i muoni. Queste ed altre variabili di interesse venivano poi utilizzate per costruire i criteri di selezione necessari per l identificazione dei muoni. Gli adroni neutri interagivano per lo più nel ferro e venivano associati ad uno sciame adronico che nasceva all interno del rivelatore senza che vi fossero hit sui primi strati. La loro direzione era determinata considerando il vertice dell evento che li aveva prodotti ed il centroide dello sciame; non era però possibile ottenere alcuna informazione riguardante l energia del cluster. Una frazione notevole di adroni interagiva prima di raggiungere l I- FR, per questo motivo le informazioni provenienti dai cluster nell IFR venivano sempre combinate con quelle relative all EMC. [22] [12] [18]. 38

43 Capitolo 3 Ricostruzione degli eventi La ricostruzione degli eventi sviluppata segue la seguente linea generale: analisi dei dati Monte Carlo dai quali estrarre quante più informazioni possibili e successiva analisi dei dati reali favorita dalle indicazioni precedentemente acquisite. I dati Monte carlo permettono di trattare i dati una volta note la risoluzione sperimentale del rivelatore attraverso la quale effettuare una selezione degli eventi tale da ottenere un segnale quanto più puro possibile, la distribuzione energetica delle particelle neutre che consente di stabilire se un rilascio energetico è verosimilmente appartenente al fondo e la forma delle distribuzioni attraverso le quali valutare gli eventi di segnale ricostruiti. L assenza di eventi di background dovuto ad altri canali di reazione infatti, permette nei dati Monte Carlo di valutare la forma delle distribuzioni finali dell analisi. Questo trend viene poi applicato ai dati realmente acquisiti durante l esperimento e di scartare gli eventi di fondo residui. L analisi dati consiste di diverse fasi: Ricostruzione di eventi Monte Carlo per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s); Ricostruzione dei dati per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s); Ricostruzione di eventi Monte Carlo per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s); Ricostruzione dei dati per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s); 3.1 Eventi Monte Carlo Il primo passo per simulare un esperimento è quello di generare gli eventi. I generatori di eventi sono software dedicati alla simulazione Monte Carlo dello scattering iniziale fra le particelle del fascio collidente ed alla successiva evoluzione delle particelle prodotte fino alla generazione di quelle che interagiranno con il detector. Tutte le conoscenze relative ai processi di interazione sono tenute in conto per rendere verosimile la generazione. 39

44 Le particelle in collisione formano lo stato iniziale. Durante la collisione, le particelle possono annichilare e/o essere scambiate producendo diversi set possibili di particelle: lo stato f inale. La generazione è ottenuta fattorizzando il processo nei singoli passaggi intermedi; di volta in volta gli stati iniziale e finale dell interazione fondono attraverso la cosiddetta matrice di scattering (matrice S). In base all energia ed al tipo di particelle collidenti, si hanno diverse possibili interazioni, ognuna caratterizzata da una propria probabilità di avvenire. Una di esse verrà generata in maniera random, ma tenendo conto del peso statistico assegnatole; successivamente si fa in modo che la particella decada nelle particelle figlie. Le informazioni sulle probabilità sono appunto date dalla matrice S. Le particelle generate possono a questo punto interagire a loro volta o decadere, e sempre con la stessa tecnica vengono generati gli stati successivi. Quando le particelle generate sono sufficientemente stabili da poter raggiungere il rivelatore, il compito del generatore di eventi termina. Oltre ai processi principali però, il generatore di eventi si occupa anche di inserire all interno del volume di interazione effetti di bremsstrahlung o particelle del fascio spettatrici, in modo tale che l evento sia il più realistico possibile. In BABAR la componente di fondo dovuta a fenomeni di adronizzazione fra i frammenti del fascio è assente poiché a collidere sono elettroni. Tutti i passaggi restano memorizzati in modo tale che si sia sempre in grado di interrogare il software sulle particelle generate durante il processo e sulle loro caratteristiche cinematiche. Queste informazioni costituiranno la verità Monte Carlo. Gli elementi di matrice utilizzati nella generazione sono affetti da errore; essi dipendono innanzitutto dalle conoscenze teoriche raggiunte allo stato dell arte, ed inoltre dipendono dall approssimazione che si sta utilizzando nell analisi; se cioè si stanno utilizzando tecniche su reticolo, QCD, QCD perturbativa e così via. A volte le simulazioni possono anche essere fatte utilizzando diversi generatori d eventi per vedere quale di questi meglio si accorderà ai dati, o addirittura far uso di più generatori contemporaneamente, che si occupino di diversi sottoprocessi per i quali siano più indicati. Una volta generato lo statof inale, subentra un secondo software; all interno di questo è memorizzato il modello del rivelatore che simula la risposta dei singoli detector. Le particelle figlie e del fondo vengono fatte viaggiare all interno del rivelatore e propagandosi rilasciano energia. Le zone all interno delle quali queste interagiscono, le energie rilasciate e le traiettorie, sono sempre generate in maniera random ma tenendo conto delle conoscenze sull interazione radiazione materia. BABAR utilizza EvtGen [20] e JetSet7 [26] come generatori primari, mentre le interazioni delle particelle che attraversano il rivelatore sono riprodotte con GEANT4 [14]. Inoltre gli effetti della radiazione dello stato finale (FSR) sono simulati utilizzando PHOTOS [10]. 40

45 3.2 Ricostruzione degli eventi Gli eventi da ricostruire sono quelli appartenenti alle catene citate nel capitolo?? contengono quattro tracce cariche, fotoni e pioni neutri. La ricostruzione avviene in maniera del tutto equivalente per i dati Monte Carlo e per quelli sperimentali; procedimento è il seguente: Si escludono gli eventi di scattering Bhabha attraverso l uso della variabile R 2 ; quest ultima è il rapporto fra i momenti di Fox- Wolfram del secondo ordine e di ordine zero; R 2 e tende ad 1 per eventi collineari come eventi di di-jet o scattering Bhabha appunto. Richiedere che R 2 sia <0.98 permette di escludere questi eventi. Si selezionano gli eventi con solo 4 tracce cariche tali che la carica totale nulla; Si effettua il fit delle 4 tracce ad un unico vertice con vincolo che tale vertice sia nella zona di interazione; si richiede una probabilità > 0.1%; Si richiede che almeno due delle quattro tracce siano identificate come pioni e che due siano identificati come la coppia di leptoni di interesse; per i pioni si utilizza un selettore ECOC con confidenza Very Loose, per gli elettroni un selettore ECOC (ekm) ad un livello di confidenza Loose e per i muoni un selettrore Bagged decision tree con confidenza Loose [appendice]; Si aggiunge la lista di tutti i fotoni, si effettua il fit cinematico: questi si combinano tutti a coppie e si fittano come π 0 con il constraint di massa. Nel fit si utilizza come punto di partenza il vertice delle quattro tracce cariche; si richiede una probabilità del fit > 0.1 %; Tutte le informazioni necessarie all analisi vengono salvate in ROOTple; per gli eventi Monte Carlo si salvano, in aggiunta, tutte le informazioni utili della verità Monte Carlo. I criteri di selezione utilizzati sono stati GoodTracksVeryLoose per le tracce cariche e GoodPhotonLoose per i fotoni. La lista Good Track Very Loose(GTVL) contiene tutte le tracce cariche candidate che soddisfano i seguenti criteri: La distanza minima dal punto in cui avvenuta l interazione nel piano x-y ( d 0 ) e lungo l asse z ( z 0 ). Un taglio su queste variabili elimina le tracce mal ricostruite e quelle di fondo che non possiedono l origine nei pressi del punto di interazione dei fasci. Si richiede che d 0 <1.5cm e z 0 <10cm. M omentomassimo. Per rimuovere le tracce non compatibili con l energia del fascio si richiede che l impulso nel sistema del laboratorio sia minore di 10 GeV/c. Questa restrizione discrimina le tracce mal ricostruite. 41

46 La lista Good Photon Loose (GPL) contiene tutti i candidati neutri che soddisfano: E tot >0.03 GeV dove E tot = n i E i è la somma dei depositi di energia in ogni cristallo appartenente ad un dato bump. Momento laterale LAT<0.8. dove LAT = N i=3 E ir 2 i N i=3 E ir 2 i +E 1r 2 0 +E 2r 2 0 con N pari al numeri di cristalli associati alla cascata elettromagnetica, r 0 la distanza media tra due cristalli che per il calorimetro di BABAR è approssimativamente 5cm ed E i l energia depositata nell i-esimo cristallo, ordinate in modo tale che E 1 < E 2 >... > E N ; r i e φ i sono le coordinate polari nel piano perpendicolare alla linea che va dal vertice di interazione al centro del cluster in cui è avvenuto il rilascio energetico. [16] Si riporta in tabella 3.1 il numero di eventi generati per ogni catena ed il numero di eventi ricostruiti con quattro particelle cariche. Tabella 3.1: Numero di eventi Monte Carlo generati e ricostruiti per ogni singolo canale. canale decadimento della Υ(1S) χ b (2P ) generati ricostruiti χ b (2P ) γυ(2s) µ + µ J= J= J= χ b (2P ) γυ(2s) e + e J= J= J= χ b (2P ) ωυ(1s) µ + µ J= J= χ b (2P ) ωυ(1s) e + e J= J= Il decadimento χ bj (2P ) ωυ(1s) per J=0 è proibito per mancanza di spazio delle fasi. Il numero totale di eventi reali a disposizione è pari a

47 Capitolo 4 Analisi dei dati per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s) 4.1 Analisi dei dati Monte Carlo per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s) Il calcolo dell efficienza di rivelazione richiede la conoscenza del numero di eventi generati e di quelli ricostruiti correttamente al termine dell analisi. Dalla verità Monte Carlo si è estratta la prima informazione per ogni canale di decadimento; la seconda la si valuta analizzando gli eventi ricostruiti. La catena di decadimento da analizzare è la seguente: Υ(3S) γ 1 χ b (2P ) γ2 Υ(2S) π + π Υ(1S) l + l (4.1) Le particelle delle quali sono ricostruite le tracce sono sei: quattro particelle cariche (due leptoni e due pioni carichi) e due fotoni. I fotoni rivelati saranno sicuramente più di due, perché vanno considerati anche i fotoni provenienti dall esterno e quelli emessi per bremsstrahlung, per radiazione di sincrotrone o FSR. Si riporta in figura 4.1 la distribuzione del numero di fotoni ricostruiti. Per identificare correttamente i γ di segnale da quelli di fondo si usa il Truth-Matching, ovvero il confronto con le informazioni cinematiche contenute nella verità Monte Carlo. Le variabili utilizzate nello specifico sono state l impulso e l angolo azimutale. Si riportano in figura 4.2 le distribuzioni indicando con γ 1 il fotone emesso nel decadimento radiativo della Υ(3S), e con γ 2 quello emesso nella transizione radiativa del χ b (2P ). È necessario utilizzare dei tagli asimmetrici per selezionare gli eventi di interesse in funzione della differenza di energia: spesso l energia ricostruita dal rivelatore risulta inferiore rispetto a quella appartenente al fotone. 43

48 Figura 4.1: Distribuzione del numero di fotoni ricostruiti. (a) Distribuzione della differenza d energia una volta applicati i tagli sull angolo azimutale per il γ 1. (b) Distribuzione della differenza d energia una volta applicati i tagli sull angolo azimutale per il γ 2. (c) Distribuzione della differenza d angolo azimutale una volta selezionati gli eventi in funzione dell energia per il γ 1. (d) Distribuzione della differenza d angolo azimutale una volta selezionati gli eventi in funzione dell energia per il γ 2. Figura 4.2: Truth-Matching: le linee rosse indicano gli estremi entro i quali sono stati selezionati gli eventi. Gli eventi in cui non sia possibile risolvere l ambiguità vengono rimossi. Una volta individuati, i due fotoni vengono identificati rispettivamente come il fotone della transizione radiativa di dipolo elettrico dell Υ(3S) e di quella del χ b (2P ). 44

49 4.1.1 Selezione sulle masse invarianti Si procede al calcolo della massa invariante delle coppie di leptoni per ricostruire la Υ(1S), la figura 4.3 (a) mostra la massa invariante µ + µ. Figura 4.3: Distribuzione della massa invariante µ + µ nei dati Monte Carlo, la linea blu continua è la linea di fit, la zona colorata in azzurro mostra la selezione degli eventi. Figura 4.4: Confronto fra le distribuzioni di massa invariante l + l : in arancione quella muonica, in blu continua quella elettronica. Lo spettro di massa invariante è distribuito attorno al valore centrale in maniera asimmetrica. La coda che si trova a sinistra è dovuta principalmente alla Final State Radiation a cui sono soggette le particelle nel detector e per la quale i muoni perdono parte della loro energia. Le Υ(nS) in realtà sono delle risonanze, poiché però si tratta nello specifico di Υ(nS) sotto la soglia di produzione di B, le larghezze sono sufficientemente piccole da poter essere trascurate; la larghezza del segnale viene dunque intesa completamente come risoluzione sperimentale [15]. Rispetto al canale muonico, quello elettronico presenta una coda più marcata come si può vedere dalla figura 4.4 in cui vengono messe a confronto le due distribuzioni; questo lo si spiega appellandosi alla notevole 45

50 quantità di energia dissipata dagli elettroni sottoforma di emissione radiativa per effetto di bremsstrahlung oltre che di radiazione di sincrotrone ed FSR. Il bremsstrahlung avviene con perdita media di energia: de dx 4N az 2 α 3 ( hc) 2 m e 2 c 4 Eln 183 Z 1/3 (4.2) che risulta inversamente proporzionale al quadrato della massa, e dunque è volte maggiore nel caso in cui i leptoni siano elettroni piuttosto che muoni. Anche il leggero shift del picco della distribuzione verso sinistra rispetto al valore nominale va enumerato fra le conseguenze dirette di questo effetto. La coda molto pronunciata dovrebbe essere evidente in tutte le distribuzioni di massa invariante che saranno presentate di seguito in quanto gli elettroni partecipano al calcolo di ognuna di esse, ma la selezione degli eventi elimina il contributo elettronico a questa forma caratteristica. Uno sviluppo del presente lavoro di tesi è l analisi del canale elettronico utilizzando i dati corretti con il bremsstrahlung recovery; si tratta di un ricalcolo dell energia degli elettroni aggiungendo gli impulsi dei fotoni che mostrano una traccia tangente quella dell elettrone. A causa della presenza di queste code un metodo di fit conveniente è quello di utilizzare la funzione Crystal-Ball. Questa è una distribuzione in parte Gaussiana ed in parte caratterizzata da una coda più o meno accentuata di equazione: f(x; α, n, x, σ) = N dove { exp( (x x)2 ) se (x x) 2σ 2 2σ > α A (B (x x) 2σ ) n se (x x) 2σ α (4.3) A = ( n α ) exp( α 2 2 ), B = n α. (4.4) α I parametri del fit sulla distribuzione di massa invariante l + l sono riportati in tabella 4.1 Tabella 4.1: Parametri dei fit per la massa invariante l + l (Eventi Monte Carlo). leptone stato iniziale media (GeV /c 2 ) σ (GeV /c 2 ) α β µ Υ(1S) ± ± ± ± e Υ(1S) ± ± ± ± Nell analisi verranno considerati solo gli eventi entro due sigma dalla media come evidenziato nella figura 4.3. Si procede alla ricostruzione del decadimento Υ(2S) Υ(1S)π + π. Lo spettro di massa invariante Υ(1S)π + π è riportato in figura 4.5 (a) e mostra il segnale della Υ(2S) con una distribuzione di forma meno asimmetrica rispetto alla precedente Υ(1S): gli effetti a bassa energia delle coppie di muoni sono stati eliminati dalla selezione con il taglio 46

51 precedentemente descritto. Si effettua quindi una selezione degli eventi entro 2σ dalla media della distribuzione suddetta. La successiva massa invariante da considerare sarebbe quella dei χ b (2P ). Proseguire in questa strada porterebbe però a scarsi risultati a causa del fondo ancora presente, senza la possibilità di risolvere i picchi appartenti ai tre mesoni. Si procede dunque applicando ulteriori tagli: si richiede che la massa invariante Υ(2S)γ 1 γ 2 corrisponda alla massa della Υ(3S). La massa invariante Υ(2S)γ 1 γ 2 entro 2σ è mostrata in figura 4.5 (b). (a) Distribuzione della massa invariante Υ(1S)π + π, la linea blu continua è la linea di fit, la zona colorata in azzurro mostra la selezione degli eventi. (b) Distribuzione della massa invariante Υ(2S)γ 1γ 2, la linea blu continua è la linea di fit, la zona colorata in azzurro mostra la selezione degli eventi. Figura 4.5: Distribuzione di massa invariante Υ(1S)π + π e Υ(2S)γ 1 γ 2 (Eventi Monte Carlo, catena (1)). In questo caso le distribuzioni sono state fittate con Gaussiane i cui parametri sono dati in tabella Conservazione dell impulso Un ulteriore informazione disponibile per la selezione degli eventi è l impulso del fascio. La conservazione di tutte le componenti dell impulso permette infatti di aumentare la purezza della selezione. Il metodo è quello di calcolare la differenza fra la componente di impulso del fascio e 47

52 Tabella 4.2: Parametri dei fit per la massa invariante Υ(1S)π + π e Υ(2S)γ 1 γ 2 (Eventi Monte Carlo). leptone stato iniziale media (GeV/c 2 ) σ (GeV/c 2 ) µ Υ(2S) ± ± Υ(3S) ± ± e Υ(2S) ± ± Υ(3S) ± ± la somma delle componenti nella stessa direzione degli impulsi ricostruiti delle particelle: Missing p i = P i beam n k=1 pk i dove Missing p i è la componente i di impulso mancante, P i beam è la componente i-esima dell impulso del fascio e pk i è la componente i-esima di ogni particella k coinvolta. Le distribuzioni di impulso mancante sono fittate con la somma di due Gaussiane, la media e la σ considerate sono quelle della Gaussiana più stretta. In figura 4.6 si riportano le distribuzioni. (a) Componente x dell impulso mancante. (b) Componente y dell impulso mancante. (c) Componente z dell impulso mancante. Figura 4.6: (Eventi Monte Carlo, catena (1)) Componenti cartesiane dell impulso mancante e selezione degli eventi: in blu la linea continua di fit totale e la linea tratteggiata della gaussiana più larga; la zona colorata in azzurro indica la selezione degli eventi entro 2σ. Si riportano nella tabella 4.3 i parametri relativi ai fit. Con il pedice 1 si indicano i parametri della gaussiana più stretta, con il 2 di quella più larga. 48

53 Tabella 4.3: Parametri dei fit per le componenti di impulso mancante. leptone componente media 1 (GeV/c) σ 1 (GeV/c) media 2 (GeV/c) σ 2 (GeV/c) x ± ± ± ± µ y ± ± ± ± z ± ± ± ± x ± ± ± ± e y ± ± ± ± z ± ± ± ± Selezione finale Applicati tutti i tagli necessari, si rappresenta per gli eventi superstiti la massa di rinculo al primo fotone emesso nel decadimento. Essa è calcolata come: m 2 rec = (P e + P e + P γ ) 2 (4.5) dove P e e P e + sono i quadrimpulsi dei fasci e P γ quello del γ 1. L analisi potrebbe essere equivalentemente sviluppata utilizzando la massa invariante di Υ(2S)γ 2, si riportano in figura 4.7 le distribuzioni di tutte e tre le variabili. La scelta è del tutto equivalente fra massa di rinculo (figura (a)) e p* (figura (b)), la massa invariante invece, mostrata in figura (c), presenta una bassa risoluzione dei picchi. Ciò è dovuto alla scarsa precisione nella misura del grande impulso dei due leptoni. Nei fit è inoltre riportata la distribuzione dei Pull o dei residui normalizzati, definiti come: P ull = (N dati N fit )/ N dati. Nella presente analisi si è utilizzata la variabile m rec. Lo studio è stato effettuato separatamente per i tre χ b (2P ). Le distribuzioni ottenute sono di particolare interesse: esse rappresentano gli eventi ricostruiti con successo; la forma della loro distribuzione inoltre verrà utilizzata per selezionare fra gli eventi reali quelli da considerare. Si riportano di seguito, nella figura 4.8, le distribuzioni di massa di rinculo ed i relativi fit per il canale muonico. I fit sono stati ottenuti con la somma di una Crystal-Ball e di una Gaussiana poiché questa è risultata la funzione che meglio approssima i dati. Le efficienze stimate sono riportate in tabella

54 (a) Massa di rinculo al γ 1. (b) Impulso del γ 1 (p*). nel sistema CM della Υ(3S) (c) Massa invariante Υ(2S)γ 2. Figura 4.7: (Eventi Monte Carlo, catena (1)) Variabili per lo studio dei χ b (2P ). 50

55 Tabella 4.4: Efficienza di ricostruzione per ogni singolo canale. canale decadimento della Υ(1S) χ b (2P ) eventi ricostruiti eventi generati efficienza χ b (2P ) γυ(2s) µ + µ J= J= J= χ b (2P ) γυ(2s) e + e J= J= J= Si riportano nelle tabelle 4.5 e 4.6 i parametri dei fit. Tabella 4.5: Parametri dei fit per la massa di rinculo al γ 1 (componente Crystall-Ball) leptone stato iniziale media (GeV /c 2 ) σ (GeV /c 2 ) α β χ b0 (2P ) ± ± ± ± µ χ b1 (2P ) ± ± ± ± χ b2 (2P ) ± ± ± ± χ b0 (2P ) ± ± ± ± e χ b1 (2P ) ± ± ± ± χ b2 (2P ) ± ± ± ± Tabella 4.6: Parametri dei fit per la massa di rinculo al γ 1 (componente Gaussiana). leptone stato iniziale media (GeV/c 2 ) σ (GeV/c 2 ) µ χ b0 (2P ) ± ± χ b1 (2P ) ± ± χ b2 (2P ) ± ± e χ b0 (2P ) ± ± χ b1 (2P ) ± ± χ b2 (2P ) ± ±

56 (a) χ b0 (2P ). (b) χ b1 (2P ). (c) χ b2 (2P ). Figura 4.8: Massa di rinculo al primo fotone per i χ b (2P ), le linee colorate continue indicano i fit totali, le linee tratteggiate indicano la componente gaussiana del fit, in basso ad ogni figura si riporta il pullplot. Nel pullplot è presentata la differenza fra il valore del fit ed i dati reali fratto l errore; esprime il numero di sigma entro cui i l fit è compatibile. 52

57 4.1.4 Contaminazioni Un altra informazione molto importante da estrarre dai dati Monte Carlo è quella relativa alle possibili contaminazioni. Nell analisi dei dati realmente acquisiti, infatti, non si ha la possibilità di capire quali fra i fotoni ricostruiti siano i due appartenenti alla catena di decadimento mediante Truth-Matching. È dunque necessario, nel codice di analisi dei dati reali, considerare tutte le combinazioni possibili. Si potrebbe introdurre così una componente di fondo combinatorio. Dagli eventi Monte Carlo, però, è possibile trovare i limiti inferiori di energia dei fotoni di interesse. Inoltre, applicando il combinatorio a tutti i fotoni fuorché quelli corretti, si ha una valutazione del fondo per le distribuzioni di interesse. Figura 4.9: Distribuzione energetica dei γ ricostruiti. In rosso il γ 1, in magenta il γ 2 La figura 4.9 mostra le distribuzioni di energia di γ 1 e γ 2. La distribuzione mostra la presenza di una zona di sovrapposizione. Non è quindi possibile individuare i due fotoni solo con considerazioni energetiche. Sarà necessario l utilizzo del combinatorio. 4.2 Analisi dati reali per il canale di decadimento χ b (2P ) γυ(2s) L analisi dei dati reali è il vero obiettivo da portare a termine, per il quale l analisi dei dati Monte Carlo risulta un forte strumento a disposizione. Il primo passo è la richiesta che fra le quattro tracce cariche selezionate due appartengano ai leptoni considerati ed almeno due corrispondano a pioni esattamente come per i dati Monte Carlo. Le liste utilizzate sono le stesse che in precedenza. Per le tracce neutre il procedimento non può ricalcare quello visto: per i dati reali infatti non è possibile individuare i fotoni di interesse con un confronto (come già anticipato nel paragrafo precedente). Tuttavia l analisi Monte Carlo fornisce delle informazioni utili ad una prima selezione: la distribuzione di energia dei fotoni emessi nel primo e nel secondo decadimento. La distribuzione permette di scartare a priori tutti quei fotoni con energia inferiore al limite sinistro della distribuzione meno energetica eliminando i γ con energia inferiore a tale limite. Nello 53

58 specifico il limite inferiore è pari 30 MeV, che corrisponde alla selezione già applicata. I fotoni tenuti in considerazione quindi, saranno tutti quelli ricostruiti. Lo step successivo consiste nel visualizzare la distribuzione di massa invariante leptonica e verificare che questa sia in accordo con le previsioni Monte Carlo. Non si applicano infatti fit ai dati reali, ma si utilizzano i parametri ricavati in precedenza per selezionare gli eventi entro 2σ. Si riporta in figura 4.10 il confronto fra le distribuzioni di massa invariante reali e Monte Carlo una volta sommati i contributi elettronico e muonico. È evidente la consistenza delle due distribuzioni e dunque giustificato il procedimento. Figura 4.10: Distribuzione di massa invariante leptonica. In blu i dati reali, in arancione quelli Monte Carlo. Le distribuzioni sono normalizzate ad 1 per permettere il confronto indipendentemente dal numero totale di eventi. Allo stesso modo si procede per il calcolo della massa invariante Υ(1S)π + π mostrata in figura Figura 4.11: Distribuzione di massa Υ(1S)π + π. In blu i dati reali, in arancione quelli Monte Carlo. Le distribuzioni sono normalizzate ad 1 per permettere il confronto indipendentemente dal numero totale di eventi. 54

59 La struttura ad alta massa corrisponde al decadimento Υ(3S) π + π Υ(1S) presente nei dati ma non negli eventi Monre Carlo. Una volta selezionati gli eventi, bisogna aggiungere i costraint di conservazione del quadrimpulso. A questo punto entrano in gioco i fotoni. La massa invariante di tutte e sei le tracce e le componenti mancanti dell impulso vengono calcolate per tutte le coppie di fotoni possibili. Poiché il combinatorio introduce ulteriore fondo, gli istogrammi sono costruiti nella maniera seguente: le componenti d impulso mancante sono selezionate imponendo che gli eventi abbiano le rimanenti componenti entro le selezioni ottenute dall analisi Monte carlo. Per verificare la consistenza delle distribuzioni si può osservare figura 4.12 in cui si evidenzia il confronto fra la distribuzione di impulso mancante nella componente x per i dati Monte Carlo e per i dati reali. Figura 4.12: Componente x dell impulso mancante. In blu i dati reali, in arancione quelli Monte Carlo. Le distribuzioni sono normalizzate ad 1 per permettere il confronto indipendentemente dal numero totale di eventi. Una volta applicati i tagli relativi alla conservazione dell impulso, si impone la conservazione della massa totale selezionando solo gli eventi tali che la massa invariante Υ(2S)γ 1 γ 2 sia entro i limiti imposti dall analisi Monte Carlo. In figura 4.13 si porta all attenzione come anche la distribuzione di massa invariante Υ(2S)γ 1 γ 2 mostri consistenza con i dati Monte Carlo. Applicati tutti i tagli necessari, è possibile calcolare la massa di rinculo al primo fotone mostrata in figura Anche questa distribuzione è calcolata per tutti i fotoni con energia superiore alla soglia. Nella figura 4.14 è evidente una struttura a valori di energia intorno a GeV/c 2. Per spiegarla si sfrutta l informazione dei dati Monte Carlo. Nel fondo stimato, i picchi a basse energie corrispondono alle masse di riculo ai secondi fotoni generati: ad energie più basse dominano quelli relativi al χ b1 (2P ) e χ b2 (2P ) e sono quasi sovrapposti, ad energie poco più elevate si distingue il picco relativo ai fotoni emessi dal χ b0 (2P). Questa interpretazione è supportata dall assenza dei picchi quando il γ 2 non è contemplato e dai picchi corrispondenti nella verità Monte Carlo. 55

60 Figura 4.13: Distribuzione di massa Υ(2S)γ 1 γ 2. In blu i dati reali, in arancione quelli Monte Carlo. Le distribuzioni sono normalizzate ad 1 per permettere il confronto indipendentemente dal numero totale di eventi. Nella figura 4.15 è mostrato lo spettro di massa di rinculo ai fotoni diversi dal primo per il canale muonico. I bassi valori energetici sono dovuti al fatto che qui si sta plottando in realtà la massa invariante di una differenza, dove il minuendo è il quadrimpulso del fascio, ed il sottraendo quello del fotone. Poiché i fotoni del secondo decadimento sono più energetici dei primi, la differenza si va a posizionare ad energie più basse. Il branching ratio di produzione dei χ b (2P ) nel decadimento radiativo della Υ(3S) e di decadimento radiativo in una Υ(2S) favorisce di gran lunga gli stati con J=1 e 2. Di questo effetto non si è tenuto conto nelle generazioni Monte Carlo perché interessa comunque vedere il comportamento anche del χ b 0(2P ) in maniera chiara. Il segnale è costituito dalla distribuzione centrale: le masse di rinculo corrispondono alle masse dei χ b (2P ) come evidenziano le linee in arancione, viola e verde. Si passa dunque alla fase più delicata dell analisi. Per selezionare gli eventi appartenenti ad ogni mesone χ b (2P ) e calcolare il numero di eventi ricostruiti con successo per ogni canale, è necessario effettuare un fit delle distribuzioni di M rec. Per i dati reali non è possibile plottare questa variabile per ogni singolo χ b (2P ) perché non si ha a disposizione la verità Monte Carlo; i picchi comunque sono sufficientemente risolti. Il fit è quindi ottenuto come somma delle curve di fit ricavate dall analisi Monte Carlo per i singoli canali imponendo fissi i parametri e permettendo ad ogni singola componente di variare solo di un fattore di scala. Alla funzione somma delle precedenti, si aggiunge un polinomio di secondo grado per fittare il fondo da cui sono maggiormente affetti i dati rispetto al Monte Carlo. L ultima affermazione si basa sul fatto che fra i dati Monte Carlo il fondo è dovuto solo alla presenza di più particelle nell e- 56

61 Figura 4.14: Massa di rinculo ai fotoni. La linea arancione indica il valore nominale di massa del χ b0 (2P ), quella viola del χ b1 (2P ) e quella verde del χ b2 (2P ). Figura 4.15: Distribuzione del fondo statistico stimato: in rosa la massa di rinculo al γ 2, in rosso quella ai fotoni di background, in blu la massa di rinculo ai γ 2 per la verità Monte Carlo. vento o alla mancata rivelazione, fra i dati invece ci sono eventi di ogni genere, non solo quelli relativi alle catene di decadimento di interesse. Questo genera ulteriori fonti di background. Il numero di eventi sotto ogni distribuzione corrisponde al numero di eventi ricostruiti correttamente per ogni χ b (2P ) e separatamente per i decadimenti della Υ(1S). I fit sono rappresentati in figura: 4.16, il numero di eventi in tabella

62 (a) µ + µ. (b) e + e. Figura 4.16: Fit sulla massa di rinculo ai fotoni, in arancione il contributo del χ b0 (2P), in viola del χ b1 (2P), in verde del χ b2 (2P), in giallo la componente di background fittata con un polinomio di secondo grado. Tabella 4.7: Parametri dei fit per la massa di rinculo al γ 1 (componente Gaussiana). leptone mesone χ b (2P ) eventi µ χ b0 (2P ) 87 ± 29 χ b1 (2P ) 1528 ± 54 χ b2 (2P ) 545 ± 42 e χ b0 (2P ) 0 ± 11 χ b1 (2P ) 681 ± 39 χ b2 (2P ) 996 ± 43 58

63 Capitolo 5 Analisi dei dati per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s) 5.1 Analisi dei dati Monte Carlo per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s) La catena di decadimento da analizzare è la seguente: Υ(3S) γχ b (2P ) ωυ(1s) π + π π 0 l + l (5.1) Come anticipato, questi canali di decadimento prevedono la sola presenza di χ bj (2P ) con J=1 e 2 per spazio delle fasi. Il numero di eventi generati per ognuno dei due canali leptonici e per ogni mesone è fornito dalla verità Monte Carlo e mostrati intabella 3.1. canale decadimento Υ(1S) χ b (2P ) generati ricostruiti χ b (2P ) γυ(2s) µ + µ J= J= J= χ b (2P ) γυ(2s) e + e J= J= J= χ b (2P ) ωυ(1s) µ + µ J= J= χ b (2P ) ωυ(1s) e + e J= J= Le particelle ricostruite sono sei: quattro particelle cariche (due leptoni e due π) un fotone ed un π 0 (a sua volta attraverso il decadimento π 0 γγ). I fotoni ed i π 0 rivelati, però, saranno più d uno a causa delle componenti di fondo. L identificazione delle tracce cariche segue lo stesso procedimento esposto per il canale precedente. Fra i fotoni ed i π 0 ricostruiti si individuano quelli appartenenti al decadimento mediante il Truth-Matching utilizzando le variabili energia ed angolo azimutale. Si mostrano di seguito in figura 5.1 le distribuzioni per il canale muonico ed i tagli applicati. 59

64 (a) Distribuzione della differenza d energia una volta applicati i tagli sull angolo azimutale per il γ 1. (b) Distribuzione della differenza d energia una volta applicati i tagli sull angolo azimutale per il γ 2. (c) Distribuzione della differenza d angolo azimutale una volta selezionati gli eventi in funzione dell energia per il γ 1. (d) Distribuzione della differenza d angolo azimutale una volta selezionati gli eventi in funzione dell energia per il γ 2. Figura 5.1: Truth-Matching: le linee rosse indicano gli estremi entro i quali sono stati selezionati gli eventi Ricostruzione della Υ(1S) e della Υ(3S) Individuati il fotone ed il π 0 si procede al calcolo della massa invariante dei due leptoni e si seleziona la Υ(1S) con un taglio a 2σ come mostrato in figura 5.2 per il canale muonico. Il procedimento segue i seguenti step già mostrati per il canale precedente: Ricostruzione della Υ(1S) dal decadimento Υ(1S) l + l ; Applicazione della conservazione dell energia tramite la massa invariante Υ(1S)π + π π 0 γ; Applicazione della conservazione dell impulso tramite le componenti di impulso mancante; Si riportano nelle tabelle 5.1 e 5.2 i parametri dei fit fin qui considerati. 60

65 Figura 5.2: Distribuzione della massa invariante della coppia muonica, la linea blu continua è la linea di fit, la zona colorata in azzurro mostra la selezione degli eventi. Tabella 5.1: Parametri dei fit per le masse invarianti. leptone stato iniziale media (GeV /c 2 ) Γ (GeV /c 2 ) α β µ Υ(1S) ± ± ± ± Υ(3S) ± ± e Υ(1S) ± ± ± ± Υ(3S) ± ± Tabella 5.2: Parametri dei fit per le componenti di impulso mancante. leptone componente media 1 (GeV/c) σ 1 (GeV/c) media 2 (GeV/c) σ 2 (GeV/c) x ± ± ± ± µ y ± ± ± ± z ± ± ± ± x ± ± ± ± e y ± ± ± ± z ± ± ± ±

66 5.1.2 Segnale della ω Per gli eventi che conservano l energia e l impulso la figura 5.3 mostra la massa invariante π + π π 0 per la quale risulta evidente il segnale della ω. Figura 5.3: Distribuzione della massa invariante π + π π 0 ; in blu si evidenzia la linea continua di fit, la zona colorata in azzurro indica la selezione degli eventi. La ω è una risonanza, con larghezza pari ad 8.49 ± 0.08 MeV: occorre quindi utilizzare una funzione di Breit-Wigner per fittare la distribuzione. Poiché il picco relativo alla ω potrebbe non essere tanto evidente nei dati reali, è utile analizzare un altro istogramma, bidimensionale, che mostri la correlazione fra i decadimenti dei χ b (2P ) e la formazione della risonanza stessa attraverso il plot della massa di rinculo al fotone in funzione della massa invariante π + π π 0 : si mostra questo scatterplot in figura 5.4. Figura 5.4: Scatter Plot della massa di rinculo al fotone in funzione della massa invariante π + π π 0 per gli eventi selezionati in funzione di tutte le variabili fuorchè quelle plottate. 62

67 Per selezionare gli eventi appartenenti al picco della Breit-Wigner senza escludere troppo segnale, il taglio non viene effettuato a Γ ma si allarga fino a m ω ± Si osservi la soppressione della distribuzione ad alte energie dovuta allo spazio delle fasi. Si riportano di seguito, in tabella 5.3 i parametri din fit per questa distribuzione. Tabella 5.3: Parametri dei fit per le masse invarianti. leptone stato iniziale media (GeV/c 2 ) σ/γ (GeV/c 2 ) µ ω ± ± e ω ± ± Selezione finale I tagli da applicare sono terminati, è possibile quindi plottare la massa di rinculo al fotone emesso nel decadimento. Tutti gli eventi che hanno i propri valori di massa di rinculo al fotone sotto le curve di fit verranno considerati come validi, il numero di eventi corrispondente sarà il numeratore nel rapporto per il calcolo dell efficienza di analisi per il canale in esame. Si riportano di seguito le distribuzioni di massa di rinculo ed i relativi fit nella figura 5.5. I fit, come già sperimentato, sono stati ottenuti con la somma di una Crystal-Ball e di una Gaussiana. Le efficienze stimate sono riportate in tabella 5.4. Tabella 5.4: Efficienza di ricostruzione per ogni singolo canale. canale decadimento della Υ(1S) χ b (2P ) eventi ricostruiti eventi generati efficienza χ b (2P ) ωυ(1s) µ + µ J= J= χ b (2P ) ωυ(1s) e + e J= J= Dato il maggior numero di fotoni nel decadimento, è coerente con le attese che il valore dell efficienza nel canale di produzione della omega sia inferiore rispetto all efficienza calcolata per il rispettivo canale di riferimento. Si riportano nelle tabelle 5.5 e 5.6 i parametri dei fit. Tabella 5.5: Parametri dei fit per la massa di rinculo al γ 1 (componente Crystall-Ball) leptone stato iniziale media (GeV /c 2 ) σ (GeV /c 2 ) α β µ χ b1 (2P ) ± ± ± ± χ b2 (2P ) ± ± ± ± e χ b1 (2P ) ± ± ± ± χ b2 (2P ) ± ± ± ± Si mostrano di seguito gli istogrammi relativi alla distribuzione di energia del fotone emesso nel decadimento e del pione in figura 5.6. Le distribuzioni risultano di estrema utilità per avere un criterio di selezione per fotoni e pioni nei dati reali, dato dal limite inferiore di impulso. 63

68 (a) χ b1 (2P). (b) χ b2 (2P). Figura 5.5: Massa di rinculo al fotone per i χ b (2P ), le linee colorate continue indicano i fit totali, le linee tratteggiate indicano la componente gaussiana del fit, in basso ad ogni figura si riporta il relativo pullplot. Tabella 5.6: Parametri dei fit per la massa di rinculo al γ 1 (componente Gaussiana). leptone stato iniziale media (GeV/c 2 ) σ (GeV/c 2 ) µ χ b1 (2P ) ± ± χ b2 (2P ) ± ± e χ b1 (2P ) ± ± χ b2 (2P ) ± ±

69 Figura 5.6: Distribuzione energetica dei γe dei pi 0 ricostruiti. In rosso il γ, in magenta il π Analisi dei dati reali per il canale di decadimento χ b (2P ) ωυ(1s) Selezionati i fotoni ed i π 0 compatibili, i passaggi fondamentali da seguire nell analisi di questo canale seguono la corrispettiva analisi dei dati Monte Carlo: Ricostruzione della Υ(1S) dal decadimento Υ(1S) l + l ; Applicazione della conservazione dell energia tramite la massa invariante Υ(1S)π + π π 0 γ utilizzando i tagli ottenuti dall analisi precedente; Applicazione della conservazione dell impulso tramite le componenti di impulso mancante come suddetto; Ricostruzione della Υ(1S) dal decadimento ω π + π π 0 e selezione degli eventi; Fit della massa di rinculo al fotone. Si mostra in figura 5.7 il confronto fra dati reali e previsioni Monte Carlo per la distribuzione di massa invariante leptonica totale (considerando sia i muoni che gli elettroni). Questa distribuzione conferma quanto visto già nel precedente canale sull accordo fra le distribuzioni reali e simulate. 65

70 Figura 5.7: Distribuzione di massa invariante leptonica. In blu i dati reali, in arancione quelli Monte Carlo. Le distribuzioni sono normalizzate ad 1 per permettere il confronto indipendentemente dal numero totale di eventi. La massa invarianteυ(1s)π + π π 0 γ rappresentata in figura 5.8 e le componenti mancanti dell impulso vengono calcolate per tutti i fotoni ed i π 0. Figura 5.8: Distribuzione di massa invariante Υ(1S)π + π π 0 γ. In blu i dati reali, in arancione quelli Monte Carlo. Le distribuzioni sono normalizzate ad 1 per permettere il confronto indipendentemente dal numero totale di eventi. 66

71 È possibile quindi calcolare la massa invariante dei tre pioni. Si mostrano in figura 5.9 la distribuzione piccata al valore di massa a riposo della ω e lo scatter plot che evidenzia la correlazione fra la presenza dei χ b (2P) e della ω. (a) Massa invariante dei pioni. (b) Scatter Plot della massa di rinculo al fotone in funzione della massa invariante π + π π 0 per gli eventi selezionati in funzione di tutte le variabili fuorchè quelle plottate. Figura 5.9: Evidenza sperimentale della ω nella transizione elettromagnetica dei χ b (2P ). Il picco a sinistra della ω è fondo dovuto al combinatorio. È necessario quindi escludere tali eventi dall analisi. Si calcola dunque la massa di rinculo al fotone per tutti i fotoni. Si mostra in figura 5.10 la distribuzione per la somma dei canali leptonici. Il picco relativo al χ b 0(2P) è assente. Per valutare il numero di eventi ricostruiti con successo, si fitta la distribuzione come per la catena precedente. Il risultato è rappresentato in figura: 5.11 ed in tabella

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