TELMISARTAN, IRBESARTAN, VALSARTAN, CANDESARTAN E LOSARTAN E RISCHIO DI TUMORI IN 15 TRIAL

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1 TELMISARTAN, IRBESARTAN, VALSARTAN, CANDESARTAN E LOSARTAN E RISCHIO DI TUMORI IN 15 TRIAL RIASSUNTO CONTESTO Gli ACE-inibitori (ACE-I) e gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II (ARB) riducono gli eventi cardiovascolari (CVD), ma una recente metanalisi di studi selezionati ha suggerito che i sartani possano aumentare i rischi di cancro. OBIETTIVO Candesartan, irbesartan, telmisartan, valsartan e losartan sono stati valutati in relazione a tumori incidenti in 15 grandi trial a bracci paralleli, in doppio cieco, a lungo termine e multicentrici su questi agenti, che hanno coinvolto partecipanti. PAZIENTI E METODI Sono stati randomizzati individui ad alto rischio cardiovascolare a telmisartan (3 trial, n=51.878), irbesartan (3 trial, n=14.859), valsartan (4 trial, n=44.264), candesartan (4 trial, n=18.566) e losartan (1 trial, n=9193), seguiti per mesi. I casi di tumore incidente sono stati confrontati tra pazienti randomizzati ad ARB e controlli. In 5 studi (n=42.403) i sartani sono stati confrontati con ACE-I e in 11 studi (n=63.313) con controlli senza ACE-I. Inoltre, in 7 trial (n=47.020), l'effetto di ARB+ACE-I è stato confrontato con ACE-I da soli e in 2 trial il trattamento con ARB+ACE-I è stato confrontato Al trattamento con soli ARB (n=25.712). RISULTATI Nel complesso, non c'era eccesso di incidenza di cancro con la terapia con sartani rispetto ai controlli nei 15 studi [4549 (6,16%) casi su assegnati ad ARB rispetto a (6,31%) casi su assegnati a controlli non-arb; odds ratio (OR) 1,00; IC 95% 0,95-1,04], in generale o esaminando i singoli ARB. Gli OR di confronto della terapia di combinazione con ARB e ACE-I vs soli ACE-I erano 1,01 (0,94-1,10), della combinazione rispetto al solo ARB 1,02 (0,91-1,13), del solo ARB contro solo ACE-I 1,06 (0,97-1,16) e di ARB rispetto a placebo/controllo senza ACE-I 0,97 (0,91-1,04). Non c'era eccesso di cancro ai polmoni, alla prostata o al seno, o in generale decessi per cancro, associati al trattamento con ARB. CONCLUSIONE Non c'era aumento significativo del rischio di cancro complessivo o sitospecifico con ARB rispetto ai controlli. Hypertens 2011; 29: SICUREZZA DI CLOPIDOGREL E PPI IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A IMPIANTO DI STENT MEDICATI Lo studio mostra che la somministrazione di clopidogrel e PPI è sicura nei pazienti sottoposti ad impianto di stent con eluizione di farmaco; questi dati attendono conferma da studi prospettici randomizzati. OBIETTIVO È stato suggerita una interazione farmacodinamica tra clopidogrel e inibitori di pompa protonica (PPI), con conseguente riduzione degli effetti inibitori sulle piastrine indotta da clopidogrel. Tuttavia, i dati degli studi clinici sono in conflitto. Lo scopo di questo studio era valutare la sicurezza a lungo termine della terapia con clopidogrel e PPI. METODI In totale, sono stati inclusi 1328 pazienti consecutivi (età 63±11 anni; 81% maschi) sottoposti a impianto di stent medicato e seguiti per 1 anno di follow-up. Tutti i pazienti erano stati trattati con regime di trattamento standard di aspirina e clopidogrel per 12 mesi. La terapia concomitante con PPI per la stessa durata era a discrezione del cardiologo clinico. Il trattamento con PPI includeva lansoprazolo (30 mg/die), pantoprazolo (20 mg/die) o omeprazolo (20 mg/die). A 1 anno di follow-up, sono stati registrati gli eventi cardiaci avversi maggiori (MACE), definiti come morte, infarto miocardico (IM), sindrome coronarica acuta con necessità di ricovero e ictus non fatale. Sono state valutate anche tutte le cause di morte, qualsiasi trombosi da stent (ST) e sanguinamenti (maggiori e minori in corso di trombolisi in IM). RISULTATI Lansoprazolo, pantoprazolo e omeprazolo erano stati somministrati a 855, 178 e 125 pazienti, mentre a 170 non era stata prescritta alcuna terapia PPI. Tra i pazienti trattati con inibitori della pompa protonica, quelli con pantoprazolo avevano più spesso IM precedenti,

2 coronaropatia multivasale e malattia renale cronica, mentre l'ulcera peptica precoce era più frequente tra i pazienti trattati con omeprazolo. L'incidenza di MACE ad 1 anno non era statisticamente differente tra i pazienti nei gruppi con PPI e no-ppi (7,5 vs 5,0%; p=0,26). Allo stesso modo, i tassi di morte a 1 anno per tutte le cause, ST ed emorragie maggiori e minori in corso di trombolisi in IM non presentavano differenze significative. Dopo aggiustamento statistico per i potenziali confondenti, l'uso concomitante di clopidogrel e PPI non era associato a rischio di MACE ad 1 anno [odds ratio (OR) 1,54; p 0,38], di morte (OR 0,97; p 0,961) e di ST (OR 1,01; p 0,998). Non è stata osservata nessuna differenza tra i tre PPI. CONCLUSIONE L'associazione di clopidogrel e PPI dopo impianto di stent medicato, prescritta a giudizio clinico, appare sicura. Coron Artery Dis 2011; 22: Nuova metanalisi: Qual è il target terapeutico pressorio migliore nei diabetici? Le linee guida per il trattamento dell ipertensione raccomandano livelli di pressione arteriosa <140/90 mmhg, e un target ancora più basso di <130/80 mmhg per i pazienti con diabete mellito. Comunque, il recente studio ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) ha dimostrato che valori pressori più bassi non portano benefici. Il target ottimale nei soggetti con diabete o con alterata glicemia a digiuno o con ridotta tolleranza agli idrati di carbonio, quindi, non è ben definito. Questi autori hanno condotto una review includendo 13 studi randomizzati per un totale di partecipanti. Un controllo pressorio intensivo è stato associato ad una riduzione del 10% di tutte le cause di mortalità (odds ratio, 0.90; 95% intervallo di confidenza da 0.83 a 0.98), una riduzione di ictus del 17% ed un aumento del 20% di eventi avversi gravi ma con simili risultati per quanto riguarda gli eventi macro e microvascolari (cardiaci, renali, e oculari) rispetto ai gruppi di controllo in terapia standard. Un controllo pressorio più intensivo ( 130 mmhg) è risultato associato con una maggiore riduzione di ictus ma non ha ridotto gli altri eventi; si è osservata un ulteriore riduzione del rischio di ictus per valori pressori <120 mmhg. Comunque per livelli pressori <130 mmhg, c è stato un aumento del 40% di eventi avversi gravi senza benefici sugli altri obiettivi. Questa review suggerisce che nei pazienti con diabete mellito di tipo 2, alterata glicemia a digiuno o alterata tolleranza agli idrati di carbonio è accettabile un obiettivo terapeutico di mmhg. Con obiettivi più ambiziosi, <130 mmhg, è stato osservata una certa eterogeneità: il rischio

3 di ictus si riduce ma non ci sono benefici riguardo agli altri eventi micro o macrovascolari con un aumento del rischio di eventi avversi. Circulation 2011; 123(24): Le sigarette spengono l effetto antiaggregante di aspirina E necessaria una bassa dose di aspirina per inibire l aumento dell aggregazione piastrinica nella popolazione fumatrice ma sana mentre il clopidogrel o dosi più alte di aspirina sono necessarie nei pazienti fumatori con malattia coronarica. Queste sono le conclusioni a cui sono giunti il dott LI Wei-ju ed i suoi colleghi che in questa review hanno voluto valutare l'effetto dell'aspirina sull'aggregazione piastrinica nei pazienti fumatori con e senza malattia coronarica. Sono stati inclusi tutti gli studi riguardanti l'effetto del fumo del tabacco sull'attività delle piastrine e sull'efficacia antiaggregante dell'aspirina in individui sani ed in pazienti con malattia coronarica, pubblicati fino al 15 marzo Dall analisi dei dati veniva evidenziato che il fumo di tabacco determinava un aumento dell'aggregazione piastrinica che poteva essere inibita da aspirina a basse dosi nella popolazione sana, mentre, nei pazienti con malattia coronarica l'aggregazione piastrinica indotta dal fumo era maggiore tanto da rendere necessaria la somministrazione di clopidogrel o un aumento della dose di aspirina per inibirla. Pertanto i risultati di quest review sottolineano l importanza per i pazienti con malattia coronarica di smettere di fumare e sottolineano la necessità, per il fumatore attuale, di dosi maggiori di aspirina rispetto al normale o di assumere un inibitore del recettore adenosina difosfato con l aspirina per inibire efficacemente l'aumento di attività delle piastrine. Chin Med J 2011;124(10): E' davvero necessario scendere sotto i 140 mmhg in tutti gli ipertesi? Le linee guida sull'ipertensione arteriosa consigliano di ridurre la pressione arteriosa sistolica (SBP) sotto 140 mmhg in tutti gli ipertesi, ma l'evidenza non è presente se questo concetto è applicato a (i) ipertesi non complicati, (ii) ipertesi di grado 1 e (iii) ipertesi anziani. Fornire questa prova mancante è importante per giustificare gli sforzi ed i costi di una terapia aggressiva in tutti gli ipertesi. Lo studio FEVER (Felodipine Event Reduction) è stato svolto in doppio cieco, randomizzato su ipertesi cinesi, in cui gli esiti cardiovascolari sono risultati significativamente ridotti dalla terapia più intensa (a basso dosaggio di idroclorotiazide e basse dosi di felodipina) con il fine di raggiungere una media di 138 mmhg di SBP rispetto a una terapia meno intensa (a basso dosaggio di idroclorotiazide associata a placebo) per raggiungere una media di 142 mmhg di SBP. Nello studio FEVER erano inclusi

4 pazienti anziani e giovani, nonchè pazienti con e senza diabete o malattie cardiovascolari. Nell'analisi, i modelli di regressione di Cox hanno permesso la valutazione delle differenze tra i trattamenti più o meno intensi con gli esiti in gruppi di pazienti con caratteristiche di base differenti. Riduzione significativa degli ictus è stata riscontrata in ipertesi non complicati (-39%, p=0,002), negli ipertesi con randomizzazione PAS <153 mmhg (-29%, p=0,03) e negli ipertesi anziani (-44%, p<0,001) quando la loro pressione sistolica è stata ridotta mediante un trattamento più intenso. Riduzioni significative (tra -29 e -47%, da p=0,02 a p<0,001) si sono registrate anche in tutti gli eventi cardiovascolari e per tutte le cause di morte. Il raggiungimento di valori medi di pressione sistolica <140 mmhg con l'aggiunta di una dose minima di un farmaco generico ha ridotto l insorgenza di eventi cardiovascolari in 2.1 (ipertesi non complicati) e 5.2 (anziani) ogni 100 pazienti trattati per 3,3 anni. In conclusione anche lo studio FEVER raccomanda di scendere sotto 140 mmhg solo nei soggetti ipertesi non complicati, nei pazienti con ipertensione moderata e anche negli anziani. European Heart Journal 2011 Volume 32, 12: Altra metanalisi sull'asa in prevenzione primaria... Ennesima metanalisi (sempre interessante però) sull'uso dell'aspirina (ASA) in prevenzione primaria. Questa metanalisi ha coinvolto circa persone (per l'esattezza ), analizzando i dati di 9 trial randomizzati ed ha evidenziato quanto segue: L'ASA riduce la mortalità per tutte le cause (RR 0.94; 95% CI, ), l'infarto miocardico (RR 0.83; 95% CI, ) lo stroke ischemico (RR 0.86; 95% CI, ), e l'end point composito di infarto miocardico-stroke a morte cardiovascolare (RR 0.88; 95% CI, ), ma non ha ridotto la sola mortalità cardiovascolare (RR 0.96; 95% CI, ). L'Aspirina ha aumentato il rischio di stroke emorragico (RR 1.36; 95% CI, ), sanguinamenti maggiori (RR 1.66; 95% CI, ), e quelli gastrointestinali (RR 1.37; 95% CI, ). The American Journal of Medicine (7): La PCI, utilizzata come strategia terapeutica iniziale, non è superiore alla terapia medica ottimale

5 Le conclusioni testuali dello studio COURAGE (Clinical Outcomes Utilizing Revascularization and Aggressive Drug Evaluation) sono: la PCI, utilizzata come strategia terapeutica iniziale, non è superiore alla terapia medica ottimale nel prevenire gli eventi cardiaci maggiori in pazienti con angina stabile. Per dare adeguato peso a questa affermazione, lo studio dovrebbe garantire perlomeno due criteri: 1) la popolazione arruolata dovrebbe essere rappresentativa del mondo reale dei pazienti con angina stabile e 2) il trattamento attivo (PCI) dello studio dovrebbe essere sovrapponibile a quello attualmente disponibile. In merito al criterio 1), nel COURAGE sono stati arruolati pz dei inizialmente considerati, quindi solo il 7,6% della popolazione di pazienti con angina stabile; inoltre, la mortalità/anno globale osservata è stata del 1,7% (1,6% con PCI e 1,8% in terapia medica) (Figura 1), a fronte di mortalità/anno del 2,6% per i pazienti in classe CCS 1, e fino al 4,4%/anno in classi di angina CCS più avanzate, osservata in un registro canadese. Di conseguenza, dobbiamo concludere che la popolazione arruolata nel COURAGE è poco rappresentativa del mondo reale e si riferisce a un gruppo di pazienti con prognosi particolarmente favorevole. In merito al criterio 2), non si può non sottolineare il fatto che lʼutilizzo dei DES nel COURAGE era del tutto eccezionale, in <3% dei pazienti, mentre nella pratica odierna vengono utilizzati in almeno il 50% delle PCI. Uno studio retrospettivo, su una popolazione selezionata con i criteri analoghi a quelli del COURAGE, ha dimostrato una riduzione significativa di eventi cumulativi a 12 mesi (morte, infarto, stroke, rivascolarizzazione) in pazienti nei quali erano stati impiantati i DES se confrontati con quelli nei quali erano stati usati BMS (15% vs 27%, HR 0,51, 95% CI 0,36-0,71, p<0,001) Sindrome coronarica acuta, score prognostico pre-pci Lo score Syntax (Synergy between Pci with taxus and cardiac surgery) predice in modo indipendente gli esiti clinici dei pazienti con sindrome coronarica acuta (Acs) senza sovraslivellamento St (Nst) a rischio moderatoalto avviati a intervento coronarico percutaneo (Pci). L'estensione di indicazione per questo punteggio fondato sull'angiografia, nato e validato per stratificare il rischio nei pazienti con malattia coronarica del ramo sinistro prinicipale e dei tre vasi, deriva da un sottostudio - effettuato da Tullio Palmerini, del Policlinico S. Orsola di Bologna, insieme a colleghi della Columbia university e del Mount Sinai center di New York e della Yale university school of Medicine di New Haven - del trial Acuity (Acute catheterization and urgent intervention triage strategy), in cui pazienti Acs-Nst sono stati suddivisi sulla base di tre terzili dello score Syntax: <7 (n=854), =/>7 e <13 (n=825), e =/>12 (n=948). In questi tre gruppi a punteggio crescente, i tassi di mortalità a 1 anno sono stati, rispettivamente, di 1,5%, 1,6% e 4,0% e quelli di mortalità cardiaca pari a 0,2%, 0,9% e 2,7%; inoltre le percentuali di infarto miocardico si sono attestate su 6,3%, 8,3% e

6 12,9%, mentre i tassi di rivascolarizzazione dei vasi bersaglio sono risultati di 7,4%, 7,0% e 9,8%. All'analisi multivariata, il punteggio Syntax si è dimostrato un predittore indipendente a 1 anno di morte per tutte le cause (hazard ratio, Hr: 1,04), morte cardiaca (Hr: 1,06), infarto del miocardio (Hr: 1,03) e rivascolarizzazione del vaso target (Hr: 1,03). Uno score Syntax elevato, infine, è risultato indicativo di rischio di morte per tutte le cause, morte cardiaca e infarto entro i primi 30 giorni dalla Pci e poi tra i 30 giorni e 1 anno, mentre per la rivascolarizzazione lo è stato solo entro i primi 30 giorni. J Am Coll Cardiol, 2011; 57(24): Aumento di mortalità in pazienti con disfunzione diastolica e normale funzione contrattile sistolica In uno studio recentemente pubblicato su Archives of Internal Medicine quasi due terzi dei pazienti con disfunzione diastolica moderata o grave e normale LVEF hanno presentato un aumento di mortalità. La maggior parte dei casi con disfunzione diastolica non avevano alcun sintomo clinico di scompenso cardiaco. Anche se un rischio di mortalità da disfunzione diastolica è ben riconosciuto nei pazienti con ridotta funzione sistolica LV, i risultati attuali possono essere i primi a mostrare tale aumento di rischio anche in pazienti con preservata funzione contrattile. Anche se la funzione diastolica è solitamente inclusa negli studi ecocardiografici, almeno presso i maggiori centri, la maggior parte dei medici non presta molta attenzione ad essa specialmente perchè come commenta lʼautore del lavoro non sanno cosa fare con essa". I risultati attuali suggeriscono che la disfunzione diastolica è più comune di quanto spesso creduto, che non dovrebbe essere ignorata negli studi ecocardiografici e che se presente in forma moderata o grave ha un importante impatto prognostico. Nello studio sono stati valutati circa pazienti valutati dal 1996 al 2005 con una LVEF pari al 55%. La coorte aveva un'età media di 53 anni e il 54,4% erano donne. Circa il 65,2% ha mostrato disfunzione diastolica da criteri standard che comprendeva la valutazione del flusso trans mitralico ed il flusso polmonare. La disfunzione diastolica è stata classificata come lieve, moderata o grave rispettivamente nel 60,0%, 4,8% e 0,4% della coorte complessiva studiata. La mortalità era pari al 16% durante un follow-up medio di 6,2 anni ed è salita al passo con il grado di disfunzione diastolica al basale: ripsettivamente 7% per quelli con normale funzione diastolica e 21%,

7 24% e 39% nei pazienti con lieve, moderata e grave disfunzione diastolica. La presenza di una disfunzione diastolica moderata o grave eʼ stata considerata come predittore di mortalità. Se si assiste ad un progressivo peggioramento della disfunzione diastolica la prognosi peggiora significativamente. Eʼ ancora sconosciuto se tale progressione avviene per gli effetti negativi dei fattori di rischio come età avanzata, obesità, vita sedentaria o ipertensione o se intrinsecamente peggiora nel tempo come può accadere con la disfunzione sistolica. La funzione diastolica dovrebbe essere sempre incluso nelle valutazioni ecocardiografiche e in caso di presenza di una disfunzione mite, dovrebbe essere ripetuta nel tempo per verificare che essa non diventi moderata o grave. Arch Intern Med 2011; 171: Risultati dello studio clinico SHARP (Study of Heart and Renal Protection) È stato dimostrato che un regime terapeutico a base di statine contribuisce ad abbassare i livelli di colesterolo LDL con conseguente riduzione del rischio di infarto del miocardio, ictus ischemico e della necessità di intervenire con rivascolarizzazione coronarica nei soggetti non affetti da nefropatia; rimangono tuttavia da dimostrare gli effetti di tale terapia sui soggetti affetti da nefropatia da moderata a grave. Lo scopo dello studio clinico SHARP era quello di valutare l'efficacia e la sicurezza di una terapia combinata ezetimibesimvastatina in questa popolazione di pazienti. Questo studio clinico randomizzato, in doppio cieco, ha previsto l'arruolamento di pazienti affetti da nefropatia cronica, di cui in dialisi, la cui storia clinica non includeva infarto del miocardio o rivascolarizzazione coronarica. I pazienti sono stati assegnati mediante randomizzazione alla terapia combinata simvastatina-ezetimibe (20 mg e 10 mg al giorno, rispettivamente) e al gruppo placebo. L'outcome principale è stato identificato nel primo evento arteriosclerotico importante (infarto del miocardio non fatale o morte coronarica, ictus non emorragico o una qualsiasi procedura di rivascolarizzazione coronarica). Tutte le analisi erano di tipo ITT (Intention To Treat). Questo studio clinico è stato registrato nel database ClinicalTrials.gov, con i codici NCT e ISRCTN pazienti sono stati assegnati al gruppo attivo mentre al gruppo di controllo. Nei pazienti sottoposti a terapia combinata simvastatina-ezetimibe è stata riscontrata una differenza media nel livello di colesterolo pari a 0,85 mmol/l (SE = 0,02 con una percentuale di aderenza alla terapia pari a 2/3) con un follow-up medio di 4,9 anni e una riduzione proporzionale del 17% degli eventi arteriosclerotici (526 [11,3%] nel gruppo

8 simvastatina-ezetimibe contro 619 [13,4%] nel gruppo placebo; rate ratio [RR] 0,83, CI 95% 0,74 0,94; log-rank p=0,0021). Un numero non statisticamente rilevante di pazienti assegnati al gruppo attivo è stato colpito da infarto del miocardio non fatale o è deceduto per una coronaropatia (213 [4,6%] contro 230 casi nel gruppo placebo [5,0%]; RR 0,92, CI 95% 0,76 1,11; p=0,37); è stata registrata una riduzione significativa nel numero di ictus non emorragici (131 [2,8%] contro 174 [3,8%]; RR 0,75, CI 95% 0,60 0,94; p=0,01) e di procedure di rivascolarizzazione coronarica (284 [6,1%] contro 352 [7,6%]; RR 0,79, CI 95% 0,68 0,93; p=0,0036). La ponderazione dei livelli di abbassamento del colesterolo LDL specifici per ciascun sottogruppo non ha fornito prove evidenti che gli effetti proporzionali sugli eventi arteriosclerotici importanti differivano dal rate ratio complessivo in ciascun sottogruppo esaminato e, in particolare, si dimostravano equivalenti nei due sottogruppi composti da pazienti dializzati e non. In relazione al trattamento con questa combinazione di farmaci il rapporto dell'eccesso di rischio di miopatia era soltanto di 2 pazienti l'anno su (9 [0,2%] contro 5 [0,1%]). Non sono state riportate evidenze di eccesso di rischio di epatite (21 [0,5%] contro 18 [0,4%]), calcoli biliari (106 [2,3%] contro 106 [2,3%]), tumore (438 [9,4%] contro 439 [9,5%], p=0,89) e decesso per patologia non vascolare (668 [14,4%] contro 612 [13,2%], p=0,13). La riduzione dei livelli di colesterolo LDL a seguito di terapia combinata simvastatinaezetimibe (20 mg e 10 mg al giorno, rispettivamente) si è dimostrata efficace nel ridurre l'incidenza di eventi arteriosclerotici importanti in un numero elevato di pazienti affetti da nefropatia cronica. Baigent C, Landray MJ, Reith C, et al. The effects of lowering LDL cholesterol with simvastatin plus ezetimibe in patients with chronic kidney disease (Study of Heart and Renal Protection): a randomised placebo-controlled trial. The Lancet. 2011;DOI: /S (11)

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