Biomeccanica del carpo
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- Raffaela Bertini
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1 LO SCALPELLO (2010) 24:9-15 DOI /s Aggiornamenti Biomeccanica del carpo G. Tucci, V. Amorese Ospedale Specializzato Regionale L. Spolverini, Ariccia (Roma) ABSTRACT CARPAL KINEMATICS Diagnosis and treatment of carpal instability require a thorough understanding of the structures involved in the complex carpal motion. After more than a century since the earlier studies on this subject, no unambiguous theory or model can fully explain carpal kinematics. Over the years several authors proposed theoretical models in the attempt to describe the complexity of wrist and carpal motion. The row theory, the column theory, a combination of both and, more recently, the oval ring theory tried to simplify this difficult subject. The study of carpal kinematics has gained renewed interest largely because of the development of newer techniques that have been able to study carpal bone position in vivo without the restrictions related to radio-opaque markers or other bone-tracking devices. Thanks to these threedimensional analysis techniques the idea of complex multiplanar movement of the carpal bones led to the development of the dart s thrower motion concept. This motion is thought to be used in many daily-living activities and involves an obliquely oriented plane of wrist motion ranging from combined radial deviation and extension to combined ulnar deviation and flexion. The ongoing studies on several aspects of normal and pathologic carpal motion probably will lead in the near future to a better understanding of this complex subject that will necessarily influence the treatment and rehabilitation of carpal instability. Introduzione Il carpo è un insieme composito di ossa brevi e legamenti che formano un unità funzionale in grado di fornire al tempo stesso elevata mobilità e adeguata stabilità nella trasmissione delle forze dall avambraccio alla mano. La funzione normale del carpo garantisce il posizionamento ottimale della mano rispetto all avambraccio consentendo una trasmissione delle forze molto stabile. Questo equilibrio tra movimento e stabilità rappresenta il presupposto essenziale per la funzione ideale della mano, che spazia dal controllo motorio più fine alle attività di presa più energiche. Quando la cinematica normale del carpo è compromessa, l instabilità delle ossa del carpo può provocare debolezza, rigidità, dolore cronico e, se non trattata, artrosi precoce. Non sorprende quindi che la diagnosi e il trattamento dell instabilità del carpo abbiano suscitato negli ultimi anni un interesse crescente nella comunità ortopedica, via via che miglioravano le acquisizioni nel campo della biomeccanica e della classificazione e conseguentemente si ampliavano le indicazioni al trattamento di questa patologia. Naturalmente un trattamento adeguato dell instabilità del carpo non può prescindere da una profonda conoscenza dell anatomia e dalla comprensione della complessa cinematica articolare delle strutture carpali. L analisi di questo argomento ha visto nel corso degli anni lo sviluppo di teorie che, a partire dagli studi anatomici, sono state integrate, fin dalla prima metà del secolo scorso, con le prime indagini radiologiche in un complesso sistema di teorie di patomeccanica, successivamente sottoposte al va- 9
2 glio della clinica. Lo scopo di questa breve rassegna è ripercorrere sommariamente le teorie principali che hanno contribuito a stabilire le conoscenze di base in questo campo (Tabella 1), accennando alle recenti acquisizioni rese possibili dalle attuali raffinate metodiche di studio per fornire al chirurgo ortopedico una panoramica su un argomento quanto mai complesso e sempre più di stretta attualità. Le differenti teorie esplicative della cinematica carpale Il polso garantisce movimento in due piani: flesso-estensione e deviazione radiale/ulnare. La flesso-estensione si svolge tra l articolazione radio-carpica e medio-carpica. Anche se ancora oggetto di discussione, sembra che una certa maggiore quota di movimento sia da ascrivere all articolazione radio-carpica. Secondo la teoria delle filiere carpali ( row theory ) il carpo è un unità funzionale complessa costituita da otto ossa disposte in due filiere che si articolano con il radio distale e con la fibrocartilagine triangolare. La filiera prossimale è rappresentata da scafoide, semilunare e piramidale. La filiera distale è composta da trapezio, trapezoide, capitato e uncinato. Il pisiforme è considerato un sesamoide del flessore ulnare del carpo. Questa teoria ipotizza che la filiera prossimale e quella distale lavorino come due unità funzionali distinte. La filiera distale è fissa e può essere considerata come singola unità funzionale, mentre la filiera prossimale è legata da vincoli meno stabili, è priva di inserzioni tendinee ed è presente una discreta quota di movimento tra le singole ossa che la compongono. I movimenti delle ossa della filiera distale vengono diretti dall azione dei flessori e degli estensori del polso (estrinseci), mentre la filiera prossimale rappresenta un segmento intercalato Tabella 1 Le principali teorie della biomeccanica carpale Teoria delle filiere Johnston 1907 Teoria delle colonne Navarro 1909 Teoria delle colonne modificata Taleisnik 1978 Oval ring Lichtman 1981 Colonne longitudinali Weber 1988 la cui direzione di movimento dipende strettamente dal comportamento della filiera distale. Secondo questa visione (modificata da Gilford) [1] i movimenti di flesso-estensione del polso sono coordinati in maniera pressoché equivalente da parte delle articolazioni radiolunata e luno-capitata e ciascuna filiera ruota attorno a un singolo centro di rotazione situato in prossimità della sua superficie articolare prossimale (complesso scafo-capito-lunato). Questa teoria enfatizza l instabilità intrinseca di un tale sistema a due vincoli sotto carico, che tenderebbe ad accartocciarsi in assenza di un meccanismo stabilizzatore. In sostanza l articolazione del carpo sarebbe costituita da un semplice collegamento tra la filiera prossimale e distale il cui punto cardine è localizzato in corrispondenza del centro di rotazione del capitato e del semilunare. In questo meccanismo lo scafoide viene considerato parte integrante e mezzo essenziale di collegamento tra le due filiere, ma la sua importanza viene ulteriormente accresciuta dal fatto che lo scafoide agisce come ponte o tirante in grado di stabilizzare un complesso stabile solo in tensione e con la tendenza a collassare in compressione. Ipotizzata per la prima volta da Destot e divulgata grazie alla traduzione di F.R.B. Atkinson nel 1926 [2] la teoria delle filiere carpali riconosce un ruolo funzionale centrale al sistema scafo-lunato. Landsmeer nel 1961 [3], sulla base della considerazione che non vi sono inserzioni tendinee su scafoide, semilunare e capitato, propose per queste tre strutture il termine di segmento intercalato, interposto tra le superfici articolari del radio e dell ulna e le ossa della filiera distale saldamente legate tra loro. Nel 1972 Linscheid, partendo sempre da queste basi concettuali, introdusse un altro principio fondamentale per la comprensione della patogenesi dell instabilità del carpo [4]. Discutendo il comportamento del segmento intercalato nelle deformità post-traumatiche del carpo, Linscheid utilizzò il termine dorsal intercalated segment instability (DISI) per descrivere il tipico orientamento dorsale del semilunare legato alle patologie del legamento scafo-lunato, mentre con volar intercalated segment instability (VISI) indicava la condizione analoga determinata dalle lesioni del legamento luno-piramidale. L importanza clinica del segmento intercalato verrà approfondi- 10
3 ta più oltre in altri capitoli di questo fascicolo. Tramite le contrazioni muscolari viene impartito il movimento alla filiera distale e questa determina indirettamente la mobilizzazione della filiera prossimale, le cui tre ossa seguono in maniera sincronizzata grazie ai robusti legamenti interossei. Questa interazione è dimostrata dai movimenti relativi che avvengono nella deviazione radiale e ulnare. Via via che il polso devia ulnarmente, la filiera prossimale si estende e il piramidale si sposta permettendo all uncinato di traslare ulnarmente. Nella deviazione radiale, invece, la filiera prossimale si flette e lo scafoide si sposta per consentire al trapezoide/trapezio di muoversi in direzione radiale. Occorre un assoluta precisione di movimento reciproco per garantire una transizione scorrevole dalla deviazione radiale a quella ulnare senza alterare la distanza tra il capitato e il radio. In mancanza di questa precisione si assisterebbe a un allungamento o a un accorciamento del carpo durante questi movimenti. Una delle teorie proposte all inizio del Novecento per spiegare la biomeccanica del polso è la cosiddetta teoria delle colonne del carpo, proposta inizialmente da Navarro [5] nel 1909 e successivamente modificata e resa popolare da Taleisnik [6,7] alla fine degli anni Settanta. Questo schema interpretativo della biomeccanica del carpo suddivide il polso in tre colonne longitudinali, facendo tra l altro in parte riferimento a nozioni filogenetiche riferite all evoluzione degli uccelli e di altre specie. La colonna radiale è costituita da scafoide, trapezio e trapezoide; la colonna centrale comprende semilunare, capitato e uncinato; mentre la colonna ulnare è rappresentata da piramidale e pisiforme (Fig. 1). La modifica introdotta da Taleisnik prevedeva di inserire trapezio e trapezoide alla colonna centrale e di eliminare il pisiforme dalla colonna ulnare (Fig. 2). Secondo questa teoria la flesso-estensione avviene tramite la colonna centrale attraverso l articolazione capito-lunata, lo scafoide stabilizza la colonna radiale e l articolazione piramidouncinata domina la rotazione. La deviazione radiale e quella ulnare avvengono per mezzo della rotazione dello scafoide lateralmente e del piramidale medialmente. Lo scafoide viene quindi considerato il vincolo stabilizzatore dell articolazione medio-carpica e il piramidale il Fig. 1 - La teoria delle colonne secondo Navarro (blu: colonna radiale; giallo: colonna intermedia; rosso: colonna ulnare) pivot per la rotazione del carpo. In seguito anche Weber ha contribuito alla comprensione della biomeccanica del carpo e ha tentato in particolare di chiarire il ruolo del piramidale [8]. Egli sottolineava che il segmento intercalato carpale è controllato da vincoli legamentosi e da superfici di contatto. Queste ultime garantiscono stabilità durante tutto l arco di movimento e nello stesso tempo trasmettono i carichi [9]. Weber riteneva, come Navarro, che è utile immaginare il carpo in ter- Fig. 2 - La modifica introdotta da Taleisnik alla teoria delle colonne: la colonna centrale comprende semilunare,capitato, uncinato, trapezio e trapezoide, la colonna radiale lo scafoide e la colonna ulnare solo il piramidale 11
4 Fig.3 - Secondo la oval ring theory il carpo è costituito da quattro segmenti indipendenti: la filiera carpale distale, lo scafoide, il semilunare e il piramidale. Un collegamento radiale mobile (articolazione trapezio-scafoidea) e uno ulnare (articolazione piramido-uncinata) in giallo nella figura uniscono le filiere distale e prossimale mini di colonne longitudinali, nel tentativo di comprendere il controllo del segmento intercalato in termini di punti di contatto. Weber postulava l esistenza di una colonna che sostiene il carico, costituita dal radio distale, dal semilunare, dai due terzi prossimali dello scafoide, dal capitato, dal trapezoide e dall articolazione del carpo con il secondo e il terzo metacarpo. La funzione di questa colonna deputata a sopportare il carico è di trasmettere le forze generate dalla mano all avambraccio. Secondo Weber una seconda colonna portante è costituita dall ulna distale, dal complesso ulno-carpale, dal piramidale, dall uncinato e dalla base del quarto e quinto metacarpo. La trasmissione delle forze longitudinali da parte di questa colonna è limitata dalla tolleranza in tal senso esplicata dalla fibrocartilagine triangolare, mentre la maggior parte dei carichi verrebbe deviata, attraverso la rigida articolazione capitato-uncinata, verso la colonna centrale. Il controllo rotatorio sarebbe invece da ascriversi all articolazione piramido-uncinata. La terza colonna è quella pollice-assiale che comprende il terzo distale dello scafoide, l articolazione trapezio-trapezoide e la base del primo metacarpo. Questa colonna è il supporto per la base del primo metacarpo e per il pollice, cui conferisce una certa autonomia funzionale. Tuttavia anche in questo caso le forze compressive verrebbero trasferite alla colonna centrale attraverso lo scafoide, il trapezio e il trapezoide, fino al capitato. Diversamente dai concetti ad anello e da quelli a geometria variabile, le teorie delle colonne spiegano la presenza di forze e carichi che vengono necessariamente trasferiti dalla mano all avambraccio in maniera longitudinale. Nel 1981 Lichtman e coll. hanno sostenuto che una teoria delle colonne non riesce a rendere conto dell instabilità trasversale e perilunare o dei diversi quadri clinici delle instabilità trasversali mediocarpiche o carpali prossimali. Hanno quindi proposto una nuova soluzione per spiegare il movimento tridimensionale del polso con la loro teoria oval ring (Fig. 3) [10]. Secondo questa teoria il carpo è un anello trasversale formato dalle filiere distale e prossimale tenute insieme da due legami fisiologici: un collegamento radiale (la mobile articolazione trapezio-scafoidea) e un legame ulnare (l articolazione rotatoria piramido-uncinata). In sostanza il carpo sarebbe costituito da quattro segmenti indipendenti: la filiera carpale distale, lo scafoide, il semilunare e il piramidale. Connessioni legamentose uniscono ciascun segmento ai suoi due adiacenti. La continuità dei legamenti assicura una mobilità sincrona e sinergica. La lesione di uno qualsiasi dei legami determina una disfunzione. In seguito a ulteriori studi biomeccanici si è affermato il concetto che lo scafoide segue due principali modalità di movimento, una nella flesso-estensione, l altra nella deviazione radio-ulnare. Inoltre la variabilità dei modelli di escursione articolare riscontrata nei diversi soggetti condusse a ritenere che la cinematica del carpo non è uniforme e pertanto non può essere descritta in maniera unitaria con la teoria delle colonne o delle filiere. In particolare Craigen e Stanley, nel 1995, partendo dalla critica della tradizionale teoria delle filiere carpali, basata sul fatto che la cinematica dello scafoide durante la deviazione radio-ulnare risulta estremamente variabile tra soggetti maschi e femmine, hanno sottolineato che alcuni elementi delle varie teorie (colonne, filiere, oval ring ), anche se talvolta in contraddizione, sono utili per la comprensione della complessa cinematica multidimensionale del polso [11]. Garcia-Elias e coll. [12] hanno parimenti concluso che la direzione di movimento dello sca- 12
5 foide nella deviazione radio-ulnare può variare nei diversi individui ed è correlata al grado di lassità legamentosa (un esempio è la sindrome di Marfan dove è quasi sempre presente una dissociazione scafo-lunata). Studi più recenti condotti su 10 volontari sani di entrambi i sessi, con una tecnica in vivo di cinematica tridimensionale che non necessita di marker ossei, hanno invece evidenziato che il movimento di scafoide, semilunare e capitato risulta estremamente uniforme durante la flesso-estensione [13]. Difficoltà e limiti delle teorie tradizionali In verità è difficile riuscire a stabilire se le difformità tra i diversi studi di biomeccanica del carpo siano dovute a reale variabilità riscontrata nei diversi soggetti arruolati per le indagini o se non siano in realtà da ascrivere ai limiti delle tecniche di misurazione. È ovvio che i risultati dei primi studi basati su misurazioni biplanari che utilizzavano la radiologia tradizionale erano svalutati dall impossibilità di tener conto della complessa morfologia delle ossa carpali, in particolare per quanto concerne l asse di prono-supinazione. Questa consapevolezza ha sollecitato lo sviluppo di tecniche in grado di valutare i complessi movimenti reciproci delle ossa del carpo. Negli ultimi anni molti studi hanno utilizzato modelli anatomici da cadavere dotati di dispositivi di rilevazione nel tentativo di registrare in maniera più fedele il movimento. Tuttavia questa metodica presenta limitazioni intrinseche: qualsiasi marcatore radio-opaco o pin impiantato tende ad andare in conflitto con i tessuti molli e i legamenti del carpo e inoltre l utilizzo di modelli da cadavere preclude la comprensione della stabilizzazione dinamica dovuta alle forze muscolari che agiscono in un sistema complesso come la cinematica articolare del carpo. L applicabilità di questi studi al contesto clinico è quindi limitata dalle difficoltà di simulare le normali condizioni di carico del polso. Si è così fatto strada il concetto di una valutazione delle condizioni normali e patologiche del carpo in vivo, di recente resa possibile grazie al progresso degli apparecchi di diagnostica per immagini e al miglioramento dei relativi software di ricostruzione. Sono quindi stati pubblicati lavori condotti con tecniche di acquisizione tridimensionale prive di marcatori, per mezzo della TC e successivamente della RM, che presenta il vantaggio di poter eseguire valutazioni dinamiche più fini, non esponendo il soggetto alle radiazioni ionizzanti. La maggior parte degli studi di cinematica carpale ha studiato il comportamento del carpo nei piani anatomici tradizionali: sagittale (flesso-estensione) e coronale (deviazione radiale e ulnare). Lo scafoide in flesso-estensione si muoverebbe principalmente su un piano sagittale. Nella flesso-estensione scafoide e semilunare seguono la direzione di movimento del polso, ma presentano una escursione minore in quanto il movimento globale dipende in parte dallo spostamento della filiera prossimale e in parte da quella distale (lo scafoide contribuisce al 73% della flessione del polso e al 99% dell estensione; il semilunare al 46% della flessione e al 68% dell estensione). Ciò implica anche che tra scafoide e semilunare esiste un discreto movimento reciproco. Nella deviazione radio-ulnare, anche se l argomento risulta ancora controverso, sembra che il movimento dello scafoide al di fuori del piano sagittale sia minimo (solo pochi gradi) [14]. Il semilunare segue il movimento dello scafoide e pertanto si muove anch esso principalmente nel piano di flesso-estensione. La filiera distale possiede rapporti interossei più saldi e il capitato, per la sua posizione anatomica, è stato a lungo considerato la chiave di volta del carpo. In seguito diversi Autori non sono stati d accordo nel considerarlo il centro di rotazione del carpo. Effettivamente recenti studi eseguiti con ricostruzioni TC mettono in discussione la possibilità che la flesso-estensione del polso avvenga intorno a un singolo asse di rotazione che in precedenza era stato identificato in corrispondenza del polo prossimale del capitato. Secondo queste indagini, nella flessione del polso il capitato va incontro a pochi gradi di movimento multiplanare. Il centro di rotazione del capitato non è costante durante tutto l arco di movimento e dipende in particolare dal grado di flessione e di deviazione ulnare del polso. Gli assi di rotazione del capitato variano in funzione della posizione e non si intersecano in un singolo punto, a dimostrazione del fatto che il carpo non si comporta come una pivot joint e si muove invece attraverso complessi meccanismi multipla- 13
6 Fig. 4 - Dart thrower s motion. Il movimento che si esegue nel lanciare la freccetta (e in molte altre attività manuali come usare un martello) schematizza un piano di movimento obliquo che va dalla deviazione radiale ed estensione alla deviazione ulnare e flessione nari [15]. Comunque il capitato e il terzo metacarpo sono essenzialmente rigidi e si muovono come una singola unità durante tutto l arco di movimento del polso. Dart thrower s motion Uno dei motivi che hanno portato allo sviluppo di diverse teorie e all incertezza circa la reale biomeccanica del carpo consiste nella controversia riguardante la semplificazione della cinematica carpale legata all utilizzo dei due piani principali di movimento: quello della flesso-estensione e quello della deviazione radioulnare. Anche se alcune delle discrepanze possono essere legate alle metodiche di misurazione, sembra di poter affermare che l assenza di accordo su una teoria univoca in proposito possa essere riconducibile proprio a questi limiti imposti dalla concezione arbitraria dei due soli piani ortogonali per spiegare un movimento che in molti ritengono essere decisamente più complesso. Il primo impulso verso lo sviluppo di una teoria multidimensionale del carpo va attribuito a Fisk che notò l associazione di estensione del polso e deviazione radiale e flessione del polso e deviazione ulnare che si esegue in alcune attività come lanciare una freccetta o condurre un orchestra. In seguito Palmer e coll. dimostrarono come molte attività della vita quotidiana, esemplificate dall uso del martello, comprendono un arco di movimento che va dalla deviazione radiale ed estensione del polso alla deviazione ulnare e flessione del polso [16]. Questi Autori resero popolare il termine dart thrower s arc per descrivere questo movimento pluriarticolare. In realtà la maggior parte degli sport che comportano l utilizzo della mano utilizza questo arco di movimento. È stato quindi ideato e divulgato il modello del piano di movimento cosiddetto del dart s thrower (lanciatore di freccette). Questo modello presenta un piano di movimento del polso orientato obliquamente che varia da posizioni di deviazione radiale ed estensione combinati a posizioni di deviazione ulnare e flessione combinati. Questa posizione è utilizzata durante molte attività della vita quotidiana e si ritiene essere una tipologia di movimento in grado di conferire agilità e mobilità mantenendo al contempo un certo grado di stabilità intrinseca (Fig. 4). Crisco e coll. hanno confermato che lo scafoide e il semilunare si muovono quasi esclusivamente in flesso-estensione indipendentemente dalla direzione di movimento del polso, ma l entità di rotazione di scafoide e semilunare dipende in larga misura dalla direzione globale di movimento del polso. Sulla base di questi reperti Wolfe e coll. e Moritomo e coll. hanno postulato che il dart thrower s arc rappresenti il piano di movimento più stabile e controllabile dal punto di vista cinematico e pertanto sia il piano funzionale di movimento del polso utilizzato per la maggior parte delle attività ricreative e lavorative [17]. Il fatto che in tale escursione i movimenti dello scafoide e semilunare siano minimi presenta diverse importanti implicazioni cliniche: per esempio, dopo interventi chirurgici sulla radio-carpica e sulla filiera prossimale, sarebbe possibile concedere una mobilizzazione di queste articolazioni, a patto di vincolare il movimento del piano del dart thrower. Infine, poiché la filiera prossimale sarebbe soggetta a una quota così scarsa di movimento durante questa escursione articolare, che viene utilizzata in un ampia gamma di attività umane, si ipotizza che questo aspetto possa indicare un adattamento morfologico del carpo finalizzato a facilitare queste attività. In particolare Wolfe e coll. hanno proposto che questa evoluzione della cinematica carpale abbia fornito un vantaggio in termini di sopravvivenza in quanto in grado di fornire una base stabile per l utilizzo di strumenti, armi o manufatti [18]. Sono in corso studi per valutare se questo tipo di movimento si sia evoluto in sincrono con lo sviluppo della mano, e sia quindi caratteristico degli esseri umani, o se rappresenti invece il retaggio di un precedente adattamento all ambiente condiviso con gli altri primati e derivante da un antenato comune. Considerazioni conclusive Il problema della difficoltà nel descrivere e definire correttamente i meccanismi che sottostanno al mantenimento della stabilità del carpo si riflette necessariamente nelle difficoltà di classificazione e trattamento dell instabilità del carpo, che rappresenta senz altro una delle patologie più complesse e di conseguenza più difficili da trattare che il chirurgo or- 14
7 topedico attuale si trova ad affrontare. Questa breve esposizione ha evidenziato la straordinaria complessità che si incontra nello studio della biomeccanica di questo sistema articolare, che rende ragione delle incertezze che persistono ancora oggi, a più di un secolo dalla prima descrizione, da parte di Etienne Destot, dell instabilità del carpo. La mole di lavori che nel corso degli anni ha contribuito all ampliarsi delle conoscenze sulla cinematica carpale è stata per lungo tempo basata principalmente su studi autoptici o di radiologia convenzionale. Di recente tuttavia si è assistito allo sviluppo di tecnologie non invasive che hanno unito alle migliori tecniche di imaging radiologico (TC e RM dinamiche) l impiego di sistemi computerizzati di ricostruzione tridimensionale in grado di fornire i primi modelli sperimentali capaci di ricostruire in vivo con accuratezza sorprendente i movimenti reciproci delle diverse strutture articolari. Anche se queste tecnologie sono ancora agli inizi, è prevedibile che si assisterà rapidamente a grandi sviluppi in questo specifico campo. Ancora non disponiamo di una teoria unificatrice sulla biomeccanica del carpo, tuttavia è probabile che gli sforzi di molti ricercatori possano presto chiarire i residui punti controversi, portando alla comprensione globale della biomeccanica del carpo nella normalità e nelle condizioni patologiche e fornendo un ausilio insostituibile al chirurgo ortopedico nella continua ricerca del trattamento migliore per i propri pazienti. Bibliografia 1. Gilford WW, Bolton RH, Lambrinudi C (1943) The mechanism of the wrist joint with special reference to fractures of the scaphoid. Guy s Hospital Report 92: Destot E (1986) The classic: injuries of the wrist: a radiological study. Clin Orthop 202: Landsmeer JM (1961) Studies in the anatomy of articulation. I. The equilibrium of the intercalated bone. Acta Morphol Neerl Scand 3: Linscheid RL, Dobyns JH, Beabout JW, Bryan RS (1972) Traumatic instability of the wrist. Diagnosis, classification and pathomechanics. J Bone Joint Surg Am 54: Navarro A (1921) Luxaciones del carpo. An Fac Med 6: Taleisnik J (1976) The ligaments of the wrist. J Hand Surg Am 1: Taleisnik J (1978) Wrist: anatomy, function and injury. Instruct Course Lect 27: Weber ER (1980) Biomechanical implications of scaphoid wrist fractures. Clin Orthop 149: Weber ER (1984) Concepts governing the rotational shift of the intercalated segment of the carpus. Orthop Clin North Am 15: Lichtman DM, Schneider JR, Swafford AR, Mack GR (1981) Ulnar midcarpal instability-clinical and laboratory analysis. J Hand Surg Am 6: Craigen MA, Stanley JK (1995) Wrist kinematics. Row, column or both? J Hand Surg Br 20: Garcia-Elias M, Ribe M, Rodriguez J et al (1995) Influence of joint laxity on scaphoid kinematics. J Hand Surg Br 20: Wolfe SW, Neu C, Crisco JJ (2000) In vivo scaphoid, lunate, and capitate kinematics in flexion and in extension. J Hand Surg Am 25: Moojen TM, Snel JG, Ritt MJ et al (2002) Three-dimensional carpal kinematics in vivo. Clin Biomech 17: Neu CP, Crisco JJ, Wolfe SW (2001) In vivo kinematic behavior of the radiocapitate joint during wrist flexion-extension and radio-ulnar deviation. J Biomech 34: Palmer AK, Werner FW, Murphy D, Glisson R (1985) Functional wrist motion: a biomechanical study. J Hand Surg Am 10: Moritomo H, Murase T, Goto A et al (2004) Capitate-based kinematics of the midcarpal joint during wrist radioulnar deviation: an in vivo three-dimensional motion analysis. J Hand Surg Am 29: Wolfe SW, Crisco JJ, Orr CM, Marzke MW (2006) The dart-throwing motion of the wrist: is it unique to humans? J Hand Surg Am 31:
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