FISICA ATOMICA E SUBATOMICA LA RELATIVITA'

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1 FISICA ATOMICA E SUBATOMICA LA RELATIVITA' 1 La velocità della luce il vento dell'etere Nel 1800 i fisici ritenevano che nello spazio esistesse un fluido, chiamato vento dell'etere, che si muovesse alla velocità di un punto sulla Terra, nella sua rotazione intorno al Sole (velocità media m / s), ma in senso opposto ad essa. Ritenevano pure che, applicando la legge di composizione delle velocità, un raggio di luce venisse accelerato o rallentato, secondo che esso si propagasse nella stessa direzione del vento dell'etere, o in senso opposto Due fisici statunitensi, Michelson e Morley, dimostrarono con un famoso esperimento che un raggio di luce si propaga alla stessa velocità, tanto se viaggia in direzione Est-Ovest quanto se si muove in direzione Ovest-Est e conclusero che il vento dell'etere non esiste 2 L'esperimento di Michelson e Morley L'apparecchio impiegato da Michelson, detto interferometro,era montato su una lastra di marmo, che galleggiava sul mercurio ed era perciò in grado di essere ruotata in qualunque direzione. Un raggio di luce, originato da una unica sorgente A, A veniva diviso in due da una lastra di vetro, L, posta in B, semiargentata, per riflettere una parte del raggio e lasciarsi attraversare, con rifrazione, dall'altra parte. O B In R ed in S c'erano due specchi che riflettevano i L R raggi all'indietro: i cammini dei due raggi erano quindi i seguenti: ABR con il ritorno RBO ed ABS con il ritorno SBO. S Al termine dei loro cammini diversi i due raggi si ricombinavano su una lastra fotografica O dove, appunto per la differenza dei percorsi, appariva una figura di interferenza Veniva prima effettuato un esperimento con l'interferometro orientato in modo che il percorso RBO fosse in direzione Est-Ovest e si registrava la figura di interferenza Si ripeteva poi l'esperimento con l'apparecchio ruotato di 180 in modo che lo stesso percorso fosse orientato in direzione Ovest-Est e si registrava di nuovo la figura di interferenza Se ci fosse stata l'influenza del vento dell'etere sui tempi di percorrenza dei cammini, dovuta al fatto che, a seconda dell'orientamento dell'apparecchio, la velocità della luce avrebbe dovuto sommarsi o sottrarsi a quella del vento dell'etere, ci sarebbe stato un cambiamento della figura di interferenza Non essendo stata registrata nessuna variazione, gli sperimentatori conclusero che il vento dell'etere non esiste 1

2 La conclusione più generale è che la velocità della luce ( che nel vuoto è km /s) è la stessa qualunque sia il sistema di riferimento scelto, perché non si somma né si sottrae ad altre velocità 3 Il tempo assoluto e la simultaneità I fisici prima di Einstein ritenevano che esistesse un tempo assoluto, cioè immutabile e identico in tutti i sistemi di riferimento ( ad es un osservatore O 1 fermo ed un osservatore O 2 in movimento con velocità v ) Se si potesse trasmettere istantaneamente ( cioè velocità S 1 S 2 della luce c = ) un segnale, ad es un lampo di luce emesso dalla esplosione contemporanea di due stelle fisse, S 1 ed S 2 lontanissime tra di loro e dagli osservatori, tutti gli osservatori concorderebbero nell'affermare che i due lampi sono stati simultanei O 2 Se esistesse la simultaneità assoluta sarebbe possibile O 1 sincronizzare tutti gli orologi dell'universo, anche se in moto relativo uno rispetto ad un altro; esisterebbe quindi un tempo v assoluto, che scorrerebbe uguale per tutti gli osservatori, fermi od in moto Ma poiché la velocità della luce non è infinita, si deve concludere che il tempo assoluto non esiste 4 Gli assiomi della teoria della relatività Einstein propose di rifondare la fisica partendo da due assiomi: -1- Invarianza delle leggi fisiche Le leggi ed i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento -2- Invarianza della velocità della luce La velocità della luce è la stessa in qualunque sistema di riferimento inerziale, indipendentemente dallo stato di moto o di quiete del sistema stesso o dalla sorgente della luce Questo secondo assioma spiega il risultato dell'esperimento di Michelson: infatti se la velocità della luce non dipende dal sistema di riferimento, non si ha variazione nei tempi di percorrenza dei cammini dei raggi ottici, capovolgendo lo strumento da un senso dei percorsi a quello opposto 5 La relatività della simultaneità Se in due punti P 1 e P 2 equidistanti da un punto P, si verifica un lampo di luce e se la P 1 P 2 luce giunge in P contemporaneamente, cioè P nello stesso istante, siccome P 1 P = P 2 P, i lampi di luce devono essere stati simultanei 2

3 . Questo concetto, però, è relativo Figura al v Si supponga che alle due estremità di un vagone tempo t = 0 O 2 ferroviario, in moto verso sinistra con velocità v elevata, scoppino due petardi. O 1 La luce da essi emessa giunge, contemporaneamente, all'osservatore O 1, fermo a terra alla stessa distanza dai punti delle due esplosioni Invece, essendo il vagone in moto, il lampo di luce di sinistra giunge, se v è molto elevata, all'osservatore s O 2 che sta a metà del vagone, un po' prima del lampo di destra, perché, mentre i due lampi viaggiano alla velocità della luce, il vagone, che si muove alla elevata Figura dopo v velocità v, percorre lo spazio s un tempo t O 2 Per O 1 i due lampi sono stati simultanei; per O 2 no Simmetricamente, se invece di fare riferimento al binario O 1 fermo si fa riferimento al vagone in moto come se fosse fermo, i due lampi risultano simultanei per l'osservatore O 2 e non per O 1, E' facile constatarlo esaminando le due figure, corrispondenti a due istanti vicinissimi tra di loro, pari a t = s /v, molto piccolo essendo v molto grande. Si può quindi concludere che il giudizio di simultaneità è relativo, in quanto dipende dal sistema di riferimento La simultaneità assoluta non esiste e quindi non si può definire un tempo assoluto che scorra nello stesso modo per tutti gli osservatori Tuttavia nella vita quotidiana, essendo le velocità come la v molto inferiori rispetto a c, non è possibile avere una esperienza diretta della relatività della simultaneità 6 La dilatazione dei tempi Con riferimento alla figura; E è un orologio emettitore S S di luce; alla distanza d al di sopra di E c'è uno specchio S. P è una piattaforma che si muove con velocità v molto grande, su cui è collocato E Per un osservatore O 1 situato sulla piattaforma la d luce emessa da E, per ritornare ad E dopo la iflessione sullo specchio S percorre due volte il A B cammino ES nel tempo t = 2 d / c, (1) O 1 E E H E segnato dall'orologio E P v Per un osservatore O 2 fermo a terra, dato il O 2 movimento della P verso destra, la luce percorre i cammini uguali AS e SB, impiegando un tempo t', segnato sempre da E Geometricamente è AS 2 = AH 2 + SH 2 (2) Così pure si ha ( per la (1)) AS = ½ t' c AH = ½ t' v HS = d = ½ t c Elevando le tre espressioni al quadrato e sostituendole nella (2) si ricava c 2 ( t') 2 = v 2 ( t') 2 + c 2 ( t) 2 da cui si ottiene la relazione fondamentale 3

4 t' = t / 1 (v/c) 2 (3) Il denominatore della (3) è minore o uguale all'unità ( per v = 0 il denominatore è uguale a 1, per 0 < v < c il denominatore è minore di 1) Quindi t' è sempre t (misurato da O 1 ) La formula (3) esprime la dilatazione dei tempi Che significa che la durata di qualunque fenomeno risulta minima se è misurata nel sistema di riferimento solidale con esso, cioè nel sistema in cui il fenomeno inizia e finisce nello stesso punto (come O 1 ) Nei sistemi di riferimento in moto (come O 2 ) la durata del fenomeno è maggiore. Si è così scoperto che la misura dello stesso intervallo di tempo è relativa in quanto essa dipende dal sistema di riferimento in cui questo è stato misurato E' un'altra conferma che in fisica non esiste il tempo assoluto La durata di un fenomeno, misurata in un sistema di riferimento solidale con esso, si chiama intervallo di tempo proprio ( in breve : tempo proprio ) del fenomeno. Viene indicato con τ Se si pone γ = 1 / 1 - (v/c) 2 La (3) diventa t' = γ t (4) In cui γ ( 1) è detto coefficiente di dilatazione dei tempi L'andamento di γ in funzione della velocità v è quello γ rappresentato in figura c è detto velocità limite 1 7 La contrazione delle lunghezze v c Si consideri di nuovo il vagone ferroviario di 5, in moto con velocità v verso sinistra, e si supponga che v P al fianco dei binari siano piantati due paletti A e B. O 2 L'osservatore O 1, fermo a terra, misura la distanza tra i due paletti, che nel suo sistema di riferimento risulta A B x Le posizioni dei due paletti non cambiano con O 1 il trascorrere del tempo e x è la differenza tra tali x' x posizioni Se un punto sul vagone impiega il tempo t per passare da una posizione all'altra, si ha x = v t (1) Per O 2, che è sul vagone, la misurazione della distanza tra i paletti, secondo il suo sistema di riferimento, è più complicata v P Di questa grandezza esiste una definizione naturale: O 2 in un dato sistema di riferimento, la lunghezza di un segmento è la differenza tra le posizioni dei suoi estremi, misurate nello stesso istante di tempo, rispetto agli orologi di quel sistema di riferimento O 2 può quindi misurare la distanza x' tra i paletti, calcolando la differenza tra le posizioni istantanee nelle vicinanze dei suoi orologi che sono sincronizzati O 2 può pure effettuare una misurazione diversa mettendosi in una posizione P del vagone e misurando l'intervallo di tempo t' che intercorre tra il passaggio di un paletto vicino a P ed il passaggio del secondo paletto Evidentemente è x' = v t' In cui t' è il tempo proprio nel sistema di riferimento di O 2 4

5 Per effetto della dilatazione dei tempi (v 6), al tempo t' corrisponde, nel sistema di riferimento di O 1, che si muove rispetto ad O 2, un tempo t più lungo; cioè è t = γ t' Da cui x' = v t' = v t / γ E, ricordando la (1), si ha x' = x / γ = 1 (v/c) 2 x Essendo il radicando 1 si può affermare che la lunghezza di un oggetto, in un sistema di riferimento solidale con esso, risulta minore della lunghezza propria dell'oggetto in un sistema di riferimento in cui esso è in quiete (fermo) Ne consegue che la lunghezza propria è la massima lunghezza di un segmento, che può essere misurata nei vari sistemi di riferimento Si può pertanto affermare che il movimento provoca una contrazione delle distanze Come per il tempo si deve concludere che anche lo spazio assoluto non esiste Questo carattere relativo delle grandezze fisiche dà il nome alla teoria einsteiniana, che è stata confermata da numerosi esperimenti con gli acceleratori di particelle 8 La meccanica relativistica può sostituire quella classica Tenendo presenti gli assiomi di Einstein ( 4 ) e tenendo presente che il principio di simultaneità è relativo ( 5 ) e che la durata di un fenomeno varia, allungandosi ( 6 ) e che varia anche la lunghezza di un segmento, accorciandosi, su queste basi è possibile costruire tutta la meccanica relativistica, sostituendo quella classica di Galileo e Newton, quando le velocità dei corpi in moto non siano troppo piccole rispetto alle velocità della luce c 9 L'equivalenza tra massa ed energia Nella meccanica classica valgono le leggi indipendenti di conservazione dell'energia e della massa Nella meccanica relativistica, invece, si scopre che la "massa" non si conserva separatamente. Infatti essa non è se non una forma di energia, che va aggiunta all'energia cinetica ed alla energia potenziale quando si parla di conservazione dell'energia.per la teoria della relatività la massa di un corpo, che assorbe una certa quantità di energia E, non si conserva, ma aumenta della quantità m = E / c 2 (1) Invece la massa di un corpo, che perde dell'energia ( ad es emettendo luce.), diminuisce della stessa quantità (1 ) S' S S' S 10 La quantità di moto della luce v p 1 ' v p 1 p 1y ' p x ' Per dimostrare la (1) di 9 occorre sapere che la luce non trasporta solo energia ma anche quantità di M m v m moto Un corpo che assorbe un lampo di luce con energia, E, riceve una quantità di moto p = E / c (1) p x ' Sia M un corpo di massa m, fermo nel sistema di p 2 p 2y ' riferimento S, che assorbe nello stesso istante due p 2 ' 5

6 lampi di luce provenienti da due direzioni opposte che trasportano, ognuno, l'energia E / 2 Ciascun "pacchetto di energia cede al corpo una quantità di moto p = E / 2c Poiché le due quantità di moto hanno stessa direzione, stessa intensità e versi opposti la loro risultante vettoriale è nulla. Il corpo resta fermo, perché la sua quantità di moto non è variata Se si osserva lo stesso fenomeno in un sistema di riferimento S' che si muove, perpendicolarmente alla direzione delle quantità di moto p 1 e p 2, alla velocità costante v, rispetto ad S, la somma vettoriale delle due quantità di moto. cedute dalla luce al corpo di massa m, non è nulla, perché le due componenti p x ', che hanno stessa direzione e stesso verso, si sommano, dando come risultato 2 p x ', mentre le due componenti verticali p y ' hanno stessa direzione ma verso opposto e quindi si annullano La figura a fianco rappresenta la quantità di moto p' ( AC ) A orientata verso la massa m, la sua componente orizzontale p' p x ' ( BC ), la velocità della luce c ( AE ) e la velocità v del c moto del sistema S' rispetto ad S (DE ) B C Dall'uguaglianza dei due triangoli rettangoli ABC ed ADE p x' si ricava p x ' = (v/c) p' = (v/c) E / 2c = v E / 2 c 2 Quindi la quantità di moto del corpo aumenta della entità D v E p' = 2 p x ' = v E / c 2 Il modulo della quantità di moto del corpo, nel sistema inerziale S', prima dell'assorbimento dei due pacchetti di energia, uguali a E / 2, era p a ' = m v (1) Dopo tale assorbimento la (1) diventa p b ' = p a ' + p' = mv + v E / c 2 D'altra parte la velocità del corpo non cambia qualunque sia il sistema di riferimento, quindi deve essere cambiata la sua massa Dopo avere assorbito l'energia E, il corpo deve avere una massa m' tale che sia p b ' = mv + v E / c 2 = m' v (2) Dal 2 e dal 3 membro della (2) si ottiene m' - m = E / c 2 (3) Cioè m = E / c 2 che è la (1) di 9 che si voleva dimostrare 11 La massa è energia La (1) di 9, scritta di solito E = m c 2 (1) è la relazione di Einstein, che permette di affermare che la massa è una forma di energia in quanto essa scompare quando compare energia e viceversa Un corpo fermo e non soggetto a forze possiede una energia E 0, detta energia di quiete o di riposo, per il solo fatto di avere una massa m 0 Si può scrivere E 0 = m 0 c 2 (2) 12 Energia, massa e quantità di moto in dinamica relativistica -1- L'energia totale relativistica Un corpo fermo possiede l'energia di riposo E 0 ( v la (2) di 11 ). Secondo la fisica classica, se si muove con velocità v, possiede anche un'energia cinetica K = ½ m 0 v 2 Si suppone che il corpo non sia soggetto a forze, per cui non si tiene conto di energie potenziali L'energia totale E, per la fisica classica ( cioè per il modulo di v molto piccolo rispetto a c), è E = m 0 c 2 + ½ m 0 v 2 = m 0 c 2 [ 1 + ½ (v/c) 2 ] (1) 6

7 Quando v/c è molto piccolo (< 0,2) il termine tra parentesi quadre della (1) è uguale al fattore di dilatazione γ ( la (4) di 6 ) Per cui la (1) è da ritenersi una approssimazione della m 0 c 2 E = = γ m 0 c 2 (2) 1 (v/c) 2 che è l'energia totale relativistica Il grafico di E in funzione di v ha un asintoto verticale per v = c. Ciò significa che, se v si avvicinasse a c, la sua energia totale tenderebbe a diventare infinitamente grande. Quindi per accelerare un corpo fino a portarlo a velocità c, occorrerebbe fornirgli una quantità infinita di energia. Poiché ciò non è possibile, c risulta una velocità limite: nessun corpo può raggiungerla, né tantomeno superarla -2- Ovviamente l'energia cinetica relativistica K r è la differenza tra l'energia totale del corpo e la sua energia di riposo Quindi K r = E - m 0 c 2 = γ m 0 c 2 - m 0 c 2 = (γ - 1) m 0 c 2 (3) Quando v è molto minore di c, ( condizione della fisica classica ), riprendendo la (1), la (3) si può scrivere nel modo seguente K r = [ 1 + ½ (v/c) 2 1 ] m 0 c 2 = ½ m 0 v 2 che è l'espressione della energia cinetica della fisica classica -3- La massa relativistica Analogamente a quanto fatto per le altre grandezze, si può definire la massa relativistica come m 0 m = γ m 0 = (4) 1 (v/c) 2 E poiché dalla (2) di 12 risulta γ m 0 = E / c 2 si ha m = E / c 2 che è la (1) di 11 Dalla (4) si deduce che la massa relativistica non è una costante (come nella fisica classica) ma una funzione della velocità Per v = 0 è γ = 1 e quindi m = m 0, che è la massa di riposo del corpo, misurata nel sistema di riferimento a corpo fermo -4- La quantità di moto relavistica La quantità di moto relativistica di un corpo di massa m, in moto con velocità v, si può definire come p r = m v = γ m 0 v Per v molto minore di c, ricordando quanto detto al 12, si ha p r = m 0 v [ 1 + ½ (v/c) 2 ] = m 0 v (5) essendo il termine tra parentesi quadre praticamente uguale a 1 La (5) è l'espressione della quantità di moto nella fisica classica 7

8 13 La conservazione dell'energia A differenza delle grandezze fisiche considerate nel 12, che hanno espressioni diverse nella fisica classica e in quella relativistica, le leggi di conservazione dell'energia e della quantità di moto valgono sempre 14 Il problema della gravitazione Innanzitutto va ricordato che la massa inerziale è la massa che sotto l'azione della forza di 1 N accelera di 1 m/s 2 ( m = F/a ) e che la massa gravitazionale è quella cui si fa riferimento nella formula newtoniana della gravitazione universale F = G m 1 m 2 / r 2 ( v 59 della "Meccanica" ) Le due masse sono proporzionali tra di loro, anzi (scegliendo opportunamente l'unità di misura) sono addirittura uguali L'uguaglianza della massa inerziale e della massa gravitazionale di uno stesso corpo giustifica il fatto che tutti i corpi, che si trovano nella stessa zona dello spazio, risentono della stessa accelerazione di gravità, indipendentemente dalla loro massa o dal loro materiale. Questo risultato sperimentale portò Einstein a formulare la sua teoria della gravitazione Osserviamo ora due fenomeni Supponiamo che un ascensore, per la rottura delle funi, cada in caduta libera: sia l'ascensore, sia le persone, sia gli oggetti nella cabina cadono (prescindendo dagli attriti) con la stessa legge del moto, dovuta alla gravità. ( v il 30 della "Meccanica" ) Le persone nell'ascensore non avvertono più la pressione alle piante dei piedi, dovuta al loro peso, né il peso di un eventuale oggetto nelle loro mani Si è in un campo gravitazionale e le masse dei corpi in caduta libera sono masse gravitazionali Supponiamo ora che una astronave viaggi nello spazio di moto rettilineo uniforme (assenza totale di forze) a distanza enorme da qualsiasi corpo che possa esercitare su di essa un'attrazione, (quindi fuori della legge di Newton) Anche in questo caso si osserva il fenomeno di assenza di peso, però non c'è campo gravitazionale, perciò le masse sono inerziali 15 Il principio di equivalenza Sulla base di esperimenti simili a quelli descritti nel 14, Einstein formulò il principio di equivalenza, il quale stabilisce che in una zona dello spazio-tempo è sempre possibile scegliere un sistema di riferimento tale da simulare l'esistenza di un campo gravitazionale (come nel caso dell'astronave di 14) o viceversa, in modo da eliminare l'effetto della forza di gravità Sul principio di equivalenza e sul principio di relatività generale, secondo il quale le leggi della fisica hanno la stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento ( anche accelerato ), (v 4) è basata la teoria della relatività generale Secondo questa teoria lo spazio-tempo è lo spazio a quattro dimensioni consistenti nelle tre coordinate cartesiane x, y, z e dalla coordinata t ( tempo ) Un punto di questo 8

9 spazio-tempo rappresenta un evento fisico che si verifica in un determinato punto dello spazio ed in un determinato istante In relatività generale si verifica che ---la presenza di masse incurva lo spazio-tempo ---i corpi soggetti alla forza di gravità si devono considerare come delle particelle libere che si muovono secondo le geodetiche dello spazio-tempo 16 Gravità e curvatura dello spazio Il 5 postulato euclideo affermava che nello spazio passa una ed una sola parallela ad una retta data. Da questo derivavano altri postulati, tra cui quello che asseriva che la distanza minima tra due punti è il segmento di retta che li unisce Modificando il postulato di Euclide nacquero nuove teorie geometriche ( ad es quella che dice che per un punto esterno ad una retta passano infinite rette parallele alla retta stessa) Si può visualizzare uno spazio non euclideo, bidimensionale, pensando alla superficie di una sfera. Occorre dimenticare che la sfera è immersa nello spazio euclideo tridimensionale, che è come se non esistesse Una retta, che nello spazio euclideo passa per due punti A e B, in questo spazio è una circonferenza massima ( il piano che la contiene passa per il centro della sfera ), passante per A e B; e un segmento di retta AB è l'arco AB di lunghezza minima sulla superficie sferica Linee tra A e B all'esterno o all'interno della sfera non esistono Per un punto esterno alla suddetta circonferenza non è possibile tracciare nessuna (circonferenza) parallela ad essa perché tutte le circonferenze massime, passanti per quel punto. Intersecano la circonferenza stessa Tre rette nello spazio bidimensionale, ossia tre circonferenze massime, delimitano un triangolo Dati due punti, sulla circonferenza equatoriale, distanti tra di loro un quarto di circonferenza e date due circonferenze passanti, ognuna, per uno dei due punti e passanti entrambe per il polo Nord, le tre circonferenze suddette delimitano un triangolo avente tre angoli retti, perché le circonferenze si intersecano con angoli di 90. Quindi la somma degli angoli interni di un triangolo, in una tale geometria, è maggiore di 180 Gli spazi nella geometria non euclidea hanno una curvatura, positiva o negativa e si dicono perciò curvi: Gli spazi della geometria euclidea si dicono piatti Per stabilire se la curvatura è positiva o negativa, basta misurare gli angoli interni di un triangolo: se la loro somma è maggiore di 180 la curvatura è positi va; se la somma è minore di 180 la curvatura è negativa 17 Le curve geodetiche In ogni spazio le linee di lunghezza minima che uniscono due punti si chiamano curve geodetiche. Nello spazio euclideo esse sono dei segmenti di retta; in uno spazio rappresentato da una sfera esse sono degli archi di circonferenza massima AC e BC, nella figura, rappresentano due curve geodetiche in uno spazio bidimensionale Se due punti materiali le C percorrono alla stesa velocità, partendo contemporaneamente da A e da B, osservandoli in tempi successivi notiamo che la loro distanza d diminuisce continuamente. d A Supponiamo che un osservatore esterno veda i due punti B 9

10 materiali in movimento, ma non la forma dello spazio sferico. Dall'avvicinamento dei due punti egli concluderà che tra i due punti c'è attrazione. Questo è un modello semplificato della gravitazione secondo Einstein: la presenza di masse incurva la geometria dello spazio-tempo Nel contesto della teoria della relatività la gravità ha un ruolo particolare: le sue caratteristiche non sono dovute a forze agenti nello spazio, ma alla struttura geometrica stessa dello spazio 18 Le onde gravitazionali La geometria dello spazio-tempo è determinata dalla distribuzione delle masse presenti in esso Se tale distribuzione viene modificata (ad es perché una di tali masse si sposta rapidamente) la geometria dello spazio cambia e si propaga in tutto l'universo alla velocità della luce c Tale propagazione si chiama onda gravitazionale Le onde gravitazionali possono essere rivelate da un'antenna gravitazionale che è un cilindro di grande massa che può essere messo in oscillazione al passaggio di un'onda alla temperatura prossima allo zero assoluto Essendo il segnale molto debole, nessuno degli apparati sperimentali è riuscito a captare un segnale che sia sicuramente un'onda gravitazionale 10

11 LA FISICA ATOMICA 19 L'effetto fotoelettrico Il potenziale d'arresto La costante di Plank Certi metalli, colpiti da un fascio di luce di lunghezza d'onda opportuna, emettono elettroni ( v 34 di "Elettricità e magnetismo" ) Il fenomeno raggi ultravioletti si chiama effetto fotoelettrico L'apparato sperimentale, utilizzato da Leonard, è rappresentato schematicamente in figura. L M L ed M sono due elettrodi posti in un tubo, di elettroni forma opportuna, in cui è fatto il vuoto Tra di essi A c'è la differenza di potenziale V = V M - V L, i che può essere variata in intensità e verso con vvvvvvvvvv il dispositivo R R L'elettrodo L, colpito da un fascio di raggi ultravioletti monocromatici, se V ha un certo valore, emette degli elettroni che, muovendosi da L a M, chiudono il circuito e l'amperometro segna una corrente i (di verso opposto, per convenzione, a quello del flusso di elettroni) i Le due curve della figura a fianco rappresentano l'andamento della intensità di corrente in funzione di V, per due diversi valori dell'irradiamento, con luce monocromatica della stessa frequenza. In entrambi i casi, oltre un certo V > 0, la i non varia al - V A V crescere di V. La i si annulla completamente per un certo valore di V = - V A, detto potenziale di arresto, indipendente dall'irradiamento V A Ciò significa che l'energia cinetica massima K max degli elettroni, emessi, per effetto fotoelettrico, da L di un certo metallo, dipende soltanto dalla lunghezza d'onda della luce Il valore del V A cresce linearmente al crescere della frequenza della luce f = c / λ (1) f min f ( dove c è la velocità e λ è la lunghezza d'onda della luce irradiante) Per ogni metallo esiste una frequenza minima f min al di sotto della quale l'effetto fotoelettrico non si verifica Questo fatto è in contraddizione con quanto affermato dalla teoria di Maxwell: K max e V A dovrebbero crescere linearmente con l'aumento dell'irradiamento ma ciò non avviene. Per spiegare tali anomalie Einstein ha ipotizzato che la luce sia composta da pacchetti di energia: i quanti del campo elettromagnetico, chiamati poi fotoni, che hanno massa nulla e portano un'energia E, direttamente proporzionale alla frequenza della luce E = h f (2) dove h è la costante di proporzionalità detta costante di Planck, h = 6, J s Einstein concluse che nella radiazione elettromagnetica l'energia è quantizzata, il che significa che, fissata la frequenza f, l'energia trasportata da un fascio luminoso monocromatico può assumere solo un insieme discreto di valori, tutti multipli di una quantità fondamentale Ricordando che, per la (1) di 10 la quantità di moto di ogni fotone è p = E / c è anche p = h f / c 11

12 da cui risulta che anche la quantità di moto è proporzionale ad f e quindi quantizzata Il modello a fotoni di Einstein non contraddice la teoria elettromagnetica di Maxwell: il flusso di fotoni che costituisce un fascio di luce si comporta come un'onda 20 Spiegazione dell'effetto fotoelettrico Un elettrone può uscire dal metallo se l'energia del fotone che lo colpisce è almeno uguale al lavoro di estrazione W e ( v 33 di "Elettricità e magnetismo" ) Quindi deve essere E = h f W e da cui f W e / h Si conferma quindi che esiste una frequenza minima al di sotto della quale l'effetto fotoelettrico non si verifica Un elettrone, che assorbe un fotone avente energia E = h f e non dissipa energia, esce dal metallo con energia cinetica K max e per il principio di conservazione dell'energia si può scrivere K max = h f - W e che permette di confermare che K max dipende soltanto dalla frequenza della luce incidente sul metallo di L 21 Lo spettro dell'atomo di idrogeno Lo spettro di righe della luce emessa da un gas monoatomico, portato ad alta temperatura o attraversato da una corrente elettrica, è un insieme di righe brillanti, di diverso colore, corrispondenti, ognuna, ad una ben determinata frequenza. Le frequenze, nell'ambito della luce visibile, delle righe dello spettro dell'idrogeno, sono calcolabili con la formula f = c R H ( ¼ - 1/n 2 ) In cui c è la velocità della luce, R H = 1, m 1 è una costante di proporzionalità ed n è un numero intero maggiore di 2. Ci sono anche delle righe, corrispondenti a frequenze nell'ambito dell'infrarosso e dell'ultravioletto, che sono calcolabili con la formula più generale f = c R H ( 1/m 2-1/n 2 ) (1) In cui m ed n sono numeri interi positivi ( con n > m ) All'inizio del secolo scorso non era affatto chiaro perché ogni elemento avesse un diverso spettro di emissione, ed il problema divenne ancora più grave quando Rutherford propose il modello atomico planetario, secondo cui gli elettroni ruotano attorno al nucleo, come i pianeti attorno al Sole Infatti gli elettroni, in tal caso, sarebbero soggetti ad una accelerazione centripeta ( v 5 della "Meccanica" ) e, secondo Maxwell, in quanto cariche accelerate, emetterebbero energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Però: - l'emissione continua di energia farebbe avvicinare gli elettroni al nucleo con moto a spirale, fino a cadere su di esso nel tempo di 10 7 s - durante il movimento a spirale, le onde elettromagnetiche emesse dovrebbero avere uno spettro continuo, cioè dovrebbero contenere tutte le frequenze tra un massimo ed un minimo La prima di queste due deduzioni è in contrasto con l'esperienza secondo cui gli atomi non collassano in 10 7 s e, se non sono disturbati, non emettono onde elettromagnetiche. La seconda deduzione non è compatibile con il fatto che gli spettri di righe non sono affatto continui 12

13 La teoria di Bohr diede una prima risposta al problema delle contraddizioni tra le deduzioni teoriche e l'esperienza, risposta che sarà approfondita in seguito 22 La "vecchia" meccanica classica Bohr sosteneva ( v 90 di "Elettricità e magnetismo" ) che, a livello atomico, la fisica classica non valeva ed aveva introdotto due postulati - il raggio delle orbite degli elettroni può avere solo un certo insieme di valori permessi - quando l'elettrone percorre una di tali orbite non irradia Considerando un elettrone che percorre un'orbita, che per semplicità si suppone circolare, con quantità di moto p = m v, secondo Bohr le sole orbite permesse sono quelle i cui raggi sono dati dalla formula 2 π r n p n = n h (1) dove n è un numero intero, p n è il modulo della quantità di moto di un elettrone sull'orbita ennesima ed h è la costante di Planck Dalla formula (2) del 91 di "Elettricità e magnetismo" si ricava il modulo della velocità di una massa m, con carica -e, che descrive un'orbita circolare di raggio r n, attorno ad una carica centrale +e. Essa è e v n = 2 π ε 0 m r n Sostituendo tale valore nella (1) e tenendo conto del fatto che p n = m v n si ottiene π m r n ε 0 h 2 e = n h da cui r n = n 2 (2) ε 0 π m e 2 che è la (1) di 92 di "Elettricità e ", dalla quale è possibile ricavare la (2) dello stesso, che è 1 m e 4 E(n) = - (3) n 2 8 ε 0 2 h 2 che fornisce l'energia di un elettrone che percorre la n-sima orbita permessa, di raggio r n n è detto numero quantico principale, che definisce l'orbita permessa (v la (2)) e con la (3) l'energia che l'elettrone ha quando si trova su di essa ( A causa del segno - aumentando n aumenta E(n) e viceversa) Il secondo postulato di Bohr sembrava contraddetto dal fatto che un gas attraversato da una corrente elettrica emette luce. Si trattava di stabilire come ciò avviene Bohr postulò che un fotone è emesso (irradiato) da un atomo, quando un suo elettrone passa da un'orbita permessa, di energia maggiore, ad un'altra orbita permessa, di energia minore Esaminiamo il caso dell'atomo di idrogeno, che ha un solo elettrone. Quando tale elettrone riceve energia dall'esterno, ad es per effetto di un urto, può passare, dall'orbita in cui si trova, ad un'orbita, di numero quantico n 1, con energia E(n 1 ) maggiore di quella precedente; l'elettrone, così disturbato, si trova in uno stato eccitato ; così, dopo poco tempo, salta su un'orbita di numero quantico n 2, minore di n 1, la cui energia E(n 2 ) è minore di E(n 1 ) La differenza di energia E = E(n1) E(n 2 ) ( > 0 e quindi repulsione) è emessa sotto forma di un fotone, la cui frequenza è ( v la (2) di 19 ) f = E / h (4) 13

14 Dalla (3) e dalla (4) si ricava E(n 1 ) E(n 2 ) m e 4 f = = ( 1/n 2 2 1/n 2 1 ) m e 4 h 8 ε 2 0 h 3 e ponendo = c R H si ottiene la (1) di (21) ricavata dalle ipotesi di 8 ε 2 0 h 3 Bohr. Si può quindi affermare che il modello atomico di Bohr, insieme con la teoria dei fotoni di Einstein, spiegano lo spettro dell'atomo di idrogeno. Oltre ad emettere fotoni, un atomo può assorbirne, se questi hanno un'energia uguale alla differenza di energia tra le due orbite permesse. Quindi un atomo assorbe le stesse frequenze che è in grado di emettere 23 Proprietà ondulatorie della materia -1- Dualità onda-particella della luce Nella natura della luce esiste una dualità: sotto certi aspetti la luce si comporta come un'onda ( ad es l'interferenza è un comportamento esclusivo delle onde ); sotto altri aspetti si comporta come se fosse composta da particelle: i quanti di luce o fotoni -2- Dualità onda-particella della materia De Broglie ipotizzò che una simile dualità esista anche per la materia ed intuì che ad ogni particella materiale, con quantità di moto p, è associata un'onda di lunghezza λ = h/p (1) detta lunghezza d'onda di de Broglie Per gli oggetti macroscopici, essendo h molto piccola, λ è trascurabile e quindi non dà luogo a nessun effetto osservabile; invece a livello atomico λ è abbastanza grande da influire sul comportamento degli elettroni e delle altre particelle subatomiche La proposta di de Broglie a) ingloba la relazione di Planck ( E = h f ) per i fotoni e b) permette di giustificare la condizione di quantizzazione di Bohr per l'atomo di idrogeno Per il punto a), dalla p = E / c e dalla λ = c / f si ricava E = h f che è appunto la relazione di Planck per i fotoni Per il punto b), se un elettrone percorre indisturbato una certa orbita, ad esso è associata un'onda stazionaria (cioè un'onda che dopo un giro si richiude su se stessa), che deve rimanere invariata finché l'elettrone non cambia stato di moto Ma un'onda per richiudersi su se stessa senza discontinuità deve avere un numero intero di lunghezze d'onda e quindi l'orbita deve avere una lunghezza uguale a un multiplo della lunghezza d'onda associata all'elettrone, e cioè n λ Se r n è il raggio dell'orbita si ha 2 π r n = n λ e quindi, per la (1) 2 π r n p n = n h che è la condizione di quantizzazione di Bohr per un'orbita circolare dell'atomo di idrogeno, cioè la (1) di 22 Secondo de Broglie, è la natura ondulatoria dell'elettrone a determinare le proprietà degli atomi e la quantizzazione della loro energia 14

15 -3- Esperimento di Davisson e Germer La natura ondulatoria ( oltreché corpuscolare ) della materia venne verificata con un esperimento in cui un fascio di elettroni, la cui lunghezza d'onda, calcolata con la (1), era dello stesso ordine di grandezza del passo reticolare del metallo che fungeva da reticolo di diffrazione, passando attraverso il metallo dava luogo ad una figura di diffrazione, analoga a quella ottenuta con raggi X, della stessa lunghezza d'onda, che attraversavano lo stesso bersaglio Si concluse così che c'è analogia tra comportamento della radiazione elettromagnetica e quello delle particelle della materia: entrambi mostrano in certi fenomeni natura ondulatoria, in altri natura corpuscolare. La fisica quantistica riuscì ad inquadrare in un'unica teoria questo duplice aspetto. 24 Il principio di indeterminazione La costante di Plank ridotta Il principio di indeterminazione è la base della fisica quantistica La fisica prende in considerazione solo entità che possono essere misurate Mentre nel mondo macroscopico si può ad es osservare la traiettoria di un corpo illuminandolo, senza che l'energia luminosa ne vari in modo apprezzabile la quantità di moto, nel mondo microscopico una radiazione elettromagnetica, che investa un elettrone per determinarne posizione e traiettoria, ne varia in modo imprevedibile la quantità di moto. Per oggetti subatomici non ha senso parlare di traiettoria Questa considerazione qualitativa è resa quantitativa dal principio di indeterminazione di Heisenberg 1^ forma Dette x e p le indeterminazioni della posizione x e della quantità di moto p di un corpo materiale, Heisenberg dimostrò che: x p h / 2 π Se un corpo si muove su una retta, la sua posizione x e la sua quantità di moto p si possono misurare con le incertezze x e p, che sono inversamente proporzionali l'una rispetto all'altra Ciò non è dovuto ad imprecisione degli strumenti di misura, ma al fatto che nell'effettuare la misura di x si perturba il moto del corpo, cosicché il valore di p risulta mal determinato La quantità h/2π si chiama costante di Plank ridotta Se la costante di Planck fosse uguale a zero, x e p potrebbero essere contemporaneamente uguali a zero ed avrebbe senso parlare di una certa posizione x (cioè una certa traiettoria ed una certa quantità di moto) Ma poiché la costante di Planck, seppur piccola, è diversa da zero, x e p non possono mai essere uguali a zero contemporaneamente. Non è quindi possibile affermare che un corpo si trova esattamente in una certa posizione e che la sua quantità di moto è, ad es, nulla, cioè che il corpo è fermo in quella posizione Il principio di indeterminazione vale per tutti i corpi, ma per gli oggetti macroscopici che ci circondano esso è trascurabile, essendo x e p dell'ordine di grandezza degli errori di misura: ciò per effetto della piccolezza di h 2^ forma Dette t e E le indeterminazioni sul tempo e sull'energia, Heisenberg dimostrò che t E = h / 2 π 15

16 Anche in questo caso la misura di un'energia E e quella del tempo t di durata della misura sono proporzionali fra loro. Più breve è la durata della misura, più imprecisa è la misura stessa Valgono per la 2^ forma le stesse considerazioni fatte per la 1^ La quantità h / 2 π è detta costante di Plank ridotta e vale 1, J s 25 Onde di probabilità e dualismo onda-corpuscolo Si è visto al 23 che le particelle materiali si comportano in modo simile a quello delle onde elettromagnetiche. Ma, mentre nel caso di un' o.e.m. si ha la vibrazione del campo elettrico e del campo magnetico ( v 80 di "Elettricità e." ), non si sa che cosa vibra in un'onda di materia Secondo la fisica quantistica ciò che vibra in un'onda di materia è una grandezza, non interpretabile con la fisica classica, cui è stato dato il nome di ampiezza di probabilità indicata con la lettera ψ Essa è una funzione che dipende da x, y, z, e da t e serve per calcolare la probabilità che una determinata particella si trovi in un certo volume V di spazio nell'intervallo di tempo t. Questa probabilità è proporzionale a ψ 2 Nei punti in cui ψ oscilla c'è una certa probabilità di trovarvi la particella, mentre dove la ψ = 0 la particella di certo non c'è A questo gruppo localizzato di vibrazioni si dà il nome di pacchetto d'onde Se si esegue una misura di posizione, si trova certamente un elettrone in un punto dello spazio dove ψ 0 Mentre, facendo uso delle leggi della fisica classica si può determinare esattamente la posizione di un corpo e quindi la sua traiettoria, conoscendo la posizione e la velocità iniziale ψ è molto dispersa.le informazioni del corpo, la sua massa e le forze sulla posizione della particella sono che agiscono su di esso, in fisica poco precise. Maggiore precisione quantistica ciò non è possibile per la quantità di moto perché a parità di condizioni essa permette di calcolare solo Posizione della particella definita l'ampiezza di probabilità ψ e meglio. Minore precisione sulla cioè la probabilità che il corpuscolo quantità di moto si trovi, in un certo istante, in una certa posizione. Posizione definita molto bene L'ampiezza di probabilità si può Quantità di moto definita molto calcolare risolvendo l'equazione male di Schroedinger In conclusione non è possibile stabilire se un insieme di elettroni che si propagano nello spazio, trasportando energia e costituendo una radiazione, sono onde o corpuscoli Quando si propaga nello spazio una radiazione si deve considerare come costituita da pacchetti d'onda; quando la si esamina mentre interagisce con qualche dispositivo, essa si comporta come onda o come corpuscolo a seconda del tipo di misura che si effettua su di essa 16

17 26 Stabilità degli atomi Per descrivere gli aspetti, corpuscolare ed ondulatorio, della radiazione, si fa uso di modelli. Si tratta di due descrizioni diverse ma non contraddittorie. Il principio di indeterminazione permette di unificare i due aspetti. Ad es. aiuta a capire la stabilità degli atomi che è dovuta ad una situazione di equilibrio tra la forza di Coulomb, che tenderebbe ad attirare gli elettroni sul nucleo ed il principio di indeterminazione che impedisce loro di andare troppo vicino al nucleo, perché avrebbero una troppo grande quantità di moto e quindi di energia cinetica Le dimensioni dell'orbita dell'elettrone risultano dall'equilibrio di questi due effetti contrastanti Non potendo immaginare gli elettroni come minuscoli pallini (non hanno massa), e dovendo quindi escludere il modello corpuscolare, bisogna usare il modello ondulatorio Gli elettroni sono descritti dalla loro ampiezza di vibrazione come una specie di nuvola elettronica che abbraccia il nucleo ed è detta orbitale. Non vi sono elettroni che girano attorno al nucleo; gli orbitali sono stazionari, Quindi la probabilità di trovare un elettrone ad una certa distanza dal nucleo non cambia nel tempo Il principio di esclusione di Pauli ( v il 90 di "Elettricità e.." ) che affermava " Su una stessa orbita non possono muoversi più di due elettroni", nel linguaggio della teoria quantistica diventa: " non più di due elettroni possono essere descritti dalla stessa ampiezza di probabilità, cioè dalla stessa nuvola elettronica" In altre parole: non più di due elettroni possono occupare lo stesso orbitale Gli Z elettroni di un atomo si devono quindi distribuire su molti diversi orbitali, di cui solo i più esterni determinano le proprietà chimiche dell'elemento di numero atomico Z. Rimaneva da spiegare perché gli elettroni non irraggiano. La loro ampiezza di probabilità è diversa da zero ma non c'è flusso circolare di carica elettrica (perché gli elettroni no si muovono) e quindi non c'è irraggiamento. Questa apparente contraddizione con il modello di Bohr è risolta come conseguenza della natura ondulatoria degli elettroni. 27 Irraggiamento e assorbimento di fotoni Secondo Bohr gli elettroni emettono fotoni nel "saltare" da un'orbita con raggio maggiore ( maggiore energia ) ad un'orbita di raggio minore ( minore energia ) Cioè gli elettroni irraggiano quando l'ampiezza di probabilità di trovare l'elettrone varia improvvisamente Questo "salto" corrisponde ad un flusso di carica da una certa zona ad una più interna e ciò dà luogo all'emissione di onde elettromagnetiche Un atomo con numero atomico Z, che si trova nel suo stato di energia minima, cioè quando i suoi elettroni sono il più vicino possibile al nucleo, si dice che è nel suo stato fondamentale Gli stati di energia maggiore si dicono stati eccitati Parlando di stato atomico ci si riferisce all'andamento nello spazio delle ampiezze di probabilità di tutti i suoi elettroni Quanto sopra è conseguenza della natura ondulatoria degli elettroni Per quanto riguarda l'energia degli stati permessi, si parla di livelli energetici dell'atomo Quelli di energia minima sono i livelli fondamentali; i livelli energetici eccitati sono quelli con energia maggiore 17

18 Quando un sistema quantizzato, che contiene cariche elettriche, passa da un livello energetico più alto ad uno più basso, si dice che compie una transizione, emettendo un fotone di energia uguale alla differenza di energia tra i due stati tra cui avviene la transizione Così si spiega l'osservazione degli spettri di righe a partire dalla natura ondulatoria degli elettroni atomici, detta teoria quantistica 28 Fisica classica e fisica moderna Durante il primo quarto del XX secolo c'è stata una rifondazione di tutta la fisica Si è dovuto rinunciare a due idee classiche fondamentali: il tempo assoluto e la natura corpuscolare delle particelle subatomiche Ora si sa che lo scorrere del tempo e la simultaneità sono concetti relativi; la massa è una forma di energia; gli elettroni ed i fotoni hanno una duplice natura: ondulatoria e corpuscolare. Essi si propagano sotto forma di onde. Nel caso dei fotoni, le grandezze che oscillano sono il campo elettrico ed il campo magnetico; nel caso degli elettroni oscilla l'ampiezza elettronica di probabilità La struttura degli atomi, delle molecole e dei solidi è determinata dalle proprietà ondulatorie degli elettroni La fisica classica non è però da rigettare in toto. Le leggi della meccanica classica sono più che sufficienti a spiegare il moto dei corpi ordinari le cui velocità sono ben inferiori alla velocità della luce e le cui dimensioni non sono microscopiche. 18

19 LA FISICA NUCLEARE 29 I nuclei degli atomi Secondo Rutherford l'atomo è costituito da un nucleo, al centro di un atomo, con Z elettroni. La carica del nucleo è Ze. Per chiarire come era fatto il nucleo, gli sperimentatori bombardarono con particelle alfa (nuclei di elio), ) angolo di diffusione dotate di una grande energia cinetica, i nuclei di Particella alfa metalli più pesanti, come l'oro e il platino. Le particelle alfa, che passavano lontano dal nucleo Lamina d'oro del metallo pesante, non subivano alcuna deviazione; se passavano vicine venivano deviate di un angolo detto angolo di diffusione, tanto maggiore quanto più vicine al nucleo passavano le particelle. Quando le distanze dal nucleo erano dell'ordine di m, le particelle alfa erano soggette, oltreché alla forza di Coulomb, anche ad altre forze, dette forze nucleari, che ne modificavano la traiettoria Numerose esperienze fatte usando particelle, caricate artificialmente, sui nuclei di tutti gli elementi del sistema periodico, permise di stabilire che il nucleo atomico è un corpicciolo, circa sferico, con un diametro di m ( volte più piccolo del diametro di un atomo) 30 I protoni ed i neutroni Rutherford, facendo passare un fascio di particelle alfa attraverso uno strato di azoto, osservò che talvolta un nucleo di azoto, colpito da una particella alfa, la catturava, trasformandosi in un nucleo di ossigeno, ed emetteva una particella diversa da quella incidente. Questa trasformazione di un elemento in un altro si chiama trasmutazione La particella emessa, che ha carica +e, è stata chiamata protone Qualche anno dopo Chadwick, bombardando, con particelle alfa del berillio, scoprì che i nuclei di questo elemento si disintegrano, emettendo una nuova particella, fino ad allora sconosciuta, il neutrone, così chiamato perché elettricamente neutro Si stabilì così che un nucleo è composto da un certo numero di protoni e di neutroni, detti nel complesso nucleoni, che interagiscono tra di loro con forze attrattive, dette forze nucleari 31 Numero di massa e numero atomico I nuclei sono caratterizzati dal numero atomico Z, che è il numero di protoni, che in un atomo, elettricamente neutro, è uguale al numero degli elettroni, e dal numero di massa A che è il numero di nucleoni; cioè numero di protoni Z più numero di neutroni N 27 E' A = Z + N Indicando ad es con il simbolo 13 Al il nucleo dell'atomo di alluminio che ha A = 27 nucleoni, Z = 13 protoni e N = = 14 neutroni, tenendo 1 1 conto che 1 p è il simbolo del protone (Z = 1 A = 1) e che 0 n è il simbolo del neutrone, sinteticamente una reazione nucleare, come ad es quella della trasformazione 19

20 dell'azoto in ossigeno, ad opera di particelle alfa emesse da nuclei radioattivi di elio, si scrive nel modo seguente: 4 2 He N 1 p + 8 O In queste reazioni il numero di nucleoni A ed il numero di protoni Z si conservano. Infatti = e = L'atomo 8 O è un atomo di ossigeno in quanto Z = 8 come tutti gli atomi di ossigeno, ma A non è uguale a 16 come è normalmente, ma 17 I nuclei,. che hanno lo stesso valore di Z dell'elemento base, ma un diverso valore di A, si chiamano isotopi dell'elemento con numero atomico Z La parola isotopo (dal greco = stesso posto) significa che tali atomi occupano lo stesso posto nel sistema periodico (v il 89 di "Elettricità e.") 32 Gli stati energetici dei nuclei L'energia di legame, nucleare è molto più forte dell'energia di legame, atomica. Il che significa che la forza di attrazione nucleare è molto maggiore della forza coulombiana, che lega gli elettroni al nucleo Come l'atomo, anche il nucleo è un sistema legato, che può trovarsi in diversi stati. Di solito esso si trova nello stato fondamentale cui corrisponde la più bassa energia Se il nucleo si trova in uno stato eccitato, che è instabile e con un'energia più elevata, in breve tempo subisce una transizione allo stato fondamentale, con l'emissione di un fotone. Poiché l'energia di legame dei nucleoni è di parecchi MeV (megaelettronvolt. La definizione di elettronvolt è nel 33 di "Elettricità e :::::" ), anche il fotone emesso ha un'energia così elevata ed è detto fotone gamma, che ha una frequenza ben determinata. 33 Le forze nucleari e l'energia di legame dei nuclei Se gli A = Z+N nucleoni fossero soggetti alle forze elettromagnetiche, i nuclei si disintegrerebbero, perché i protoni, tutti con carica elettrica positiva, si respingerebbero, distruggendo il nucleo. Come si è detto al 31, ci sono delle forze nucleari di legame, più intense delle forze coulombiane repulsive, che impediscono al nucleo di disintegrarsi Quando protoni e neutroni sono legati in un nucleo, la massa del nucleo è inferiore alla somma delle masse dei protoni e dei neutroni separati. La massa mancante, detta difetto di massa si è trasformata in energia, durante la formazione del nucleo Il prodotto del difetto di massa per c 2 è uguale all'energia di legame del nucleo, che è l'energia da fornire al nucleo per separare i suoi componenti. Anche nelle reazioni chimiche si verifica un difetto di massa, ma le energie in gioco sono così piccole che si può affermare che in tali reazioni la massa si conserva. 34 La radioattività naturale La trasformazione di un nucleo in un altro non avviene solo per effetto di un urto fra nuclei, ma anche spontaneamente, in alcuni isotopi a causa della instabilità del loro nucleo. 20

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