Capitolo 5 BSE E MODELLI DI PRODUZIONE ZOOTECNICA

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1 Capitolo 5 BSE E MODELLI DI PRODUZIONE ZOOTECNICA Normativa su BSE e alimentazione zootecnica In Italia l utilizzo delle farine contenenti proteine di mammifero per l alimentazione dei ruminanti è stato proibito per la prima volta con l Ordinanza Ministeriale del recependo l analogo bando emanato dalla Comunità nello stesso anno. Il divieto, con Ordinanza Ministeriale , è stato esteso all utilizzo dei mangimi per ruminanti contenenti proteine derivate da tessuti animali. Il Decreto , che ha modificato l allegato III della legge n.281 (preparazione e commercio dei mangimi) sull aspetto dell etichettatura, ha inoltre introdotto l obbligo di indicare in etichetta la dicitura Questo alimento semplice è costituito da proteine derivate da tessuti di mammiferi di cui è vietata la somministrazione ai ruminanti. L Ordinanza ha poi ulteriormente modificato l Ordinanza del vietando l uso, nei ruminanti, di proteine derivanti da tessuti di mammiferi, riportando la situazione a quanto previsto nel Con il Decreto Ministeriale (G.U. n 59 del ) e con le successive modificazioni Sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica della encefalopatia spongiforme bovina si perviene invece ad una più completa disciplina di tutto il settore. Infatti, nel capitolo riguardante i mangimi, il provvedimento dispone l istituzione dell anagrafe nazionale degli impianti di produzione e distribuzione degli alimenti per animali, prevedendo l ispezione degli impianti di produzione mangimi ogni cinque mesi. Nel caso di riscontro di positività per proteine derivanti da tessuti di mammiferi si prevede il rintraccio di tutti gli allevamenti in cui è stato impiegato il mangime positivo. Allevamenti che hanno fatto uso di farine di carne Il D.M Piano Nazionale di prevenzione della BSE specifica che gli animali della specie bovina e bufalina che hanno consumato mangimi contenenti proteine derivate da tessuti di mammiferi (positivi ai controlli di laboratorio) indipendentemente dalla presenza o meno di questi alimenti in azienda sono considerati animali a rischio BSE. Le indagini giudiziarie hanno poi chiarito che gli allevamenti dove sono stati somministrati mangimi sospetti (aziende dove sono stati somministrati mangimi potenzialmente contaminati perché prodotti nella stessa giornata di lavorazione di altre partite positive), non possono essere sottoposti ai vincoli ed alle misure restrittive previste dal succitato decreto fino a quando, a seguito degli accertamenti analitici svolti dal laboratorio sui campioni prelevati in azienda, non venga accertata l effettiva contaminazione delle partite utilizzate. Nota: in appendice è possibile consultare un elenco della normativa nazionale sulla BSE. In questo capitolo ci limitiamo invece a ricordare le misure più importanti, che hanno inciso più profondamente nella modifica della produzione degli alimenti per animali e che hanno orientato le relative azioni di controllo del Sistema Sanitario Nazionale. 172

2 L Ordinanza (G.U. n 284 del ), di modifica dell ordinanza , concernente Misure di protezione per quanto riguarda la BSE e la somministrazione, con la dieta di proteine derivate da mammiferi, emanata nel momento di massima crisi per l intensa campagna stampa che aveva fatto seguito ai primi casi europei individuati con test rapido, vieta la somministrazione agli erbivori (bovini, bufalini, ovicaprini, equini, conigli) di mangimi contenenti proteine derivanti da tessuti animali, ovvero di farine di carne e di pesce. Vieta inoltre la somministrazione a tutte le specie animali degli alimenti per animali ottenuti dai rifiuti di origine animale ad alto rischio (D.Lgs 508/92). La Decisione del Consiglio del , 2000/766/CEE (G.U. Comunità europee ), Misure di protezione nei confronti delle TSE e la somministrazione di proteine animali nell alimentazione degli animali, chiarisce cosa si debba intendere per proteine animali trasformate cioè:! farine di carne e ossa;! farine di carne;! farine di ossa;! farina di sangue;! plasma essiccato e altri emoderivati;! proteine idrolizzate;! farina di zoccoli;! farina di corna;! farina di frattaglie di pollame;! farina di penne;! ciccioli essiccati;! farina di pesce;! fosfato di calcico;! gelatina. La somministrazione di proteine animali trasformate viene inoltre proibita per tutti gli animali di allevamento tenuti, ingrassati o allevati per la produzione di alimenti per l uomo. Il divieto non si applica all uso di farina di pesce negli alimenti per animali diversi dai ruminanti, al fosfato dicalcico e proteine idrolizzate, latte o prodotti a base di latte. La Decisione della Commissione del , 2001/9/CEE (G.U. Comunità europee ) Misure di controllo necessarie per l attuazione della decisione 2000/766/CE autorizza infatti la somministrazione di alcune proteine animali trasformate (farina di pesce, fosfato dicalcico, proteine idrolizzate) agli animali diversi dai ruminanti a determinate condizioni. Per quanto riguarda le farine di pesce, è possibile il loro impiego solo se sono prodotti in stabilimenti ad esclusiva produzione di questa materia prima ed in impianti che non producono mangimi per ruminanti. I mangimi per animali, compresi i mangimi per gli animali da compagnia contenenti proteine animali trasformate diverse dalla farina di pesce, fosfato dicalcico, proteine idrolizzate destinate agli animali non allevati per l alimentazione devono essere prodotti in impianti che producono solo mangimi per tali animali. 173

3 I divieti stabiliti a fine 2000 avevano come scadenza il 30 giugno 2001, ma la moratoria è stata prorogata al 31 dicembre Da quella data si porrà il problema dell applicazione del Regolamento del Parlamento del Consiglio nell UE del , 999/2001 (G.U. Comunità europee ) Disposizioni per la prevenzione, il controllo e l eradicazione di alcune TSE che stabilisce che, negli animali diversi dai ruminanti, nei paesi non classificati in categoria 5 (la categoria di massimo rischio per la BSE, vedi paragrafo precedente), è invece possibile la somministrazione di proteine derivate anche da mammiferi. Infatti il Regolamento n 1326/2001 della Commissione del (G.U. Comunità europee ), che introduce misure transitorie per il recepimento del regolamento precedente, mantiene, di fatto, le misure di protezione nei confronti delle encefalopatie spongiformi trasmissibili adottate con le decisioni 2000/766/CE del Consiglio e 2001/9/CE della Commissione. Il divieto di somministrazione di proteine animali trasformate negli animali di allevamento resta pertanto confermato fino a quando non verrà determinata la qualifica sanitaria per l Italia ai sensi dell art. 5 del Regolamento Comunitario 999/2001/CE (classificazione rischio BSE). Contaminazione crociata Il divieto temporaneo di impiego di proteine animali nei mangimi per tutti gli animali produttori di alimenti è stato imposto in quanto non è possibile escludere una contaminazione crociata nei mangimi per ruminanti in impianti a produzione mista. La maggiore parte dei mangimifici produce mangimi utilizzando una sola linea di produzione, con rischio di contaminazione crociata. L impiego di due linee di produzione o, meglio, di stabilimenti separati, potrebbe rappresentare una soluzione e risolverebbe anche il problema della cross-contaminazione nella produzione di mangimi medicati o additivati Metodi analitici di controllo Il metodo utilizzato ai fini del controllo ufficiale è quello microscopico (D.M , D.M ). La tecnica alla base di questi metodi presenta alcuni inconvenienti:! è laboriosa;! non è in grado di fornire indicazioni di tipo quantitativo sulla presenza di farina di carne in un mangime che dipende da una serie di fattori;! le farine di carne, costituite da diversi tessuti animali, vengono miscelate, in quantità variabili, a componenti di origine vegetale e minerale ed il mangime finito risulta estremamente variabile nella sua composizione;! i trattamenti impiegati per la produzione delle farine di carne alterano le caratteristiche morfologiche di molti tessuti (es. tessuti molli) ed impediscono il corretto riconoscimento;! in caso di presenza di tessuti molli nel campione non consente una precisa identificazione della classe animale di origine. 174

4 Applicazione della PCR alla ricerca di residui animali nei mangimi La Polymerase Chain Reaction (PCR) è una tecnica ampiamente utilizzata nella diagnostica molecolare che permette di rilevare tracce di acidi nucleici presenti in un campione biologico e alimentare, amplificando un tratto di DNA bersaglio. La PCR consiste nella sintesi ciclica di DNA in vitro, permettendo la moltiplicazione delle molecole di DNA fino a raggiungere un gran numero di copie. Ogni ciclo della reazione di PCR comincia con la dissociazione, per riscaldamento, delle due eliche di DNA bersaglio (denaturation; vedi in figura passaggio A). La seconda fase richiede l intervento di una coppia di brevi sequenze complementari ciascuna ad un elica di DNA (oligonucleotidi specifici o primers) lunghi una ventina di basi. Ciascuno di essi si appaia con una delle due eliche del DNA bersaglio (annealing) se trova la sequenza complementare specifica. In questo modo gli oligonucleotidi segnano su ciascuna elica gli estremi del frammento di DNA da cui ha inizio la sintesi. La reazione di estensione dei due oligonucleotidi progredisce poi contemporaneamente su entrambe le eliche in direzioni antiparallele (extension, vedi in figura passaggio B). Questa polimerizzazione è sequenza-specifica, in quanto soltanto i tratti di DNA compresi tra la coppia di oligonucleotidi specifici scelti per la reazione, verranno sintetizzati e amplificati. La reazione di PCR è composta generalmente da cicli di amplificazione: poiché ogni ciclo della reazione dura solo pochi minuti, nel giro di qualche ora si possono produrre notevoli quantità di DNA bersaglio. I prodotti della reazione di PCR vengono poi sottoposti a elettroforesi visualizzando in tal modo la banda corrispondente al frammento amplificato in base al peso molecolare. Viste le caratteristiche di sensibilità e specificità, questa tecnica può essere strumento utile per identificare la presenza di DNA proveniente da residui animali nei mangimi e per discriminare l appartenenza ad una determinata specie. Negli ultimi anni sono state sviluppate ricerche per l identificazione di sequenze di DNA fortemente specie-specifiche (Tartaglia e coll., 1998; Sorenson e coll., 1999). Tali studi hanno permesso la costruzione di primers per l amplificazione la cui specificità è stata testata utilizzano campioni di DNA di varie specie di vertebrati (bovini, ovini, suini, volatili). Esistono ancora dei limiti all utilizzo della PCR legati alla matrice (mangime) e alla possibilità di utilizzo di alcuni materiali di origine animale: gelatina di non ruminanti, latte, prodotti lattiero-caseari e proteine idrolizzate (Decisione 2001/98/CE) Inoltre i trattamenti ad alte temperature a cui sono sottoposte le materie prime e i mangimi potrebbero denaturare e degradare i frammenti di DNA animale eventualmente presenti, rendendoli non più facilmente riconoscibili dai primers (Momcilovic e coll., 2000). Analisi in microscopia FT-NIR di costituenti di origine animale in alimenti zootecnici L analisi in microscopia FT-NIR può essere utilizzata per la ricerca di costituenti di origine animale nei mangimi. La spettroscopia nel vicino infrarosso, realizzata con spettrofotometro a 175

5 trasformata di Fourier abbinata ad un microscopio (FT-NIR), è la tecnica in grado di differenziare, attraverso un evidenza spettrale, i diversi tipi di proteine e di fornire informazioni sulla struttura molecolare del frammento analizzato. Sono stati condotti studi che hanno accertato la possibilità di discriminare le proteine animali da quelle vegetali e la possibilità di caratterizzare proteine provenienti da specie animali diverse. Prima di sottoporre il campione all analisi strumentale è comunque sempre necessario procedere ad un estrazione-purificazione del campione al fine di ottenere un frazionamento dei componenti del mangime per eseguire una lettura mirata. La tecnica FT-NIR permette sia l osservazione del campione nel campo visibile, sia l analisi degli spettri NIR nella regione da 4000 a cm. con conseguente possibilità di delimitare la forma della particella su cui eseguire l analisi all infrarosso. Gli spettri delle particelle su cui si sono eseguite le analisi vengono confrontati con quelli presenti in una banca dati di riferimento. Questo metodo non si basa su valutazioni soggettive condizionate dall esperienza dell analista ma, attraverso il riconoscimento strumentale, consente di ottenere l oggettivazione del risultato analitico. Le infrazioni rilevate e le sanzioni previste Fino al 1999 il numero di controlli effettuati sui mangimi è stato limitato e regolato in parte dal Piano Nazionale Residui ed in parte dalla legislazione concernente i mangimi medicati. Successivamente, i controlli pubblici nel settore sono stati disciplinati con la Circolare n 3 del febbraio 2000 Piano Nazionale di Vigilanza e Controlli Sanitari sulla Alimentazione Animale che comprende una parte anche riguardante l attività di vigilanza, ai sensi dell O.M , ai fini della profilassi BSE In particolare si prevede:! il rispetto delle norme di buone pratiche di fabbricazione di mangimi per ruminanti, e l adozione di procedure operative standard ed autocontrollo codificato da parte del produttore (in particolare modo per prevenire la contaminazione dell impianto di produzione);! una particolare attenzione negli impianti che non dispongono di linee di produzione separate; prima di produrre mangime per ruminanti è necessario predisporre un certo numero di lavorazioni di mangime non contenente farine derivate da mammiferi in modo tale da eliminare/ridurre il rischio di trascinamento;! controlli in fase di confezionamento, stoccaggio e spedizione;! prelievo di campioni di materie prime e/o mangimi finiti. I campioni ufficiali delle materie prime e/o dei mangimi finiti destinati ai ruminanti vengono effettuati in numero prefissato per ogni Regione e senza sequestro preventivo della partita (sempre che si operi in assenza di sospetto); 176! in caso di positività i Servizi Veterinari delle ASL procedono al campionamento ufficiale con sequestro della partita. I provvedimenti

6 adottati potrebbero giungere alla proposta al Ministero della Sanità di sospendere l autorizzazione all attività di produzione. Nel 2000, a livello nazionale, il numero di controlli effettuati con metodo microscopico per la ricerca di frammenti ossei negli alimenti zootecnici è aumentato: le relative positività sono illustrate nella tabella seguente. Dati Nazionali - Anno 2000 MANGIMI PER RUMINANTI MANGIMI PER ALTRE SPECIE ANIMALI TOTALE Eseguiti Positivi Eseguiti Positivi Eseguiti Positivi (6 %) (8 %) Nel corso dell anno nella Regione Piemonte, sono stati effettuati nel complesso 263 controlli (a fronte dei 43 nel 1999) con il riscontro di 23 positività per frammenti ossei. Nel primo semestre 2001, i controlli nazionali sono ancora aumentati rispetto all anno precedente (vedi tabella) e sono parimenti aumentate anche le positività. Dati Nazionali Positività per proteine animali 1 semestre 2001 MANGIMI PER RUMINANTI MANGIMI PER ALTRE SPECIE ANIMALI TOTALE Eseguiti Positivi Eseguiti Positivi Eseguiti Positivi (5 %) (6 %) Dati aggiornati al Nei primi sei mesi del 2001, nella Regione Piemonte, è stato effettuato un numero elevato di controlli (1400). Nonostante i divieti in vigore sono ancora state numerose le positività (vedi tabella). Regione Piemonte - positività al metodo microscopico : POSITIVITA PRELIEVI N.A.S. E GUARDIA DI FINANZA POSITIVITA SU PRELIEVI ASL PIEMONTESI TOTALE Come si evince dalla tabella, occorre considerare che in 85 casi si è trattato di controlli sulla stessa produzione effettuati negli allevamenti per verificare i presupposti legali per i vincoli da imporre sui bovini alimentati con mangimi della stessa origine. 177

7 ! POSITIVITA IN MANGIMI PER RUMINANTI di cui POSITIVITA A CARICO DI UN SOLO MANGIMIFICIO! POSITIVITA IN MANGIMI PER ALTRE SPECIE ANIMALI DA REDDITO! POSITIVITA MATERIE PRIME Sanzioni Una positività per frammenti ossei, in un mangime per una specie dove è vietata la somministrazione di proteine animali, prevede l applicazione dell art. 22 della legge 15 febbraio 1963, n. 281 così come modificato dalla legge del 9 marzo 2001, n. 49. L autorità competente può ordinare la sospensione dell attività per un periodo non superiore ai tre mesi oppure per un periodo da tre mesi ad un anno. Nei casi particolarmente gravi l autorità competente può disporre la chiusura definitiva dello stabilimento. L eliminazione delle proteine animali dall alimentazione zootecnica Da quando le Autorità Britanniche avevano rivelato, il 6 marzo 1996, che la comparsa di una nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jacob avrebbe potuto essere legata all esposizione alla encefalopatia spongiforme bovina (BSE), l opinione pubblica europea ha iniziato ad interrogarsi sulle possibili conseguenze per la salute umana di questa correlazione. In realtà, lo stato di allarme per la diffusione della patologia nel bovino durava già da alcuni anni, e cioè da quando ci si era resi conto che la malattia era trasmessa soprattutto per via alimentare ad opera delle cosiddette farine proteiche di origine animale utilizzate in alimentazione animale nei mangimi come fonte di proteine. Parallelamente al crescere dell allarme sociale si è prodotta a livello Comunitario una corposa normativa tesa alla salvaguardia dell uomo e degli animali nei confronti della BSE. Tale normativa, se da un lato ha disciplinato il comportamento degli operatori per quanto riguarda studi clinici, epidemiologici, controllo della movimentazione degli animali e delle loro derrate, dall altro, con la proibizione progressiva dell utilizzazione delle citate farine (prima nell alimentazione dei ruminanti, poi per tutti gli animali da reddito), ha provocato una vera e propria rivoluzione al comparto mangimistico, balzato così improvvisamente all attenzione generale dopo anni di indisturbato sviluppo. Già nel 1988 nel Regno Unito le farine proteiche erano state vietate nell alimentazione dei ruminanti, vista la grave situazione epidemiologica della BSE negli allevamenti bovini e dopo l accertato coinvolgimento delle farine stesse nella trasmissione della malattia. Pur tralasciando la grave considerazione (fatta a posteriori) che tale divieto non è 178

8 mai stato rispettato nel Regno Unito, salta agli occhi la stranezza per cui il mondo produttivo in tutti i suoi settori (sperimentazione, ricerca, industria, ecc.) legati alla fabbricazione di mangimi non abbia in tanti anni messo a punto il benché minimo programma di studio alimentare volto alla ricerca di una alternativa alle farine proteiche nell alimentazione animale. La cosa appare ancora più incomprensibile se consideriamo il succedersi, sempre più frequente e restrittivo, delle norme comunitarie in materia di mangimi. A parte il tentativo di applicazione, peraltro legato a comparti ristretti e/o a prodotti di nicchia, delle nuove norme sull alimentazione biologica, anche in Italia, come nel resto della Comunità, non sono stati avviati studi seri, o, meglio, propositivi sulla ricerca di fonti proteiche alternative. Ovviamente il discorso è molto più complesso, in quanto occorre tenere conto che l intero comparto produttivo zootecnico, dagli anni 60 ad oggi, ha avuto come prevalente principio ispiratore l obiettivo industriale di produrre sempre di più a minor prezzo. Questa politica produttiva non ha mai invertito la propria tendenza neanche quando il succedersi di atti normativi sembrava far prevedere una definitiva messa al bando di un certo tipo di integrazione proteica. In quest ottica sarebbe stata opportuna una revisione critica, ed una profonda riflessione culturale, sul modo di fare zootecnia. E sembrato invece di parlare astrattamente di qualcosa più vicino all utopia che alla realtà (ad esempio riuscire a convincere gli allevatori di bovini che senza l utilizzo delle farine come integrazione proteica non vi sarebbero state perdite economiche, in quanto l aumento del costo avrebbe avuto come conseguenza un generale aumento del prezzo dei prodotti ma non altrettanto automaticamente una diminuzione dei consumi); tuttavia, osservando il punto di vista del legislatore, era chiarissima la strada che si doveva intraprendere. Tante belle premesse non hanno avuto però un lieto fine: la decadenza della moratoria prevista dal Regolamento CEE 999/2001potrebbe annullare tutti gli sforzi compiuti dagli operatori di sanità pubblica in fatto di educazione sanitaria ed applicazione della norma in quanto farebbe tornare di colpo l Europa all anno 1994, ripristinando la norma che prevede per i soli ruminanti, il divieto di consumare alimenti nei quali vi sia traccia di proteine derivate da mammiferi. Suini, avicoli e pesci potranno consumare nuovamente le farine di qualsiasi tipo, le quali (per contaminazioni crociate o sottobanco) torneranno inevitabilmente anche nei mangimi per ruminanti. Al contrario l esperienza acquisita nel 2001 ed i nuovi assetti produttivi del settore potrebbero invece favorire una svolta, considerato che le alternative sono concretamente praticabili. L alternativa possibile alle farine di origine animale Mentre in Europa si stanno perseguendo strategie contingenti per controllare ed eradicare la BSE è necessario contemporaneamente affrontare i problemi di adattamento e di cambiamento del mercato che la vicenda mucca pazza ha posto in evidenza nel settore zootecnico. In questi casi il consumatore può svolgere una predominante funzione di indirizzo: infatti, per tutte le produzioni animali esige di essere rassicurato sulla salubrità di ciò che acquista e, in tale ambito, ha maturato la convinzione che l alimentazione 179

9 zootecnica sia uno dei principali fattori che influiscono sulla qualità degli alimenti di origine animale destinati all uomo. Pertanto, fra i molti problemi di adattamento, quello zooalimentare acquisisce molta importanza e si impone di conseguenza una profonda revisione di tutto il sistema produttivo. A causa dei limiti posti all uso delle farine di origine animale, in seguito all adozione delle misure preventive nei confronti dell encefalopatia spongiforme bovina, si dovranno certamente riconsiderare le farine di origine vegetale, ovvero quelle farine che già facevano parte delle diete alimentari zootecniche, quali fonte proteica, prima dell avvento delle farine animali (Zucchi, 2001). Nel vasto comparto delle specie vegetali cosiddette proteiche vi sono alcuni prodotti che possono essere impiegati tal quali senza alcun trattamento industriale, mentre altri devono necessariamente subire più o meno elaborati processi di lavorazione. Del primo gruppo fanno parte principalmente il pisello proteico, il favino e il lupino, mentre del secondo la farina disidratata di erba medica, le farine di estrazione di soia, colza, e girasole (Lambertini, 2001). L Unione Europea è deficitaria di queste produzioni e, in alternativa al ricorso all importazione dall estero, è proponibile incrementare la produzione di colture proteiche in ambito comunitario. Soluzione di grande interesse anche per l Italia in quanto in prevalenza si tratta di coltivazioni adatte al nostro clima. Si tratta inoltre in alcuni casi di colture agronomicamente miglioratrici (aumentano le riserve di azoto nel terreno e hanno una positiva azione nel modificare la dinamica di altri elementi nutritivi già presenti nel terreno) e abbastanza facili da realizzare (Ranalli, 2001). Tra gli aspetti ambientali positivi che se ne traggono vi è anche la possibilità di praticare l avvicendamento in modo da realizzare rotazioni con foraggere (mais silo o da granella o altre graminacee estive); la rotazione con colture miglioratrici, quali le leguminose, non solo ha un effetto positivo sulla produttività, ma può ridurre una serie di cause parassitarie, molto frequenti nella omosuccessione. Tuttavia la praticabilità di un modello zootecnico che abbandona le farine animali dipende anche dalla redditività di questo sistema. In tal senso è fondamentale l orientamento della politica agricola comunitaria che dovrebbe avviare sempre più programmi a sostegno delle colture proteoleoginose, e autorizzare la coltivazione di piante proteiche nei terreni set-aside, (regolate dal Regolamento 1094/88 che, per far fronte al problema delle eccedenze agricole, ha introdotto il ritiro volontario dei seminativi dalla produzione) (Report Commissione Europea, 2001), che attualmente sono 6 milioni di ettari, in Italia (Quotidiano Net., 2001). L Europa oggi infatti produce 17,7 milioni di proteine vegetali tra semi oleosi, altre colture proteiche e foraggi essiccati rispetto ad un fabbisogno di 51,7 milioni. I due terzi dei consumi europei sono quindi coperti da importazioni L Europa d altra parte per sostituire le farine animali aprirà le sue porte nel breve periodo a 1,2 milioni di tonnellate aggiuntive di semi e farine di soia in gran parte di provenienza americana o latino-americana, dove le produzioni di soia OGM variano dal 50 al 60% (Quotidiano Net., 2001). Di conseguenza si dovrà allora affrontare la problematica dei cibi cosiddetti transgenici, la cui importanza e la cui ricaduta sulla sicurezza alimentare non sono certamente trascurabili o, comunque, tutte da verificare. 180

10 Si prevede che l Italia, dal canto suo, per non dover ricorrere ulteriormente all importazione di prodotti a rischio OGM dovrebbe aumentare la superficie coltivata a soia di ettari (55 % in più rispetto a quella attuale) o quella di erba medica di circa ettari (+11%) o in alternativa quella di girasole di ettari (+241%), o quella di fave o di piselli di ettari (+2731%) (sito Coltivatori Diretti). La ricerca di un nuovo modello di produzione agricola, con l eliminazione delle farine animali e la loro sostituzione con fonti proteiche di origine vegetale, determina la necessità di affrontare i problemi che ne derivano. Tra questi vanno considerati gli effetti sull ambiente, i limiti nutrizionali conseguenti al non impiego di proteine origine animale con un alto valore biologico, i fattori antinutrizionali e tossici che possono essere presenti in taluni vegetali. L incremento delle aree destinate alle colture intensive, con ricorso a prodotti chimici di vario genere in agricoltura, può provocare inquinamento ambientale da diserbanti, fertilizzanti, anticrittogamici. Una razione contenente esclusivamente proteine vegetali necessita di una maggiore integrazione con aminoacidi solforati, lisina e metionina, oligoelementi, grassi, proteine bypass, integratori azotati. A tutto ciò consegue un aumento dei costi di produzione. Il contenuto in fattori antinutrizionali e tossici di alcuni vegetali (tannini, acido fitico, micotossine, glucosidi cianogenetici, inibitori enzimatici ecc.), determina la necessità di rivedere i processi produttivi dei mangimi, facendo ricorso a sistemi in grado di contrastarne gli effetti negativi. Ulteriore problema da affrontare è quello legato allo smaltimento dei rifiuti di origine animale. Con il bando delle farine di carne, infatti, questi prodotti escono dal circuito produttivo dei mangimi e cessano quindi di costituire una risorsa. Le problematiche prese in considerazione hanno come ricaduta l aumento dei costi di produzione degli alimenti di origine animale, cui consegue inevitabilmente l aumento dei prezzi al consumo. Pertanto un processo di revisione di questo genere non può essere dissociato da un cambiamento culturale da parte dei consumatori che devono essere disposti ad acquistare alimenti a prezzi più alti rispetto al passato, in cambio di maggiori garanzie di salubrità dei prodotti. Pertanto, tenuto conto che come prospettiva di revisione del modello di produzione agricola è proponibile un sistema di allevamento zootecnico che abbandoni le farine animali, analizziamo allora le caratteristiche delle due fonti proteiche che abbiamo considerato, ovvero quelle animali e quelle vegetali. A. Fonti proteiche di origine animale Farine di carne Sono alimenti che entrano nelle diete di animali in produzione zootecnica per correggere le deficienze di aminoacidi essenziali carenti nei prodotti di origine vegetale e per apportare vitamina B12, macro e micro elementi minerali. Vengono prodotte da carcasse o parti di carcasse inidonee al consumo alimentare umano di animali a sangue caldo, private di pelle, peli, corna, unghia del contenuto dello stomaco e dell intestino. 181

11 Sono utilizzati in prevalenza scarti di vario tipo: connettivi, tendini, visceri, sangue, cartilagini, ossa. Oggigiorno con la comparsa della BSE il cui agente risulta particolarmente resistente alle condizioni di temperatura e pressione applicati con le tecniche tradizionali, la lavorazione della materia prima richiede trattamenti molto più drastici: 133 C per 20 minuti a 3 Bar di pressione. Le farine di carne hanno un contenuto di materia secca del 92-95% e contengono in riferimento alla materia secca da al 60-65% di proteina, in larga misura bypassabile. Esse apportano, quindi, nella razione proteine in elevata quantità che, anche se non sempre di ottimo valore biologico, conferiscono tuttavia lisina in tenori soddisfacenti e quantità di metionina e triptofano variabili a seconda della qualità delle farine. Il contenuto in grasso varia dal 3-5% al 12-13% sulla sostanza secca a seconda del grado di sgrassatura. Il contenuto in ceneri è elevato, 25-30% sulla sostanza secca, e ad esse corrisponde un elevato apporto di calcio, 8-10%, fosforo, 4-5%, cloro, sodio, ferro, manganese e altri elementi. Le farine di carne sono inoltre una buona fonte di vitamine del complesso B (B12, niacina e colina) mentre scarso o nullo è l apporto di vitamine liposolubili. Quando la percentuale di ossa è elevata il prodotto ottenuto è denominato farina di carne e ossa, che si distingue dalle farine di carne per il più basso tenore proteico (40-50% della s.s.) ed il più elevato contenuto in ceneri (30-35% della ss.). Farina di sangue Si ottiene dal sangue raccolto nei macelli. Di particolare interesse il tenore in lisina, il contenuto di proteina altamente bypassabile e il discreto contenuto di aminoacidi solforati. Modestissimo è invece il contenuto in grasso (1-2%) e quello in estrattivi inazotati ( %). Le ceneri (4%) contengono un elevato tenore in fosforo ed un alta percentuale di elementi oligodinamici (in particolare ferro). Residui della macellazione del pollame Si tratta di teste, zampe, visceri sottoposte a cottura ed essiccazione; hanno un tenore di materia secca del 90-93% e contenuto proteico di circa 55%. Contengono rispetto alle farine di carne un più modesto tenore in ceneri (11-15% sulla sostanza secca) e una maggiore percentuale di grasso. Farine di penne idrolizzate Si tratta di penne e piume ottenute da specie avicole macellate, sottoposte ad un trattamento di idrolisi alcalina in autoclave. Il prodotto ha un elevato contenuto in proteina (90% sul secco) in larga misura costituita da cheratine, che il trattamento idrolitico rende abbastanza digeribili (70-75%). Il valore biologico della proteina della farina di penne idrolizzate è modesto (essendo scarsa in lisina e metionina), mentre è interessante l elevato contenuto in cistina. Farina di pesce Si ottiene da pesci interi di scarso pregio appartenenti a varie specie e dagli scarti di lavorazione del prodotto destinato all industria conserviera. La farina di pesce ha un tenore in materia secca del 92-93%, rappresenta per 182

12 l alimentazione animale una della fonti più importanti di proteina non degradabile e di elevato valore biologico (il tenore proteico è del 65-80% sulla sostanza secca, % sul tal quale). Il valore biologico della proteina della farina di pesce è ottimo per l apporto di lisina, metionina, triptofano, istidina, arginina. Il tenore in grasso è dal 4 al 12 % sulla ss. Sono ricche di calcio, fosforo, ferro e zinco; di rilievo, inoltre, gli apporti di vitamina B12, colina e secondariamente vitamina B2, niacina (Ladetto, 1999). B. Fonti proteiche vegetali Nell impiego di fonti proteiche vegetali bisogna tenere conto di una serie di fattori condizionanti quali: il valore nutrizionale, l appetibilità, la possibile tossicità o contaminazione con pesticidi o metalli pesanti, gli effetti sulla digestione e utilizzazione della razione totale. Prendiamo in esame le principali piante proteiche utilizzate per l alimentazione zootecnica. Leguminose foraggere Sono importanti oltre che come fonti proteiche anche per il loro apporto vitaminico. Dal punto di vista agronomico svolgono un ruolo di miglioratrici nelle rotazioni, in quanto arricchiscono il suolo di azoto. Erba medica: è molto appetita dal bestiame, sia fresca che affienata, eccelle per ricchezza di proteine di buon valore biologico (lisina), ma non è molto dotata di aminoacidi solforati mentre è ricca di calcio ed elementi oligodinamici, caroteni, vitamine. Trifoglio bianco: risulta più ricco di proteina dell erba medica (22-24% sulla sostanza secca), è poco fibroso (17-22% di cellulosa grezza sulla sostanza secca), ha un contenuto vitaminico e di elementi minerali paragonabili all erba medica. Trifoglio pratense: per caratteristiche compositive e valore alimentare non si discosta dalla medica rispetto alla quale è meno provvisto di caroteni. Trifoglio ibrido: è equivalente al trifoglio pratense per caratteristiche compositive e valore nutritivo. Veccie: hanno un buon valore nutritivo e proteico. Sulla: da qualche tempo si assiste ad un significativo risveglio di interesse nei confronti di questa leguminosa, risveglio che appare suffragato da alcuni fatti incontrovertibili, quali: un eccezionale rusticità, entro l ambito del suo areale climatico (regioni mediterranee) e podologico; una non trascurabile azotofissazione; un elevato valore nutritivo, un buon contenuto in microelementi, una digeribilità maggiore di quella dell erba medica, con assenza pressoché completa di estrogeni e sostanze antinutrizionali; un elevato contenuto in carboidrati solubili; un buon contenuto in tannini condensati che rappresentano una buona difesa contro le malattie delle piante e parassitosi animali e preservano gli animali dal meteorismo favorendo in tal modo il pascolamento. I tannini, inoltre, hanno un moderato effetto sul tasso di solubilizzazione delle proteine dai foraggi freschi, ma riducono marcatamente la degradazione ruminale di proteine solubili ed incrementano l assorbimento a livello intestinale di metionina e di una gamma di aminoacidi essenziali (La Sulla, 1998). 183

13 Crucifere e composite Colza e ravizzone: il foraggio ottenuto è modestamente fibroso, contiene un % di proteina sulla sostanza secca, ha un elevato contenuto in calcio %. E adatto nell alimentazione dei bovini da latte e da ingrasso. Girasole: ricco in calcio ( % sulla sostanza secca), il contenuto proteico varia dal 25 al 49%. Semi di leguminose Ricchi di proteine (23-40% sulla sostanza secca) di valore biologico però generalmente modesto: l aminoacido limitante è solitamente la metionina; ricchi inoltre in fosforo e di alcune vitamine del complesso B (tiamina a e colina), meno in calcio e vitamina E. Fave: contengono 26-30% di proteina grezza sulla sostanza secca, possono essere utilizzate nell alimentazione di tutte le categorie di ruminanti. Pisello: è ricco in glucidi; ha un contenuto proteico dal 15 al 30% sulla sostanza secca, intermedio fra quello dei concentrati proteici vegetali (farina di estrazione di soia, arachidi, colza, girasole, ecc.) e quello dei cereali. E molto appetito. Il profilo aminoacidico si caratterizza per un buon livello di triptofano, arginina e lisina, ma vi è una notevole carenza di aminoacidi solforati, soprattutto di metionina. Le proteine del pisello hanno una degradabilità dell 88% (Ranalli, 2001) e una velocità di degradazione molto maggiore di quella della soia. Questo comporta una limitazione nel loro utilizzo per le vacche ad inizio lattazione, i cui fabbisogni in proteine bypass sono elevati (Corbett, 1999). Il trattamento con il calore consente di aumentare la frazione proteica bypassabile (Corbett, 1999). Il pisello è un alimento interessante per l elevato contenuto di amido e proteine rapidamente fermentescibili e quasi totalmente disponibili per le fermentazioni ruminali. Lupini: i semi sono ricchi di proteine (36-42 %), ma poveri di metionina e cistina. Non vanno usati come unica fonte proteica a causa dell alto contenuto di proteina degradabile (80%, nella vacca da latte), inferiore comunque a quella del pisello (Wilkins e Jones, 2000), possono essere somministrati insieme alla farina di soia nella proporzione 1: 1 (sito North Dakota State University). Sottoprodotti dell industria dell olio di semi I semi oleosi possiedono un elevato contenuto proteico, un buon livello di fosforo e un apprezzabile contenuto di calcio. Pertanto i sottoprodotti che si ottengono dall estrazione dell olio costituiscono elementi di particolare importanza nell alimentazione animale. Contengono tra il 20 e il 50% di proteina dal valore biologico alquanto vario. Seme disoleato di soia: il prodotto ottenuto da semi integrali ha un tenore proteico sul tal quale del 44%, mentre il prodotto decorticato ha un tenore del 49-50%. Le farine di estrazione di soia costituiscono un alimento di grande importanza per l elevata qualità della proteina, la migliore tra quelle fornite da vegetali, ricca di lisina, triptofano e altri aminoacidi essenziali. Metionina e cisteina, pur presenti in quantità apprezzabile, risultano essere gli aminoacidi limitanti. E una sorgente apprezzabile di tiamina e colina, fosforo e manganese. Non ha significative controindicazioni, è molto appetibile e può essere impiegata nelle razioni per tutte le categorie di animali in allevamento zootecnico. 184

14 Seme disoleato di arachide: la farina contiene circa dal 52 al 55% di proteina grezza, di valore biologico inferiore a quello della soia. Seme disoleato di girasole: la farina contiene dal 28 al 50% di proteine sulla materia secca, in rapporto all entità della decorticazione di valore biologico modesto, essendo povera di lisina, tuttavia ben dotata di metionina e discretamente di arginina. Meno appetibile della farina di soia. Seme di cotone disoleato: i semi contengono il % sulla sostanza secca di proteine di modesto valore biologico, adatto solo nell alimentazione dei ruminanti adulti a causa del contenuto in gossipolo, sostanza tossica di natura fenolica che provoca lesioni epatiche e renali negli altri animali. Esistono anche varietà degossipolizzate adatte anche per i monogastrici. Nonostante sia molto appetito dai bovini (per i quali ha un effetto positivo sull attività del rumine), se somministrato in quantità superiori al 15% nella dieta, può avere effetti negativi sulla fertilità (sito North Dakota State University). Seme disoleato di colza e ravizzone: la farina ha un contenuto proteico elevato, (39-40% sulla sostanza secca), si tratta di proteina di valore biologico discreto, in quanto abbastanza fornita di lisina; elevato anche il contenuto di fosforo, calcio, manganese, niacina e colina. Può essere utilizzata fino a 25% nelle razioni delle bovine da carne e in quantità più ridotte nelle bovine lattifere (Ladetto, 1999). Può sostituire la farina di soia nella dieta poiché ha un contenuto aminoacidico molto simile. Leucina, isoleucina e metionina sono i principali aminoacidi limitanti (sito North Dakota State University). Residui dell estrazione dell amido di mais Per l alimentazione del bestiame sono disponibili: Farina glutinata di mais: costituita da una mescolanza di glutine, crusca e solubili di mais; ha composizione variabile, caratterizzata da discreta voluminosità (10-11% di cellulosa grezza), ricchezza in proteina (23-25% sulla ss.) e valore nutritivo discreto. Glutine di mais 40%: costituito da una miscela di glutine, di farina di germe, e talora di solubili di mais; è un prodotto molto ricco di proteina (45%), poco fibroso e pertanto di buon valore nutritivo. Molto ricco di caroteni e xantofille. Glutine di mais 60%: costituito essenzialmente dalla frazione azotata delle cariossidi; contiene oltre il 65-66% di proteina sulla ss. ed è molto ricco di caroteni e xantofille. Panello di germe di mais: ha valore proteico del 13-15% sulla ss. Nel caso che contenga crusca ha sensibile fibrosità (7-8% sulla sostanza secca). Prendiamo infine in considerazione uno dei principali integratori azotati non proteici: l urea. Viene impiegata nell alimentazione dei ruminanti per arricchire di azoto le razioni scarse in proteina, grazie alle capacità dei microrganismi del rumine di utilizzare a fini plastici l azoto non proteico. Per una valida utilizzazione dell azoto non proteico fornito dall urea è necessario che questa sia inserita in diete comprendenti mangimi ricchi in estrattivi 185

15 inazotati, dalla cui fermentazione i microrganismi simbionti traggono l energia necessaria per la sintesi dei composti azotati; occorre inoltre fornire un adeguata fonte di zolfo per la sintesi batterica di aminoacidi solforati. Valutiamo quindi dal punto di vista pratico cosa comporta la sostituzione della farina di carne con integratori puramente vegetali. Nel razionamento bisogna prima di tutto tenere presente quali sono i fabbisogni nutritivi. Qui di seguito sono riportate alcune tabelle dei fabbisogni nutritivi di diverse specie animali. Fabbisogni nutritivi giornalieri nelle varie specie Come si può vedere dalle seguenti tabelle dei fabbisogni dei bovini in produzione, vengono prese in considerazione le proteine digeribili intestinali (PDI), intese come somma della quota derivante dalla razione alimentare non degradata a livello ruminale ed utilizzabile dall intestino (PDIA) e delle proteine microbiche derivanti dalle popolazioni ruminali (PDIM), la cui entità può essere condizionata dall energia disponibile (PDIME) o dall azoto degradabile nel rumine (PDIMN). Fabbisogno di mantenimento (giornaliero) delle bovine lattifere (Jarrige, 1988) Peso vivo (kg) UFL PDI (g) 450 4, , , , , , ,9 470 Fabbisogno di gestazione 186 UFL PDI (g) 7 mese 0, mese 1, mese 2,6 205 Fabbisogno di produzione: per 1 kg di latte al 4% di grasso UFL PDI (g) 0,44 48 UFL: Unità Foraggere Latte PDI: Proteine Digeribili nell Intestino Nota: se il fabbisogno proteico viene espresso in termini di proteina grezza, si possono adottare i seguenti valori indicativi:! fabbisogno di mantenimento (in g) = peso vivo (in kg) x 0,85! fabbisogno di lattazione (in g) = kg di latte prodotto (al 4% di grasso) x 88! il fabbisogno di gravidanza al settimo, ottavo e nono mese di gestazione è pari a quello di una produzione, rispettivamente, di 2, 3,7 e 6 kg di latte al 4% di grasso.

16 Fabbisogni nutritivi giornalieri di bovini in accrescimento ingrasso: vitelloni tardivi, (Charolaise, Chianina, Marchigiana, Limousine, Blonde d Aquitaine, Piemontese) (sito INRA Institute National de la Recherche Agronomique). Peso vivo Incremento kg g/die UFV 4,2 4,6 5,0 4,7 5,1 5,5 6,0 5,1 5,6 6,0 6,5 5,6 6,0 6,5 7,1 7,6 6,0 6,5 7,0 7,6 8,2 6,5 7,0 7,6 8,2 8,8 6,9 7,5 8,1 8,8 7,9 8,0 8,7 7,7 8,5 9,3 10,1 PDI g Oltre alla quota prodotta a livello ruminale sotto forma di proteina microbica, un altra importante fonte proteica dei ruminanti è rappresentata dalla percentuale di proteine alimentari che non viene degradata e passa integra nell intestino: tale proteina bypass assume grande importanza soprattutto negli animali le cui produzioni sono notevolmente spinte. Nel caso di produzioni di latte superiore ai 35 kg giornalieri, oltre ad equilibrare gli elevati apporti di azoto solubile con un altrettanto elevata disponibilità di zuccheri fermentescibili, occorre, quindi, prevedere l inserimento nella razione di alimenti caratterizzati da un notevole by-pass ruminale, quali, ad esempio, il glutine di mais e, quando era consentito, farine di origine animale. Nello stabilire la concentrazione proteica della razione occorre considerare la 187

17 concentrazione energetica della stessa: all aumentare della prima conviene aumentare la seconda, favorendo così la sintesi di proteine batteriche nel rumine. Un deficit energetico provocherebbe un incremento di ammonio nel rumine e di urea nel sangue, con conseguenti problemi di mastiti, zoppie e ipofertilità. Le proteine degli alimenti non sono equivalenti fra di loro dal punto di vista dell utilizzazione nutritiva, ma sono caratterizzate da una diversa qualità, che deriva essenzialmente dal tipo di aminoacidi - i principali costituenti dei protidi - presenti. Per i ruminanti in particolare esiste un gruppo di aminoacidi (metionina, lisina, triptofano e treonina su tutti) che sono definiti essenziali poiché, in caso di loro carenza nella dieta, neppure la sintesi batterica e in grado di fornirne quantità sufficienti. La proteina di origine vegetale è notevolmente più povera di aminoacidi essenziali rispetto alla proteina di origine animale: ad esempio, i semi di soia integrali contengono il 2,35 % (sul tal quale) di lisina e lo 0,52 % di metionina, mentre la farina di carne sgrassata contiene il 3,57 % di lisina e lo 0,92 % di metionina. In pratica, per ottenere la stessa quantità di metionina, bisognerebbe somministrare una razione con una quantità quasi doppia di soia rispetto alla farina di carne, con un conseguente aumento dei costi di produzione. La carenza in aminoacidi essenziali dei cereali inoltre fa sì che le proteine apportate vengano utilizzate non per scopi proteici ma energetici, con conseguente lavoro e affaticamento del fegato per la deaminazione aminoacidica, produzione di urea e interessamento renale per il suo smaltimento. Non si può quindi eccedere nella somministrazione di proteine povere di aminoacidi essenziali per permettere una produzione spinta, senza incorrere in rischi metabolici e a volte sanitari per l animale. Il divieto dell utilizzo di farine di origine animale diventa quindi uno stimolo per cambiare la gestione degli animali in produzione: meno quantità, più qualità e con un occhio di riguardo al benessere animale. Fabbisogni nutritivi dei suini (composizione delle razioni con riferimento alla sostanza tal quale) (INRA - Institute National de la Recherche Agronomique) Peso vivo kg Incremento giornaliero g Scrofe gestanti verri 188 Scrofe in lattazione Età giorni Energia digeribile kcal/kg Energia metabolizzabile kcal/kg Proteina grezza % Lisina % 1,40 1,10 0,80 0,70 0,40 0,60 Arginina % 0,36 0,32 0,25 0,20-0,40 Istidina % 0,34 0,29 0,20 0,18 0,12 0,23 Isoleucina % 0,80 0,65 0,50 0,42 0,34 0,42 Leucina % 1,00 0,80 0,60 0,50 0,30 0,69 Metionina + cistina * % 0,80 0,65 0,50 0,42 0,27 0,33 Fenilanina + tirosina % 1,30 1,00 0,80 0,70 0,31 0,69 Treonina % 0,80 0,65 0,50 0,42 0,34 0,42 Triptofano % 0,25 0,20 0,15 0,13 0,07 0,12 Valina % 0,90 0,70 0,55 0,50 0,43 0,42 * la metionina deve rappresentare almeno il 50% dell'apporto di aminoacidi. solforati.

18 Fabbisogni nutritivi dei polli (composizione delle razioni con riferimento alla sostanza tal quale) (Ladetto, 1999) Broiler Broiler Broiler Pollastre Pollastre Pollastre Ovaiole deposizione Età, settimane Energia metabolizzabile kcal/kg Proteina grezza % Lisina % 1,20 1,00 0,85 0,85 0,55 0,60 0,60 Arginina % 1,44 1,20 1,00 1,00 0,83 0,67 0,80 Istidina % 0,35 0,30 0,26 0,26 0,22 0,17 0,22 Isoleucina % 0,80 0,70 0,60 0,60 0,50 0,40 0,50 Leucina % 1,35 1,18 1,00 1,00 0,83 0,67 1,20 Metionina* +cistina % 0,93 0,72 0,60 0,65 0,50 0,40 0,50 Fenilalanina+ tirosina % 1,34 1,17 1,00 1,00 0,83 0,67 0,80 Treonina % 0,75 0,65 0,56 0,56 0,47 0,37 0,40 Triptofano % 0,23 0,20 0,17 0,17 0,14 0,11 0,11 Valina % 0,82 0,72 0,62 0,62 0,52 0,41 0,50 * La metionina deve fornire almeno il 50% dell'apporto d aminoacidi. solforati. Per quanto riguarda i monogastrici, il discorso si aggrava: questi animali, infatti, non possiedono una flora simbionte in grado di sintetizzare nutrienti utili all organismo. L'integrazione alimentare di aminoacidi essenziali, quindi, diventa ancora più importante, con conseguente aumento dei costi di produzione. Il divieto delle farine di carne ha comportato l utilizzo di nuclei e/o prodotti alternativi più costosi: ad esempio, se prima una razione per suini all ingrasso integrata con farina di aringa poteva costare circa lire/quintale, ora l utilizzo di un nucleo solo vegetale innalza il costo sino a lire/quintale ed oltre, limando il margine di guadagno per il chilo di carne prodotta. Ma gli allevatori di suini e polli, fortunatamente, proprio per l effetto BSE hanno visto aumentare notevolmente la richiesta di carne di queste specie, riuscendo quindi a spuntare prezzi che mai erano riusciti in passato; ad esempio il prezzo dei suinetti del peso di 15 chili è passato da lire/kg di carne nell estate 2000 a lire/kg nell estate 2001, così i suini di 156 kg da 2700 lire/chilo di carne a 3190 lire/chilo di carne. Le alternative concretamente individuate Le farine di carne, fino ai primi anni 90 e le farine di pesce fino al dicembre 2000, potevano essere considerate una risorsa nel settore mangimistico per i seguenti motivi:! elevato contenuto proteico;! buona digeribilità delle proteine;! alto contenuto in aminoacidi essenziali (es. lisina);! buon apporto di energia per la quota di grassi presenti;! apporto di elementi minerali di ad elevata disponibilità biologica (Ca, P, ed oligoelementi, Fe e Zn, in particolare). 189

19 Ad un certo punto, questa risorsa è venuta meno ed è diventato necessario individuare soluzioni alternative all impiego di tali farine nella formulazione dei mangimi. Un esame condotto con la collaborazione di veterinari libero professionisti e consulenti mangimisti delle aziende del settore mangimistico ci ha fatto concludere che l eliminazione delle proteine di origine animale dal circuito dell alimentazione zootecnica non comporta, a prescindere dal sistema di smaltimento, problematiche insolubili. Si evidenzia però la necessità di disporre di un elevato quantitativo di proteine di origine vegetale ripensando nel contempo la formulazione dei mangimi. Risulta possibile anche orientarsi verso una riduzione del livello proteico del mangime: infatti, con la razionalizzazione degli schemi di formulazione, non si ottengono effetti negativi sulle performance produttive, ma anzi un miglioramento dell impatto ambientale legato alle produzioni zootecniche, come dimostrato dalle razioni per suini ridotte nel livello proteico del 15% (Piva, 2001). Vediamo, in sintesi, le soluzioni praticamente adottate nei settori di allevamento a seguito della moratoria comunitaria. Ruminanti:! Le farine di pesce, impiegate prevalentemente nella produzione di mangimi per lattifere, vengono oggi sostituite con farine proteiche di origine vegetale, soprattutto glutine di mais, leguminose (soia, pisello, ecc.), proteina di patate (sottoprodotto ottenuto dalla separazione della fecola: D.L.gs360/99). Il valore commerciale di questi prodotti in alcuni casi risulta anche inferiore a quello della farina di pesce, come nel caso del glutine di mais; ma poiché l eliminazione delle farine proteiche di origine animale ha comportato la necessità di un integrazione aminoacidica del mangime (aminoacidi solforati), il costo dell alimento risulta mediamente più elevato. Inoltre la scarsa produzione locale di soia, impiegata quale fonte proteica alternativa, comporta la necessità di un approvvigionamento dall estero di tale materia prima ed il conseguente possibile utilizzo di soia OGM. Del resto l aumento della superficie agricola del nostro Paese coltivata a soia sottrarrebbe territorio alla produzione del mais, del quale probabilmente diventeremmo deficitari. Nella preparazione di mangimi per bovine ad elevata produzione lattea, la necessità di un cospicuo apporto proteico può essere raggiunta anche utilizzando bypassanti ruminali per le proteine.! Un ulteriore fonte proteica alternativa può essere rappresentata, per i ruminanti, dall urea, (già da tempo impiegata a tale scopo). Nella vacca da latte l aggiunta di circa 120 gr/dì di questa sostanza nella razione non comporta alcun tipo di inconveniente, soprattutto se associata con amidi molto fermentescibili (insilati o pastoni). Esistono in commercio mangimi complementari che ne contengono fino al 5%. Nel mangime completo viene utilizzata in percentuale dell 1%. L aggiunta dell 1% di urea al mangime comporta un incremento dell apporto proteico del 3,5-4%, 190

20 ad un costo molto basso, di circa 150 Lire a punto proteico. L urea somministrata in quantitativi eccessivi risulta tuttavia dannosa anche per i ruminanti: passando in circolo, causa manifestazioni cliniche acute (mastite e zoppie) e croniche (ipofertilità).! L utilizzo di fonti proteiche alternative non ha comportato, comunque, significative diminuzioni della produzione lattea. Altre specie.! Un aspetto positivo derivante dalla sostituzione delle farine animali con quelle vegetali può essere rappresentato dal minor impatto ambientale conseguente alla minor eliminazione nell ambiente di P e N.! Tra i possibili fattori di rischio di trasmissione della BSE, l attenzione si è concentrata anche sui grassi animali, in particolare su quelli ottenuti dai bovini (sego). In tali grassi possono infatti essere presenti residui di natura proteica derivanti dalla materia prima lavorata. La vigente normativa permette l utilizzo dei grassi animali nei mangimi, a condizione che provengano da materiale a basso rischio ai sensi del D.L.gs508/92 (D.M ) e che, se provenienti da ruminanti, siano stati purificati in modo che il tenore massimo di impurità insolubili residue totali non superi lo 0,15% (Decisioni 1999/534/CE e 2000/766/CE). In pratica però in molti mangimifici l utilizzo dei grassi animali è stato sospeso ed i grassi animali sono stati sostituiti con i grassi vegetali, anche per eliminare il rischio del riscontro analitico di frammenti ossei veicolati dai grassi, in caso di campionamenti ufficiali del mangime. Suini Nei suinetti l eliminazione del plasma dalla produzione del mangime da svezzamento ha causato una sensibile diminuzione dell appetibilità dell alimento. L eliminazione, di fatto, anche della farina di pesce (in quanto pochissimi stabilimenti hanno ottenuto l autorizzazione al suo utilizzo, producendo anche mangime per ruminanti senza disporre di una doppia linea di produzione come previsto dalla Decisione 2001/9/CE), ha comportato la necessità di utilizzare fonti proteiche di origine vegetale con la conseguente necessità di un integrazione aminoacidica, che grava sul costo totale del mangime determinandone un incremento del 10-15%. Nei suini grassi pesanti, allevati per la produzione dei prosciutti crudi, la sostituzione dei grassi animali con quelli vegetali induce la formazione di un grasso eccessivamente ricco di acido linoleico, con una conseguente minor conservabilità dei prosciutti nella fase di stagionatura (grasso meno compatto). Tacchini Rappresentano la specie che maggiormente risente del mancato utilizzo delle proteine di origine animale. L utilizzo alternativo delle proteine di origine vegetale comporta performance produttive decisamente inferiori: circa 1 Kg. in meno alla fine del ciclo di 150 gg. (17 kg. anziché 18 Kg.). 191

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