2. I condizionali indicativi
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- Carlotta Amato
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1 2. I condizionali indicativi 2.1. Da un punto di vista logico La semantica è quella branca della linguistica che si occupa del significato delle espressioni che analizza cioè la relazione tra i segni e gli oggetti che questi denotano. La semantica si fonda su alcune assunzioni preliminari, che verranno qui brevemente riassunte. Sapere che cosa significa un determinato enunciato equivale a sapere quando quell enunciato è vero ossia, come dovrebbe essere fatto il mondo per renderlo vero. Io so che cosa significa Gianni è nato a Milano quando so qual è lo stato di cose che lo renderebbe vero ossia Gianni deve essere venuto al mondo nella città di Milano. La semantica è vero-condizionale: assume cioè che il significato di un enunciato consiste nella determinazione delle sue condizioni di verità. Questo fatto viene formalizzato introducendo una funzione interpretazione [[ ]], che viene applicata a un espressione α, e che determina quali sono le condizioni di verità di α: [[α]] = l insieme di situazioni possibili che rendono α vero. [[Gianni è nato a Milano]] = l insieme di situazioni possibili in cui Gianni è di fatto nato a Milano Assumendo di valutare il significato degli enunciati in una determinata situazione ad esempio, nel mondo attuale, il significato (estensionale) di un enunciato sarà il suo valore di verità ossia quell enunciato assumerà il valore vero, o 1, se e solo se il mondo attuale lo rende vero, oppure assumerà il valore di verità falso, o, se e solo se il mondo attuale lo rende falso. ormalmente questo è indicato relativizzando la funzione interpretazione a una determinata situazione possibile di valutazione che possiamo assumere il mondo attuale ω: [[ ]] ω [[α]] ω = se e solo se ω rende α vero. [[Gianni è nato a Milano]] ω = sse in ω Gianni è di fatto nato a Milano Oltre a essere vero-condizionale, la semantica è anche composizionale, nel senso che assume che il significato di un espressione complessa dipende in maniera regolare dal significato delle espressioni più semplici che la compongono, e dal modo in cui queste sono composte. Prendiamo in considerazione per il momento solo gli enunciati complessi, composti da enunciati atomici (da frasi semplici) uniti tra loro da connettivi (operatori logici), come ad esempio la congiunzione e, o la disgiunzione o. L idea sottostante alla semantica è che il significato di enunciati come: 1) Gianni è nato a Milano e a 20 anni (Gianni) si è trasferito a Berlino. 2) Gianni è nato a Milano o Maria è nata a Milano. sia derivabile dal significato degli enunciati atomici che li compongono. In particolare, la congiunzione di due enunciati atomici p Gianni è nato a Milano e q A 20 anni Gianni si è trasferito a Berlino sarà vera se e solo se entrambi gli enunciati atomici che la compongono sono entrambi veri (quindi, se si dà il caso che Gianni sia di fatto 6
2 nato a Milano e si sia poi traferito a Berlino a 20 anni); affinché la disgiunzione di due enunciati atomici p Gianni è nato a Milano e r Maria è nata a Milano sia vera è invece sufficiente che uno dei due enunciati sia vero (quindi, basta che Gianni o Maria siano nati a Milano). In altre parole, i connettivi della congiunzione e della disgiunzione hanno una loro semantica che stabilisce qual è il significato delle espressioni complesse (ottenute congiungendo o disgiungendo enunciati) a partire dal significato degli enunciati componenti. La semantica dei connettivi può venire esplicitata con il metodo delle tavole di verità. Le tavole di verità sono le rappresentazioni della semantica di un connettivo (tavola di verità semplice ). Prendiamo nuovamente in considerazione la congiunzione di due asserzioni: φ & ψ. (Si noti che, mentre p e q sono simboli per lettere enunciative, ossia per enunciati atomici, φ e ψ sono simboli che stanno per un enunciato qualsiasi e quindi possono rappresentare anche enunciati complessi.) Nella tabella qui sotto viene specificato come si disegna e come si legge una tavola di verità per il connettivo della congiunzione (e). Sulla colonna di sinistra si indicano in alto le asserzioni che costituiscono le componenti dell enunciato complesso da valutare, in questo caso φ e ψ Sulla colonna di destra si indica in alto l enunciato complesso che deve essere analizzato e sotto si elencano in maniera esaustiva le situazioni possibili che si possono verificare: la situazione in cui sia φ che ψ sono veri; la situazione in cui φ è vero, e ψ è falso; la situazione in cui ψ è vero, e φ è falso; la situazione in cui sia φ che ψ sono falsi. φ ψ φ ψ e sotto al connettivo si scrivono i valori di verità che corrispondono alle varie situazioni Ad esempio, nel caso in cui φ sia falso e ψ sia vero, la congiunzione di φ & ψ risulta essere falsa. Secondo la logica e secondo la semantica tradizionale i connettivi verocondizionali sono: corrispondente a la negazione non si dà il caso che corrispondente a la congiunzione e corrispondente a la disgiunzione o corrispondente a il condizionale se, allora corrispondente a il bi-condizionale se e solo se e le loro tavole di verità sono esemplificate da: 7
3 Negazione: La negazione di un asserzione φ è vera se e solo se φ è falsa. φ ~φ Congiunzione: La congiunzione di due asserzioni φ e ψ è vera se e solo se entrambi i congiunti φ e ψ sono veri. φ ψ φ ψ Disgiunzione: La disgiunzione di due asserzioni φ e ψ è vera se e solo almeno uno dei due disgiunti φ e ψ è vero. φ ψ φ ψ Condizionale materiale: Un condizionale materiale della forma φ ψ è vero se e solo se l antecedente φ è falso o il conseguente ψ è vero. Un condizionale materiale della forma φ ψ è falso se e solo se l antecedente φ è vero e il conseguente ψ è falso. Bicondizionale: Un bicondizionale della forma φ ψ è vero se e solo se i valori di verità di φ e ψ sono uguali (se sono entrambi veri o se sono entrambi falsi). φ ψ φ ψ φ ψ φ ψ A questo punto, la questione diventa: qual è la relazione tra il significato che la logica formale attribuisce al connettivo e il significato che l espressione se allora ha nel linguaggio naturale? Se ci sono delle divergenze, possono essere colmate prendendo in considerazione altri punti di vista, o bisogna abbandonare l idea di trattare l espressione se, allora come un connettivo vero-condizionale? 8
4 2.2. L operatore logico e l espressione se, allora Torniamo sulla tavola di verità per l operatore logico : un espressione della forma φ ψ è vera nel caso in cui: φ e ψ siano entrambi veri; o φ sia falso e ψ sia vero; o φ e ψ siano entrambi falsi. Ciò equivale a dire che φ ψ è vero quando φ è falso o ψ è vero. Cosa a sua volta equivalente a: φ ψ è sempre vero tranne quando φ è vero e ψ è falso. Da un punto di vista logico, quindi, un enunciato della forma φ ψ è semanticamente equivalente a (ossia, ha le stesse condizioni di verità di) un enunciato della forma φ ψ, e a (φ ψ) : φ ψ φ ψ φ ψ (φ ψ) La questione allora diventa: il significato che la logica attribuisce al connettivo riesce a catturare anche il significato dell espressione se, allora? Edgington sostiene che se se è un connettivo vero-condizionale, allora quello datogli dalla tavola di verità è necessariamente il suo significato, perché è sicuramente vero che l unica situazione che rende (3) falso è una situazione in cui l antecedente è vero e il conseguente è falso: 3) Se Gianni e Maria sono entrambi a Berlino, allora Gianni è a Berlino. φ = Gianni e Maria sono entrambi a Berlino ψ = Gianni è a Berlino 4) (Non si dà il caso che Gianni e Maria siano entrambi a Berlino) o Gianni è a Berlino. 5) Non si dà il caso che (Gianni e Maria siano entrambi a Berlino e Gianni non sia a Berlino) Mentre tutte le altre possibili combinazioni di stati di cose (antecedente falso: non è vero che Gianni e Maria sono entrambi a Berlino; oppure conseguente vero: Gianni è a Berlino) verificano il condizionale in (3). 7
5 alsità dell antecedente Dalla tavola di verità si desume che affinché un condizionale sia vero è sufficiente che il suo antecedente sia falso. Ma ciò significa che qualsiasi enunciato ipotetico abbia un antecedente falso risulta automaticamente vero, indipendentemente da quale sia il valore di verità del conseguente, e indipendentemente dall esistenza di una qualsiasi relazione tra antecedente e conseguente. In particolare, assumendo che, ad esempio, Maria non abbia mangiato la mela, tutti i seguenti condizionali risultano veri: 6) Se Maria non ha mangiato la mela, allora Gianni si è arrabbiato. 7) Se Maria non ha mangiato la mela, allora Gianni non si è arrabbiato. 8) Se Maria non ha mangiato la mela, allora la luna si schianterà contro il sole. A questa obiezione si potrebbe rispondere (cfr. il sulla differenza tra condizioni di verità/falsità e condizioni di asseribilità), che in una situazione in cui si dia per scontato che Maria non abbia mangiato la mela (ossia, in situazioni in cui si sappia che l antecedente è falso) non ha senso enunciare o valutare la verità/falsità di frasi come (6)-(8). Infatti, la funzione dei condizionali consiste proprio nell ipotizzare una determinata situazione quella in cui l antecedente è vero e fare delle considerazioni su che cos altro accade in quella situazione (ossia, che il conseguente è vero). Ma questa operazione ha senso solo se l antecedente può essere vero nel momento in cui si sa che l antecedente è falso, i condizionali indicativi non avrebbero del tutto ragion d essere. Edgington però solleva delle obiezioni riguardo a questo tipo di proposta. Sottolinea infatti come il parlare di verità o falsità di un determinato enunciato sia di fatto frutto di un astrazione: nella maggioranza dei casi, le persone non sanno definitivamente che un enunciato è vero o falso, ma piuttosto credono con gradi più o meno alti di confidenza che un enunciato sia vero o falso. Ripresentando quindi in termini di credenza le condizioni di verità per i condizionali, si potrebbe dire che se l approccio vero-condizionale fosse corretto una persona razionale dovrebbe avere lo stesso grado di credenza nella verità di un condizionale φ ψ e nella verità di φ ψ. Tuttavia sostiene Edgington ci sono situazioni in cui noi possiamo credere anche se non ne siamo certi nella falsità di un enunciato (ossia, crediamo che φ sia vero), e tuttavia domandarci che cosa succederebbe se quell enunciato fosse vero. Ad esempio, io posso credere che mio marito non è ancora tornato a casa. Tuttavia, sapendo che è un tipo ansioso, e credendo che se mio marito è gia tornato, si starà preoccupando per la mia assenza, posso anche concludere che è meglio che provi a telefonare. In altre parole, nel momento in cui si prende in considerazione il contesto della credenza può aver senso formulare pensieri ipotetici che coinvolgono enunciati anche se si crede che questi siano falsi. Ma se il ragionamento precedente aveva senso, lo si confronti ora con il seguente. Io credo che Berlusconi non sia a casa diciamo ad Arcore. Ma se Berlusconi è tornato a casa, si starà preoccupando per la mia assenza. Ovviamente (se non sono eronica) quest ultima argomentazione non ha senso. Il problema però è che in base all approccio vero-condizionale dovrebbe averne. Si ricordi infatti che la falsità dell antecedente è condizione sufficiente per la verità del condizionale. Tradotto in termini di credenza, credere nella falsità 8
6 dell antecedente dovrebbe quindi essere condizione sufficiente per credere nella verità del condizionale. Ossia, credere nella falsità di (9) dovrebbe essere sufficiente per credere nella verità di (10): 9) Berlusconi è a casa. 10) Se Berlusconi è a casa, si starà preoccupando per la mia assenza Negazione del condizionale Un altro problema per l approccio vero-condizionale deriva dalla negazione di un condizionale. In base al principio di bivalenza, la negazione di un condizionale è vera quando il condizionale è falso. Quindi, negare φ ψ equivale ad affermare φ ψ. Tuttavia, questa non è la modalità in cui solitamente viene intesa la negazione del condizionale nel linguaggio naturale. Ossia, (11) non è visto come equivalente a (12) sebbene da un punto di vista vero-condizionale lo è: 11) Non è vero che se il sole esplode domani allora il pianeta terra non ne risentirà. 12) Il sole esploderà domani e il pianeta terra ne risentirà. p = il sole esplode domani. q = il pianeta terra non ne risentirà 11 ) (p q) 12 ) p q Il problema è che la negazione di un condizionale viene spesso vista non tanto come l affermazione delle situazioni che lo rendono di fatto falso (ossia del fatto che l antecedente è vero il sole esplode domani e il conseguente è falso non è vero che il pianeta terra non ne risentirà, ossia il pianeta terra ne risentirà), quanto piuttosto come il negare che sussista un nesso di qualche tipo tra il verificarsi dell antecedente e del conseguente Schemi di inferenza Un ulteriore problema è che le condizioni di verità associate al connettivo del condizionale danno luogo a inferenze non volute ad esempio possono provare l esistenza (o la non-esistenza) di Dio. 13) a. Se Dio non esiste, allora non è vero che se mi comporto male, allora verrò punito. b. Io non mi comporto male. c. Quindi, Dio esiste. 1 Un altra conseguenza della diversa interpretazione che assume la negazione del condizionale è la prova della non-esistenza di Dio (cfr. il successivo per la dimostrazione dell esistenza di Dio), proposta da Horn (1989): i) Non è vero che se Dio è morto, tutto è permesso. Quindi, Dio è morto e qualcosa è proibito. 9
7 Quella presentata in (13) è un argomentazione che appare valida dal momento che la conclusione (13c) è vera in tutte le situazioni possibili in cui le premesse (13a) e (13b) sono simultaneamente vere. Assumiamo infatti che gli enunciati atomici che compongono le asserzioni in (13a) e in (13b) vengano formalizzati con i simboli p, q, e r: p = Dio esiste. q = io mi comporto male. r = io verrò punito. A questo punto, le asserzioni in (13a), (13b) e (13c) sono rappresentate dalle formule: 13) a. p (q r). b. q c. p Dimostriamo la validità dell inferenza in (13) ragionando per assurdo. Assumiamo che le premesse (13a ) e (13b ) siano vere, e che la conclusione (13c ) sia falsa. Se otteniamo una contraddizione, significa che non è possibile trovare nemmeno una situazione che rende vere le premesse e falsa la conclusione, e quindi che l argomentazione è valida. Se (13c ) è falsa, allora p è falsa. Se p è falsa, allora l antecedente del condizionale in (13a ) è vero (in quanto, se p è falsa, allora p è vera). Se il condizionale in (13a ) ha l antecedente vero, allora per poter essere vero (nostra assunzione), anche il conseguente deve per forza essere vero (in quanto, se fosse falso, allora il condizionale sarebbe falso, mentre noi stiamo assumendo che le premesse dell argomentazione siano entrambe vere). Dire che il conseguente di (13a ) è vero, equivale a dire che (q r) è vero, ossia che (q r) è falso. Se q r è falso, allora q è vero e r è falso (in quanto un condizionale è falso se e solo se il suo antecedente è vero e il suo conseguente è falso). Ma la conclusione cui siamo giunti ossia che q è vero è in contraddizione con l assunzione iniziale che entrambe le premesse erano vere, ossia con l assunzione che (13b ) è vera dal momento che se q è vera, allora q è falsa. Dal momento che assumendo che le premesse sono vere e la conclusione falsa incappiamo in una contraddizione, abbiamo dimostrato che (13c ) segue logicamente da (13a ) e (13b ) Riepilogo Ricapitolando, se il condizionale è effettivamente un connettivo vero-condizionale (ossia, se possiamo stabilire, in maniera composizionale, il significato / condizioni di verità di un enunciato ipotetico della forma se p allora q solo e unicamente in base al significato / condizioni di verità dei suoi componenti p e q), allora le sue condizioni di verità sono quelle stabilite dalla tavola di verità. Ossia, il condizionale è vero quando ha l antecedente falso o il conseguente vero. O, in maniera analoga, il condizionale è falso solo quando ha l antecedente vero e il conseguente falso. Tuttavia, sono state sollevate una serie di obiezioni: attribuire quel significato al condizionale comporta una serie di conseguenze che non appaiono plausibili. In 10
8 particolare, ogni condizionale con antecedente falso è reputato vero indipendentemente dalla verità o falsità del conseguente e indipendentemente dall esistenza di una connessione tra antecedente e conseguente; inoltre, la negazione del condizionale viene vista sempre e solo come affermazione dell antecedente e negazione del conseguente, mentre normalmente viene usata anche per negare l esistenza di un nesso tra i due; e infine, vengono giudicate valide delle argomentazioni, che intuitivamente valide non sono. La questione da affrontare ora è se è possibile colmare questa (apparente?) divergenza tra il significato che la logica attribuisce al connettivo e il significato che intuitivamente ha l espressione se, allora, prendendo in considerazione altri aspetti, ad esempio dei princìpi generali che governerebbe la conversazione; o se invece, la divergenza è tale da comportare la rinuncia ad un approccio verocondizionale al significato del condizionale. 11
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