POLITECNICO DI MILANO

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1 POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Industriale Corso di Laurea in Ingegneria Aeronautica Fatica e propagazione dei difetti in campo elastoplastico Relatore: Prof. Gian Luca GHIRINGHELLI Tesi di Laurea di: Stefano POZZI Matr Anno Accademico

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3 ai miei genitori a Serena a Evelyn

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5 Desidero ringraziare il professor Gian Luca Ghiringhelli per avermi dato la possibilità di svolgere questo lavoro e per la professionalità e disponibilità dimostrate. Un doveroso ringraziamento va all ingegner Elisabetta Guffanti per l insostituibile apporto fornito, per la disponibilità, la competenza e per la pazienza che ha avuto nel seguire il mio lavoro di tesi.

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7 Indice generale Indice generale...i Lista delle figure...v Lista delle tabelle... XI Lista degli schemi...xiii Sommario...XV Introduzione...XVII 1 Fatica: concetti base Criteri di progetto Spettro di carico Analisi di fatica: approccio Stress-Life Definizione dei cicli di sforzo e delle loro caratteristiche Le curve S-N Validità della curva S-N e dell'equazione di Basquin Effetto dello sforzo medio Effetti di intaglio Altri effetti che modificano la curva S-N Altre equazioni che descrivono la curva S-N Analisi di fatica: approccio Strain-Life Comportamento ciclico del materiale Rilassamento dello sforzo medio La curva σ ε ciclica Stima della storia temporale di sforzo e deformazione Analisi numeriche non lineari Metodo approssimato di Neuber Metodo approssimato di Molsky-Glinka Confronto dei tre metodi Estrazione dei cicli d isteresi Le curve ε N L'influenza dello sforzo medio Metodo di correzione dello sforzo medio di Morrow Metodo di correzione dello sforzo medio di Smith, Watson, Topper Altre equazioni che descrivono la curva ε N Modelli di calcolo del danno Modello di danneggiamento non lineare Modello di danneggiamento lineare Regola di Miner...38 I

8 1.5.3 Modello di danneggiamento bilineare Propagazione: concetti base Propagazione in condizioni di meccanica della frattura lineare elastica L'effetto dello sforzo medio La crack-closure L'equazione Nasgro Significato delle costanti C,m,p,q Calcolo della funzione di apertura di cricca f Calcolo del ΔK th Calcolo di K C e criteri di cedimento L'effetto dei sovraccarichi Modello di Willemborg generalizzato Modello di Willemborg generalizzato modificato Propagazione in condizioni di meccanica della frattura elasto-plastica Calcolo del Δ J e Stima del Δ J p con il metodo EPRI (Electric Power Research Institute) Stima del Δ J p con il metodo RSM (Reference Stress Method) Stima del Δ J p con il metodo Dowling Equazione di crescita della cricca elasto-plastica Criteri di cedimento Modello ad elementi finiti Scopo del lavoro Scelta degli elementi Sistema di riferimento Modellazione di dettaglio: applicazione delle condizioni al contorno Verifica del metodo della matrice di rigidezza Condizioni di carico e spettro di carico Materiale Risultati dell analisi lineare per la condizione più gravosa Materiale per l analisi non lineare Scelta delle caratteristiche del materiale Criterio di snervamento e incrudimento Incrudimento isotropo Incrudimento cinematico Risultati dell analisi non lineare per la condizione più gravosa Validazione del modello Modello per l analisi lineare con elementi TETRA II

9 4 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Analisi numeriche non lineari I metodi approssimati di Neuber e di Glinka-Molsky Risultati a confronto Storie di sforzo e deformazione per l aletta superiore Storie di sforzo e deformazione per l aletta inferiore Storia di sforzo e deformazione dovuta al blocco di carico n-esimo Analisi di fatica Curve ε N Equazione della curva MIL Equazione della curva F Il calcolo della vita a fatica Risultati dal modello con elementi TETRA Calcolo del danno non lineare Problematiche legate alla previsione della vita a fatica dei componenti Propagazione delle cricche Equazione di propagazione elastoplastica Modello di cricca passante: through crack at edge of plate Modello di cricca non passante: corner crack at edge of plate Fatigue Crack Initiation(FCI) vs Fatigue Crack Propagazion(FCP) Problematiche legate all analisi di propagazione Confronto con i risultati sperimentali L importanza del buon disegno a fatica La nuova geometria Modello ad elementi finiti Analisi degli sforzi Fatigue crack initiation Fatigue crack propagation Damage Tolerance Conclusioni A Condizioni di carico dello spettro di prova B Spettro di carico III

10 B.1 Profili di missione B.2 Spettro di carico da manovra B.2.1 Manovre scontrate e manovre non simmetriche B.3 Spettro di carico da raffica B.4 Spettro di carico laterale Ny B.5 Spettro di carico da atterraggio B.6 Altri spettri C Fatica ed elementi finiti C.1 Analisi degli sforzi C.1.1 Approccio analitico C.1.2 Modelli ad elementi finiti non di dettaglio C.1.3 Modelli ad elementi finiti di dettaglio D Metodi di conteggio D.1 Metodi di conteggio rainflow D.1.1 Metodo di conteggio a tre punti D.1.2 Metodo di conteggio a quattro punti D.2 Ricostruzione di una storia temporale di carico E Dallo spettro di progetto allo spettro di prova E.1 Riduzione dello spettro E.2 Danno dello spettro di progetto Nomenclatura Bibliografia IV

11 Lista delle figure Figura 1.1: Esempio di cicli di sforzo...3 Figura 1.2: Esempio di curva S-N...4 Figura 1.3: Calcolo della pendenza di Basquin...5 Figura 1.4: Differenza curve S-N tra acciaio e alluminio...6 Figura 1.5: Incrudimento e addolcimento ciclico in controllo di deformazione.10 Figura 1.6: Incrudimento e addolcimento ciclico in controllo di sforzo...10 Figura 1.7: Rilassamento dello sforzo medio, materiale Al7050-T7451, prova in controllo di deformazione...11 Figura 1.8: Rilassamento sforzo medio...12 Figura 1.9: Ottenimento della curva sforzo-deformazione ciclica...13 Figura 1.10: Incrudimento ciclico e addolcimento ciclico...13 Figura 1.11: Ciclo di isteresi stabilizzato...15 Figura 1.12: Modello FEM del provino...16 Figura 1.13: Spettro di carico...16 Figura 1.14: Sforzo lineare all intaglio in corrispondenza della condizione più gravosa...17 Figura 1.15: Curva σ ε ciclica del materiale [8]...17 Figura 1.16: Sforzi massimi principali non lineari all'intaglio in corrispondenza della condizione più gravosa...18 Figura 1.17: Storia di sforzo e deformazione ricavata dall'analisi numerica...18 Figura 1.18: Applicazione del metodo di Neuber ad un valore di sforzo nominale...21 Figura 1.19: Applicazione del metodo di Neuber ad una variazione di sforzo nominale...21 Figura 1.20: Storia temporale degli sforzi calcolati linearmente...22 Figura 1.21: Storia di sforzi e deformazioni ricavata con il metodo approssimato di Neuber...22 Figura 1.22: Storia di sforzi e deformazioni ricavata con il metodo di Glinka- Molsky...24 Figura 1.23: Confronto dei tre metodi...25 Figura 1.24: Esempio di estrazione dei cicli di isteresi...26 Figura 1.25: Deformazioni elastiche, plastiche e totali rispetto alla vita a fatica28 Figura 1.26: Effetto dello sforzo medio sulla vita fatica...29 Figura 1.27: Modello di Morrow per la correzione dello sforzo medio...30 Figura 1.28: Estrazione di n 1 e n 2 e valutazione di N 1 e N Figura 1.29: Danno cumulativo non lineare, applicazione prima dei cicli n1 e poi dei cicli n Figura 1.30: Danno cumulativo non lineare, applicazione prima dei cicli n2 e poi dei cicli n V

12 Figura 1.31: Curva n/n - D al variare di N Figura 1.32: Calcolo del danno, modello non lineare, risoluzione grafica Figura 1.33: Danno cumulativo lineare...39 Figura 1.34: Modello di accumulo del danno bilineare...40 Figura 2.1: Linee di flusso in un corpo soggetto a tensioni uniformi all'infinito: a) corpo privo di difetti; b) corpo fessurato Figura 2.2: Andamento degli sforzi all'apice del difetto...42 Figura 2.3: Zona plastica all'apice della cricca Figura 2.4: Tre possibili modi di formazione del difetto...44 Figura 2.5: Sforzi all'apice della cricca...44 Figura 2.6: Velocità di avanzamento della cricca in funzione di Δ K Figura 2.7: Effetto di R sulle curve di propagazione Figura 2.8: Valutazione del Δ K eff Figura 2.9: Significato delle costanti C,m,p,q Figura 2.10: Definizione della zona plastica dovuta al sovraccarico Figura 2.11: Zone plastiche all'apice della cricca Figura 2.12: Definizione integrale J...57 Figura 3.1: Geometria della zona di radice del longherone con evidenziazione zone critiche Figura 3.2: Dettaglio dell aletta di rinforzo Figura 3.3: Modello ad elementi finiti Figura 3.4: Dettaglio zona dell aletta Figura 3.5: Sistema di riferimento Figura 3.6: Modello ad EF della semiala e della struttura di prova Figura 3.7: Modello di dettaglio inserito nel modello globale Figura 3.8: Modello di dettaglio collegato alla matrice di rigidezza Figura 3.9: Modello di dettaglio inserito nel modello globale Figura 3.10: Modello di dettaglio vincolato alla matrice di rigidezza...71 Figura 3.11: Aletta superiore posteriore Figura 3.12: Aletta superiore anteriore Figura 3.13: Aletta inferiore posteriore Figura 3.14: Aletta inferiore anteriore Figura 3.15: Sforzi minimi principali (di compressione) nell aletta superiore posteriore Figura 3.16: Sforzi massimi principali (di trazione) nell aletta inferiore posteriore Figura 3.17: Curve monotone e curva ciclica a confronto [8]...79 Figura 3.18: Curva monotona e ciclica per uno spessore di 4 pollici e riferite alla direzione LT Figura 3.19: Curva σ ε definita per punti in Nastran...81 VI

13 Figura 3.20: In rosso, elementi in materiale non lineare...82 Figura 3.21: Rappresentazione del criterio di von Mises nello spazio 3D delle tensioni principali...83 Figura 3.22: Rappresentazione del criterio di von Mises nel piano ( σ 1, σ 2 ) delle tensioni principali...83 Figura 3.23: Incrudimento isotropo...84 Figura 3.24: Risposta ciclica con incrudimento isotropo...85 Figura 3.25: Incrudimento cinematico...85 Figura 3.26: Risposta ciclica con incrudimento cinematico...86 Figura 3.27: Sforzi non lineari aletta superiore posteriore...87 Figura 3.28: Sforzi non lineari aletta inferiore posteriore...88 Figura 3.29: Andamento degli forzi allontanandosi dall intaglio...88 Figura 3.30: Direzione di misura della deformazione...89 Figura 3.31: Posizione degli estensimetri L02_S04, L02_S Figura 3.32: Posizione dell estensimetro L02_S Figura 3.33: Deformazioni principali in corrispondenza dell estensimetro L02_S Figura 3.34: Deformazioni principali in corrispondenza dell estensimetro L02_S Figura 3.35: Deformazioni principali in corrispondenza dell estensimetro L02_S Figura 3.36: Differenza percentuale sforzi per l aletta superiore...93 Figura 3.37: Differenza percentuale sforzi per l aletta inferiore...93 Figura 4.1: Caricamento fino alla LC_144 e scaricamento fino alla LC_ Figura 4.2: Posizione delle condizioni di carico intermedie...97 Figura 4.3: Forze scambiate nell attacco ala-fusoliera (o ala-struttura di prova per la semiala della prova sperimentale)...98 Figura 4.4: Relazione tra le forze Nsup e gli sforzi dell aletta superiore per ogni condizone di carico...98 Figura 4.5: Relazione tra le forze Ninf e gli sforzi dell aletta inferiore per ogni condizone di carico...99 Figura 4.6: Sottostoria 1, sottostoria 2: confronto delle tre storie stimate Figura 4.6: Sottostoria 3, sottostoria 4: confronto delle tre storie stimate Figura 4.7: Sottostoria Figura 4.8: Sottostoria Figura 4.9: Sottostoria Figura 4.10: Sottostoria Figura 4.11: Sottostoria 1, sottostoria 2, sottostoria 3, sottostoria Figura 4.12: Sottostoria Figura 4.13: Sottostoria Figura 4.14: Sottostoria VII

14 Figura 4.15: Sottostoria Figura 4.16: Storia di sforzo e deformazione dovuta al blocco di carico n-esimo per l aletta superiore Figura 4.17: Storia di sforzo e deformazione dovuta al blocco di carico n-esimo per l aletta superiore Figura 5.1: Caratteristiche di un ciclo di isteresi Figura 5.2: Curva ε N MIL Figura 5.3: Curva ε N F Figura 5.4: Confronto tra le due curve Figura 6.1: Modello di cricca Figura 6.2: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J stimato con il metodo EPRI Figura 6.3: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J stimato con il metodo RSM Figura 6.4: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J stimato con il metodo EPRI Figura 6.5: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J stimato con il metodo RSM Figura 6.6: Modello di cricca Figura 6.7: Andamento di F in funzione di a Figura 6.8: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J stimato con il metodo RSM Figura 6.9: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J stimato con il metodo Dowling Figura 6.10: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J stimato con il metodo RSM Figura 6.11: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J stimato con il metodo Dowling Figura 8.1: Nuova geometria del longherone Figura 8.2: Modello ad elementi finiti Figura 8.3: Aletta superiore anteriore Figura 8.4: Aletta inferiore anteriore Figura 8.5: Curva S-N per la lega di alluminio 7050-T Figura 8.6: Modello di cricca Figura 8.7: Curva di propagazione pel Al T Figura 8.8: Propagazione della cricca per l aletta superiore Figura 8.9: Propagazione della cricca per l aletta inferiore p p p p p p p p VIII

15 Figura 8.10: Damage tolerance per l aletta superiore Figura 8.11: Damage tolerance per l aletta inferiore Figura B.1: Profilo di missione tipico per un velivolo militare Figura B.2: MIL-A B spettro di eccedenze Figura C.1: Esempio valutazione del kt (ESDU) Figura C.2: Esempio di modellazione dettagliata Figura C.3: Utilizzo delle componenti principali di sforzo Figura D.1: Definizione di cicli e reversal Figura D.2: Metodo di conteggio a tre punti Figura D.3: Esempio di una storia temporale di carico Figura D.4: Storia temporale riorganizzata Figura D.5: Estrazione del primo ciclo Figura D.6: Estrazione ciclo da 10 a Figura D.7: Estrazione ciclo da 4 a Figura D.8: Estrazione ciclo da 6 a Figura D.9: Estrazione ciclo da 10 a Figura D.10: Estrazione ciclo da 12 a Figura D.11: Principi del metodo di conteggio rainflow a quattro punti Figura D.12: Estrazione primo ciclo da 2 a Figura D.13: Estrazione secondo ciclo da 10 a Figura D.14: Residui Figura D.15: Residui duplicati Figura D.16: Estrazione terzo ciclo da 4 a Figura D.17: Estrazione quarto ciclo da 6 a Figura D.18: Estrazione quinto ciclo da 10 a Figura D.19: Estrazione sesto ciclo da 10 a Figura D.20: Residui finali Figura D.21: Principi di inserimento di un ciclo Figura D.22: Ciclo e residui Figura D.23: Possibili punti di inserimento del ciclo a-b-a nella storia ricostruita Figura D.24: cicli che devono essere inseriti (a-b-a c-d-c) e residuo corrispondente (A-H) Figura D.25: Inserimento ciclo c-d-c Figura D.26: Inserimento ciclo a-b-a IX

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17 Lista delle tabelle Tabella 3.1: Caratteristiche del materiale[21]...73 Tabella 3.2: Caratteristiche del materiale da DOT/FAA/AR-MMPDS-01[8]...78 Tabella 3.3: Caratteristiche del materiale e parametri monotoni riferiti ad un spessore di 7 pollici e ciclici riferiti ad uno spessore di 4 pollici...79 Tabella 3.4: Confronto deformazione sperimentale-numerica...92 Tabella 4.1: Confronto tra i risultati dell analisi non lineare e della stima effettuata Tabella 5.1: Tabella riassuntiva dei risultati dell analisi di fatica per il modello con elementi TETRA Tabella 5.2: Tabella riassuntiva finale Tabella 6.1: Valori di h1 in funzione di a/w e n[20] Tabella 6.2: Valori di V in funzione di a/w[20] Tabella 6.3: Valori di V in funzione di a/t e a/c[20] Tabella 6.4: FCI vs. FCP Tabella 8.1: Tabella riassuntiva dell analisi di fatica Tabella B.1: Missioni e percentuale di utilizzo Tabella B.2: Parametri aggiuntivi per le missioni Tabella B.3: Descrizione profili di missione Tabella B.4: Suddivisione dei segmenti in frazioni Tabella B.5: MIL-A B spettro di eccedenze Tabella B.6: Parametri per la determinazione dello spettro di carico da raffica Tabella D.1: Sommario risultati metodo rainflow tre punti Tabella D.2:Sommario risultati metodo rainflow quattro punti Tabella E.1: Calcolo dei Severity Index XI

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19 Lista degli schemi Schema B.1: Approccio base per la determinazione dei carichi da fatica da raffica Schema C.1: Stima della vita a fatica con approccio empirico [5] Schema C.2: Stima della vita a fatica con l utilizzo del FEM [5] Schema E.1: Procedura per l ottenimento dello spettro equivalente XIII

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21 Sommario Il presente lavoro di tesi è incentrato sull analisi di fatica e di propagazione dei difetti di un componente strutturale che presenta zone di concentrazione di sforzo caratterizzate da elevate deformazioni: a causa di ciò l analisi di fatica è eseguita secondo l approccio strain-life e l analisi di propagazione è effettuata sotto le condizioni di meccanica della frattura elastoplastica. La fase iniziale del lavoro riguarda la modellazione ad elementi finiti del componente considerato, seguita dall applicazione delle opportune condizioni al contorno. L analisi ad elementi finiti permette di passare dallo spettro di carico applicato alla struttura globale, e relativo a 200 ore di vita operativa, alla corrispondente storia di sforzo-deformazione delle zone critiche del componente in esame. Dalle storie di sforzo-deformazione, utilizzando i metodi di conteggio, si estraggono i singoli cicli di isteresi che contribuiscono al danneggiamento del componente ed alla propagazione delle cricche. Viene presentata, infine, una possibile riprogettazione del pezzo, che permette un miglioramento delle caratteristiche di fatica. Parole chiave: fatica, propagazione, strain-life, meccanica frattura elastoplastica, analisi ad elementi finiti non lineare, metodi di Neuber-Glinka-Molsky. Abstract This thesis focuses on fatigue analysis and crack propagation of a structural component that presents stress concentration areas characterized by high deformation: because of this, the fatigue analysis is performed according to the strain-life approach and crack propagation analysis is carried out under elastoplastic fracture mechanics conditions. The initial phase of the work concerns the finite-element modeling of the component, followed by the application of appropriate boundary conditions. The finite element analysis allows to pass from the load spectrum applied to the overall structure, and related to 200 flight hours, to the corresponding stressstrain history of the critical areas of the component. From the stress-strain histories, using the counting methods, hysteresis cycles are extracted, and their contribution to damage and crack propagation is calculated. At the end, a possible redesign of the part is presented, which allows an improvement of fatigue characteristics. Keywords: fatigue, propagation, strain-life, elastoplastic fracture mechanics, nonlinear finite element analysis, Molsky-Glinka-Neuber methods. XV

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23 Introduzione Uno dei requisiti più importanti che deve essere definito durante il progetto di un velivolo è la vita richiesta. La vita richiesta è il tempo in ore di volo che il velivolo deve garantire senza presentare malfunzionamenti che possano portare ad eventi catastrofici come la perdita del velivolo o del carico pagante. Dal punto di vista strutturale il velivolo durate la sua vita non deve presentare problematiche di fatica, la struttura deve cioè essere esente da difetti, oppure, nel caso in cui sia ammessa la presenza di difetti, questi devono essere tollerati e la loro crescita deve essere monitorata. Nella definizione della vita del velivolo sono importanti e influenzano la vita stessa: 1. Le tipologie di missioni nelle quali il velivolo viene utilizzato. 2. I profili di missione. 3. Le configurazioni del velivolo (presenza o meno di carichi esterni). 4. Il numero di voli. Quanto sopra va a definire l utilizzo del velivolo. Una volta definito l utilizzo, è possibile valutare l ambiente di carico nel quale il velivolo opererà. Tale valutazione è in realtà una stima basata su dati di velivoli simili esistenti e/o su dati di letteratura, le cui fonti possono essere normative o pubblicazioni sull argomento. L ambiente di carico è descritto da quelli che vengono definiti spettri di carico; per spettro si intende l indicazione della frequenza con cui un determinato evento avviene nella vita del velivolo. I dettagli della definizione degli spettri sono riportati in Appendice B. Quando si ha a disposizione lo spettro di carico e un primo layout della struttura del velivolo, può essere effettuato un primo calcolo di sforzi e lo spettro di carico può essere convertito in uno spettro di sforzo (storia temporale dello sforzo) per ogni componente rilevante della struttura del velivolo. Quando si ha a disposizione la storia temporale di sforzo si può eseguire la prima analisi di fatica, il cui scopo principale è identificare quali sono le aree nella struttura più critiche a fatica. L analisi preliminare può portare ad un parziale re-design in zone localizzate della struttura che hanno mostrato la criticità maggiore a fatica. Una volta che sono realizzati i componenti del velivolo possono essere effettuate le prove sperimentali e realizzati modelli ad elementi finiti di dettaglio: questo permette di definire con maggiore precisione lo spettro di sforzo e di verificare con maggiore accuratezza il comportamento a fatica. XVII

24 Introduzione Uno dei test principali è il cosiddetto test a fatica full-scale, il quale gioca un ruolo essenziale nella valutazione delle caratteristiche di fatica del velivolo completo. A causa dell influenza delle tecnologie realizzative sulle proprietà di fatica è molto importante che questo test sia effettuato quando il velivolo entra in produzione, in questo modo le tecniche realizzative e di assemblaggio sono ormai consolidate. Bisogna però dire che i risultati di fatica non dovrebbero solo certificare che le proprietà di fatica del velivolo sono conformi ai requisiti di progetto ma anche servire come base per un aggiornamento della vita a fatica attraverso i carichi in servizio del velivolo. L esperienza ha infatti dimostrato che per varie ragioni, come ad esempio il cambiamento dei profili di missione, l effettiva vita consumata in servizio differisce da quella di progetto. Per questo motivo e anche per altri legati ad un potenziale futura richiesta di life extension, durante il test full-scale è utile proseguire oltre il raggiungimento del squisito di progetto. Schema analisi di fatica: Specifiche di progetto Requisiti: Vita richiesta Manutenzione Tolleranza al danno Definizione utilizzo: Tipi missione Profili missione Configurazione Filosofia di progetto: Safe life Fail Safe Damage tolerance Layout Strutturale: Struttura Materiali Stima spettri di carico Analisi sforzi preliminare Proprietà dei materiali: Fatica Propagazione difetto Analisi fatica preliminare Sviluppo degli spetti di sforzo XVIII

25 Capitolo 1 1 Fatica: concetti base In questo capitolo e in quello successivo sono riportati i concetti teorici e le metodologie utilizzate che stanno alla base dell'analisi di fatica e di propagazione delle cricche. Lo scopo di questi due capitoli è fornire un riferimento, seppur sintetico, per le analisi di fatica e di propagazione delle cricche. 1.1 Criteri di progetto Il compito dell'analisi di fatica e di propagazione della cricca è stimare la vita di un componente o di una struttura e verificare che il requisito di vita richiesta sia soddisfatto. In ambito aeronautico la vita richiesta è il tempo in ore di volo che il velivolo deve garantire senza presentare malfunzionamenti che possona portare ad eventi catastrofici come la perdita dell aereo o del carico pagante. Dal punto di vista strutturale, il velivolo, durante la sua vita, non deve presentare problematiche di fatica, la struttura deve cioè essere esente da difetti, oppure, nel caso in cui sia ammessa la presenza di difetti, questi devono essere tollerati dalla struttura e la loro crescita deve essere monitorata. I criteri di progetto utilizzati sono: Criterio Safe Life Criterio Damage Tolerance La filosofia di progetto Safe Life (vita sicura) prevede che l'elemento strutturale non presenti danneggiamenti, o cricche, all'interno del requisito di vita. La normativa militare di riferimento, la JSSG 2006 [1], specifica che il criterio safe life può essere dimostrato secondo due approcci: 1) Enucleazione della cricca ( durability crack initiation ): le cricche non devono enucleare durante la vita. Per questo approccio si utilizzano le metodologie della fatica classica (metodo stress-life e metodo strain-life). 2) Propagazione della cricca ( durability crack propagation ): una cricca iniziale esiste nella struttura e non deve propagare ad una dimensione che generi criticità. La normativa specifica che la cricca iniziale è un difetto di dimensione finita, pari a millimetri, che si assume possa presentarsi a causa del normale processo di produzione. Per verificare la propagazione della cricca si esegue un calcolo a propagazione fino alla criticità o al numero di ore richieste. 1

26 Capitolo 1 La filosofia di progetto Damage Tolerance, la cosiddetta tolleranza al danno, ipotizza che la struttura fin dall'inizio della sua vita presenti dei difetti: i componenti strutturali devono essere in grado di mantenere un'adeguata resistenza strutturale in presenza sia di difetti insiti nel materiale o dovuti ai processi produttivi che di danni indotti durante il normale utilizzo fino a quando il danno non è rilevato attraverso ispezioni periodiche programmate. Il criterio damage tolerance ha l'obiettivo di definire gli intervalli d'ispezione. Anche in questo caso si esegue un calcolo a propagazione del difetto dalla lunghezza iniziale fino all'instabilità. La dimensione iniziale dei difetti è di 1.27 millimetri, ed è definita dalla normativa. Sono ammesse dimensioni diverse ma deve essere dimostrata una determinata confidenza e probabilità di rilevamento con i controlli non distruttivi a disposizione. 1.2 Spettro di carico Lo spettro di carico è l insieme nelle condizioni di carico che il velivolo deve affrontare durante la sua vita operativa, e si riferisce ad un certo numero di ore di volo. Lo spettro di carico richiesto dalla normativa militare è di tipo flight-by-flight. Lo spettro di carico flight-by-flight è costituito da una sequenza casuale delle missioni previste dall utilizzo, all interno delle quali ogni segmento che compone la singola missione presenta una sequenza casuale delle condizioni di carico che gli competono, come per esempio manovre stazionarie e brusche, raffiche verticali e laterali, cicli di pressurizzazione, apertura dell aerofreno, ecc.[2]. In sintesi, le missioni tipiche che compongono la vita del velivolo vengono randomizzate, così come le condizioni di carico all interno di ogni segmento di missione. Una volta che si ha a disposizione lo spettro di carico e di conseguenza le condizioni di carico che lo compongono queste vengono applicate ad un modello ad elementi finiti per riuscire ad ottenere una storia temporale di sforzo o di deformazione. La storia temporale di sforzo (o di deformazione) rappresenta l input per l analisi di fatica e di propagazione. In realtà prima di iniziare la vera e propria fase di analisi è necessario estrarre dalle storie temporali randomizzate di sforzo o di formazione i singoli cicli e soprattutto le loro caratteristiche di ampiezza e valore medio. Per riuscire ad effettuare questa estrazione si applicano i metodi di conteggio, come ad esempio il metodo delle coppie o il metodo rainflow [3][4], alla storia temporale randomizzata; i cicli estratti sono il vero punto di partenza dell'analisi di fatica e dell'analisi di propagazione. 2

27 Fatica: concetti base In appendice B sono descritti i processi coinvolti nello sviluppo di uno spettro di carico flight-by-flight. In appendice D è spiegato con maggiore dettaglio il metodo Rainflow utilizzato per l'estrazione dei cicli di sforzo e di deformazione. 1.3 Analisi di fatica: approccio Stress-Life Tale metodologia di analisi fu la prima sviluppata per cercare di comprendere il processo di rottura ed è basata sulla sola analisi dello sforzo. È un metodo particolarmente adatto qualora lo stato di sforzo sia compreso nella zona elastica ed il numero di cicli di rottura sia molto elevato (fatica policiclica), produce invece risultati meno accurati in presenza di fatica oligociclica dove le deformazioni assumono una componente plastica significativa. In questo caso venendo a mancare la linearità, è preferibile controllare le deformazioni piuttosto che lo stato di sforzo[5]. L'approccio stress-life studia la fatica attraverso le classiche curve sforzo - cicli di rottura (le curve di Wohler) Definizione dei cicli di sforzo e delle loro caratteristiche Dalla storia temporale di sforzo si ottengono, applicando i metodi di conteggio, i singoli cicli di sforzo e le caratteristiche di sforzo medio è sforzo alternato: Figura 1.1: Esempio di cicli di sforzo 3

28 Capitolo 1 In Figura 1.1 è mostrata una storia temporale di sforzo con una forma sinusoidale, questa è una condizione di carico ideale tipica ad esempio di alberi che lavorano a velocità angolare e carico costante. Considerando un solo ciclo possono esserne definite le seguenti caratteristiche: σ max σ σ min a = 2 sforzo alternato nominale (1.1) σ max + σ σ min m = 2 sforzo medio nominale (1.2) σ min R = σ rapporto di sforzi (1.3) max noto lo sforzo alternato è possibile predire la vita del prezzo attraverso le curve di resistenza a fatica (curve S-N), esse forniscono la correlazione tra il livello di sforzo nel materiale ed il numero di cicli di carico necessari per portare a rottura Le curve S-N Le curve S-N si ottengono sperimentalmente e mettono in relazione lo sforzo alternato o lo sforzo massimo del ciclo con il numero di cicli di rottura. Figura 1.2: Esempio di curva S-N Come si può vedere dal grafico, se si utilizza una scala bilogaritmica, la legge che lega S e N è lineare; la pendenza della curva è definita pendenza di Basquin. 4

29 Fatica: concetti base Figura 1.3: Calcolo della pendenza di Basquin Rielaborando la pendenza di Basquin si ottiene: b *(log N log N 0 ) = log S log S0 (1.4) log N b b log N 0 = log S log S0 (1.5) b N e quindi: S = S0 (1.6) b N 0 Se N 0 = 0. 5, cioè se ho solo un solo semiciclo, il valore di sforzo corrispondente sarà simile al valore di sforzo effettivo a rottura. Se N 0 = 0. 5 si definisce S 0 = σ ' f coefficiente di resistenza a fatica. Se ci si riferisce allo sforzo alternato nominale, per cui S = σ a, sostituendo tutti termini si ottiene l'equazione di Basquin [6]: N N σ = S = 2 (1.7) a b b 0 = σ ' b f σ ' b f N ( N ) b dove N è il numero di cicli di rottura mentre 2N è il numero di semicicli. Dall'equazione di Basquin conoscendo il livello di sforzo alternato di un ciclo si ricava il numero di cicli di rottura cioè quante volte deve essere ripetuto il ciclo per portare a rottura il componente, o per considerarlo danneggiato: N 1/ ( σ / ' ) b = 0.5* σ (1.8) a f σ ' f e b sono parametri tipici del materiale e sono ricavati sperimentalmente. 5

30 Capitolo Validità della curva S-N e dell'equazione di Basquin L approccio stress-life è applicabile a quelle situazioni dove gli sforzi rimangono in campo elastico, in pratica ciò significa che questo metodo può essere utilizzato per 10^4 < N < 10^7 cicli. Al di sotto di N = 10^4 infatti le deformazioni plastiche iniziano ad essere rilevanti ed è conveniente utilizzare un approccio strain-life, al di sopra di N = 10^7 il materiale può o meno presentare una certa insensibilità al fenomeno della fatica, per cui la curva S-N può presentare un tratto orizzontale: in questo caso, se per un assegnato valore di sforzo alternato l'equazione di Basquin restituisce un numero di cicli di rottura superiore a 10^7 si pone N =. Tipicamente l'acciaio presenta il tratto terminale della curva S-N orizzontale e quindi vita infinita al di sotto di un certo livello di sforzo. Al contrario le leghe d alluminio non presentano in genere un comportamento a vita infinita, per cui si considera applicabile l'approccio stress-life per 10^5 < N < 10^8. Per N > 10^8 cicli, se i dati sperimentali lo permettono, si considera anche per le leghe d'alluminio un comportamento a vita infinita, anche se, più che un limite di fatica può essere considerato un limite di durata, in quanto le prove sperimentali per la determinazione della curva S-N sono solitamente terminate tra 10^7 e 10^8 cicli [5]. Figura 1.4: Differenza curve S-N tra acciaio e alluminio Effetto dello sforzo medio Nel paragrafo precedente non si è fatta menzione del valore dello sforzo medio associato alla curva S-N di cui si riportata la formulazione numerica. In particolare la formulazione precedente è valida per un valore di sforzo medio nullo, cioè R=-1. il valore di sforzo medio però influenza la vita a fatica, infatti, 6

31 Fatica: concetti base a parità di sforzo alternato la vita a fatica diminuisce per sforzi medi di trazione e aumenta per sforzi medi di compressione, questo perché uno sforzo medio di trazione tende ad aprire le cricche mentre invece uno sforzo medio di compressione tende a chiuderle e ad ostacolarne a propagazione. L'effetto dello sforzo medio si può osservare sperimentalmente, si nota infatti un abbassamento o un innalzamento della curva S-N a seconda che lo sforzo medio sia di trazione o di compressione. Nella pratica si utilizzano delle leggi empiriche che, tenendo conto dello sforzo medio, apportano una sorta di correzione al valore dello sforzo alternato, incrementandolo nel caso di sforzo medio positivo e diminuendolo nel caso di sforzo medio negativo [7]. Correzione di Goodman: σ a σ ' a = (1.9) σ m 1 σ tu Correzione di Soderberg: σ a σ ' a = (1.10) σ m 1 σ ty Correzione di Gerber ( valida solo per sforzo medio positivo): σ a σ ' a = (1.11) 2 σ m 1 σ tu σ ' a e lo sforzo alternato nominale corretto; la vita a fatica, considerando l'effetto dello sforzo medio, risulta essere: ( ) b N = 0.5* σ '/ σ ' (1.12) a f 1/ Effetti di intaglio La geometria locale spesso determina una concentrazione di sforzo, cioè una perturbazione locale della sollecitazione, che in quel punto aumenta generando uno sforzo massimo di picco. Tipici intagli sono fori, raccordi, variazioni di sezione, che causano nella struttura delle concentrazione di sforzo. Lo sforzo nell'intorno dell'intaglio risulta essere uguale allo sforzo nominale, lontano dall'intaglio, moltiplicato per il fattore di concentrazione degli sforzi Kt: S = σ (1.13) a K T * a 7

32 Capitolo 1 S a è lo sforzo alternato massimo nella regione dell'intaglio. Se oltre all intaglio voglio considerare anche l effetto dello sforzo medio: S' = * σ ' a K T Per calcolare il numero di cicli di rottura è fondamentale considerare gli effetti dovuti agli intagli. Tali effetti vengono valutati generalmente eseguendo campagne di prove su provini intagliati di cui il Kt è noto (tipicamente è pari a 3) e ricavando quindi i coefficienti della curva S-N a partire da questi dati e non da quelli di provini non intagliati (a Kt=1). Lo sforzo utilizzato nell equazione della curva è sempre lo sforzo nominale lontano dall intaglio, in quanto l effetto dello stesso è già incorporato nei parametri specifici della curva. Il valore del coefficiente Kt dipende esclusivamente dalle caratteristiche geometriche dell intaglio e può essere calcolato utilizzando fonti di letteratura, come Esdu o Peterson, che si riferiscono, però, a casi particolari; è necessario quindi ricondurre il caso reale ad un modello ideale, ma se la geometria è particolarmente complessa può essere difficile o impreciso rifarsi a modelli ideali di letteratura. Il calcolo a fatica necessita della determinazione il più possibile fedele del campo di sollecitazione, inoltre i fenomeni di enucleazione della cricca avvengono praticamente sempre in presenza di intagli, per questo motivo i punti con concentrazione di sforzo sono potenzialmente critici. Per riuscire a valutare in maniera il più possibile corretta gli sforzi in corrispondenza dell'intaglio, e quindi a stimare con maggior precisione la vita di un componente, è meglio affidarsi ai modelli ad elementi finiti di dettaglio: un modello ad elementi fini di dettaglio descrive la geometria in maniera esatta e fedele a quella reale e quindi riproduce correttamente anche gli intagli, per cui gli sforzi che si ottengono da un modello di dettaglio, se questo è vincolato e caricato in maniera opportuna, rispondono in maniera fedele a quanto avviene nella realtà. Gli sforzi ottenuti con modelli di dettaglio sono già quelli massimi e non c'è quindi bisogno di utilizzare un coefficiente Kt, ovvero, si considera Kt = 1 e quindi si utilizza una curva S-N relativa a provini non intagliati. a Altri effetti che modificano la curva S-N Va poi sottolineato che ci sono altri fattori che influenzano le caratteristiche a fatica di un materiale e che hanno l effetto di traslare verso il basso o verso l alto la curva S-N, come ad esempio il tipo di carico applicato (assiale, flessionale), le finiture superficiali (rugosità), i trattamenti superficiali (anodizzazione, pallinatura, cadmiatura, cromatura, ecc.); tutti questi effetti si traducono a livello pratico o nella presenza di coefficienti moltiplicativi che vanno a correggere lo sforzo alternato presente nell'equazione di Basquin per il 8

33 Fatica: concetti base calcolo del numero di cicli di rottura o nella valutazione di coefficienti dell equazione che già incorporano questi effetti (ottenuti tramite prove dedicate) Altre equazioni che descrivono la curva S-N L'equazione di Basquin non è l'unica rappresentazione del comportamento a fatica di un materiale, differenti tipologie di equazioni che descrivono le curve S - N: tra le più utilizzate ci sono le equazioni empiriche fornite dalle normative MIL e reperibili sul MIL-handbook [8]. Queste equazioni sono nella forma: log( N) = A B log( S C) (1.14) eq dove lo sforzo equivalente è in genere dato da S ) D eq = S max (1 R con a S max = S m + S (1.15) Le costanti A,B,C,D sono caratteristiche del materiale, ricavate in maniera sperimentale e gli sforzi nell equazione sono sempre quelli nominali. Queste equazioni tengono già in considerazione l'influenza dello sforzo medio in quanto contengono anche il parametro R. Hanno un range di validità legate ad R che in genere è pari a [-1;0.5]; per valori di R al di fuori di esso è opportuno applicare una delle correzioni per lo sforzo medio descritte nel paragrafo Analisi di fatica: approccio Strain-Life Nel paragrafo precedente sono state presentate le tecniche per l'analisi di fatica alla base dell approccio Stress-Life. Questo approccio all'analisi di fatica dei componenti funziona bene per quelle situazioni in cui sono presenti solo cicli con sforzi e deformazioni elastiche. Tuttavia molti componenti possono avere, nominalmente, sforzi elastici ma agli intagli possono presentare deformazioni plastiche. Sotto queste condizioni deve essere considerato un altro approccio che usa le deformazioni locali come parametri che governano la vita fatica: il metodo strain-life risulta essere più efficiente nella predizione della vita a fatica di questi componenti. 9

34 Capitolo Comportamento ciclico del materiale Se si sottopongono provini di materiale differente a prove in controllo di deformazione, a deformazione media nulla, e durante le prove si registrano continuamente le curve σ ε si possono notare comportamenti differenti a seconda del materiale considerato. La risposta del materiale si modifica col progredire dei cicli, fino a stabilizzarsi dopo un dato numero di cicli. Si può osservare come i valori dei carichi e quindi delle sollecitazioni necessarie per ottenere le deformazioni si modificano durante la prova. Alcuni materiali mostrano un incremento, cioè un aumento della sollecitazione necessaria per raggiungere la stessa ampiezza di deformazione e, in conseguenza, un aumento dell'area del ciclo di isteresi, mentre altri mostrano un addolcimento, che significa viceversa una diminuzione dello sforzo [9]. Figura 1.5: Incrudimento e addolcimento ciclico in controllo di deformazione Figura 1.6: Incrudimento e addolcimento ciclico in controllo di sforzo 10

35 Fatica: concetti base In sintesi: se il materiale è sottoposto a cicli di deformazione imposta, di ampiezza e frequenza costante, in direzione assiale, si può osservare un aumento dello sforzo, e di conseguenza un incrudimento ciclico, o una diminuzione dello sforzo e quindi un addolcimento ciclico. Se invece le prove sono in controllo di sforzo l incrudimento è caratterizzato da una diminuzione dell'ampiezza di deformazione e l'addolcimento da un aumento dall'ampiezza di deformazione Rilassamento dello sforzo medio Un altro effetto che si ritiene utile citare è il rilassamento dallo sforzo medio: si verifica nel caso di prove in controllo di deformazione con un valore di deformazione media imposta, lo sforzo medio tende ad annullarsi con l'aumentare del numero di cicli e questo effetto risulta essere maggiore quanto è maggiore l'ampiezza della deformazione. È un effetto abbastanza importante perché nelle prove a deformazione imposta non permette di valutare correttamente l'influenza dello sforzo medio sulle curve di vita a fatica per deformazioni elevate, questo effetto può essere evitato effettuando prove in controllo di sforzo nelle quali non si ha rilassamento dello sforzo medio [10]. Figura 1.7: Rilassamento dello sforzo medio, materiale Al7050-T7451, prova in controllo di deformazione 11

36 Capitolo 1 Figura 1.8: Rilassamento sforzo medio La curva σ ε ciclica I risultati delle prove sperimentali mostrano la necessità di definire una nuova curva σ ε, perché la curva monotona di trazione si rileva non più significativa per rappresentare il legame sforzi deformazioni in campo ciclico. Questa curva viene chiamata curva ciclica. Per ottenere la curva ciclica caratteristica di un materiale si deve avere una famiglia di cicli di isteresi stabilizzati e ottenuti imponendo differenti ampiezze di deformazione. Se si connettono gli apici dei cicli di isteresi stabilizzati si ottiene la curva ciclica. Nell'analisi di fatica si trascurano le fasi di incrudimento e di addolcimento del materiale e si considera che il comportamento del materiale sia sempre descritto dalla curva ciclica. 12

37 Fatica: concetti base Figura 1.9: Ottenimento della curva sforzo-deformazione ciclica Si possono confrontare direttamente le curve sforzo-deformazione ottenute nel caso di carico crescente in maniera monotona e nel caso di carico ciclico ripetuto, in modo tale da osservare cambiamenti nel comportamento del materiale. Si vede che l incrudimento ciclico corrisponde a una curva ciclica sopra quella monotona, viceversa l'addolcimento si verifica quando la curva ciclica è al di sotto di quella monotona. Figura 1.10: Incrudimento ciclico e addolcimento ciclico 13

38 Capitolo 1 Quando il materiale diventa meno resistente a causa della ripetizione del carico, lo sforzo di snervamento ciclico è minore dell'analogo nel caso monotono. Caricando ripetutamente la struttura, insorgono fenomeni di plasticizzazione per valori di sforzo inferiore allo sforzo di snervamento ottenuto dalle prove statiche. Risulta dunque evidente che può essere pericoloso utilizzare i dati relativi al comportamento statico del materiale quando si desidera valutare la durata a fatica. Per questo motivo nell'analisi di fatica, seguendo l'approccio strain-life, è più corretto e cautelativo utilizzare la curva ciclica del materiale[9]. Nel caso monotono la legge che lega sforzi e deformazioni può essere espressa analiticamente dalla legge di Ramberg-Osgood [7]: ε = ε + ε (1.16) t e p 1 n σ σ ε t = + (1.17) E H Analogamente al caso monotono, la curva sforzo-deformazione ciclica mostra una componente di deformazione elastica ed una di deformazione plastica, che possono essere espresse analiticamente da una legge analoga alla precedente ma con i coefficienti relativi alla parte plastica modificati: 1 ' n σ σ ε t = + ' (1.18) E H dove n' è l esponente di incrudimento ciclico e H' è il coefficiente di resistenza ciclico. Noti i parametri della curva ciclica si possono costruire i cicli di isteresi stabilizzati del materiale. Nella costruzione dei cicli di isteresi si adotta l'ipotesi di Masing [11] secondo la quale ciascun ramo del ciclo di isteresi può essere rappresentato mediante la medesima forma matematica della curva ciclica, a patto di sostituire le ampiezze di sforzo e deformazione con le corrispondenti variazioni: 1 ' σ n a σ a ε a = + (1.19) ' E Δε Δσ = 2 2E H Δσ ' 2H + 1 ' n 1 ' n (1.20) Δσ Δσ 2 ' E 2H Δε = + (1.21) 14

39 Fatica: concetti base Figura 1.11: Ciclo di isteresi stabilizzato Stima della storia temporale di sforzo e deformazione Quando, nella vita di un componente, le deformazioni plastiche diventano rilevanti, lo stato di sforzo non è più univocamente determinato dallo stato di deformazione ma risulta essere dipendente dalla storia precedente della deformazioni: sforzi e deformazioni sono dipendenti dalla storia precedente, ad un unico valore di deformazione possono corrispondere diversi valori di sforzo. Per questo motivo quando si utilizza l'approccio strain-life è di fondamentale importanza riuscire a stimare la storia temporale di sforzo e di deformazione che subisce il materiale. Se viene superato lo snervamento, per determinare il valore della deformazione e dello sforzo all'intaglio si deve, in genere, ricorrere ad analisi numeriche, per esempio con elementi finiti, ricordando però che le analisi non lineari sono molto onerose, sia in termini di tempo di preparazione della schematizzazione del modello e del comportamento del materiale, sia in termini di tempo di calcolo vero e proprio. Inoltre è spesso necessario controllare i risultati ottenuti dal modello mediante verifiche sperimentali, per esempio effettuando misure estensimetriche sui componenti [7]. Spesso è molto utile applicare metodi approssimati che possono dare un'idea del valore degli sforzi e delle deformazioni effettive dovute ad un intaglio. 15

40 Capitolo Analisi numeriche non lineari Come già detto, una possibile strada per ottenere la storia temporale di sforzo e deformazione è quella di eseguire analisi numeriche non lineari. Di seguito è riportato un esempio che descrive e permette di capire meglio tale procedimento. Si modella ad elementi finiti solidi un provino in lega di alluminio 7050-T7451 (Ftu = 500 [MPa] Fty = 407 [MPa], [8]) con sezione di dimensioni 20 x 20 mm e lunghezza 200 mm, incastrato da un lato e caricato con una forza trasversale F dal lato opposto. Il provino presenta un intaglio nella zona vicino all'incastro. Figura 1.12: Modello FEM del provino Lo spettro di carico in questo caso è rappresentato dalla variazione della forza F nel tempo: Figura 1.13: Spettro di carico 16

41 Fatica: concetti base Se si esegue un'analisi lineare, in corrispondenza della condizione di carico più gravosa si può vedere come si abbia una concentrazione di sforzo nella zona dell'intaglio, ma si vede anche che lo sforzo calcolato linearmente va ben oltre i limiti di snervamento e di rottura del materiale. Figura 1.14: Sforzo lineare all intaglio in corrispondenza della condizione più gravosa Per questo motivo è necessario definire nel modello FEM un materiale non più semplicemente lineare, bensì con comportamento non lineare, utilizzando ad esempio la legge di Ramberg-Osgood, e quindi eseguire un'analisi non lineare. Figura 1.15: Curva σ ε ciclica del materiale [8] 17

42 Capitolo 1 Se si utilizza come solutore ad elementi finiti Nastran è possibile impiegare come tipologia di analisi non lineare la sol_106 [12] che permette anche di definire le condizioni di carico in modo sequenziale, in modo da ricavare la storia temporale di sforzo e di deformazione corrispondente allo spettro di carico assegnato. Figura 1.16: Sforzi massimi principali non lineari all'intaglio in corrispondenza della condizione più gravosa Figura 1.17: Storia di sforzo e deformazione ricavata dall'analisi numerica 18

43 Fatica: concetti base Con l analisi non lineare si ottiene la storia di sforzo e deformazione per il provino nella zona dell intaglio; questo procedimento è veloce in modelli semplici ma è molto lungo quando il modello è complesso, per questo motivo è preferibile utilizzare metodi approssimati, come quelli spiegati nei prossimi due paragrafi; questi metodi saranno poi applicati all esempio appena visto affinché i risultati possano essere confrontati a quelli ottenuti dall analisi non lineare Metodo approssimato di Neuber Finché il materiale ha un comportamento lineare elastico i valori degli sforzi e delle deformazioni, vicino ad un intaglio, sono definiti dal valore del coefficiente di sovrasollecitazione teorica Kt: σ = ε max = KTε nom (1.23) max KTσ nom (1.22) Quando viene superato il valore dello snervamento del materiale in presenza di un intaglio, per determinare il valore della deformazione non si può più utilizzare Kt e infatti il rapporto tra sforzo massimo e sforzo nominale σ max Kσ = diventa inferiore a Kt, mentre il rapporto della deformazione σ nom ε max massima rispetto a quella nominale K ε =, al contrario, diventa maggiore ε nom di Kt. Secondo Neuber [3, 7] vale questa relazione: K 2 =K K T σ ε (1.24) è quindi: K T = K σ K ε (1.25) ovvero la media geometrica dei fattori di concentrazione dello sforzo e delle deformazioni rimane uguale Kt. K σ max ε max = K σ Kε = (1.26) σ ε 2 T nom nom 2 nomε nomk T σ maxε max (1.27) σ = σ nom Gli sforzi nominali sono calcolati linearmente, per cui ε nom = (1.28) E 19

44 Capitolo 1 σ nom 2 σ nom KT = σ E 2 σ nom 2 KT = σ maxε E max max ε max (1.29) (1.30) Quindi per un dato materiale, definito il valore di E, Kt, σ nom, il prodotto dello sforzo e della deformazione effettiva all intaglio, σ *ε max max, è una costante nota. Poiché il valore dello sforzo e della deformazione sono legati alla curva del materiale è possibile calcolare il valore di σ max e ε max. Se il materiale ha un comportamento che è rappresentabile con l'equazione di Ramberg-Osgood: 1 σ ' max σ n max ε max = + (1.31) σ E 2 nom K E 2 T = σ H ' max σ E max σ + H ' max 1 n' (1.32) Allo stesso modo è possibile avere una stima del ciclo di isteresi a partire da una variazione di sforzi nominali. Utilizzando l ipotesi di Masing si ottiene: ( Δ σ K ) nom E T 2 = Δσ max Δσ E max Δσ + 2 2H ' max 1 n' (1.33) In pratica da una storia di sforzi e variazioni di sforzi calcolati linearmente è possibile, grazie alla regola di Neuber, avere una stima degli sforzi, delle deformazioni e dei cicli di isteresi che si hanno all'intaglio. 20

45 Fatica: concetti base Figura 1.18: Applicazione del metodo di Neuber ad un valore di sforzo nominale Figura 1.19: Applicazione del metodo di Neuber ad una variazione di sforzo nominale Applichiamo ora il metodo di Neuber al problema del provino intagliato affrontato precedentemente con l analisi numerica non lineare. Invece che un analisi non lineare si esegue, con le stesse condizioni di carico, un'analisi lineare, la storia temporale degli sforzi lineari che si ottiene all intaglio è la seguente: 21

46 Capitolo 1 Figura 1.20: Storia temporale degli sforzi calcolati linearmente A questa storia temporale si applicano le equazioni appena viste del metodo di Neuber (ricordando che trattandosi di una modellazione di dettaglio Kt = 1) e si ottiene una stima della storia temporale di sforzo e deformazione effettiva all'intaglio: Figura 1.21: Storia di sforzi e deformazioni ricavata con il metodo approssimato di Neuber 22

47 Fatica: concetti base Metodo approssimato di Molsky-Glinka Un altro metodo approssimato che permette di stimare le deformazioni in presenza di intagli è quello proposto da Molsky e Glinka. Esso si basa sull equazione[3]: nom K σ dε = max nom nom 0 K T ε ε T σ dε (1.34) 0 max max e, quindi, determina il valore della deformazione e dello sforzo all'intaglio imponendo l'uguaglianza dell'energia di deformazione elastica degli sforzi nominali e dell energia di deformazione elastoplastica degli sforzi massimi all intaglio. Assumendo, come sempre, l'ipotesi di comportamento lineare del materiale nel calcolo degli sforzi nominali, e di comportamento non lineare descrivibile dall'equazione di Ramberg-Osgood nel calcolo degli sforzi e delle deformazioni all'intaglio, l equazione precedente diventa: K 2 T σ ' nom σ max σ max σ max n 2 E = 2E + 1+ n' H ' (1.35) mentre per la stima del ciclo di isteresi si ha: K 2 T Δσ nom Δσ max 2Δσ max Δσ max n 2 E = 2E + 1+ n' 2H ' 1 ' (1.36) applicando le equazioni appena viste alla storia temporale degli sforzi calcolati linearmente ottengo: 23

48 Capitolo 1 Figura 1.22: Storia di sforzi e deformazioni ricavata con il metodo di Glinka-Molsky 24

49 Fatica: concetti base Confronto dei tre metodi Nel grafico seguente sono riportati i cicli di isteresi stimati dai tre metodi appena presentati. Figura 1.23: Confronto dei tre metodi Assumendo come esatto il ciclo di isteresi ricavato con l'analisi numerica non lineare si può vedere come il metodo di Neuber tenda a sovrastimare le deformazioni e gli sforzi mentre al contrario il metodo di Glinka-Molsky li sottostimi. I valori calcolati con i due metodi approssimati possono essere quindi considerati il limite inferiore e il limite superiore rispetto ai valori effettivi. È importante sottolineare che entrambi i metodi approssimati forniscono delle buone stime quando sono utilizzati nella valutazione degli sforzi e delle deformazioni locali e approssimano bene il comportamento del materiale quando lo stato di sforzo è piano [7]; ovviamente, più ci si allontana da questa condizione minore è la validità dei metodi anche se possono essere utilizzati ugualmente per avere un'idea del valore degli sforzo delle deformazioni effettive dovute a un intaglio. 25

50 Capitolo Estrazione dei cicli d isteresi Una volta ottenuta la storia temporale di sforzo e deformazione all'intaglio si applicano i metodi di conteggio per l'estrazione dei singoli cicli di isteresi. In riferimento ai cicli estratti si sottolinea che cicli con la stessa variazione di deformazione possono avere differenti variazioni di sforzo. Nel grafico seguente si vede come il ciclo 3-4 e il ciclo 6-7, per esempio, hanno lo stesso range di deformazione ma differenti sforzi medi, per questo motivo quando si utilizza l'approccio strain-life è preferibile estrarre dalla storia temporale delle deformazioni i singoli cicli d'isteresi senza accorparli, valutando quindi il danno causato da ogni singolo ciclo singolarmente. In riferimento al grafico seguente i cicli da estrarre sono: 2-5, 3-4, 6-7, 8-9, Le caratteristiche fondamentali che devono essere ricavate da ogni singolo ciclo di isteresi sono la deformazione alternataε a, oppure anche la variazione di deformazione Δ ε ( = 2ε a ), e il valore di sforzo medioσ m. Figura 1.24: Esempio di estrazione dei cicli di isteresi 26

51 Fatica: concetti base Le curve ε N Queste curve sono alla base dell'approccio strain-life per la valutazione della vita a fatica, mettono in relazione la deformazione alternata con il numero di cicli di rottura e sono generate conducendo prove sperimentali controllate in deformazione su provini caricati assialmente. Riprendendo l equazione di Basquin [7, 13]: a f ( 2N ) b σ = σ ' (1.37) che lega lo sforzo alternato di ciclo al numero di semicicli di rottura, e dividendo l'equazione per il modulo elastico è possibile esprimerla in termini di deformazione alternata elastica: σ ' ε f ( ) b ae = N E 2 (1.38) per la deformazione alternata plastica è possibile definire una relazione simile: Coffin e Manson proposero la seguente equazione: ap f ( 2N ) c ε = ε ' (1.39) Quindi la deformazione alternata totale risulta essere la somma di quella elastica e di quella plastica: σ ' f b ε ( ) ( ) c at = ε ae + ε ap = 2N + ε ' f 2N (1.40) E dove le costanti c e ε ' f tengono conto delle caratteristiche del materiale e sono denominate rispettivamente esponente e coefficiente di duttilità a fatica. La curva così definita mette in relazione la deformazione alternata totale al numero di cicli di rottura e prende il nome di curva di Coffin-Manson [9]. 27

52 Capitolo 1 Figura 1.25: Deformazioni elastiche, plastiche e totali rispetto alla vita a fatica Per determinare queste curve si eseguono prove a deformazione alternata imposta, a sforzo medio nullo, su provini lisci, sollecitati assialmente. In pratica si adottano le stesse modalità di prova seguite per determinare la curva ciclica, in più si considera la vita del provino fino la sua rottura. Le informazioni che vengono ricavate sono le ampiezze della deformazione totale, elastica e plastica del ciclo di isteresi stabilizzato e il numero di cicli necessario per portare a rottura il provino. Dall'osservazione della curva si vede che, per vite a fatica brevi, le deformazioni plastiche sono predominanti e il ciclo d'isteresi è ampio, al contrario per durate maggiori la componente elastica e più importante e il ciclo di isteresi è sottile. Esiste un punto, detto di vita fatica di transizione, 2 N tr, in corrispondenza del quale la deformazione elastica e la deformazione plastica sono uguali: σ ' E f b ( 2N ) ε ' ( 2N ) c tr = (1.41) f tr da cui si ricava: 2N tr Eε ' = σ ' f f 1 b c (1.42) 28

53 Fatica: concetti base per rotture che avvengono prima di 2 N tr il fenomeno plastico è prevalente su quello elastico e viceversa; il valore 2 N tr indica se il fenomeno di fatica è caratterizzato da alto o basso numero di cicli, di conseguenza se è più appropriato utilizzare un approccio stress-life oppure strain-life per il calcolo della vita a fatica. Dal grafico ε N si può notare che, a differenza della curva S-N, non esiste un limite a fatica, poiché entrambe le curve hanno una pendenza negativa. È possibile esprimere un valore limite di ripetizione quale indice di vita infinita, oppure ipotizzare che per deformazioni plastiche molto ridotte non si generi alcun danneggiamento L'influenza dello sforzo medio Le curve ε N sono ricavate sperimentalmente in condizione di sforzo medio nullo, ma nella valutazione della vita fatica è importante considerare l'effetto dello sforzo medio. Come nel caso dell'approccio stress life si nota che uno sforzo medio di compressione estende la vita a fatica mentre uno sforzo medio di trazione la riduce. Dalle prove sperimentali eseguite in controllo di deformazione si nota che l'effetto diventa importante per un alto numero di cicli, è poco rilevante per deformazioni molto ampie. Figura 1.26: Effetto dello sforzo medio sulla vita fatica Riuscire a valutare l'influenza dello sforzo medio per le curve ε N è un problema piuttosto complesso perché l'effetto dello sforzo medio nelle prove a deformazione imposta tende ad annullarsi a causa del rilassamento dallo sforzo medio (si veda paragrafo ), soprattutto se le deformazioni sono elevate. Se le ampiezze di deformazione non sono elevate non tutto lo sforzo medio si 29

54 Capitolo 1 rilassa e di conseguenza si riesce a valutarne meglio l effetto. Se le prove sono a sforzo imposto la componente media non si rilassa. Negli anni sono stati proposti molti modelli per quantificare l'effetto dello sforzo medio sul comportamento a fatica. I modelli maggiormente utilizzati, soprattutto nell'ambito dell'industria automobilistica, sono quelli proposti da Morrow (1968) e da Smith, Watson, Topper (1970). Si tratta di equazioni empiriche che dovrebbero essere comparate con i dati dei test per determinare quale modello è più appropriato per il materiale e per le condizioni di interesse Metodo di correzione dello sforzo medio di Morrow Morrow ha proposto la seguente relazione quando è presente uno sforzo medio[7]: σ ' f σ m b ε ( ) ( ) c a = 2N + ε ' f 2N (1.43) E Lo sforzo medio influenza solo la componente elastica mentre la componente plastica non ne è influenzata perché quando le ampiezze delle deformazioni imposte sono elevate in genere si ha un rilassamento delle sollecitazioni medie. Uno sforzo medio di trazione riduce il coefficiente σ ' f mentre uno sforzo medio di compressione lo aumenta e di conseguenza va a modificare, abbassandola o alzandola, la curva ε N [3]. Figura 1.27: Modello di Morrow per la correzione dello sforzo medio 30

55 Fatica: concetti base Metodo di correzione dello sforzo medio di Smith, Watson, Topper Si definisce lo sforzo massimo riferito ad un certo ciclo di isteresi con sforzo medio diverso da zero: σ max = σ m + σ a (1.44) e poi si impone che il prodotto σ max ε a sia costante (con ε a deformazione alternata associata al ciclo di isteresi con sforzo medio non nullo). Se si considera il caso specifico di un ciclo in cui lo sforzo medio è nullo si può scrivere: σ = max ε a σ aε a (1.45) In pratica il danno causato da un ciclo di isteresi caratterizzato da σ m, σ a, ε a, è uguale a quello di un ciclo di isteresi equivalente, con sforzo medio nullo, stesso sforzo alternato σ a e deformazione alternata ε a (associata ad un ciclo di isteresi con sforzo medio nullo) opportunamente ricorretta. Considerando l'equazione di Basquin e l'equazione di Coffin-Manson: b σ ' f b c σ maxε a = σ ' f ( 2N ) ( 2N ) + ε ' f ( 2N ) (1.46) E Altre equazioni che descrivono la curva ε N Come per le curve S-N anche per le curve ε N le norme MIL [8] forniscono delle equazioni che differiscono, nella forma, dalle equazioni di Coffin-Manson. Queste equazioni descrivono la vita a fatica in funzione della variazione di deformazione e dello sforzo massimo, considerano quindi anche l influenza dello sforzo medio e sono presentate nella forma seguente: log( N) = A1 + A2 log( ε eq A4 ) (1.47) dove eq A3 1 A3 ( Δ ) ( S / E) ε = ε (1.48) max I coefficienti A1, A2, A3, A4 sono ricavati sperimentalmente. 31

56 Capitolo Modelli di calcolo del danno Ottenute le storie temporali di sforzo o deformazione, applicati i metodi di conteggio, estratti i singoli cicli con le loro caratteristiche, ricavato il numero di cicli di rottura utilizzando l approccio stress-life o strain-life, l ultimo passo per terminare l analisi di fatica è calcolare il danno causato dalla storia di carico e stimare la vita di un componente Modello di danneggiamento non lineare Per illustrare i concetti di danno cumulativo si adotta l'equazione di crescita del difetto sviluppata da Manson e Halford [3]: ( a a ) α ni a = a0 + f 0 (1.49) N dove n i è il numero di cicli di carico (identici, con le stesse caratteristiche) applicati per raggiungere una lunghezza di cricca pari ad a, e a 0 è la lunghezza iniziale della cricca. Il valore di N rappresenta il numero dei cicli che devono essere applicati per raggiungere una lunghezza di cricca a f che corrisponde al danneggiamento o alla rottura del componente. L'esponente α è determinato in modo empirico ed ha la seguente forma: 2 N 3 α = 0.4 (1.50) Il danno cumulativo è il rapporto tra la lunghezza di cricca effettiva e quella riferita alla rottura: D = a a f = 1 a f a 0 + ( a a ) f 0 n N α (1.51) questa equazione di danneggiamento implica che la rottura per fatica avviene quando D = 1, cioè quando a = a. f Si consideri per esempio una generica storia di carico, da cui si estraggono n 1 cicli a cui corrisponde un numero di cicli a rottura N 1, e n 2 cicli a cui corrisponde un numero di cicli a rottura N 2 : n 1 e n 2 si ottengono dalla storia temporale applicando i metodi di conteggio, mentre N 1 e N 2 sono ottenuti 32

57 Fatica: concetti base 33 dall analisi stress-life (o strain-life) in funzione delle caratteristiche dei cicli estratti. Figura 1.28: Estrazione di 1 n e 2 n e valutazione di 1 N e 2 N Per valutare il danno causato dai cicli 1 n si applica la formula: ( ) + = α N n a a a a D f f (1.52) per valutare il danno causato dai cicli 2 n bisogna prima calcolare il numero di cicli eq n 2, cioè il numero di cicli, a cui corrisponde una vita a fatica 2 N, che causano una danno equivalente a quello causato dai cicli 1 n ( ) ( ) + = + = α α N n a a a a N n a a a a D eq f f f f (1.53) = N N eq N n N n (1.54) Quindi il danno dovuto sia ai cicli 1 n che ai cicli 2 n risulta essere:

58 Capitolo 1 α 2 1 n 2 + n2eq D = + ( ) 2 a0 a f a0 a f N (1.55) con α 2 = N 2 3 (1.56) Figura 1.29: Danno cumulativo non lineare, applicazione prima dei cicli n1 e poi dei cicli n2 Osservando le equazioni si nota che l ordine di applicazione dei cicli influenza il calcolo del danno, infatti se prima fossero applicati i cicli n 2 e poi i cicli n 1 le equazioni appena viste sarebbero differenti. Se si applicano prima cicli più gravosi, con N più piccolo, e poi cicli meno gravosi, con N più grande, si ottiene un danno maggiore rispetto a quello che si otterrebbe invertendo l ordine di applicazione dei cicli. Ciò trova riscontro con quanto accade sperimentalmente: applicando subito un carico ciclico elevato si ha un danneggiamento più rapido del pezzo, se invece i carichi iniziali sono bassi si può avere anche un riassestamento benefico della struttura. 34

59 Fatica: concetti base Figura 1.30: Danno cumulativo non lineare, applicazione prima dei cicli n2 e poi dei cicli n1 La vita a fatica dipende dalla sequenza di applicazione del carico e il modello di danneggiamento non lineare ne tiene conto: per questo motivo, se si adotta questo modello, i cicli estratti vengono accorpati solo se sono identici e adiacenti, altrimenti si considera il contributo al danneggiamento dato da ogni ciclo singolarmente (quindi n = 1), proprio per riuscire a mantenere la giusta sequenzialità del carico. Il procedimento per il calcolo del danneggiamento cumulativo non lineare è iterativo, si può quindi scrivere: n = 0 (1.57) eq(1) N( i 1) N ( i) 0.4 neq + n ( 1) ( 1) i i n eq = N ( ) ( i) con i = 2,3,4,.. (1.58) i N( i 1) N ( i) n( i) neq = + ( ) ( i) D ( i) a0 a f a0 con i = 1,2,3,.. (1.59) a f N( i) 35

60 Capitolo 1 Si ricorda che D(i) non è il danno relativo ai soli cicli n(i) ma considera anche tutti i cicli applicati precedentemente: è il danno dopo i cicli n(i). L equazione per il calcolo del danno dipende dalle caratteristiche geometriche del difetto, quindi è di difficile applicazione, per questo motivo Manson e Halford ne hanno proposto una variazione: N ( i) Nref 0.4 n( i) + neq ( i) D ( i) = (1.60) N ( i) dove Nref è il numero di cicli di rottura più basso, corrispondente ai cicli più gravosi: si approssima a lineare la valutazione del danno per i cicli più gravosi, in quanto, in corrispondenza di tali cicli, l esponente dell equazione assume valore unitario. Questa approssimazione è accettabile in quanto la curva n/n - D non lineare tende alla curva lineare con il diminuire di N, cioè per N bassi la curva non lineare può essere approssimata dalla curva lineare. Figura 1.31: Curva n/n - D al variare di N 36

61 Fatica: concetti base Vediamo ora un esempio applicativo del modello di danno cumulativo non lineare. Nella tabella seguente sono definiti i valori di n e N. Il blocco di carico è ripetuto due volte. Blocco di carico n(i) N(i) n = [40, 400, 4000, 40000, 40, 400, 4000, 40000]; N = [1000, 10000, , , 1000, 10000, , ]; Nref = 1000; 0.4 N (1) n(1) + n Nref eq (1) n eq = 0 D (1) ( 1) = = N(1) N 0.4 N(2) (1) (2) n + (1) () 1 N eq n n(2) + n Nref eq (2) n = eq N (2) = 2776 D (2) ( 2) = = N () 1 N(2) n n N(2) n n N (3) eq + 2) ( 2) eq = N (3) (3) = N ( 2) ( 3) N(3) n n N (4) eq + (3) ( 3) eq = N (4) (4) = N N ( 4) e4 8.5e5 D D N(3) n(3) + n Nref eq (3) ( 3) = = N (3) N (4) n(4) + n Nref eq (4) ( 4) = = N (4) N (5) (5) + (4) ( 4) N neq n n(5) + n Nref eq = (5) n eq N(5) = 170 D (5) ( 5) = = N ( 4) N(5) N (5) 0.4 N (6) (6) n + (5) ( 5) N eq n n(6) + n Nref eq n = (6) eq N(6) = 5377 (6) D ( 6) = = N ( 5) N(6) n N(6) n n N (7) eq + (6) ( 6) eq = N (7) (7) = N ( 6) 0.4 8e4 D 0.4 N (7) n(7) + n Nref eq (7) ( 7) = = N (7)

62 Capitolo 1 n N(7) n n N (8) eq + (7) ( 7) eq = N (8) (8) = D N ( 7) e5 N (8) n(8) + n Nref eq (8) ( 8) = Dtot = = N (8) Figura 1.32: Calcolo del danno, modello non lineare, risoluzione grafica Per ricordare l importanza della sequenza di applicazione del carico nella valutazione del danno, si riporta che, se i cicli più gravosi fossero stati alla fine del blocco di carico, invece che all inizio, dopo due ripetizioni del blocco di carico il danno sarebbe stato di 0.21 ben più basso di Modello di danneggiamento lineare Regola di Miner Secondo la regola di Miner [14] il danneggiamento parziale relativo ad un livello di sforzo Δ σ è direttamente proporzionale al rapporto tra il numero di 38

63 Fatica: concetti base cicli n per cui viene applicato ed il numero totale di cicli N a rottura per quel livello di sforzo. Cioè: n i D () i = (1.61) N i Il danno totale è la somma delle frazioni di danneggiamento parziale: ni D tot = (1.62) N i L'esperienza mostra che la combinazione lineare dei danneggiamenti parziali è una semplificazione a volte eccessiva della realtà: in particolare non tiene conto della sequenza secondo la quale i diversi livelli di deformazione vengono raggiunti dal materiale. Inoltre, il danneggiamento si accumula sempre nella stessa maniera, senza riguardo alla storia temporale delle formazioni subite fino a quel momento, per questo motivo nel modello lineare cicli identici, non adiacenti, che avvengono in istanti differenti, possono essere accorpati. Figura 1.33: Danno cumulativo lineare 39

64 Capitolo Modello di danneggiamento bilineare Il modello di danneggiamento bilineare è stato presentato da Manson e Halford nel 1981 per ovviare alle difficoltà computazionali incontrate in quegli anni nell applicazione dei processi iterativi del modello non lineare. Costituisce un approssimazione del modello non lineare, in quanto si approssima con due tratti lineari la curva non lineare; è più leggero dal punto di vista numerico di quello non lineare e più conservativo rispetto a quello lineare ma non tiene conto della sequenza di applicazione dei carichi. Figura 1.34: Modello di accumulo del danno bilineare 40

65 Capitolo 2 2 Propagazione: concetti base Nelle curve di Wholer (per l'approccio stress-life) e nelle curve di Coffin- Manson (per l'approccio strain-life) il valore di N corrisponde al numero di cicli che provoca la rottura del provino; nei componenti meccanici, invece, questo valore corrisponde approssimativamente al numero di cicli che portano alla formazione di un difetto visibile: all enucleazione della cricca. Quindi in un provino un danno pari a uno rappresenta la rottura mentre in un componente strutturale un danno pari a uno rappresenta il danneggiamento del componente: cioè la comparsa di un difetto. A seconda della filosofia di progetto adottata, il componente strutturale criccato può essere considerato completamente danneggiato, quindi inutilizzabile, oppure può ancora evincere alle funzioni per le quali è stato progettato fino a quando la cricca non raggiunge dimensioni tali da causare criticità nell'elemento. Queste dimensioni critiche vengono valutate con i criteri e i parametri trattati dalla meccanica della frattura: le leggi di propagazione dei difetti di fatica permettono di valutare la crescita e la velocità di avanzamento del difetto [7, 9]. In questo capitolo sono introdotti brevemente i concetti teorici che stanno alla base della meccanica della frattura. Sono riportate le equazioni che verranno implementate in seguito e che permettono di effettuare una valutazione della crescita del difetto iniziale. Si sottolinea fin d ora che la propagazione in condizioni di meccanica della frattura elastoplastica serve più che altro a dare un idea di come vanno le cose, dal momento che i riferimenti bibliografici e i dati sperimentali relativi a questo ambito sono piuttosto scarsi. 2.1 Propagazione in condizioni di meccanica della frattura lineare elastica Se ad un corpo privo di difetti viene applicato un carico uniforme di trazione le linee di flusso delle tensioni sono diritte e parallele alla direzione dello sforzo. Introducendo un foro nel corpo le linee di flusso sono costrette ad aggirarlo e si genera una concentrazione di tensioni alle estremità del foro. 41

66 Capitolo 2 Figura 2.1: Linee di flusso in un corpo soggetto a tensioni uniformi all'infinito: a) corpo privo di difetti; b) corpo fessurato La concentrazione risulta più elevata quanto più il foro tende ad assumere la forma di una fessura. Sufficientemente lontano dal foro la distribuzione delle tensioni risulta non disturbata dalla presenza del difetto. Figura 2.2: Andamento degli sforzi all'apice del difetto 42

67 Propagazione: concetti base Se il difetto è rappresentato da una cricca con apice acuto gli sforzi in corrispondenza dell'apice tendono idealmente all'infinito; poiché naturalmente una tensione infinita non può esistere in una struttura reale, il materiale si adatta alla presenza di una cricca inizialmente acuta in modo tale da ridurre il valore teorico di tensione infinita ad un valore finito. Le ingenti deformazioni all'apice della cricca portano l'apice stesso, da acuto, ad assumere un raggio, seppur piccolo, ma diverso da zero. Si ha quindi nella zona della cricca una plasticizzazione localizzata. Se le dimensioni della zona plastica che nasce all'apice della cricca sono localizzate e sono più piccole di qualsiasi lunghezza di cricca tipica di interesse, lo studio della propagazione dei difetti può essere effettuato utilizzando i concetti di meccanica della frattura lineare elastica (MFLE), che è basata sull'applicazione della teoria dell'elasticità a componenti contenenti difetti. La MFLE assume la linearità tra sforzi e deformazioni. Figura 2.3: Zona plastica all'apice della cricca 43

68 Capitolo 2 I modi di possibile formazione di una cricca sono tre: apertura, slittamento, strappo; in questo contesto, per il problema che verrà affrontato, il modo a cui ci si riferisce è il modo I (apertura). Figura 2.4: Tre possibili modi di formazione del difetto Il campo di tensioni nell intorno dell' apice della cricca è descritto dai concetti di MFLE, lo sforzo in questa zona è funzione di parametri geometrici r e ϑ e di un coefficiente K: K σ y 2πr Figura 2.5: Sforzi all'apice della cricca 44

69 Propagazione: concetti base Il coefficiente K è definito fattore di intensità degli sforzi e da un punto di vista matematico risulta essere: ( σ 2 ) K = lim πr (2.1) r, ϑ 0 generalmente è espresso nella seguente forma: K = Fσ πa (2.2) dove a è la lunghezza della cricca, σ è la tensione applicata, e F è funzione della geometria. K fornisce una misura della severità della cricca. Se ad un corpo che presenta un difetto viene applicato un carico ciclico sia ha, per ogni ciclo, una tensione massima ed una minima e quindi due coefficienti K corrispondenti: K max = Fσ max πa (2.3) K min = Fσ min πa (2.4) quindi, ad ogni ciclo di carico, corrisponde una variazione del fattore di intensità degli sforzi: ΔK = Kmax Kmin = FΔσ πa (2.5) La variazione del fattore di intensità degli sforzi è molto importante nel calcolo dell'avanzamento del difetto, infatti ad ogni Δ K, associato ad un ciclo, corrisponde un avanzamento della cricca Δ a. Partendo dal difetto iniziale a 0 la crescita della cricca è determinata sulla base degli incrementi di crescita Δ a accumulati in precedenza e funzione di Δ K. Sommando gli incrementi alla cricca iniziale l'estensione del difetto aumenta fino a che non si ha cedimento. I criteri per definire il cedimento sono due: Instabilità della cricca: la velocità di propagazione diventa virtualmente infinita e quindi la crescita del difetto non è più stabile. Rottura statica: la sezione rimanente, al netto della cricca, non è più in grado di resistere staticamente al carico applicato. Le prove sperimentali dimostrano il legame tra la velocità di avanzamento della cricca e la variazione del fattore di intensità degli sforzi: 45

70 Capitolo 2 Figura 2.6: Velocità di avanzamento della cricca in funzione di Δ K Il grafico precedente mostra in modo schematico il rateo di crescita della cricca da dn, con N numero di cicli applicati, in funzione della variazione del fattore di intensità degli sforzi. Si può notare che 10^-7 mm rappresenta lo spazio tra gli atomi. Nella regione I, quando il Δ K è molto piccolo, la velocità di crescita è molto bassa; al di sotto di un Δ K di soglia, Δ K th, la velocità di propagazione è nulla, quindi non c'è crescita della cricca. Nella regione III, invece, in corrispondenza di ΔK elevati, si hanno valori di velocità di crescita alti. Se il K max è maggiore del K c, che rappresenta il valore critico di K, la velocità della critica diventa infinita e quindi la crescita della cricca non è più controllabile. Nella regione II la crescita della cricca, come si vede, è stabile e può essere descritta dall'equazione di Paris: da dn ( ΔK ) m = C (2.6) quest'equazione ci dice in pratica che se viene applicato un ciclo caratterizzato da un Δ σ a cui corrisponde un certo Δ K si ha una crescita della cricca pari a: 46

71 Propagazione: concetti base ( ΔK ) m da = C (2.7) E importante osservare che il Δ K dipende dalla lunghezza della cricca e quindi la sequenza di applicazione dei cicli è fondamentale, infatti se un carico elevato viene applicato quando la cricca è molto piccola può comportare un Δ K piccolo e di conseguenza un avanzamento minimo o trascurabile, se invece lo stesso carico elevato è applicato quando la cricca ha raggiunto dimensioni elevate, il Δ K che ne consegue è elevato e può causare un avanzamento rapido del difetto oppure anche un cedimento dovuto all'instabilità della cricca. L'equazione di Paris ha delle limitazioni perché non descrive le regioni I e III della curva e perché non tiene conto dell'effetto dello sforzo medio del ciclo L'effetto dello sforzo medio L'influenza dello sforzo medio sulle curve di propagazione viene considerato tramite il rapporto R tra sforzo massimo e sforzo minimo, che comunque è funzione dello sforzo medio. L'influenza del valore di R sull'andamento delle curve di propagazione è notevole: all'aumentare del rapporto tra sforzo minimo e massimo si ha un aumento della velocità di propagazione del difetto, questo fenomeno è direttamente collegato a quello della crack-closure[9]. Figura 2.7: Effetto di R sulle curve di propagazione 47

72 Capitolo La crack-closure Durante la propagazione di una cricca in presenza di carichi alternati, la cricca rimane chiusa per una certa porzione del carico applicato (anche se questo carico è di trazione). Questo effetto è dovuto alla presenza di tensioni residue all'apice della cricca stessa, attorno alla zona plastica. Tali tensioni possono essere in compressione, e quindi, una parte del carico esterno viene spesa per vincerne l'effetto mentre la rimanente parte di carico viene impiegata per aprire la cricca e propagarla. Il Δ K che quindi influenza la propagazione deve essere depurato dalla quota K op (detta di opening) necessaria a vincere le tensioni residue in compressione che chiudono l'apice della cricca. ΔK eff K = ΔK K = ΔK max max ( K K ) K K 1 ΔK eff = ΔK 1 op op min f R Figura 2.8: Valutazione del ΔK min = ΔK K max K op K max = ΔK K max K min K max Δ Keff ( K K ) ( K K ) ( K K ) op min max = ΔK ΔK K op 1 K max 1 = ΔK = ΔK K min 1 1 K max f R min ΔK (2.8) (2.9) op min = 48

73 Propagazione: concetti base con f K op = funzione di apertura della cricca e K max K R = K min max σ = σ min max L'equazione Nasgro Un equazione che considera gli effetti dello sforzo medio, gli effetti della crack-closure, e che riesce a descrivere l intera curva è l equazione Nasgro, elaborata da NASA e ESA negli anno 90 e implementata nei software NASGRO e ESACRACK [9, 15, 16] da dn 1 = C ΔK 1 f R m ΔK 1 ΔK K 1 K max c th p q (2.10) dove N è il numero dei cicli a è la lunghezza della cricca f è le funzione di apertura della cricca che tiene conto del crack closure R è il rapporto di sforzo ΔK è la variazione del fattore di intensità di sforzo ΔK th è il fattore di intensità di sforzo di soglia K c è il fattore di intensità di sforzo critico C, m, p, q sono costanti ottenute empiricamente Significato delle costanti C,m,p,q Le costanti C, m, p, q sono derivate empiricamente ed il loro significato, dal punto di vista grafico, può essere schematizzato come segue: Figura 2.9: Significato delle costanti C,m,p,q 49

74 Capitolo Calcolo della funzione di apertura di cricca f La funzione di apertura della cricca, f, legata al fenomeno di crack-closure è stata definita da Newman [16] come: f = K K op max max( R, A = A0 + A1 R 0 + A R + A R A R ) 3 R 0 2 R < 0 (2.11) dove i coefficienti sono dati da: A A A A 0 2 π = ( α α ) cos S max σ = ( α S σ 1 ) 2 = 1 A0 A1 A3 3 = 2A0 + A1 1 max 0 1 α In queste equazioni,α è un fattore di sforzo/deformazione piana, S max σ 0 è il rapporto tra lo sforzo massimo applicato e uno sforzo di riferimento che causa deformazione plastica nel materiale. Il fattore di sforzo/deformazione piana, α, è considerato una costante durante l analisi di propagazione, varia dal valore 1 in condizioni di stato piano di sforzo, al valore 3 in condizioni di stato piano di deformazione. Materiali, come gli acciai ad alta resistenza, con un rapporto K IC σ ty basso, hanno, tipicamente, un valore di α variabile tra 2.5 e 3; mentre materiali con α usualmente compresi tra 1.5 e 2.0. K IC σ ty alto, hanno valori di Il rapporto S max σ 0 è mantenuto costante e fissato pari a 0.3, ciò produce risultati accettabili per R positivi, dove l effetto di S max σ 0 sulla funzione di apertura della cricca è relativamente piccolo. Se lo sforzo massimo supera il valore dello snervamento è consigliabile porre σ pari al valore medio tra gli sforzi di rottura e di snervamento [17]. 0 50

75 Propagazione: concetti base Calcolo del ΔK th Il valore della variazione del fattore di intensità degli sforzi di soglia ottenuto mediante equazioni empiriche [17]: ΔK th è 1 RCp * 1 + R (1 R) Cp 1 /(1 A0 ) Δ Kth = ΔK 1 f (2.12) dove: * a ΔK 1 = ΔK1 (2.13) a + a0 dove R è il rapporto tra sforzo minimo e sforzo massimo; f è la funzione di apertura di cricca o funzione di Newman; A 0 è la costante utilizzata nella valutazione di f; ΔK 1 è la variazione del fattore di intensità degli sforzi di soglia valutato per R = 1, e ricavato sperimentalmente dalle prove sul materiale; C th è una costante empirica che assume valori differenti a seconda che R sia positivo o negativo Calcolo di K C e criteri di cedimento La tenacità alla frattura, K IC, è una caratteristica del materiale ed esprime la resistenza che un materiale offre alla propagazione della frattura; il fattore di intensità degli sforzi critico K dipende dalla tenacità alla frattura [17]: C 2 K = 1+ ^ 5 t C KIC e (2.14) t0 dove: t è lo spessore e ( ) 2 t 0 = 2.5 K IC / σ ty I criteri per definire il cedimento di una sezione sono: cedimento per instabilità della cricca: se K max > K C la velocità di propagazione diventa virtualmente infinita e quindi la crescita del difetto non è più stabile. 51

76 Capitolo 2 cedimento statico: la cricca avanzando riduce la sezione resistente del materiale, quando la sezione al netto della cricca, non resiste staticamente al carico applicato, si ha la rottura L'effetto dei sovraccarichi In seguito all'applicazione di un singolo sovraccarico, la zona plastica all'apice della cricca ha estensione molto maggiore rispetto alla zona plastica dovuta al carico di ampiezza costante. La cricca, muovendosi in questo campo di tensioni residue negative, vede un Δ K eff ancora più piccolo e quindi la velocità di propagazione diminuisce. Questo effetto spiega il cosiddetto fenomeno di ritardo che si osserva nella propagazione di un difetto in seguito all'applicazione di un sovraccarico [18]. Qualora, invece di un sovraccarico, venga applicato un sottocarico la zona plastica diminuisce e di conseguenza anche le tensioni residue, producendo una riduzione del ritardo nella propagazione. Sono stati sviluppati i modelli di ritardo che permettono di tenere conto degli effetti dei sovraccarichi (picchi di carico più elevati, rispetto al resto dello spettro, che generano rallentamento nella crescita del difetto) e dei sottocarichi (picchi di carico in negativo che generano l'effetto opposto). Figura 2.10: Definizione della zona plastica dovuta al sovraccarico 52

77 Propagazione: concetti base Modello di Willemborg generalizzato L'effetto del carico corrente sulla crescita della cricca è influenzato dalla storia di carico; il termine interazione tra i carichi descrive questi effetti. Il modello di Willemborg generalizzato [17, 18], che considera solamente gli effetti di ritardo dovuti ai sovraccarichi, e non gli effetti dovuti ai sottocarichi, utilizza un fattore di intensità di sforzi residuo, K R, che determina l'effettivo rapporto di sforzo, R, dovuto all'interazione tra i carichi: R eff K K K K min R min, eff = = (2.15) max R K K max, eff il valore R eff è utilizzato al posto del rapporto di sforzi attuale all'interno delle equazioni di crescita della cricca ed ha l'effetto di ritardare la crescita del difetto. Il ritardo per un ciclo di carico assegnato dipende dalle caratteristiche del ciclo di carico stesso e dall'estensione della lunghezza di cricca nella zona plastica di sovraccarico. Il fattore di intensità di sforzi residuo è definito da Willemborg [17] come: K W R 1 2 OL Δa = K max 1 K max Z (2.16) OL OL dove K max è il fattore di intensità di sforzo dovuto al ciclo di sovraccarico, e Δa e la crescita della cricca tra il ciclo di sovraccarico e il ciclo corrente. La dimensione della zona plastica di sovraccarico è data da: Z OL π max 8 K = α gσ ys 2 (2.17) Figura 2.11: Zone plastiche all'apice della cricca 53

78 Capitolo 2 il coefficiente α g è determinato da un'equazione empirica sviluppata da Newman ed è dato da: K max 0.95 t g = e σ α ys (2.18) questa espressione è utilizzata per un modello di cricca monodimensionale; in casi bidimensionali sono utilizzati valori di α g variabili tra 1.15 e 2.55 a seconda che ci si trovi in condizione di stato piano di sforzo o stato piano di deformazione. W K R rappresenta la differenza tra il fattore di intensità di sforzi richiesto per produrre una zona plastica uguale a Δa e il fattore di intensità di sforzi Z OL massimo corrente applicato K MAX. Nel modello di Willemborg si considera il W ritardo quando K R > 0, mentre nel modello di Willemborg modificato non si W utilizza il K R ma un fattore di intensità di sforzi residuo modificato funzione W di K R : K W R φk R dove: = (2.19) ΔKth 1 φ = ΔK (2.20) ( R 1) SO R SO è il rapporto tra il fattore di intensità di sforzi dovuto a sovraccarico e il fattore di intensità di sforzi massimo dovuto al ciclo applicato detto di spegnimento (shut-off). Quando questo valore viene superato, K max, eff è posto uguale a Δ /( 1 R) e la crescita della cricca si arresta. K th Modello di Willemborg generalizzato modificato Questo modello tiene in considerazione la riduzione degli effetti di ritardo dovuta ai sottocarichi. Come il precedente anche questo modello utilizza un fattore di intensità di sforzi residuo, che corregge quelli massimo e minimo riferiti al ciclo applicato: 54

79 Propagazione: concetti base K K K eff max eff min eff min = K max = max = K min K {( K K ),0},, K min min R < 0 R K min 0 (2.21) I fattori di intensità di sforzi effettivi sono utilizzati al posto di quelli attuali, K max, K min, all interno delle equazioni di crescita della cricca ed hanno l effetto di ritardare la crescita del difetto. In aggiunta, un sottocarico, come ad esempio un carico di compressione o di trazione che è più basso del precedente carico minimo susseguente all ultimo ciclo di sovraccarico, può ridurre l effetto di ritardo. SUL Il rapporto di sforzi RU =, dove S OL UL è lo sforzo di sottocarico corrente, è S max utilizzato per aggiustare il coefficiente φ : 0.6 { φ /( (0.25 R ) )}, φ = min 1.0,2.52 φ = 1.0, R > 0.25 U 0 U R U 0.25 (2.22) Il parametro φ 0 è il valore di φ per R U = 0, dipende dal materiale ed ha valori tipici compresi tra 0.2 e Propagazione in condizioni di meccanica della frattura elasto-plastica La meccanica della frattura lineare elastica assume che il materiale sia isotropo e lineare elastico. Da questa ipotesi si può calcolare il campo di spostamenti e tensioni nell intorno dell'apice del difetto mediante la teoria dell'elasticità. Questa teoria è valida soltanto se le deformazioni plastiche sono piccole rispetto alla dimensione della cricca, se questa condizione viene meno non si possono più adottare i criteri della MFLE. L'applicazione della meccanica della frattura lineare elastica, nel calcolo della propagazione delle critiche in situazioni dove la plasticità all'apice della cricca è rilevante, è non conservativa. Per questo motivo si devono adottare i concetti della meccanica della frattura elasto-plastica [11, 13, 19, 20]. Ipotizzando un materiale con legame costitutivo assimilabile alla relazione di Ramberg-Osgood: 55

80 Capitolo 2 ε ε = σ σ σ + α σ n (2.23) dove σ 0 e ε 0 sono rispettivamente una sollecitazione ed una deformazione di riferimento, α è una costante adimensionale caratteristica del materiale n è il coefficiente di incrudimento lo stato di sforzo e deformazione all'apice della cricca in campo elasto-plastico risultano: (2.24) (2.25) dove: I ~ n sono n costanti di integrazione σ ij e ~ ε ij sono funzioni adimensionali. Da queste relazioni si nota che per r 0, σ ij tende a ed esiste quindi una singolarità chiamata singolarità HRR. L'integrale J definisce l'ampiezza di questa singolarità in campo elasto-plastico, così come K, il fattore di intensificazione degli sforzi, definisce la singolarità lineare elastica. Esso descrive quindi in modo compiuto i campi degli sforzi e deformazioni all'apice della cricca nei materiali elastici non lineari. K e J sono parametri che caratterizzano lo stato di sforzo e deformazione all apice della cricca, il primo in campo lineare elastico, il secondo in campo plastico. L integrale J fu definito da Rice come integrale di linea fra due punti di una piastra in materiale elastico sollecitata da un campo di tensione bidimensionale. Se i punti iniziali e finali del percorso di integrazione appartengono alle due facce opposte di una cricca, indicando con w la densità di energia, con t il vettore tensione e con u lo spostamento, J risulta così definito: 56

81 Propagazione: concetti base Figura 2.12: Definizione integrale J dove: Γ è un percorso arbitrario antiorario attorno all'apice della cricca, w è la densità di energia di deformazione, ε w ij = σ ε, 0 t i sono le componenti dei vettori di trazione, u i le componenti dei vettori spostamento e ds e una lunghezza incrementale lungo il percorso Γ. ij d ij L integrale J rappresenta il decremento di energia per unità di spessore t dell energia potenziale Π rispetto alla dimensione a della cricca: J dπ = 1 (2.27) t da Nel momento in cui il materiale presenta comportamento lineare elastico, l integrale J assume la formulazione: 2 K J e = (2.28) E' dove E =E per stato piano di sforzo mentre E =E/(1-ν 2 ) per stato piano di deformazione. Siccome l integrale J svolge, nel campo della meccanica della frattura elasoplastica, un ruolo simile al ruolo che svolge K nelle meccanica della frattura lineare elastica, presumibilmente, come Δ K influenza la propagazione, così farà anche Δ J. 57

82 Capitolo 2 da dn = C( ΔK ) m C ( ) mj J ΔJ da = (2.29) dn Per riuscire ad avere una stima della crescita del difetto in campo elasto-plastico bisogna quindi ottenere una stima del valore di Δ J. La variazione dell integrale J è legata alla variazione degli sforzi Δ σ e delle deformazioni Δ ε di un ciclo di carico applicato ad un componente criccato. Si può suddividere il Δ J nelle due componenti elastica e plastica: Δ J = ΔJ e + ΔJ p e stimare separatamente i due contributi Calcolo del Δ J e 2 K In campo lineare elastico vale la relazione J e = che lega l integrale J E' elastico al fattore di intensità di sforzi K, di conseguenza si ha: 2 ΔK Δ J e = (2.30) E' Se si volesse tenere conto del fenomeno del crack closure, bisogna correggere il 1 f Δ K : definendo la grandezza U =, si può scrivere (2.31) 1 R 2 2 U ΔK Δ J e =, (2.32) E' dove f è la funzione di apertura della cricca ed R il rapporto tra il coefficiente di intensità di sforzi massimo e minimo; mentre E = E in condizione di stato piano E di sforzo ed E ' = in condizione di stato piano di deformazione, υ è il 2 1 υ coefficiente di poisson Stima del Δ J p con il metodo EPRI (Electric Power Research Institute) Questo metodo fornisce una stima del valore di Δ J p in funzione delle caratteristiche del ciclo di isteresi applicato al componente [20]. Il comportamento elasto-plastico del materiale è rappresentato dall equazione di Ramberg-Osgood nella seguente forma: 58

83 Propagazione: concetti base 59 n + = σ σ α σ σ ε ε (2.33) ( ) ) ( 2, 4 + Δ = Δ n p c P n W a h a W W a U J σ σ αε (2.34) dove: a è la lunghezza della cricca W è lo spessore del pezzo nella direzione di propagazione del difetto h1 è la funzione EPRI, dipendente da a/w e da n σ Δ è la variazione del carico applicato ) ( 0 c P è il carico di snervamento funzione della geometria e della lunghezza di cricca Stima del p J Δ con il metodo RSM (Reference Stress Method) 1 0 ) ( 2 Δ Δ = Δ n e p c P J U W a V J σ α μ (2.35) dove V è un parametro adimensionale, funzione di a/w [20], con valore prossimo all unità, mentre: e p ν ν μ = stato piano di deformazione = 1 μ stato piano di sforzo e ν è il coefficiente di poisson elastico ( e ν = ) p ν è il coefficiente di poisson plastico ( p ν 5 0. ) Stima del p J Δ con il metodo Dowling Con questo metodo il comportamento del materiale viene rappresentato dall equazione di Ramberg-Osgood nella forma: ' 1 ' n p e t H E + = + = σ σ ε ε ε (2.36)

84 Capitolo 2 e per il comportamento ciclico: 1 n' Δσ Δσ Δε t = Δε e + Δε p = + 2 (2.37) E 2H ' L equazione per la stima del Δ J p è [11]: 1 Δσ n' 2 Δε p 2H ' Δ J p = UΔσ πa = UΔσ πa (2.38) 1+ n' 1+ n' Equazione di crescita della cricca elasto-plastica Calcolato Δ J e e stimato J p della cricca attraverso l equazione: da dn ( Δ ) mj Δ si ottiene il Δ J e si può stimare l avanzamento = C J J (2.39) resta da determinare l espressione dei coefficienti Cj e mj che sono differenti dai coefficienti C e m presenti nell equazione di Paris. Ipotizzando di avere solo il contributo dato da Δ J e si può scrivere: da dn = C J mj mj 2 ( ΔJ ) = C = C ( ΔK ) mj = C( ΔK ) m e J ΔK E' 2 J 1 E' mj (2.40) da cui: 2mj = m mj = m/2 (2.41) mj 1 m / 2 C J = C C J = CE (2.42) E' così si ottengono i coefficienti, da utilizzarsi nell equazione della propagazione elastoplastica, in funzione dei coefficienti della legge di Paris. 60

85 Propagazione: concetti base Criteri di cedimento Come per la meccanica della frattura lineare elastica anche nell ambito della meccanica della frattura elasto-plastica (MFEP) i criteri di cedimento di una sezione sono: Cedimento per instabilità della cricca: se J max > J C la velocità di propagazione diventa virtualmente infinita e quindi la crescita del difetto 2 K C non è più stabile, dove J C =. (2.43) E' Cedimento statico: la cricca avanzando riduce la sezione resistente del materiale, quando la sezione al netto della cricca, non resiste staticamente al carico applicato, si ha la rottura. 61

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87 Capitolo 3 3 Modello ad elementi finiti Per eseguire l analisi di fatica di una struttura, o di un componente, è necessario individuare le zone più critiche, che sono tipicamente le zone di intaglio, e determinare il più fedelmente possibile il campo di sollecitazione. Si individuano quindi, nella struttura, tutte quelle zone caratterizzate da fori, raggi di raccordo piccoli, brusche variazioni di sezione, e tutto quello che può essere definito intaglio e che può causare una concentrazione di sforzo. In funzione delle caratteristiche geometriche dell intaglio si calcola il fattore di concentrazione degli sforzi che moltiplicato per lo sforzo nominale lontano dall intaglio permette di avere una stima dello sforzo di picco vicino all intaglio. La valutazione del Kt introduce però incertezza nella stima della via a fatica, infatti le fonti di letteratura per la valutazione del Kt si riferiscono a modelli ideali che in determinate situazioni possono non rappresentare opportunamente il caso reale. Per evitare le incertezze dovute al calcolo del Kt, soprattutto se la geometria è particolarmente complessa, si ricorre a modelli ad elementi finiti di dettaglio: rappresentando fedelmente la geometria è possibile a riprodurre, in modo il più fedele possibile, il reale andamento degli sforzi in corrispondenza dell intaglio; in tal modo si determina direttamente lo sforzo di picco, per cui è come se si considerasse un fattore di concentrazione con valore unitario. L utilizzo di modelli ad elementi finiti di dettaglio permette di identificare quali sono le aree nella struttura più critiche a fatica e di avere una stima del reale campo di sollecitazione molto più affidabile, a discapito però di una pesantezza numerica elevata, con un conseguente incremento dei tempi di calcolo: gli elementi devono essere infatti sufficientemente piccoli da individuare i picchi di sforzo. Per questi motivi i modelli di dettaglio non vengono sviluppati per l intera struttura ma solamente per le zone di interesse. 3.1 Scopo del lavoro Lo scopo del lavoro svolto è l esecuzione dell analisi di fatica e di propagazione della zona di radice di un longherone alare. I risultati che si ottengono vengono confrontati con quelli ottenuti durante le prove sperimentali, che hanno messo in evidenza delle criticità a fatica proprio nella zona che si intende analizzare con maggiore interesse. 63

88 Capitolo 3 A causa della geometria particolarmente complessa del componente, e per i motivi sopraccitati, si è ritenuto opportuno modellare in maniera dettagliata la zona di radice del longherone, prestando maggiore attenzione alle zone più critiche. Figura 3.1: Geometria della zona di radice del longherone con evidenziazione zone critiche Come si può notare in fig. 3.1 e, con maggiore particolarità, in fig. 3.2, il raggio di raccordo tra le alette ed il corpo centrale è molto piccolo, per questo motivo la zona di raccordo aletta-anima del longherone è sede di elevate concentrazioni di sforzo: sono infatti queste le zone che hanno presentato problematiche di fatica durante il test eseguito sulla struttura dell ala: in fase di modellazione queste zone devono essere modellate con maggiore dettaglio. Figura 3.2: Dettaglio dell aletta di rinforzo 64

89 Modello ad elementi finiti 3.2 Scelta degli elementi Nella maggior parte dei casi il modello ad elementi finiti è ottenuto a partire dal un modello solido a geometria semplificata: il modello F.E.M. costituisce un approssimazione della realtà, deve essere funzionale e permettere un esecuzione delle analisi che sia allo stesso tempo veloce e attendibile; nella creazione di modelli di dettaglio per le analisi di fatica questo non è più vero [5], il modello deve rappresentare perfettamente la geometria: per questo motivo la zona di radice del longherone è modellata con elementi solidi. La geometria del longherone è piuttosto complessa, caratterizzata da numerosi raccordi, zone di rinforzo e zone smussate, per questa ragione non è una geometria parametrica e di conseguenza non può essere modellata ad elementi di solido di tipo HEXA, cioè elementi a sei facce e otto nodi. Un solido con queste caratteristiche può essere modellato solo utilizzando elementi tetraedrici, resta solo da determinare se utilizzare elementi tetraedrici a quattro o a dieci nodi. Gli elementi TETRA10 offrono sicuramente migliori caratteristiche in termini di convergenza rispetto agli elementi TETRA4 che in genere sono sconsigliati. Tuttavia, le analisi di fatica hanno come obiettivo determinare le zone più critiche e valutare il valore delle sollecitazioni in queste zone; gli elementi devono quindi essere molto piccoli, sia per seguire bene la geometria che per individuare i picchi di sforzo: si parla di modelli caratterizzati da centinaia di migliaia di elementi che hanno dimensione tipica che varia da 4-5 mm a meno di 1 mm nelle zone più critiche. Modelli con così tanti elementi TETRA10 possono risultare molto pesanti da manipolare, mentre tanti TETRA4 piccoli possono restituire buoni risultati. Questi elementi presentano inoltre il vantaggio di essere a sforzo costante e permettono la creazione di una pelle superficiale molto sottile di elementi bidimensionali TRIA3: in questo modo si può determinare lo sforzo superficiale nelle zone critiche che risulta essere il valore di sforzo più adeguato da utilizzare nell analisi di fatica dal momento che le cricche di fatica enucleano dalla superficie. In base alle considerazioni appena fatte il longherone è modellato ad elementi solidi TETRA4, inoltre viene creata una pelle di elementi bidimensionali TRIA3 di spessore 0.01 mm che ricopre l intero modello. Nelle immagini seguenti si vede come la radice del longherone sia stata modellata con elementi che hanno una dimensione tipica del lato di circa 5-6 mm, avvicinandosi alla zona delle alette la dimensione degli elementi diminuisce fino a 3-4 mm, mentre nella zona più critica di collegamento tra l aletta e la parte centrale del longherone la dimensione degli elementi diminuisce gradualmente fino a circa mm. Il modello è caratterizzato da nodi e elementi. 65

90 Capitolo 3 Figura 3.3: Modello ad elementi finiti Figura 3.4: Dettaglio zona dell aletta 66

91 Modello ad elementi finiti 3.3 Sistema di riferimento Figura 3.5: Sistema di riferimento 67

92 Capitolo Modellazione di dettaglio: applicazione delle condizioni al contorno I risultati dell analisi di fatica devono essere confrontati con quanto messo in evidenza nel test eseguito sulla semiala, per questo motivo le condizioni al contorno devono essere quelle applicate durante la prova sperimentale: la struttura della semiala è vincolata al rig di prova e i carichi sono introdotti mediante martinetti. Le condizioni di carico dovute ai martinetti sono una schematizzazione rappresentativa delle condizioni di carico delle spettro di progetto: i carichi di prova sono carichi concentrati che consentono di approssimare al meglio l andamento delle azioni interne corrispondenti ad una determinata condizione di carico. Per poter caricare opportunamente il modello di dettaglio della zona di radice del longherone, una procedura che può essere applicata consiste nell inserire il modello di dettaglio all interno del modello globale: si cancellano nel modello globale gli elementi che si riferiscono alla zona di interesse, e si inserisce il modello di dettaglio collegandolo con elementi di distribuzione dei carichi, RBE3, ai nodi del modello globale. Figura 3.6: Modello ad EF della semiala e della struttura di prova L inserimento del modello di dettaglio nel modello globale porta all ottenimento di un modello ad elementi finiti finale che è più pesante del modello di dettaglio stesso, con un conseguente ulteriore incremento dei tempi di calcolo e della memoria richiesta per eseguire le analisi. 68

93 Modello ad elementi finiti Un approccio alternativo, che evita ulteriori appesantimenti del modello di dettaglio, è rappresentato dall applicazione delle condizioni al contorno mediante matrice di rigidezza e vettori dei carichi. Si individuano nel modello globale i nodi al contorno della zona che si vuole andare a modellare in dettaglio (questi nodi sono definiti nodi di interfaccia), e si calcola la matrice di rigidezza dell intera struttura valutata ai nodi di interfaccia; si calcolano inoltre i vettori dei carichi, corrispondenti alle diverse condizioni di carico, sempre valutati ai nodi di interfaccia. Figura 3.7: Modello di dettaglio inserito nel modello globale 69

94 Capitolo 3 Figura 3.8: Modello di dettaglio collegato alla matrice di rigidezza Il modello di dettaglio non viene più inserito nel modello globale, ma è collegato, sempre con elementi RBE3, e attraverso i nodi di interfaccia, alla matrice di rigidezza e ai vettori dei carichi calcolati dal modello globale. Gli RBE3 che collegano i nodi di solette e anima ai nodi di interfaccia trasmettono tutti e sei i gradi di libertà; i due RBE3 che collegano i nodi dei lug di collegamento ala-fusoliera ai nodi di interfaccia trasmettono i soli gradi di libertà traslazionali in direzione y e z, poiché nella realtà il longherone è vincolato alla fusoliera attraverso due spine che garantiscono il vincolo traslazionale in direzione y e z e ma non in direzione x Verifica del metodo della matrice di rigidezza Per verificare il metodo della matrice di rigidezza e le procedure utilizzate si confrontano i risultati ottenuti dal modello di dettaglio inserito nel modello globale con quelli ottenuti dal modello di dettaglio vincolato alla matrice di rigidezza, per una generica condizione di carico. 70

95 Modello ad elementi finiti Figura 3.9: Modello di dettaglio inserito nel modello globale Figura 3.10: Modello di dettaglio vincolato alla matrice di rigidezza Livello e distribuzione degli sforzi nella zona di attacco dell aletta superiore sono identici: per questo motivo si preferisce usare il metodo della matrice di rigidezza, perché a discapito di un tempo più lungo per la preparazione delle condizioni al contorno si ottiene un grosso vantaggio in termini di tempi computazionali al momento di ottenere i risultati sulla porzione di FEM modellata in dettaglio. 71

96 Capitolo Condizioni di carico e spettro di carico Lo spettro di carico di prova è rappresentativo di un numero ben definito di ore di volo, corrispondente a circa cicli, è composto da punti di manovra e le condizioni di carico che lo compongono sono in totale 281. In appendice A si trova una descrizione più approfondita delle condizioni di carico, mentre in appendice E è riportata la differenza tra lo spettro di progetto e lo spettro di prova, e le modalità di riduzione delle spettro di progetto ai fini dell ottenimento dello spettro di prova. In sintesi lo spettro di prova contiene tutte le tipologie di manovre che il velivolo può compiere (per una descrizione più dettagliata della generazione degli spettri di carico si veda l Appendice B), e quindi vi ritroviamo manovre simmetriche, manovre antisimmetriche, manovre di atterraggio e decollo così suddivise. Le 281 condizioni di carico sono randomizzate all interno dello spettro di progetto e vanno a comporre i punti di manovra totali, ovviamente più una condizione di carico è gravosa minore è la frequenza con cui compare nello spettro: la condizione di carico più gravosa, ad esempio, compare solo una volta nello spettro. La definizione il più verosimile possibile delle condizioni di carico è fondamentale per una corretta analisi di fatica, queste applicate al modello ad elementi finiti, permettono infatti di ottenere la storia delle sollecitazioni, necessaria per proseguire nell analisi di fatica. 3.6 Materiale Il materiale utilizzato è la lega di alluminio 7050-T7451, è una lega di alluminio che si contraddistingue per l'ottima resistenza meccanica (la migliore fra tutte le leghe di alluminio convenzionali) ma ha una maggiore suscettibilità agli agenti corrosivi, a causa della presenza dello zinco. Nelle leghe di allumino serie 7000 il principale elemento è lo zinco, l elemento che ha la solubilità più elevata nell alluminio, e con esso forma un eutettico (miscela di sostanze il cui punto di fusione è più basso di quello delle singole sostanze che la compongono) ad una concentrazione del 95% in peso di Zn alla temperatura di 382 C: così, per quasi tutte le composizioni, si ha solidificazione di una soluzione solida primaria; al calare della temperatura il suo campo di stabilità crolla e si ha precipitazione di zinco. Generalmente le leghe binarie Al- Zn non vengono usate, ma vengono preferite leghe Al-Zn-Mg. Si tratta di leghe da trattamento termico; queste leghe sviluppano le caratteristiche meccaniche più elevate tra le leghe d alluminio; lo zinco aumenta la resistenza e la durezza, oltre a favorire l autotemprabilità della lega. Le leghe Al-Zn-Mg, trattate 72

97 Modello ad elementi finiti termicamente, hanno la più elevata resistenza a trazione di tutte le leghe di alluminio. In particolare la lega 7050-T7451 è trattata termicamente con trattamento di tempra di solubilizzazione e stabilizzazione. Physical Properties Metric English Density 2.83 g/cc lb/in³ Mechanical Properties Metric English Hardness, Brinell Hardness, Knoop Hardness, Rockwell A Hardness, Rockwell B Hardness, Vickers Tensile Strength, Ultimate 524 MPa psi Tensile Strength, Yield 469 MPa psi Elongation at Break 11.00% in Modulus of Elasticity Mpa ksi Poissons Ratio Fracture Toughness 28.0 MPa-m½ 25.5 ksi-in½ 31.0 MPa-m½ 28.2 ksi-in½ 35.0 MPa-m½ 31.9 ksi-in½ Shear Modulus 26.9 GPa 3900 ksi Shear Strength 303 MPa psi Component Elements Properties Metric English Aluminum, Al % % Chromium, Cr <= % <= % Copper, Cu % % Iron, Fe <= 0.15 % <= 0.15 % Magnesium, Mg % % Manganese, Mn <= 0.10 % <= 0.10 % Other, each <= % <= % Other, total <= 0.15 % <= 0.15 % Silicon, Si <= 0.12 % <= 0.12 % Titanium, Ti <= % <= % Zinc, Zn % % Zirconium, Zr % % Tabella 3.1: Caratteristiche del materiale[21] 73

98 Capitolo Risultati dell analisi lineare per la condizione più gravosa La condizione di carico più gravosa è rappresentata dalla manovra simmetrica positiva effettuata a fattore di carico più elevato, la manovra è identificata con l identificativo ID144. L applicazione di questa condizione al modello permette di individuare le zone più critiche e di conoscere il massimo livello di sforzo che devono sopportare. L analisi effettuata evidenzia come le zone maggiormente caricate siano le alette, superiore e inferiore, e che la massima concentrazione di sforzo si ha nel raccordo con il corpo centrale del longherone sullo spigolo superiore dell aletta, inoltre le alette posteriori risultano maggiormente sollecitate di quelle anteriori. Per tutte le altre condizioni di carico il risultato è simile, ovviamente il valore degli sforzi diminuisce, ma comunque la concentrazione di sforzo si verifica, per tutte le condizioni, nelle alette posteriori, sullo spigolo superiore, nella zona di raccordo. Questi risultati non sono inaspettati, tutt altro, trovano e sono conferma di quanto ottenuto durante la sperimentazione. Gli sforzi che si ottengono dall analisi sono quelli superficiali, inoltre non si utilizzano gli sforzi di Von Mises o Tresca, che sono molto popolari nelle analisi degli sforzi, ma non sono raccomandati nelle analisi di fatica perché non sono sforzi direzionali [5], laddove nell enucleazione e nella propagazione delle cricche di fatica non solo l entità dello sforzo ma anche la sua direzione preferenziale sono fondamentali. Per questo motivo gli sforzi che devono essere utilizzati sono quelli superficiali principali, massimi o minimi a seconda che la zona sia tesa o compressa, perché indicano la direzione della sollecitazione e di conseguenza danno un idea della direzione della propagazione, tendenzialmente normale alla direzione della sollecitazione principale. Dalle figure seguenti si può notare come lo stato di sforzo, calcolato con l analisi lineare, vada ben oltre i limiti di snervamento e di rottura del materiale; le condizioni di carico che portano oltre lo snervamento le alette sono in realtà 102 su 281, a cui corrispondono punti di manovra, circa l 11% dello spettro. Per valutare le deformazioni plastiche e la dimensione della zona plasticizzata si introduce nel modello il comportamento non lineare del materiale. 74

99 Modello ad elementi finiti Figura 3.11: Aletta superiore posteriore Figura 3.12: Aletta superiore anteriore 75

100 Capitolo 3 Figura 3.13: Aletta inferiore posteriore Figura 3.14: Aletta inferiore anteriore 76

101 Modello ad elementi finiti Figura 3.15: Sforzi minimi principali (di compressione) nell aletta superiore posteriore Figura 3.16: Sforzi massimi principali (di trazione) nell aletta inferiore posteriore 77

102 Capitolo Materiale per l analisi non lineare Tabella 3.2: Caratteristiche del materiale da DOT/FAA/AR-MMPDS-01[8] 78

103 Modello ad elementi finiti Nella tabella precedente sono evidenziate le caratteristiche del materiale con cui è realizzato il longherone, è infatti ottenuto da un prestirato di 7 pollici di spessore (180 mm). Le caratteristiche meccaniche variano a seconda della direzione che si considera: L direzione longitudinale LT direzione trasversale avente la massima dimensione (traverso lungo) ST direzione trasversale con la dimensione minima (traverso corto) Scelta delle caratteristiche del materiale La curva σ ε del materiale può essere rappresentata dall equazione di σ σ n Ramberg-Osgood nella forma: ε = + : E H Equazione monotona Equazione ciclica direzione σ ty [MPa] σ tu [MPa] H [MPa] n H ' [MPa] n ' L / LT / /17.3 ST / Tabella 3.3: Caratteristiche del materiale e parametri monotoni riferiti ad un spessore di 7 pollici e ciclici riferiti ad uno spessore di 4 pollici σ [N/mm 2 ] direzione L direzione LT direzione ST curva ciclica ε [] Figura 3.17: Curve monotone e curva ciclica a confronto [8] 79

104 Capitolo 3 Dalla Fig sembrerebbe che la curva ciclica del materiale esibisca un incrudimento ciclico, ma in effetti ciò non è vero; infatti le curve monotone sono ottenute considerando uno spessore del grezzo di 7 pollici, mentre quella ciclica è ottenuta da un grezzo di spessore 4 pollici. Essa deve quindi essere confrontata con la curva monotona corrispondente, i cui parametri sono: H = [MPa] n = 1/ direzione LT curva ciclica σ [N/mm 2 ] ε [] Figura 3.18: Curva monotona e ciclica per uno spessore di 4 pollici e riferite alla direzione LT La curva ciclica in realtà mostra un leggero addolcimento ciclico ripetto alle caratteristiche monotone. Nell analisi di fatica bisogna usare la curva ciclica, ma per lo spessore utilizzato tale curva non è disponibile, quella disponibile si riferisce ad una spessore inferiore ed utilizzarla sarebbe non conservativo, si sa però, osservando i dati a disposizione, che la curva ciclica è molto simile alla curva monotona corrispondente. Le alette di rinforzo del longherone, che sono le zone che realmente interessano, per come sono disegnate lavorano in direzione ST LT, quindi la curva monotona del materiale dovrebbe essere una via di mezzo delle due; siccome la curva ciclica è molto simile a quella monotona, leggermente più bassa, si è 80

105 Modello ad elementi finiti adottata come curva ciclica la curva monotona in direzione ST (la più conservativa tra le due curve monotone ST e LT perché caratterizzata da uno snervamento minore). Le caratteristiche elastoplastiche del materiale sono definite nelle schede di Nastran per punti, inoltre è richiesto solo il ramo a trazione della curva σ ε, non essendo possibile definire il ramo a compressione è intrinseca l ipotesi che il comportamento del materiale sia simmetrico: in realtà le caratteristiche a compressione sono leggermente migliori, ma dal momento che il componente considerato è sottoposto a condizioni di carico sia positive che negative, il materiale in tutti i punti passa da stati di sforzo di trazione a stati di sforzo di compressione, per questo motivo definire la curva di trazione è una scelta conservativa. sforzo [MPa] E E E E E-02 deformazione [] Figura 3.19: Curva σ ε definita per punti in Nastran Il materiale non lineare così definito non è assegnato a tutti gli elementi del modello, ma solo a quegli elementi che nella condizione di carico più gravosa presentano uno sforzo principale superiore, in modulo, a 300 [MPa]. Per tutti gli altri elementi si mantiene il materiale lineare definito dalle sole caratteristiche di modulo di elasticità longitudinale e di coefficiente di poisson: E = [MPa], υ = []. 81

106 Capitolo 3 Figura 3.20: In rosso, elementi in materiale non lineare Criterio di snervamento e incrudimento Nella scheda Nastran bisogna definire il criterio di snervamento, questo permette di definire la superficie limite di snervamento. Nel modello si è adottato il criterio di snervamento di Von Mises secondo il quale si ha snervamento quando l energia di distorsione è uguale all energia che provoca lo snervamento in un provino sollecitato assialmente [7, 22]. Definiti gli sforzi nelle direzioni principali σ 1, σ 2, σ 3, e lo sforzo di snervamento σ ty, l equazione della superficie limite in tre dimensioni è: f ( σ 1, σ 2, σ 3 ) = ( σ 1 σ 2 ) + ( σ 1 σ 3 ) + ( σ 3 σ 2 ) σ ty Nello spazio tridimensionale delle tensioni principali σ 1, σ 2, σ 3, tale dominio corrisponde ad un cilindro a sezione circolare con asse posto nella bisettrice dell'ottante positivo. 82

107 Modello ad elementi finiti Figura 3.21: Rappresentazione del criterio di von Mises nello spazio 3D delle tensioni principali La proiezione del dominio di von Mises nel piano σ 3 = 0 descrive una curva di ellisse con centro nell'origine degli assi σ 1, σ 2 Figura 3.22: Rappresentazione del criterio di von Mises nel piano ( σ 1, σ 2 ) delle tensioni principali 83

108 Capitolo 3 La superficie limite in seguito ad una deformazione plastica si modifica: può espandere (incrudimento isotropo) oppure può traslare (incrudimento cinematico). La scheda Nastran del materiale richiede anche la scelta della tipologia di incrudimento Incrudimento isotropo L incrudimento isotropo descrive l incremento del dominio elastico all aumentare della deformazione plastica cumulata. In riferimento alla figura seguente, si considera il materiale caricato fino al punto B, e poi avviene lo scarico. Nella fase di carico successiva lo snervamento avviene nel punto B, il materiale ricorda il precedente carico, viene poi raggiunto il punto C e invertito il carico; lo snervamento a compressione avviene nel punto D: durante il flusso plastico la superficie limite si espande in tutte le direzioni allo stesso modo, senza cambiamenti di forma o traslazioni. Figura 3.23: Incrudimento isotropo Considerando un percorso di carico in controllo di deformazione, il modello di incrudimento isotropo prevede un aumento dei valori massimi e minimi di sforzo raggiunto fino ad una eventuale deformazione elastica. Considerando un percorso di carico in controllo di sforzo, il modello di incrudimento isotropo prevede una deformazione completamente elastica dopo il primo ciclo. 84

109 Modello ad elementi finiti La risposta ciclica che si ottiene con l incrudimento isotropo non è stabile. Figura 3.24: Risposta ciclica con incrudimento isotropo Incrudimento cinematico Figura 3.25: Incrudimento cinematico 85

110 Capitolo 3 Se un provino è sottoposto a un carico di trazione che supera il valore di snervamento, e dopo è applicato un carico di compressione, il valore di snervamento a compressione che viene determinato è inferiore a quello trovato nella prova precedente. Lo stesso effetto si ha se prima viene applicato un carico di compressione tale da procurare lo snervamento e dopo viene applicato un carico di trazione. In questo caso il limite a trazione risulta decisamente inferiore di quello caratteristico del materiale. Questo fenomeno viene chiamato effetto Bauschinger [22] dal nome del ricercatore che l ha studiato, e in pratica consiste nella riduzione del valore di snervamento quando si carica in direzione opposta a una precedente, in cui era stato applicato un carico tale da far raggiungere lo snervamento. Il modello di incrudimento cinematico descrive l effetto Bauschinger di un materiale. La superficie limite può traslare nello spazio degli sforzi senza cambiamenti di dimensione e di forma. Dopo aver raggiunto il punto B, caricando a compressione si ottiene un comportamento notevolmente differente rispetto a quello dell incrudimento isotropo: lo snervamento a compressione avviene nel punto C in corrispondenza di una sforzo σ C = σ B 2σ 0. Il modello di incrudimento cinematico produce una risposta ciclica stabilizzata dopo il primo ciclo di carico, sia in controllo di sforzo che di deformazione. I materiali mostrano un comportamento reale che può essere rappresentato dall utilizzo di entrambi i modelli di incrudimento fino al raggiungimento della condizione stabile. Dopo la stabilizzazione il solo modello cinematico può rappresentare la risposta del materiale. Si adotta quindi nel modello l incrudimento cinematico perché dovendo eseguire analisi non lineari con condizioni di carico sequenziali è di fondamentale importanza che la risposta del materiale sia stabile. Figura 3.26: Risposta ciclica con incrudimento cinematico 86

111 Modello ad elementi finiti 3.9 Risultati dell analisi non lineare per la condizione più gravosa Di seguito sono illustrati i risultati per l analisi non lineare in corrispondenza della condizione di carico più gravosa: si vede come la zona di concentrazione di sforzo è caratterizzata da una plasticizzazione che ha una estensione di circa 10 mm per entrambe le alette posteriori. La zona plasticizzata è piuttosto estesa, e non localizzata all intaglio, l analisi di fatica deve quindi essere affrontata con l approccio strain-life dove le deformazioni locali sono i parametri che governano la vita a fatica; mentre per l analisi di propagazione è necessario adottare i concetti della meccanica della frattura elastoplastica. Figura 3.27: Sforzi non lineari aletta superiore posteriore 87

112 Capitolo 3 Figura 3.28: Sforzi non lineari aletta inferiore posteriore sforzo [MPa] Sforzi non lineari Sforzi lineari distanza [mm] Figura 3.29: Andamento degli forzi allontanandosi dall intaglio 88

113 Modello ad elementi finiti 3.10 Validazione del modello Per validare il modello ad elementi finiti si confronta il valore delle deformazioni ottenute dagli estensimetri durante la prova, con il valore delle deformazioni ottenute dell analisi numerica non lineare per la stessa condizione di carico. Gli estensimetri applicati alla radice del longherone sono 3 e sono identificati dai codici L02_S2, L02_S04, L02_S05. Figura 3.30: Direzione di misura della deformazione Figura 3.31: Posizione degli estensimetri L02_S04, L02_S05 89

114 Capitolo 3 Figura 3.32: Posizione dell estensimetro L02_S2 Figura 3.33: Deformazioni principali in corrispondenza dell estensimetro L02_S2 90

115 Modello ad elementi finiti Figura 3.34: Deformazioni principali in corrispondenza dell estensimetro L02_S4 Figura 3.35: Deformazioni principali in corrispondenza dell estensimetro L02_S5 Nelle Fig 3.35, 3.35, 3.36 sono raffigurate le deformazioni principali ottenute dall analisi numerica nei punti dove sono applicati gli estensimetri, sono anche indicate le direzioni di misura degli estensimetri rispetto alla direzione delle deformazioni principali calcolate numericamente. Per quanto riguarda l estensimetro L02_S2, il tensore delle deformazioni numerico deve essere ruotato di circa 20 gradi per poter confrontare la deformazione numerica con quella sperimentale: si ottiene una deformazione di e-3 nella direzione di misura dell estensimetro. 91

116 Capitolo 3 deformazione sperimentale numerica L02_S e e-3 L02_S e e-3 L02_S e e-3 Tabella 3.4: Confronto deformazione sperimentale-numerica Come si può vedere dalla tabella si ha una buona correlazione numerico sperimentale Modello per l analisi lineare con elementi TETRA10 Se si realizza un semplice modello di trave caricato a flessione da una forza applicata all estremità e si utilizzano pochi elementi TETRA10 per modellarlo, si ottiene un valore di freccia all estremità che confrontato con la freccia esatta calcolata analiticamente risulta essere quasi uguale. Se invece lo stesso modello è realizzato a TETRA4 si ottiene una freccia che è circa 1/3 di quella esatta: gli elementi TETRA4 sono caratterizzati da funzioni di forma che non riescono a descrivere bene il comportamento flessionale, ciò si traduce in una maggiore rigidità del modello rispetto alla realtà, con una conseguente perdita di flessione. Nel modello realizzato si è tenuto conto di questo fatto cercando di mantenere almeno due elementi lungo lo spessore delle solette, ma in ogni caso, come ulteriore verifica si è preferito realizzare un modello trasformando i TETRA4 in TETRA10. Questo modello è molto pesante, non utilizzabile nelle analisi non lineari, e quindi impiegabile solamente per le analisi lineari. Di seguito si illustra, in modo molto schematico, la differenza in termini percentuali, tra gli sforzi lineari del modello a TETRA4 e quelli del modello a TETRA10, sia per l aletta superiore che per quella inferiore. Si ricorda solo che gli sforzi sono quelli valutati nel punto di massima concentrazione di sforzo. Come si può vedere gli sforzi calcolati con il modello a TETRA10 sono di pochi punti percentuali superiori, in modulo, rispetto agli sforzi calcolati col il modello a TETRA4, si vedrà poi in seguito come queste differenze si riflettano nell analisi di fatica. In entrambe le alette si nota che più gli sforzi sono elevati e la condizione gravosa, più la differenza tra i due modelli si stabilizza attorno ad un valore. Inoltre nell aletta superiore la differenza si aggira attorno all 1% mentre per quella inferiore è circa del 4,5%: ciò è probabilmente dovuto al fatto che nell aletta superiore gli elementi sono leggermente più raffinati rispetto a quella inferiore e già con i TETRA4 è raggiunto un valore di sforzo di convergenza 92

117 Modello ad elementi finiti (0.9 mm per quella superiore contro 1.2 mm per quella inferiore come dimensione caratteristica). Figura 3.36: Differenza percentuale sforzi per l aletta superiore Figura 3.37: Differenza percentuale sforzi per l aletta inferiore 93

118

119 Capitolo 4 4 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Da un iniziale analisi ad elementi finiti emerge che le parti maggiormente sollecitate sono le alette posteriori: quella superiore è soggetta a sforzi principalmente di compressione, mentre quella inferiore è soggetta a sforzi principalmente di trazione. Le alette anteriori presentano condizioni simili alle loro corrispondenti posteriori ma i livelli di sforzo e deformazione che raggiungono sono leggermente minori. Le analisi di fatica si concentrano quindi sui raccordi delle alette posteriori con l anima del longherone, anche perché sono le zone che hanno mostrato problemi nella prova sperimentale. La vita a fatica delle alette anteriori non è calcolata perché, data la minore intensità degli sforzi, è sicuramente maggiore rispetto a quella delle alette posteriori. Prima di effettuare l analisi di fatica è necessario ottenere, grazie all utilizzo dei modelli FEM, una stima delle storie temporali di sforzo e deformazione. Dal momento che le deformazioni plastiche non sono trascurabili, tutt altro, l analisi di fatica necessita dell approccio strain-life e la storia temporale delle sollecitazioni può essere stimata, secondo quanto riportato nel paragrafo 1.4.3, utilizzando analisi numeriche non lineari e/o metodi approssimati. 4.1 Analisi numeriche non lineari Una possibile strada per stimare la storia temporale degli sforzi e delle deformazioni è effettuare analisi numeriche non lineari: la SOL_106 di Nastran permette di eseguire analisi non lineari con condizioni di carico sequenziali, in questo modo è possibile ricostruire i cicli di isteresi che subisce il materiale. Lo spettro di carico di prova, che rappresenta un numero ben definito di ore di volo, corrispondente a circa cicli, è formato da 281 condizioni di carico che si ripetono randomicamente fino a punti di manovra, risulta quindi impossibile effettuare un analisi non lineare con così tante condizioni sequenziali: basti pensare che i tempi di analisi per una sola condizione vanno dalle 12 alle 24 ore. Si sono quindi dovute introdurre delle approssimazioni per mantenere i tempi di analisi nell intorno dell ordine dei mesi. 95

120 Capitolo 4 Riferendosi ad esempio all aletta superiore, sono state individuate e valutate tutte le condizioni di carico che superano la condizione di snervamento a compressione del materiale, e a partire da ognuna di queste condizioni sono state individuate le condizioni che causano snervamento a trazione, e quelle che superano tale condizione, tutto questo tenendo presente l ordine delle manovre nello spettro. Vediamo un esempio: al punto di manovra dello spettro si ha la condizione di carico più gravosa, la LC_144, la manovra che avviene successivamente, a cui corrisponde il punto di snervamento a trazione, si trova al punto di manovra ed è la LC_122. Figura 4.1: Caricamento fino alla LC_144 e scaricamento fino alla LC_122 Il comportamento del materiale tra la LC_144 e la LC_122 è lineare, di conseguenza tutte le condizioni di carico comprese nello spettro tra i punti di manovra e stanno sulla retta congiungente le due condizioni di carico. Considerando le tre seguenti condizioni di carico LC_136, LC_134, LC_126, comprese nella porzione di spettro in esame, eseguendo un analisi non lineare sequenziale con le condizioni di carico in questo ordine: LC_144, LC_136, LC_134, LC_126, LC_122 si ottiene: 96

121 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Figura 4.2: Posizione delle condizioni di carico intermedie I risultati ottenuti con l analisi non lineare verificano quanto detto precedentemente. Trovare la posizione di tutte le condizioni di carico comprese tra la LC_144 e la LC_122 utilizzando l analisi non lineare è però impraticabile e causa dei lunghissimi tempi di analisi e delle elevate richieste di memoria. Per questo motivo si cerca un metodo che, date le due condizioni estreme di un segmento lineare, permetta di stimare la posizione delle altre condizioni comprese nel segmento stesso, senza effettuare analisi non lineari. In appendice A sono riportate le forze Nsup e Ninf ottenute dal modello globale della semiala, per ogni condizione di carico, scambiate agli attacchi superiore e inferiore tra longherone e il rig di prova. Si nota che il valore di queste forze è direttamente collegato al valore di sforzo delle alette, ottenuto dall analisi lineare: più esattamente si può dire che esiste una correlazione lineare tra Nsup e gli sforzi lineari delle alette superiori, e tra Ninf e gli sforzi lineari delle alette inferiori (gli sforzi a cui ci si riferisce sono quelli valutati nei punti di concentrazione, nelle zone di intaglio). (Nota: con sforzi lineari si intendono gli sforzi ottenuti dall analisi lineare considerando un materiale ideale con comportamento lineare elastico, le cui caratteristiche sono definite solo dal modulo di elasticità longitudinale e dal coefficiente di Poisson). 97

122 Capitolo 4 Figura 4.3: Forze scambiate nell attacco ala-fusoliera (o ala-rig di prova per la semiala della prova sperimentale) 4.00E+02 Aletta superiore: sforzi lineari nella zona di intaglio [MPa] 2.00E E E E E E E+03 Forze scambiate all'attacco superiore, normalizzate rispetto a una condizione di riferimento Figura 4.4: Relazione tra le forze Nsup e gli sforzi dell aletta superiore per ogni condizone di carico 98

123 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi 8.00E+02 Aletta inferiore: sforzi lineari nella zona di intaglio [MPa] 7.00E E E E E E E E E E E+02 Forze scambiate all'attacco inferiore, normalizzate rispetto a una condizione di riferimento Figura 4.5: Relazione tra le forze Ninf e gli sforzi dell aletta inferiore per ogni condizione di carico Avendo a disposizione le forze Nsup e Ninf per tutte le condizioni di carico, se si volesse avere una stima degli sforzi lineari, sempre per tutte le condizioni, basterebbe calcolare il valore degli sforzi per una sola condizione, ad esempio la più gravosa, ed effettuare una linearizzazione in funzione di Nsup e Ninf. Stimare gli sforzi lineari in funzione di Nsup e Ninf, quindi, è possibile: si ipotizza che sia possibile farlo anche per gli sforzi e le deformazioni compresi nei tratti lineari dei cicli di isteresi. Tornando alla Fig. 4.2: la condizione LC_144 è caratterizzata da un certo valore di sforzo, deformazione e Nsup così come la LC_122, linearizzando tra le due condizioni è possibile scrivere un equazione lineare che permette di calcolare sforzo e deformazione in funzione di qualsiasi Nsup intermedio. Calcolando quindi i valori di sforzo e deformazione in funzione di Nsup per le condizioni LC_136, LC_134, LC_126 e confrontandoli con quelli ottenuti dall analisi non lineare si ottiene: 99

124 Capitolo 4 Condizione di analisi non lineare stima, linearizzando in funzione di Nsup errore [%] Nsup carico ε σ [MPa] [N/N] ε σ [MPa] ε σ LC_ E E E E E % 0.0% LC_ E E E E E % 2.9% LC_ E E E E E % 8.1% LC_ E E E E E % 2.5% LC_ E E E E E % 0.0% Tabella 4.1: Confronto tra i risultati ottenuti dall analisi non lineare e dalla stima effettuata L errore per valori di sforzo piuttosto elevati si aggira attorno al 3%, per la condizione LC_134 si ha un errore quasi del 10%, ma l errore non in termini percentuali commesso dal metodo di stima è inferiore a 1 MPa. Inoltre l errore sulle deformazioni, che sono quelle che realmente interessano nell analisi di fatica con l approccio strain-life, sembra essere più contenuto. Per concludere: si ricostruisce la storia di sforzo e deformazione subita dal materiale utilizzando le analisi non lineari per individuare gli estremi dei tratti lineari dei cicli di isteresi, mentre per tutte le condizioni di carico interne si effettua una stima linearizzando in funzione di Nsup e Ninf. Ovviamente le approssimazioni introdotte possono portare ad errori che non si riescono ne a controllare ne a quantificare. Bisogna dire però che i risultati ottenuti sono confrontati con quelli ricavati dai metodi di Neuber e Molsky- Glinka, quindi se ci fossero grossi errori nelle procedure e nelle ipotesi adottate, dovrebbero venire alla luce in fase di confronto. Di seguito è riportata la storia di sforzo e deformazione, riferita a un blocco di carico, ottenuta dall analisi non lineare, con tutte le approssimazioni sopra descritte, confrontata con quella ottenuta dai metodi di Neuber e di Glinka Molsky. 4.2 I metodi approssimati di Neuber e di Glinka-Molsky I metodi di Neuber e di Glinka-Molsky sono metodi approssimati che, applicati alle storie temporali degli sforzi calcolati con analisi lineari, permettono di avere una stima dei cicli di isteresi che subisce il materiale. Per una spiegazione più dettagliata di entrambi i metodi si rimanda ai paragrafi e

125 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Per applicare questi metodi si eseguono le analisi lineari per tutte le condizioni di carico e si estraggono i valori degli sforzi corrispondenti, questi sforzi sono poi associati ad ogni condizione presente nello spettro, in modo tale da ottenere una storia temporale di sforzo corrispondente allo spettro di prova. Una volta ottenuta questa storia, che nel nostro caso è composta da valori di sforzo, si possono applicare i due metodi ed ottenere una stima della storia temporale di sforzo e deformazione che subisce il materiale. 4.3 Risultati a confronto Di seguito sono riportati i grafici che confrontano le storie temporali ottenute dall analisi non lineare, dal metodo di Glinka-Molsky, e dal metodo di Neuber. Si ricorda che l analisi non lineare è stata eseguita sul modello con i TETRA4, di conseguenza i metodi di Neuber e Glika-Molsky sono applicati alla storia di sforzi ottenuti dall analisi lineare sempre sul modello con i TETRA4. Le storie temporali rappresentate di seguito sono relative allo spettro di carico di prova. Per maggiore chiarezza di visualizzazione la storia totale è stata suddivisa in 8 sottostorie di sforzo-deformazione: sottostoria 1: dal punto di manovra 1 al punto di manovra 173 sottostoria 2: dal punto di manovra 174 al punto di manovra 2781 sottostoria 3: dal punto di manovra 2782 al punto di manovra 2966 sottostoria 4: dal punto di manovra 2966 al punto di manovra 3449 sottostoria 5: dal punto di manovra 3449 al punto di manovra sottostoria 6: dal punto di manovra al punto di manovra sottostoria 7: dal punto di manovra al punto di manovra sottostoria 8: dal punto di manovra al punto di manovra Storie di sforzo e deformazione per l aletta superiore σ [N/mm 2 ] neuber molsky nonlin ε [] σ [N/mm 2 ] neuber molsky nonlin ε [] Figura 4.6: Sottostoria 1, sottostoria 2: confronto delle tre storie stimate 101

126 Capitolo 4 σ [N/mm 2 ] neuber molsky nonlin ε [] σ [N/mm 2 ] neuber molsky nonlin ε [] Figura 4.7: Sottostoria3, sottostoria4: confronto delle tre storie stimate Figura 4.8: Sottostoria 5 102

127 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Figura 4.9: Sottostoria 6 Figura 4.10: Sottostoria 7 103

128 Capitolo 4 Figura 4.11: Sottostoria Storie di sforzo e deformazione per l aletta inferiore 400 σ [N/mm 2 ] neuber molsky nonlin ε [] x 10-3 Figura 4.12: Sottostoria 1, sottostoria 2, sottostoria 3, sottostoria 4 104

129 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Figura 4.13: Sottostoria 5 Figura 4.14: Sottostoria 6 105

130 Capitolo 4 Figura 4.15: Sottostoria 7 Figura 4.16: Sottostoria 8 106

131 Stima della storia di sforzo-deformazione e dei cicli di isteresi Dai grafici precedenti si nota come i cicli di isteresi stimati dal metodo Neuber siano più gravosi di quelli stimati dal metodo Glinka-Molsky, mentre invece i cicli ottenuti dall analisi non lineare rappresentano una sorta di via di mezzo, ci si aspetta che nel calcolo della vita a fatica questo fatto venga mantenuto. Le storie di sforzo ottenute corrispondono all applicazione del primo blocco di carico, cioè alla prima applicazione dello spettro di carico. I blocchi successivi non partono da una configurazione indeformata, ma il materiale risulta già snervato, di conseguenza la storia temporale degli forzi e delle deformazioni è differente. 4.4 Storia di sforzo e deformazione dovuta al blocco di carico n-esimo Per il blocco di carico successivo al primo la storia di sforzo e deformazione cambia, il materiale inizia il secondo blocco di carico in una condizione già deformata: Figura 4.17: Storia di sforzo e deformazione dovuta al blocco di carico n-esimo per l aletta superiore 107

132 Capitolo 4 Figura 4.18: Storia di sforzo e deformazione dovuta al blocco di carico n-esimo per l aletta superiore Questa storia di sollecitazioni non è relativa solo al secondo blocco di carico ma a tutti i successivi n blocchi. Nel calcolo del danno lineare bisognerebbe tenere conto del fatto che il primo blocco causa un danno D1, mentre gli n blocchi successivi causano un danno Dn, questo perché le storie di sollecitazione sono differenti. In realtà il danno Dn è praticamente uguale al danno D1, solo leggermente superiore, perché i cicli di isteresi che partecipano maggiormente al danneggiamento sono quelli relativi a sottostoria 6, sottostoria 7, sottostoria 8 ; per questo motivo si può considerare, conservativamente, il danno D1 uguale al danno Dn. 108

133 Capitolo 5 5 Analisi di fatica Le deformazioni plastiche che subisce il componente nelle zone di interesse non sono trascurabili, per questo motivo per il calcolo della vita a fatica è necessario utilizzare l approccio strain-life, che usa le d eformazioni locali come parametri che governano la vita fatica. Utilizzando il metodo rainflow[4], dalle storie di sforzo e deformazione, ottenute grazie all ausilio delle analisi ad elementi finiti, si estraggono i singoli cicli di isteresi, e soprattutto le caratteristiche di deformazione alternata e sforzo medio: Figura 5.1: Caratteristiche di un ciclo di isteresi Ottenute le caratteristiche di un singolo ciclo di isteresi si calcola la vita a fatica associata: cioè il numero di volte N che il ciclo deve essere applicato per causare il danneggiamento del componente. 109

134 Capitolo 5 σ ' f b ε ( ) ( ) c a = ε ae + ε ap = 2N + ε ' f 2N (5.1) E Ottenuto N dall equazione precedente si calcola il danno causato dall i-esimo ciclo di isteresi come: D i 1 = (5.2) N i Quindi il danno causato da tutti i cicli di isteresi contenuti in un blocco di carico, cioè il danno corrispondente a un blocco di carico: 1 D = N i (5.3) Calcolato il danno riferito a un blocco di carico si può stimare la vita a fatica del componente. Si ricorda che per un provino D = 1 significa rottura, mentre per un componente D = 1 significa comparsa del difetto. Calcolare la vita a fatica significa calcolare le ore di volo per le quali D = 1, e quindi stimare quando nel componente si può avere l enucleazione del difetto. La vita fattorizzata, espressa in numero di cicli, può essere calcolata come: 1 Vita = * D * SF (5.4) è il numero di cicli contenuti in un blocco di carico. SF è lo scatter factor: è un fattore di sicurezza che tiene conto dell elevata dispersione dei dati relativi alla fatica, la normativa JSSG 2006 indica che il valore di SF deve essere compreso tra 2.67 e 4 [1]. Se si adotta un approccio stress-life in genere si utilizza un SF di 4; per quanto riguarda l approccio strain-life, invece, sperimentalmente si è verificato che risulta essere più conservativo, per questo motivo si può utilizzare un SF minore, tipicamente 2.67, ma anche 2 se opportunamente motivato [1, 23, 25]. 5.1 Curve ε N Per proseguire nell analisi di fatica è necessario definire la curva ε N, indispensabile per ottenere il valore dei cicli di fatica associati ai cicli di isteresi. 110

135 Analisi di fatica Dalle fonti bibliografiche disponibili è possibile ottenere due curve differenti per il materiale Al7050-T7451. La prima curva ε N si ricava dal MIL_Handbook, più precisamente dall MMPDS-01 [8], ed è valida per spessori che vanno da 4 a 8 pollici. La seconda curva è relativa alle analisi di fatica dell F35 [24, 25] e trova riscontro sull ASM_Handbook [6, 26], è inoltre valida per uno spessore di 2 pollici. Dal confronto tra le due curve si nota come la curva F35 sia meno conservativa della curva MIL, anche se, per valori di N superiori a 100, le due curve sono molto vicine: anche nelle analisi strain-life è difficile che ci siano cicli così gravosi da determinare una vita a fatica inferiore a 100, inoltre, mentre per le vite calcolate utilizzando la curva MIL si utilizza uno scatter factor di 2 [23], per la curva F35 è consigliato come valore di scatter factor 2.67 [25]. Figura 5.2: Curva ε N MIL 111

136 Capitolo 5 Figura 5.3: Curva ε N F curva MIL curva F Δε [] N [] Figura 5.4: Confronto tra le due curve 112

137 Analisi di fatica Equazione della curva MIL L equazione che descrive la curva è la seguente: log( N) log( ε ) (5.5) dove: eq = eq 0.61 ( ) ( σ / E) ε = Δε (5.6) max L equazione descrive tutta la curva e considera, tramite il contributo di σ max, l effetto dovuto allo sforzo medio. Se si volesse trascurare l effetto dello sforzo medio basta porre: ( ) 0.61 ( / E ) ε = Δε (5.7) eq σ a Equazione della curva F35 Le curva F35 può essere rappresentata dall equazione di Coffin-Manson [6]: σ ' f b ε ( ) ( ) c a = 2N + ε ' f 2N (5.8) E Se si trascura l effetto dello sforzo medio l equazione è: ε = ( 2N ) ( 2N ) a (5.9) Se si considera l effetto dello sforzo medio secondo la correzione di Morrow: 970 σ m ε = ( 2N ) ( 2N ) a (5.10) Se invece si adotta l approccio di Smith, Watson, Topper (SWT) per la correzione dovuta allo sforzo medio l equazione è: σ maxε a = 970( 2N ) ( 2N ) ( 2N ) (5.11) 113

138 Capitolo Il calcolo della vita a fatica Nella tabella seguente sono riportati i danni corrispondenti ad un blocco di carico, la vita è stimata utilizzando entrambe le curve ε N a disposizione e il danno è calcolato per le tre storie temporali di sforzo e deformazione: la storia ottenuta dall analisi non lineare e le due storie ottenute con i metodi approssimati di Neuber e Molsky-Glinka. Si ricorda che per calcolare la vita utilizzando la curva MIL lo scatter factor vale 2, mentre per calcolare la vita con la curva F35 lo scatter factor è Dall analisi dei risultati si ottiene che l enucleazione della cricca si stima possa avvenire tra i e i cicli per l aletta superiore, e tra i e i cicli per l aletta inferiore. La variabilità dei dati, a causa delle differenze tra le due curve, è elevata, in ogni caso emerge che l aletta superiore subisce prima il danneggiamento nonostante lavori molto a compressione: ciò è dovuto al fatto che le variazioni di deformazione Δ ε per questa aletta sono maggiori rispetto all aletta inferiore. Per quanto riguarda il danno si nota come quello stimato dalla storia ottenuta dall analisi non lineare sia compreso tra i danni ottenuti dalle altre due storie stimate: questo è quanto ci si aspettava dopo l analisi dei grafici delle storie temporali delle sollecitazioni (vedi paragrafo 4.3). E importante fare anche un altra considerazione: l aletta superiore è soggetta a sforzi medi che sono principalmente di compressione: infatti il danno corretto dall effetto dello sforzo medio diminuisce e di conseguenza la vita aumenta; l aletta inferiore è soggetta principalmente a sforzi medi di trazione ed il danno corretto considerando l effetto dello sforzo medio aumenta. Aletta superiore nonlin tetra4 neuber tetra4 molsky tetra4 Strain Life MIL ASM - F35 Danno Danno corretto VITA (cicli) Danno Danno morrow Danno SWT VITA (cicli)

139 Analisi di fatica Strain Life MIL ASM - F35 Aletta inferiore nonlin tetra4 neuber tetra4 molsky tetra4 Danno Danno corretto VITA (cicli) Danno Danno morrow Danno SWT VITA (cicli) Tabella 5.1: Tabella riassuntiva dei risultati dell analisi di fatica per il modello con elementi TETRA4 5.3 Risultati dal modello con elementi TETRA10 Dall analisi di fatica emerge come la vita relativa alla storia stimata con l analisi non lineare sia compresa tra le vite relative alle storie stimate con i metodi di Neuber e Molsky-Glinka. I due metodi approssimati permettono quindi di trovare due valori di vita a fatica che definiscono un intervallo all interno del quale è molto probabile che ricada il valore di vita ottenuto da una storia temporale ricavata con l analisi non lineare. I risultati finora ottenuti si basano su un modello FEM con elementi TETRA4, si hanno però a disposizione le storie temporali degli sforzi lineari del modello con elementi TETRA10, a queste storie possono essere applicati i metodi approssimati di Neuber e Glika Molsky, che portano ad una stima delle storie di sforzo e deformazione da utilizzare per l analisi a fatica. A causa della pesantezza del modello, le analisi non lineari non si possono effettuare, di conseguenza non si può ottenere la storia temporale di sforzi e deformazioni non lineare per il modello con elementi TETRA10, si ipotizza comunque che la vita calcolata da questa eventuale storia sia compresa nell intervallo definito dai valori di vita calcolata dalle altre due storie approssimate (che per semplicità di notazione sono definite come Neuber_tetra10 e Molsky_tetra10). Prima di presentare i risultati si ricorda che gli sforzi lineari ottenuti con il modello con elementi TETRA10 sono maggiori mediamente dell 1% per l aletta superiore, e del 4.5 % per l aletta inferiore rispetto a quelli lineari ottenuti dal modello con elementi TETRA4. 115

140 Capitolo 5 Nonlin tetra4 Neuber tetra4 Molsky tetra4 Aletta superiore Neuber tetra10 Molsky tetra10 Strain Life MIL ASM - F35 Danno Danno corretto VITA (cicli) (-5.5%) (-4.9%) Danno Danno morrow Danno SWT VITA (cicli) (-5.7%) (-5.7 %) Nonlin tetra4 Neuber tetra4 Molsky tetra4 Aletta inferiore Neuber tetra10 Molsky tetra10 Strain Life MIL ASM - F35 Danno Danno corretto VITA (cicli) (-23%) (-23%) Danno Danno morrow Danno SWT VITA (cicli) (-23%) (-23%) Tabella 5.2: Tabella riassuntiva finale Dalla tabella si vede immediatamente un fatto molto importante: piccole differenze nella valutazione degli sforzi lineari, inferiori al 5%, si traducono in forti differenze nel calcolo della vita, addirittura una riduzione della vita del 23%. Se si commettono quindi piccoli errori nella stima delle condizioni di carico, questi causano piccoli errori accettabili nell analisi statica, ma grossi errori inaccettabili nella predizione della vita a fatica. Ritenendo più attendibili gli sforzi ottenuti con un modello più accurato, e ricordando che la curva MIL per il calcolo di N dovrebbe essere più adatta per gli spessori del componente, i nuovi valori di vita a fatica sono: Enucleazione del difetto prevista tra i e i cicli per l aletta superiore. Enucleazione del difetto prevista tra i e i cicli per l aletta inferiore. 116

141 Analisi di fatica 5.4 Calcolo del danno non lineare Il calcolo del danno cumulativo lineare[14], utilizzando la regola di Miner, è un approccio molto utilizzato, perché molto rapido, però è anche caratterizzato da numerose approssimazioni, tende infatti a sottostimare il danno finale e soprattutto non considera l ordine di applicazione del carico. Nel paragrafo è stato presentato un altro metodo, il metodo di danneggiamento non lineare che è molto più accurato, stima infatti il danno basandosi sulle equazioni di crescita del difetto, e considera la sequenza di applicazione del carico. E un metodo iterativo quindi presenta tempi di calcolo più lunghi ma comunque ragionevoli. Per completezza se ne riporta un esempio. Dalla storia di carico ottenuta dal modello con elementi TETRA10 e applicando il metodo di Neuber, si ricava il valore di N per tutti i cicli di isteresi, invece di applicare la regola di Miner si applicano le equazioni del danno non lineare: dopo l applicazione del primo blocco si ottiene un danno pari a 0.004, questo valore è nettamente inferiore a ottenuto con il metodo lineare, ma bisogna ricordare che trattandosi di un danno non lineare questo cresce più lentamente nelle prime fasi. Continuando ad applicare i blocchi di carico in modo successivo si arriva al valore D = 1 dopo blocchi, che corrispondono ad una vita di cicli, valore che, senza applicare alcuno Scatter Factor, è molto simile a quello fattorizzato calcolato con la regola di Miner (che si ricorda essere di cicli). 5.5 Problematiche legate alla previsione della vita a fatica dei componenti Il metodo proposto per la previsione della vita a fatica dei componenti meccanici sottoposti a carichi ciclici è composto da tre fasi distinte: Stima della storia di sforzo e deformazione locale nella zona di intaglio che si vuole analizzare, e ottenimento delle caratteristiche dei cicli di isteresi. Utilizzo delle caratteristiche dei cicli e delle curve deformazione-numero di cicli di carico per ricavare il valore di vita a fatica N. Calcolo del danno con uno dei metodi proposti. Tutte queste fasi possono essere facilmente causa di errore. 117

142 Capitolo 5 Nella stima della storia di sforzo e deformazione non lineare sono state introdotte numerose approssimazioni per cercare di ridurre il lunghissimi tempi di analisi. L approccio di Neuber, o quello di Molsky-Glinka, costituiscono dei metodi approssimati, che portano a risultati che sono tra loro abbastanza differenti: la definizione dei valori locali di sforzo e deformazione è un operazione abbastanza complessa, che coinvolge in genere diverse non linearità, sia geometriche che del materiale. Inoltre il tutto è influenzato dalla definizione corretta o meno delle condizioni di carico, e anche da come è stato modellato il componente: dimensione e tipologia di elementi. Anche ammettendo di riuscite ad ottenere valori corretti di sforzo e deformazione, vi possono essere notevoli incertezze nella seconda fase, che consiste nell applicazione delle curve di previsione deformazione-numero di cicli di carico. Per uno stesso materiale ci possono essere più curve, anche diverse tra loro, inoltre queste curve sono ottenute eseguendo prove sperimentali su provini lisci, caricati assialmente in controllo di deformazione, mentre nei componenti meccanici la previsione viene effettuata in un punto in cui lo stato di sforzo è composto e vi sono, in genere, gradienti di sforzo e deformazione. Il parametro che viene utilizzato per passare dai provini al componente è l ampiezza della deformazione locale, che però non è sempre significativo. Infatti nei provini, applicata una certa ampiezza di deformazione, la deformazione plastica e il ciclo di isteresi sono differenti da quelli che si ottengono in un elemento meccanico, dove ci sono intagli e quindi c è un gradiente di sforzo e deformazione. Infine si ha il calcolo del danno, per il quale si adottano scatter factor che variano tra 2 e 4, inoltre i metodi per il calcolo del danno cumulativo presentano delle approssimazioni e delle semplificazioni che si trasmettono poi al calcolo della vita a fatica. Ci sono poi metodi di calcolo del danno completamente differenti tra loro che portano a risultati totalmente diversi. In conclusione: l analisi di fatica è affetta da numerose fonti di errore e incertezza, che caratterizzano le varie fasi, a causa di ciò ci si cautela utilizzando dei fattori di sicurezza, in ogni caso è molto difficile dare un valore preciso di vita, è meglio seguire differenti strade che portano ad un possibile range di vita. Il tutto se possibile dovrebbe essere supportato da prove sperimentali, che permettano un confronto dei risultati, ed una verifica dell esattezza o meno degli stessi. 118

143 Capitolo 6 6 Propagazione delle cricche La normativa JSSG 2006, specifica che il criterio safe life può essere dimostrato secondo due approcci: Fatigue Crack Initiation e Fatigue Crack Propagazion. 1) Inizializzazione della cricca di fatica: trattata nel capitolo precedente. 2) Propagazione della cricca di fatica: la normativa specifica che la cricca iniziale è un difetto di dimensione finita, pari a millimetri (0.01 pollici), che si assume possa presentarsi a causa del normale processo di produzione. Per verificare la propagazione della cricca si esegue un calcolo a propagazione e si determina la crescita della cricca dal valore iniziale fino alla criticità o fino al numero di ore richieste. Siccome le deformazioni plastiche sono rilevanti bisogna adottare i concetti di propagazione sotto le condizioni di meccanica della frattura elastoplastica. I dati in ingresso all analisi di propagazione sono le caratteristiche del materiale e dei cicli di isteresi utilizzati anche per l analisi di fatica. 6.1 Equazione di propagazione elastoplastica da dn ( Δ ) mj = C J J (6.1) dove: mj = m/2 m / 2 C J = CE per il materiale utilizzato (al7050-t7451) C = 8.921e-11; m = Per una spiegazione approfondita sul calcolo del Δ J (= Δ J e + Δ J p ) si rimanda al paragrafo Di seguito sono riportate alcune delle equazioni che devono essere implementate: Δ K = FΔσ πa (6.2) 2 2 U ΔK Δ J e = E' (6.3) n+ 1 a a Δσ ΔJ = ( ) 1, 2 0 ( ) p Uαε σ W a h n W W P c (6.4) 119

144 Capitolo 6 si nota come in queste equazioni ci sono dei parametri come F, h1, P0, che non dipendono dal materiale o dallo spettro di carico, ma sono funzione della geometria e del modello di cricca adottato. In pratica la propagazione delle cricche di fatica si basa sull utilizzo di modelli geometrici di cricca semplificati, ai quali ci si deve riferire cercando di scegliere il modello che meglio si adatta alla situazione reale. 6.2 Modello di cricca passante: through crack at edge of plate Figura 6.1: Modello di cricca In base alla geometria dell aletta si imposta t = 11 mm; W = 40 mm; mentre la lunghezza iniziale della cricca è definata dalla normativa: a 0 = mm. 2 2 U ΔK La parte elastica del Δ J si calcola come Δ J e = e E' Δ K = FΔσ πa (6.5) Per questo modello di cricca il parametro F può essere calcolato nel seguente modo: [ ( 1 sin β ) ] 3 β[ ( tan β )/ β ] 0. 5 F = Y w (6.6) Y = sec (6.7) β = πw / 2 (6.8) w = a / W (6.9) La parte plastica di Δ J può essere stimata con i seguenti metodi: 120

145 Propagazione delle cricche metodo EPRI: ΔJ = 4U σ ( W a) metodo RSM: ΔJ p p = V n+ 1 a a Δσ αε 0 0 h1, n 2 0 ( ) (6.10) W W P c a W n 1 Δσ Uα ΔJ 2 0 ( ) e (6.11) P a α ε 0, σ,n sono i coefficienti dell equazione di Ramberg-Osgood:, 0 n ε σ σ = + α e dipendono dalle caratteristiche del materiale: (6.12) ε 0 σ 0 σ 0 σ 0 = σ ty = 386 MPa, ε 0 = σ 0/E = 386/71030, α = 0.002/ ε 0, n = 10 P0, h1, V sono invece parametri che come F dipendono dal modello di cricca adottato: P ( a) 1 Wt ( 1.455η ( W a) tσ ) =, con = 1+ [ a /( W a) ] a /( W a) 0 ty 2 η (6.13) Tabella 6.1: Valori di h1 in funzione di a/w e n[20]. Tabella 6.2: Valori di V in funzione di a/w[20]. 121

146 Capitolo 6 Le storie di sforzo e deformazione con le quali si esegue l analisi a propagazione sono quelle ottenute dal modello con elementi TETRA10, applicando i metodi approssimati di Neuber e Molsky-Glinka. 7 Lunghezza cricca [mm] cicli molsky neuber Figura 6.2: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J p stimato con il metodo EPRI 8 Lunghezza cricca [mm] cicli molsky neuber Figura 6.3: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J p stimato con il metodo RSM 122

147 Propagazione delle cricche 2.5 Lunghezza cricca [mm] neuber molsky cicli Figura 6.4: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J p stimato con il metodo EPRI 2.5 Lunghezza cricca [mm] neuber molsky cicli Figura 6.5: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J p stimato con il metodo RSM I risultati evidenziano come il metodo EPRI ed il metodo RSM per la stima del J p Δ danno risultati praticamente identici. Dall analisi di propagazione si ottiene un cricca che raggiunge criticità in corrispondenza di cicli per l aletta superiore e cicli per l aletta inferiore. Questi risultati non trovano corrispondenza ne con quanto ottenuto dall analisi di fatica ne con quanto realmente successo nella prova sperimentale. Il modello di cricca scelto non riesce a rappresentare correttamente la propagazione delle cricche nel componente. 123

148 Capitolo Modello di cricca non passante: corner crack at edge of plate Figura 6.6: Modello di cricca Dai risultati dell analisi numerica, supportata dalle evidenze della prova sperimentale, si è notato come le concentrazioni di sforzo si verifichino principalmente su uno spigolo dell aletta, per cui si ritiene più corretto e attendibile un modello di cricca che enuclea e propaga a partire da un solo spigolo, e non una cricca passante. Si ipotizza inoltre che la cricca propaghi sia in direzione dello spessore che in direzione W nello stesso modo, di conseguenza a = c. Le dimensioni geometriche del modello sono, come nel caso precedente t = 11 mm; W = 40 mm; mentre a 0 = c 0 = mm. Il parametro F per questo modello varia in funzione della dimensione del difetto e l andamento è rappresentato nel grafico seguente: 124

149 Propagazione delle cricche 125 Figura 6.7: Andamento di F in funzione di a Per la stima del p J Δ si utilizzano il metodo RSM[20] ed il metodo Dowling[11]: metodo RSM: 1 0 ) ( 2 Δ Δ = Δ n e p a P J U W a V J σ α (6.14) metodo Dowling: a n H U a n U J n p p π σ σ π ε σ ' 1 ' 2 2 ' 1 ' 1 + Δ Δ = + Δ Δ = Δ (6.15) non si utilizza il metodo EPRI perché i valori di h1 non sono tabulati per questo modello di cricca. Si ricorda che il metodo RSM si riferisce all equazione di Ramberg-Osgood nella forma n + = σ σ α σ σ ε ε, mentre il metodo Dowling si riferisce all equazione di Ramberg-Osgood nella forma ' 1 ' n H E + = σ σ ε. (6.16)

150 Capitolo 6 I valori di V per questo modello di cricca sono tabulati: Tabella 6.3: Valori di V in funzione di a/t e a/c[20]. Mentre P0 può essere calcolato con la seguente equazione: 1 πac P0 ( a) = Wt σ ty (6.17) Wt 4 Propagazione [mm] Vita [cicli] neuber moslky Figura 6.8: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J p stimato con il metodo RSM 126

151 Propagazione delle cricche 12 Propagazione [mm] molsky neuber Vita [cicli] Figura 6.9: Propagazione cricca aletta superiore con Δ J p stimato con il metodo Dowling Propagazione [mm] Vita [cicli] neuber molsky Figura 6.10: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J p stimato con il metodo RSM Propagazione [mm] Vita [cicli] neuber molsky Figura 6.11: Propagazione cricca aletta inferiore con Δ J p stimato con il metodo Dowling 127

152 Capitolo 6 Per l aletta superiore si ha una propagazione fino a circa 8 mm, a cui corrisponde un vita di cicli, raggiunti gli 8 mm la cricca si instabilizza: la velocità di crescita diventa virtualmente infinita e quindi non è più controllabile. La cricca dell aletta inferiore propaga fino a 4 mm, poi la sezione non è più in grado di reggere il carico statico, e di conseguenza si ha la rottura statica del componente. La vita corrispondente è compresa tra i e le cicli. Le vite trovate in realtà devono essere fattorizzate, deve cioè essere applicato lo scatter factor anche ai risultati dell analisi di propagazione (si divide la vita ottenuta per lo SF): la normativa JSSG2006 specifica che lo scatter factor da utilizzare nelle analisi di propagazione dei difetti è 2[1]. 6.4 Fatigue Crack Initiation(FCI) vs Fatigue Crack Propagazion(FCP) Di seguito è riportata la tabella che confronta i risultati ottenuti dall analisi di fatica con quelli ottenuti dall analisi di propagazione, le vite presenti nella tabella sono espresse numero di cicli e sono le vite fattorizzate, tengono cioè conto degli scatter factor. FCI FCP Aletta superiore Aletta inferiore Tabella 6.4: FCI vs. FCP Entrambi gli approcci utilizzati per dimostrare il criterio Safe Life portano a risultati che sono confrontabili. Dall analisi dei risultati emerge come l aletta superiore, che lavora principalmente in compressione, sia in realtà più sollecitata di quello inferiore, è infatti caratterizzata da una vita minore: questo perché le grosse deformazioni plastiche cambiano lo stato di sforzo all intaglio e determinano forti gradienti di sforzo e deformazione, con elevate variazioni di deformazione localizzate: sono proprio queste variazioni di deformazione, più elevate nell aletta superiore rispetto a quella inferiore, che influiscono negativamente sulla vita del componente. Il criterio Damage Tolerance non viene verificato per un componente di questo tipo, infatti se si facesse un calcolo a propagazione a partire da una lunghezza di 128

153 Propagazione delle cricche cricca di 1.27 mm, dopo poche centinaia di ore si avrebbe la condizione di criticità del difetto. 6.5 Problematiche legate all analisi di propagazione L analisi di propagazione si basa su modelli che approssimano la geometria del componente reale, inoltre approssimano anche la tipologia di crescita del difetto. L approssimazione della geometria a volte può essere troppo forte: si passa da geometrie complesse a modelli semplici che in realtà non riescono a riprodurre correttamente il comportamento del materiale, inoltre anche lo stato di sforzo in questi modelli semplificati è approssimato o è difficilmente descrivibile. Per quanto riguarda la propagazione elastoplastica, poi, le fonti in letteratura sono ridotte, così come i possibili esempi, e, cosa più importante, non si hanno a disposizione curve che mettano in relazione il Δ J con la crescita della cricca, come si ha invece per il Δ K ; anche l equazione di propagazione elastoplastica è in realtà ottenuta a partire da quella della meccanica della frattura lineare elastica, ipotizzando che possa essere estesa anche al campo plastico. Infine, nel calcolo del Δ J p esistono solo metodi che ne stimano il valore, senza alcun possibile riferimento a prove sperimentali, caratterizzati dalla presenza nelle equazioni di parametri, tabulati per ogni modello di cricca, ma di difficile reperibilità. 129

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155 Capitolo 7 7 Confronto con i risultati sperimentali Nella prova sperimentale si sono riscontrate criticità nelle due alette posteriori, più caricate rispetto a quelle anteriori, ciò è verificato anche dai risultati ottenuti dalle analisi numeriche eseguite sul modello FEM. L enucleazione delle cricche è avvenuta nello spigolo superiore per entrambe le alette, tra i e le cicli per l aletta superiore e attorno ai cicli per l aletta inferiore, in linea con quanto calcolato nell analisi di fatica. La cricca dell aletta inferiore è propagata per circa 2 mm, in seguito si sono avute delle rotture statiche localizzate (non globali), probabilmente in corrispondenza dell applicazione della condizione di carico più gravosa; nell analisi di propagazione per questa aletta si è riscontrata una propagazione fino a 4 mm seguita poi da una rottura statica. In entrambi i casi si nota come la propagazione del difetto sia relativamente breve e poi si abbia una rottura statica dovuta alla riduzione della sezione resistente: gli sforzi di trazione in questa zona sono molto vicini a quelli di rottura e basta una piccola riduzione di sezione per avere cedimento statico. Per quanto riguarda l aletta superiore, la cricca dopo l enucleazione è propagata molto lentamente e non ha raggiunto una dimensione critica, al contrario di quanto ottenuto dall analisi di propagazione. Le deformazioni plastiche sono elevate solo nella zona vicino all intaglio, fino a circa 10 mm dall intaglio il materiale plasticizza, in tutto il resto dell aletta lo stato di sforzo resta lineare elastico e, per quasi tutte le condizioni di carico, in compressione: sicuramente tutta la zona compressa che circonda una piccola zona deformata plasticamente aiuta a tenere chiusa la cricca e ad impedire che propaghi. Il modello adottato per la crescita della cricca sicuramente è troppo semplice e non tiene conto di tutti questi fattori. 131

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157 Capitolo 8 8 L importanza del buon disegno a fatica I fenomeni di enucleazione della cricca avvengono praticamente sempre in presenza di intagli, i punti con concentrazioni di sforzo sono potenzialmente critici per la vita del componente. Nel disegnare un pezzo, tenendo conto delle caratteristiche a fatica, bisogna evitare bruschi cambi di sezione e utilizzare ampi raggi di raccordo. Vediamo ora come cambiano le cose se la zona di radice del longherone viene ridisegnata evitando possibili zone di concentrazione di sforzo. 8.1 La nuova geometria Figura 8.1: Nuova geometria del longherone 133

158 Capitolo 8 Si può notare come la nuova geometria delle alette sia caratterizzata da spessori molto più elevati e da ampi raggi di raccordo, inoltre tutti gli spigoli sono stati smussati. 8.2 Modello ad elementi finiti Figura 8.2: Modello ad elementi finiti Il modello è realizzato con elementi Tetra10, più raffinati nella zona delle alette, il materiale è elastico lineare caratterizzato da E = [MPa]; υ = []. Le condizioni al contorno sono le stesse del modello precedente. 134

159 Il buon disegno a fatica 8.3 Analisi degli sforzi Di seguito sono riportati i risultati, in termini di sforzi principali, per le alette superiori ed inferiori, riferiti alla condizione più gravosa: in questo caso si nota come gli sforzi siano più alti nelle alette anteriori rispetto a quelle posteriori, in ogni caso gli sforzi sulle alette non superano i 340 MPa per la condizione più gravosa, lo stato di sforzo resta quindi, per tutte le condizioni, in campo lineare, può quindi essere utilizzato l approccio stress-life nell analisi di fatica, e la propagazione può essere eseguita sotto le condizioni di meccanica della frattura lineare elastica. Figura 8.3: Aletta superiore anteriore 135

160 Capitolo 8 Figura 8.4: Aletta inferiore anteriore 8.4 Fatigue crack initiation Calcolando, con l analisi ad elementi finiti lineare, gli sforzi nelle alette per tutte le condizioni di carico, si costruisce la storia temporale degli sforzi. Da questa storia si estraggono i cicli di sforzo e le relative caratteristiche, necessarie per calcolare la vita a fatica. 136

161 Il buon disegno a fatica Figura 8.5: Curva S-N per la lega di alluminio 7050-T7451 L equazione per il calcolo della vita a fatica è: log( N) log( σ 10) (8.1) = eq dove lo sforzo equivalente è dato da: S eq = σ con σ max = σ m + σ a (8.2) 0.59 max ( 1 R) Queste equazioni tengono già in considerazione l'influenza dello sforzo medio e sono valide per -1 < R < 0.5; per valori di R differenti è necessario effettuare una correzione: si pone R uguale a -1 nell'equazione (che equivale a trascurare l influenza dello sforzo medio), e si va a sostituire σ max con lo sforzo alternato corretto utilizzando la correzione di Goodman o Soderberg: σ σ a 0.59 eq = (2) correzione di Goodman (8.3) σ m 1 σ tu 137

162 Capitolo 8 σ eq σ a 0.59 = (2) correzione di Soderberg (8.4) σ m 1 σ ty Calcolando il danno relativo ad un blocco di carico si può stimare la vita a fatica. Con l approccio stress-life lo Scatter Factor che si utilizza vale 4. Aletta superiore Vita fattorizzata [cicli] Stress Life Danno 5.471E Danno mil 4.888E E+09 Danno goodman 1.364E Danno soderberg 1.632E Aletta inferiore Stress Life Danno 2.660E Danno mil 1.900E Danno goodman 1.900E Danno soderberg 1.400E Tabella 8.1: Tabella riassuntiva dell analisi di fatica 8.5 Fatigue crack propagation Si ammette che una cricca iniziale esiste nella struttura e non deve propagare ad una dimensione che generi criticità. La normativa specifica che la cricca iniziale è un difetto di dimensione finita, pari a millimetri, che si assume possa presentarsi a causa del normale processo di produzione. Per verificare la propagazione della cricca si esegue un calcolo a propagazione e si determina la crescita della cricca dal valore iniziale fino alla criticità o fino al numero di ore richieste. Il requisito per il longherone è di di cicli senza presentare difetti (crack initiation) o criticità (crack propagation), considerando uno scatter factor di 2 per l analisi a propagazione, si esegue un calcolo a propagazione, fino a 138

163 Il buon disegno a fatica di cili, e si verifica che un eventuale cricca con lunghezza iniziale di mm non cresca fino ad un valore critico nei di cicli. Per effettuare l analisi di propagazione, dal momento che le condizioni sono quelle della meccanica della frattura lineare elastica, si utilizza il software NASGRO, si considera inoltre l effetto dei sovraccarichi e dei sottocarichi utilizzando il modello di Willemborg generalizzato modificato. Per le equazioni implementate nella propagazione in condizioni di meccanica della frattura lineare elastica si rimanda al paragrafo Il modello di cricca utilizzato è quello di Corner Crack at Edge of Plate: Figura 8.6: Modello di cricca Le dimensioni geometriche del modello sono t = 20 mm; W = 30 mm; mentre a 0 = c 0 = [mm]. L equazione per la crescita del difetto implementata è la seguente: da dn 1 = C ΔK 1 f R m ΔK 1 ΔK K 1 K max c th p q (8.5) questa equazione riesce a decrive tutti i tratti della curva di propagazione. 139

164 Capitolo 8 Figura 8.7: Curva di propagazione pel Al T7451 Applicando lo spettro di carico al modello di cricca considerato si ottengono i seguenti risultati: 140

165 Il buon disegno a fatica propagazione [mm] Nasgro vita [cicli] Figura 8.8: Propagazione della cricca per l aletta superiore propagazione [mm] vita [cicli] Nasgro Figura 8.9: Propagazione della cricca per l aletta inferiore Si vede come in cicli, e quindi in cicli fattorizzati, non si hanno criticità, di conseguenza il requisito è soddisfatto. 8.6 Damage Tolerance La filosofia di progetto Damage Tolerance, la cosiddetta tolleranza al danno, ipotizza che la struttura fin dall'inizio della sua vita presenti dei difetti: i componenti strutturali devono essere in grado di mantenere un'adeguata resistenza strutturale in presenza sia di difetti insiti nel materiale o dovuti ai 141

166 Capitolo 8 processi produttivi che di danni indotti durante il normale utilizzo fino a quando il danno non è rilevato attraverso ispezioni periodiche programmate. Il criterio damage tolerance ha l'obiettivo di definire gli intervalli d'ispezione. Anche in questo caso si esegue un calcolo a propagazione del difetto dalla lunghezza iniziale fino all'instabilità. La dimensione iniziale dei difetti è di 1.27 millimetri, ed è definita dalla normativa JSSG propagazione [mm] vita [cicli] Nasgro Figura 8.10: Damage tolerance per l aletta superiore propagazione [mm] Nasgro vita [cicli] Figura 8.11: Damage tolerance per l aletta inferiore Dai risultati si vede come l aletta superiore, lavorando quasi sempre in compressione, non presenta alcun problema di propagazione, mentre per l aletta inferiore si ha un instabilità quando la cricca raggiunge 11 mm di lunghezza e 142

167 Il buon disegno a fatica cicli. Considerando uno scatter factor di 2, questo significa che dopo cicli bisogna prevedere un intervallo di ispezione. In questo capitolo è stata presentata molto brevemente l analisi a fatica e propagazione per il longherone ridisegnato tenendo conto dell importanza del buon disegno a fatica. Si vede come le alette, aumentando lo spessore ed il raggio di raccordo, passano dall avere scarse caratteristiche a fatica a rispettare il requisito di cicli, cosa che prima era impensabile. 143

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169 Conclusioni L analisi di fatica è affetta da numerose incertezze, nel caso dell approccio strain-life l utilizzo di analisi non lineari comporta l introduzione di approssimazioni per ridurre i tempi di calcolo, mentre i metodi approssimati di Neuber e Glinka-Molsky portano a dei risultati che sono tra loro differenti. Inoltre il tutto è influenzato dalla definizione delle condizioni al contorno, da come è modellato il componente, dalla dimensione e dalla tipologia degli elementi. Le curve ε -N e σ -N sono ottenute eseguendo prove sperimentali su provini lisci o intagliati, caratterizzati da una forma semplice, i componenti meccanici hanno invece forme complesse, lo stato di sforzo è composto e vi sono, in genere, gradienti di sforzo e deformazione differenti da quelli che si hanno in un provino, sia liscio che intagliato. A causa di tutte queste fonti di incertezza ci si cautela adottando dei margini di sicurezza, gli scatter factor, variabili da 2 a 4 e definiti dalla normativa militare di riferimento (la JSSG 2006). Allo stesso modo ci sono problematiche legate all analisi di propagazione, nel caso di propagazione in condizioni elastoplastiche non esistono prove sperimentali che mettono in relazione il Δ J con la propagazione della cricca, come invece avviene in condizioni di meccanica della frattura lineare elastica tra il Δ K e da/dn. Inoltre l analisi di propagazione si basa su modelli di cricca che approssimano sia la geometria del componete reale che il campo di sollecitazione, e nel caso in esame risultano essere troppo semplici rispetto alla geometria vera. Nonostante tutto questo, le analisi di fatica e propagazione effettuate sul componente danno risultati che mostrano un buon riscontro con quanto avvenuto durante la sperimentazione: l analisi di fatica, eseguita con diversi metodi e seguendo più strade, porta ad un range di vita che è plausibile; l analisi di propagazione, nonostante tutti i limiti, permette di avere una stima, un idea di come vanno le cose. E importante sottolineare poi come l analisi di fatica ha permesso di spiegare e meglio comprendere quanto avvenuto durante la sperimentazione: l aletta superiore, lavorando ipoteticamente solo in compressione, non avrebbe dovuto essere soggetta a fenomeni di fatica, in realtà il materiale in corrispondenza dell intaglio è soggetto a cicli di isteresi caratterizzati da elevate deformazioni che causano un danneggiamento non trascurabile. 145

170 Conclusioni Se sono presenti elevate deformazioni, anche le parti che ipoteticamente lavorano in uno stato di compressione, possono essere affette da problemi di fatica. Si è visto infine quanto è importante il buon disegno a fatica: evitare piccoli raggi di raccordo e brusche variazioni di sezione permette di incrementare notevolmente le caratteristiche di vita di un componente strutturale. 146

171 Appendice A Condizioni di carico dello spettro di prova Nella tabella seguente sono riportate le 281 condizione di carico che formano lo spettro di prova, sono ordinate dalla meno gravosa alla più gravosa. Legenda: n pch Numero condizione di carico nel file contenente matrice di rigidezza e vettore dei carichi. ID Identificativo condizione di carico. n Numero di occorrenze: numero di volte che la condizione di carico si presenta all interno dello spettro di prova. Nsup Forza scambiata nell attacco superiore tra ala e fusoliera normalizzata rispetto ad una condizione di riferimento. Ninf Forza scambiata nell attacco inferiore tra ala e fusoliera normalizzata rispetto ad una condizione di riferimento. Ssup_tetra4 Sforzo principale nel punto di concentrazione di sforzi dell aletta Sinf_tetra4 superiore, ottenuto con analisi lineare dal modello con TETRA4. Sforzo principale nel punto di concentrazione di sforzi dell aletta inferiore, ottenuto con analisi lineare dal modello con TETRA4. Ssup_tetra10 Sforzo principale nel punto di concentrazione di sforzi dell aletta superiore, ottenuto con analisi lineare dal modello con TETRA10. Sinf_tetra10 Sforzo principale nel punto di concentrazione di sforzi dell aletta inferiore, ottenuto con analisi lineare dal modello con TETRA10. tetra4 tetra10 n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] Ssup Sinf Ssup Sinf [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

172 Appendice A tetra4 tetra10 Ssup Sinf Ssup Sinf n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

173 Condizioni di carico tetra4 tetra10 Ssup Sinf Ssup Sinf n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

174 Appendice A tetra4 tetra10 Ssup Sinf Ssup Sinf n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

175 Condizioni di carico tetra4 tetra10 Ssup Sinf Ssup Sinf n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

176 Appendice A tetra4 tetra10 Ssup Sinf Ssup Sinf n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

177 Condizioni di carico tetra4 tetra10 Ssup Sinf Ssup Sinf n pch ID n Nsup [N/N] Ninf [N/N] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] [N/mm^2] E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E

178

179 Appendice B Spettro di carico Questo capitolo descrive i processi coinvolti nello sviluppo di uno spettro di carico [2, 27]. Lo scopo di sviluppare uno spettro di carico realistico è definire una storia temporale di sforzo che sia rappresentativa degli sforzi incontrati da un componente durante la sua vita. Lo spettro di sforzo è normalmente usato come ingresso per l analisi a fatica e a propagazione. Ovviamente più realistico è lo spettro più vicini a quanto avviene in servizio sono i risultati che si ottengono. B.1 Profili di missione I profili di missione sono la prima informazione utile che deve essere ottenuta nello sviluppo dello spettro di carico per l analisi di fatica. Il profilo di missione è una lista sequenziale di segmenti di missione che sono combinati tra loro per produrre una missione completa. Le informazioni necessarie nella determinazione di un profilo di missione sono: Tipo di missione Utilizzo della missione (in percentuale di vita totale) Configurazione Velocità Quota Peso Durata Numero di atterraggi Figura B.1: Profilo di missione tipico per un velivolo militare 155

180 Appendice B In un profilo di missione tipico si può notare la variazione di quota, peso e velocità durante la missione, inoltre sono identificati tutti i segmenti che compongono la missione. Se consideriamo ad esempio un addestratore militare avanzato, questo, durante la sua vita potrà affrontare una decina di missioni differenti, per ogni delle quali si deve definire il profilo, la percentuale di utilizzo e la durata media per ogni tipologia di missione. Di seguito un esempio di mission mix per un addestratore militare. Percentuale missione Durata missione Tipo di missione % [minuti] Navigazione bassa quota Navigazione alta quota Navigazione combinata 4 90 Volo in formazione Addestramento Addestramento tipo II 5 74 Addestramento tipo III 3 95 Air to Ground 7 72 Air to Ground tipo II 3 88 Air to Ground tipo III Tot 100 Tabella B.1: Missioni e percentuale di utilizzo Una volta che sono definite le caratteristiche principali delle missioni risulta utile calcolare i seguenti parametri: Tempo medio missione Tave [min] Numero totale di voli N [] Numero di voli per missione n [] Tempo totale di missione T [hr] Tempo totale percentuale T% [] Durata Missione * Percentuale Missione Tave = 100 (B.1) Vita Richiesta [ FHRS] N = Tave (B.2) Percentuale Missione * N n = 100 (B.3) n * DurataMissione T = 60 (B.4) 156

181 Spettro di carico T *100 T % = (B.5) FHRS Una volta calcolati i parametri precedenti si ottiene una tabella simile alla seguente, dove si può notare che il velivolo nella sua vita richiesta di ore, in funzione della durata delle singole missioni, deve affrontare 8924 voli. Tipo di missione Percentuale missione Durata missione [minuti] Tave(i) [minuti] n [] T [hrs] Navigazione bassa quota 10 % Navigazione alta quota 6 % Navigazione combinata 4 % Volo in formazione 19 % Addestramento 24 % Addestramento tipo II 5 % Addestramento tipo III 3 % Air to Ground 7 % Air to Ground tipo II 3 % Air to Ground tipo III 19 % Tave = Tot. 100 % FHRS =12000 N = 8924 Tot. 100% Tabella B.2: Parametri aggiuntivi per le missioni T% [] Devono essere poi specificate, per ogni missione, le caratteristiche di ogni segmento, in termini di: peso, velocità, quota, durata, configurazione: Tipo di missione Percentuale vita Segmento missione configurazione Peso [kg] Quota [m] Mach Durata [min] Navigazione bassa quota 8.67 Accensione, Taxing clean Decollo clean Salita clean Crociera clean Discesa clean Crociera clean Discesa (flap) clean Navigazione alta quota

182 Appendice B.. Navigazione combinata 4.46 Volo in 18.8 formazione Tabella B.3: Descrizione profili di missione Una volta che sono definite le caratteristiche delle missioni che il velivolo dovrà affrontare durante la sua vita il passaggio successivo consiste nel frazionamento dei segmenti di volo e nella determinazione, per ogni frazione, dei parametri caratteristici per la determinazione dell ambiente di carico (quota, velocità, peso). Noti i valori dei parametri caratteristici all inizio e alla fine della frazione, è possibile determinarne il valore di riferimento (in generale quello medio). Questo procedimento consente di ottenere una maggiore discretizzazione del profilo di missione con un conseguente miglioramento nella definizione dello spetto di carico. Per ogni condizione di carico si ottiene una tabella simile a quella che segue: Tabella B.4: Suddivisione dei segmenti in frazioni 158

183 Spettro di carico La determinazione dei profili di missione e la suddivisione in segmenti e frazioni, con le rispettive caratteristiche, permette di definire un numero di eventi di parametri quali fattore di carico verticale, velocità di atterraggio, ecc. che sono la base per determinare gli spettri. (normativa MIL-A B) [28]. Lo spettro è la registrazione della frequenza di accadimento di un evento e può essere fornito in termini di eccedenze (numero di volte in cui l evento viene superato) o occorrenze (numero di volte in cui l evento viene raggiunto). Per ogni segmento di missione, in base alla tipologia del segmento, e per ogni frazione, si definiscono le manovre che il velivolo esegue: simmetriche stazionarie e non, rollii sotto fattore di carico, rollii sull asse (1g), ecc. Noti i parametri di volo di ogni frazione di ogni segmento e il parametro caratteristico della manovra (nz, velocità di rollio, ny, ecc.), è possibile determinare il carico associato ad ognuna di esse e lo spettro di carico (dal carico poi si passa alla sollecitazione ed allo spettro di stress). Un altro aspetto molto importante che è utile sottolineare fin da subito è la sequenza di esecuzione delle varie manovre e delle singole missioni. La sequenza è casuale: questo è il principio su cui si basa il concetto dello spettro flight-by-flight. Le singole missioni vengono randomizzate (cioè la loro sequenza è casuale) mantenendo il loro profilo (sequenza di segmenti); all interno di ogni segmento di volo la sequenza delle manovre tipiche definite in precedenza è anch essa randomizzata. In questo modo per ogni sezione della struttura è possibile generare una sequenza randomica di sforzo, derivante però da un ben preciso spettro di progetto, dalla quale, in seguito, è possibile estrarre i cicli di affaticamento con i metodi di conteggio. Di seguito si descrivono brevemente i vari tipi di spettro che definiscono l ambiente in cui opera un velivolo e che devono essere quindi opportunamente valutati prima di approcciare un analisi a fatica e/o a propagazione della cricca. B.2 Spettro di carico da manovra Il profilo di missione segmentato e frazionato è ora utilizzato con lo spettro dei fattori di carico normali da manovra per ottenere lo spettro di carico del velivolo. Per ottenere lo spettro di carico del velivolo è necessario basare il calcolo su dati di velivoli simili. La normativa MIL-A B [28] definisce lo spettro dei fattori di carico normali da manovra per velivoli militari: questo spettro, unito alle caratteristiche del velivolo ed ai profili di missione, costituisce la base per la costruzione dello spettro di carico del velivolo. 159

184 Appendice B MIL-A B riferito a 1000 ore nz Ascent Cruise Descent Loiter Air-ground Air-Air Tabella B.5: MIL-A B spettro di eccedenze Spettro MIL (1000 hr) nz Air-Air Air-Ground Loiter Descent Cruise Ascent Eccedenze Figura B.2: MIL-A B spettro di eccedenze La metodologia per il calcolo delle occorrenze cumulative (o eccedenze) consiste nel derivare uno spettro flight-by-flight calcolando le eccedenze di ogni 160

185 Spettro di carico fattore di carico per ogni segmento del profilo di missione. Per ogni valore del fattore di carico nz si possono calcolare le eccedenze: N / P ( co /1000) MIL * j= (B.6) ( co 1000) mission = P dove: ( co / 1000) mission eccedenze riferite a 1000 ore di volo per un profilo di missione ( co / 1000) MIL eccedenze riferite a 1000hr ricavate da spettro MIL P P percentuale di missione = t /T * 100 t tempo del segmento di missione T tempo totale di missione j variabile che rappresenta ogni segmento di missione Si ottiene uno spettro di eccedenze per ogni profilo di missione, lo spettro di manovra composto è la somma pesata sulla percentuale di vita degli spettri delle singole missioni: 10 T % co ( co /1000) mission * (B.7) k = ( /1000) composite = dove: ( co / 1000) composise eccedenze riferite a 1000 ore di volo per un profilo pesato T% percentuale di vita k variabile che rappresenta ogni missione M numero di missioni Se si volessero calcolare le eccedenze riferite al requisito di vita considerato, ad ogni nz, per un solo segmento di missione e per una particolare missione: = P T % composite MIL (B.7) P ( co /12000) ( co /1000) * * * 12 Se invece delle eccedenze (occorrenze cumulative) si vogliono le occorrenze discrete (occorrenze): Occorrenze ad nz(i) = ( co / nz( i) ( co nz( i + 1) composite composite 161

186 Appendice B Per poter calcolare le occorrenze bisogna discretizzare il dominio dei fattori di carico. B.2.1 Manovre scontrate e manovre non simmetriche Le occorrenze dei fattori di carico da manovra sono state definite senza considerare a quale tipo di manovra fossero associate, ma per stabilire correttamente l ambiente di carico è necessaria una distinzione tra i tipi di manovre. In questo esempio sono considerati tre tipi di manovre: manovre simmetriche, manovre scontrate, manovre non simmetriche. Una manovra scontrata è una manovra con accelerazione di beccheggio o rollio non nulla; una manovra non simmetrica è una manovra in cui la velocità di rollio è maggiore o uguale a 30 /secondo e contemporaneamente il fattore di carico è superiore a uno; tutte le altre manovre possono essere considerate simmetriche. Ogni manovra deve essere relazionata al segmento di missione nel quale avviene maggiormente. Per questa ragione è buona norma considerare le manovre non simmetriche e scontrate solo in segmenti di combattimento air-air e air-ground, mentre quelle simmetriche si distribuiscono su tutti i segmenti delle missioni. La percentuale di manovre non simmetriche e scontrate all interno dei segmenti di combattimento deve essere stabilita. I dati riportati di seguito sono ottenuti da un velivolo militare opportunamente strumentato che ha simulato delle missioni di combattimento air-air e airground: Il 25% delle manovre nei segmenti air-air e air-ground è scontrata. Il 90% delle manovre nei segmenti air-air è non simmetrica. Il 10% delle manovre nei segmenti air-ground è non simmetrica. B.3 Spettro di carico da raffica I carichi da raffica in genere hanno poca influenza sulla vita a fatica di un velivolo progettato per volare ad elevati fattori di carico. Tuttavia devono essere trattati per verificare che non portino a condizioni di carico significative. Lo spettro di carico da raffica di un velivolo si basa su tecniche di densità spettrale di potenza che tengono in considerazione un mix di raffiche a tutte le lunghezze d onda e le velocità di raffica più elevate associate alle lunghezze d onda maggiori. Nella definizione dello spettro di carico da raffica è importante considerare anche la risposta strutturale del velivolo alla turbolenza atmosferica, determinata da test in volo. L approccio base che è implementato è illustrato nello schema seguente [2]: 162

187 Spettro di carico Risposta strutturale alla turbolenza atmosferica A, N 0 Frequenza di eccedenze della risposta: Δy 6 = b1* A ( y) 3.6 *10 * N0 P1 * e + P2 * e Δy b2* A N T = K [ N( y) j * t j ] N ( y) * t j K Profili di missione Distribuzione di probabilità di turbolenza Spettro di carico da raffica Schema B.1: Approccio base per la determinazione dei carichi da fatica da raffica La prima equazione nello schema precedente è una relazione dalla quale può essere ottenuta la frequenza di eccedenze, N(y), ad un assegnato livello di risposta y, per una particolare condizione di volo. In questa equazione i termini P e b rappresentano la probabilità di incontrare una turbolenza e la probabile intensità della turbolenza, con 1 e 2 si distinguono la turbolenza non-violenta dalla turbolenza violenta. I valori di questi parameri (funzione della quota e associati ad una lunghezza tipica della turbolenza L) sono riportati nella tabella seguente: Quota [ft] P1 P1 b1 b2 L [ft] Tabella B.6: Parametri per la determinazione dello spettro di carico da raffica 163

188 Appendice B La risposta strutturale è caratterizzata dai termini A e N 0 : A rappresenta un ampiezza media della risposta strutturale e N 0 è una misura della frequenza di risposta tipica. I dati devono essere disponibili a varie condizioni di volo, includere l accelerazione verticale del baricentro ed i carichi strutturali in varie posizioni. Questi dati possono essere usati per rappresentare la risposta strutturale per ogni segmento di missione, considerando le variazioni di quota, mach, e peso, in relazione alle condizioni del test di volo. L uso dei dati ottenuti da test di volo per valutare la risposta strutturale ha il vantaggio di contenere automaticamente effetti complessi, come l induzione aerodinamica, il transitorio di crescita della portanza, aumenti di stabilità, ed evita la necessità di calcolare le forme modali del velivolo. La seconda equazione presente nello schema B.1 illustra come può essere ottenuto lo spettro da raffica totale: si sommano le frequenze di eccedenze per ogni missione e per l intera vita, nell equazione il termine ti denota la frazione del tempo di profilo di missione in un segmento e tk la frazione di utilizzo totale del velivolo rappresentata da un particolare profilo di missione. B.4 Spettro di carico laterale Ny La definizione dello spettro di carico laterale è più critica rispetto a quella dello spettro di carico verticale, non ci sono infatti riferimenti in letteratura. Per questo motivo è necessario riferirsi allo spettro laterale di velivolo simili esistenti. Per ottenere uno spettro di carico corretto è necessario distinguere le occorrenze da manovra dalle occorrenze da raffica. In accordo con i dati di velivolo simili, si può affermare che circa il 20% delle occorrenze totali può essere attribuito alla raffica laterale e l 80 % alle manovre di timone. Lo spettro delle occorrenze per la raffica laterale si può ottenere scalando lo spettro di riferimento in base alla percentuale del 20% ed alle caratteristiche dei segmenti di missione; si adotta lo stesso procedimento utilizzato le lo spettro da manovra (nz), in questo caso lo spetto di riferimento non è definito dalle normative ma si ottiene da dati di velivoli simili. B.5 Spettro di carico da atterraggio Oltre agli spettri di volo, devono essere definiti anche gli spettri al suolo, che tipicamente vengono divisi tra atterraggi e condizioni di movimentazione al suolo. 164

189 Spettro di carico Le fonti a cui ci si riferisce sono in genere di letteratura (MIL e AGARD) con il contributo di dati di velivoli simili se a disposizione. Le condizioni di atterraggio vengono distinte tra atterraggi completi ( full stop landing ) e touch & go : nel primo caso si considera che il velivolo, dopo aver toccato terra, esegua delle fasi di frenata e rullaggio per poi fermarsi completamente; nel secondo caso, invece, si considera che il velivolo, dopo aver toccato terra (generalmente con le sole ruote del carrello principale), riprenda quota e continui la missione. Quest ultimo evento è abbastanza frequente per velivoli militari della categoria addestratori. Il numero totale di atterraggi completi è legato al mission mix del velivolo, mentre il numero di touch & go viene generalmente definito in base al tipo di missione in cui questi si ritengono più probabili, assegnando una frequenza sulla base dell esperienza con velivoli simili e su specifiche richieste di un potenziale cliente. Gli spettri di movimentazione al suolo comprendono le diverse tipologie di manovre che possono essere compiute nelle fasi precedenti al decollo e successive all atterraggio. Esse sono: Taxiing Turning Braking Pivoting Engine Run-Up Nose wheel steering B.6 Altri spettri Per completare la definizione dell ambiente di carico, altre tipologie di eventi debbono essere considerati. In particolare, per un velivolo militare da addestramento, è importante definire: Lo spettro di apertura dell aerofreno: tale superficie viene utilizzata per diminuire la velocità durante il volo, quindi la frequenza del suo utilizzo e le fasi di volo durante le quali viene usato vengono definite in base alla tipologia delle missioni e alle esigenze dei piloti Lo spettro di pressurizzazione della cabina, dipendente dalla variazione di quota durante le missioni 165

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191 Appendice C Fatica ed elementi finiti Lo spettro di carico flight-by-flight è costituito da una sequenza casuale di missioni, all interno di ogni segmento che compone la singola missione i carichi dovuti a manovre, raffica, pressurizzazione, aerofreni, ecc., hanno una sequenza casuale. Le missioni tipiche che compongono la vita del velivolo vengono randomizzate, così come i carichi all interno di ogni segmento di missione. L esperienza ha dimostrato che uno spettro flight-by-flight è rappresentativo della vita reale del velivolo e, l uso di tale spettro nell analisi di fatica e di propagazione del difetto, da risultati conservativi rispetto ad uno spettro con le stesse eccedenze, ma non flight-by-flight. Lo spettro flight-by-flight può essere ottenuto in due modi differenti: 1. all interno di ogni segmento le condizioni di carico positive e negative sono accoppiate in modo casuale, e tutte le coppie vengono randomizzate, si assume che l aereo torna ad una condizione di carico neutra (n=1) o negativa dopo ogni condizione di carico positiva. 2. all interno di ogni segmento, le condizioni di carico sono randomizzate ma non avviene l accoppiamento positive-negative: si possono avere, perciò, due o più condizioni di carico positive (o negative) una di seguito all altra. Dallo spettro di carico flight-by-flight è possibile estrarre una storia temporale di sforzo randomizzata che è rappresentativa dello spettro stesso e di conseguenza della vita del velivolo. La storia temporale di sforzo (o di deformazione) rappresenta l input per l analisi di fatica e di propagazione. C.1 Analisi degli sforzi Gli sforzi possono essere calcolati in modo analitico nel caso di strutture semplici oppure in modo numerico, con l utilizzo di modelli ad elementi finiti, nel caso di strutture più complesse. C.1.1 Approccio analitico I punti critici per la fatica di una struttura sono le zone che hanno brusche variazioni di sezione, raccordi con raggi piccoli, fori, zone di collegamento, punti soggetti a corrosione: in queste zone di intaglio si hanno delle concentrazioni di sforzo (perturbazioni locali della sollecitazione) che favoriscono l enucleazione di un difetto. 167

192 Appendice C Se la struttura è semplice, le zone critiche possono essere facilmente individuate, lo stato di sforzo lontano dalle zone critiche può essere calcolato analiticamente, mentre lo stato di sforzo delle zone critiche si ottiene moltiplicando lo sforzo lontano per un opportuno fattore di concentrazione di sforzi ottenuto in modo empirico. Schema C.1: Stima della vita a fatica con approccio empirico [5] Figura C.1: Esempio valutazione del kt (ESDU) 168

193 finiti Fatica ed elementi Il fattore di concentrazione degli sforzi (Kt) è il rapporto tra lo sforzo di picco vicino all intaglio e lo sforzo all infinito, cioè nella sezione lontano dall intaglio: Kt = σ peak/ σ nom Ci sono diverse fonti di letteratura per la valutazione del Kt (ESDU, Peterson, etc.), che però si riferiscono a casi particolari: è necessario ricondurre il caso reale al modello ideale. Come si può vedere dalla figura 7 il Kt dipende solamente dalla geometria dell intaglio. Se la struttura è complessa non si riescono a valutare gli sforzi analiticamente, per questo motivo si ricorre all utilizzo di modelli ad elementi finiti. C.1.2 Modelli ad elementi finiti non di dettaglio L utilizzo di modelli ad elementi finiti consente di calcolare in modo agevole lo stato di sforzo della struttura, se però le zone di intaglio non sono complesse possono anche non essere modellate. In questo caso non si effettua una modellazione dettagliata, dal modello si ottiene il valore di sforzo nominale che moltiplicato per il Kt permette di ottenere una valutazione dello sforzo di picco. L utilizzo di modelli ad elementi finiti non di dettaglio permette di ottenere uno sforzo nominale attendibile in poco tempo, con un basso costo computazionale, lo svantaggio è che ci si appoggia ancora ai modelli ideali presenti in letteratura per la valutazione del Kt. C.1.3 Modelli ad elementi finiti di dettaglio Se la geometria è particolarmente complessa può essere difficile e impreciso rifarsi ai modelli ideali di letteratura (esdu, peterson.), inoltre il calcolo a fatica necessita della determinazione il più possibile fedele del campo di sollecitazioni, per questi motivi si adottano modelli ad elementi finiti di dettaglio. Con questi modelli si possono individuare le zone di concentrazione di sforzo, che sono i punti potenzialmente critici per l enucleazione della cricca. Con i modelli di dettaglio non è più necessaria la valutazione empirica del Kt, di conseguenza si ottiene una valutazione dello sforzo più affidabile. Lo svantaggio principale risiede nella pesantezza a livello numerico, e quindi nei lunghi tempi di calcolo: le zone più critiche sono spesso modellare con elementi solidi con dimensione caratteristica sufficientemente piccola da individuare i picchi di sforzo (in genere dell ordine del millimetro), si ottengono quindi modelli che hanno solitamente un milione di elementi. È preferibile utilizzare come sforzo di riferimento le componenti principali: forniscono non solo il livello di sollecitazione (modulo) ma anche la direzione preferenziale di propagazione della cricca (segno della componente principale). 169

194 Appendice C Schema C.2: Stima della vita a fatica con l utilizzo del FEM [5] Figura C.2: Esempio di modellazione dettagliata 170

195 finiti Fatica ed elementi Figura C.3: Utilizzo delle componenti principali di sforzo L analisi degli sforzi, soprattutto se eseguita con il supporto degli elementi finiti, permette di individuare i punti più critici per la vita a fatica della struttura, di ricavare lo stato di forzo e deformazione di questi punti e la direzione di propagazione del difetto. Tutto questo per ogni condizione di carico presente nello spettro: dallo spettro di carico fight-by-flight è così possibile ottenere una storia temporale randomizzata degli sforzi. L ultimo passaggio prima dell analisi di fatica consiste nell estrazione dei cicli di affaticamento dalla storia temporale degli sforzi mediante l uso di algoritmi di conteggio [29, 30]. 171

196

197 Appendice D Metodi di conteggio Il danno di fatica è associato al rapporto ni/ni, dove ni è il numero di cicli di sforzo/deformazione applicati ad un certo livello di carico caratterizzato da un certo valore di sforzo medio e sforzo alternato, e Ni è il numero di cicli corrispondenti alla vita a fatica del materiale al medesimo livello di carico. In questa sezione sono presentati i metodi per la determinazione di ni. Un componente strutturale durante la sua vita di servizio è soggetto a cicli di carico che possono avere ampiezza costante o variabile nel tempo. Per i casi che esibiscono un caricamento ad ampiezza costante, indipendentemente dal valore di sforzo medio, la determinazione dell ampiezza dei cicli ed il numero di cicli a cui è sottoposto il componente è un esercizio semplice, basta infatti determinare i valori di forzo massimo e sforzo minimo e contare il numero di cicli di carico/scarico. Tuttavia, se l ampiezza del carico varia nel tempo, è più difficile determinare ampiezza e numero di cicli per un certo livello di carico [3, 4, 29, 30]. Figura D.1: Definizione di cicli e reversal I cicli possono essere conteggiati usando la storia temporale dei parametri di caricamento di interesse, come ad esempio forza, torsione, sforzo, deformazione, accelerazione, o deflessione; in genere si conteggiano i cicli utilizzando la storia temporale dello sforzo valutato nei punti di interesse, cioè punti dove si evidenziano concentrazioni di sforzo. In figura 16 si può notare come un ciclo completo di sforzo nel dominio del tempo corrisponde ad un ciclo chiuso di isteresi nel dominio sforzo-deformazione e consiste quindi di 2 173

198 Appendice D reversal. Il reversal può essere descritto come l evento di caricamento o scaricamento. L obiettivo di questo capitolo è introdurre le tecniche di conteggio dei cicli più utilizzate che possono essere impiegate per ridurre una storia di carico con ampiezza variabile e complessa in un numero di eventi semplici ad ampiezza costante. D.1 Metodi di conteggio rainflow I metodi di conteggio rainflow, possono fedelmente rappresentare l ampiezza variabile dei cicli di carico. Dowling (1979) sentenziò che il metodo rainflow può essere considerato come il miglior metodo di conteggio per la predizione della vita a fatica. Può, infatti, identificare gli eventi in una sequenza di caricamento complessa che sono compatibili con i dati di fatica. Matsuishi and Endo (1968) svilupparono inizialmente il metodo rainflow basandosi sull analogia della goccia di pioggia che cadendo sul tetto di una pagoda prosegue verso terra seguendo il profilo del tetto. Un numero di variazioni dello schema originale sono state pubblicate per varie applicazioni. Tra tutte le variazioni il metodo di conteggio a tre punti ed il metodo di conteggio a quattro punti sono i più utilizzati. D.1.1 Metodo di conteggio a tre punti La regola del metodo a tre punti utilizza tre punti consecutivi in una storia temporale di sforzo per determinare se si è formato un ciclo. La figura D.2 mostra le regole che identificano i due possibili cicli chiusi in una storia temporale dove lo sforzo è il parametro considerato. Figura D.2: Metodo di conteggio a tre punti 174

199 Metodi di conteggio I tre punti di sforzo consecutivi (S1, S2, S3), identificano due intervalli consecutivi: Δ S1 = S1 S2 e Δ S 2 = S2 S3. Se Δ S1 ΔS 2 viene estratto un ciclo da S1 a S2 altrimenti nessun ciclo viene estratto. Il metodo di conteggio a tre punti richiede che la storia temporale dello sforzo sia riordinata in modo da contenere solo picchi e valli e che inizi con il picco più alto o la valle più bassa, in ogni caso il maggiore in valore assoluto. In seguito viene applicata la regola dei tre punti, i due punti che formano un ciclo vengono scartati ed i rimanenti punti sono connessi tra di loro. Questa procedura è ripetuta dall inizio fino agli ultimi dati rimanenti. Esempio. Utilizzare il metodo rainflow a tre punti per determinare il numero di cicli nella storia temporale di sforzo di figura D.3. Figura D.3: Esempio di una storia temporale di carico Soluzione. Per prima cosa, la storia temporale di carico deve essere riorganizzata in modo tale che la storia inizi con il picco massimo o la valle minima. In questo esempio il picco massimo di valore 12 avviene prima della valle minima di valore 12, per questo motivo è scelto come punto iniziale della storia di carico riorganizzata. La nuova storia di carico mostrata in figura D.4 è generata tagliando tutti i punti prima del picco più alto ed incollandoli alla fine della storia originale. Un picco addizionale di valore elevato è aggiunto alla fine della storia di carico per garantire un approccio conservativo. Il metodo rainflow a tre punti è poi applicato ogni tre punti consecutivi della nuova storia di carico. Viene estratto il primo ciclo formato dai punti da 2 a 6. È generata una nuova 175

200 Appendice D storia di carico unendo il punto prima di 2 con il punto dopo 6. Ciò è mostrato in figura D.5. Figura D.4: Storia temporale riorganizzata Figura D.5: Estrazione del primo ciclo Lo stesso processo è ripetuto finche non vengono identificati tutti i cicli. La ripetizione è illustrata nelle figure seguenti (figure D.6-D.10). I risultati sono tabulati in Tabella D

201 Metodi di conteggio Figura D.6: Estrazione ciclo da 10 a 2 Figura D.7: Estrazione ciclo da 4 a 2 Figura D.8: Estrazione ciclo da 6 a 6 177

202 Appendice D Figura D.9: Estrazione ciclo da 10 a 6 Figura D.10: Estrazione ciclo da 12 a 10 N cicli From To Range Mean Tabella D.1: Sommario risultati metodo rainflow tre punti 178

203 Metodi di conteggio D.1.2 Metodo di conteggio a quattro punti Simile al metodo a tre punti, il metodo di conteggio dei cicli a quattro punti utilizza quattro punti consecutivi per estrarre un ciclo. La figura D.11 illustra i principi per due possibili cicli estratti da una storia temporale di sforzo nominale, inoltre in figura è anche mostrato il ciclo di isteresi sforzo deformazione corrispondente. Sono definiti due possibili cicli (a) e (b), uno crescente e l altro decrescente. I quattro punti consecutivi S1, S2, S3, S4 definiscono l intervallo di sforzo interno Δ S = S2 3 ed esterno 1 S Δ S0 = S1 S4. Se l intervallo di sforzo interno è minore o uguale all intervallo di sforzo esterno ( ΔS1 ΔS 0 ) e i punti compresi nell intervallo di sforzo interno sono interni ai punti dell intervallo di sforzo esterno allora il ciclo interno tra S2 e S3 viene estratto, inoltre, i due punti interni vengono scartati e i due punti esterni (S1 e S4) connessi tra loro. Altrimenti non viene estratto nessun ciclo e la stessa verifica viene effettuata per i successivi quattro punti di sforzo consecutivi (S2, S3, S4, S5) finche non rimane alcun dato da estrarre. Figura D.11: principi del metodo di conteggio rainflow a quattro punti 179

204 Appendice D Diversamente dal metodo a tre punti questa tecnica non garantisce che tutti i punti andranno a formare cicli chiusi. I punti rimanenti che non possono costituire un ciclo sono chiamati residui. Con questa differenza il metodo a tre punti può essere derivato dal metodo a quattro punti: 1. Estrarre i cicli ed i residui utilizzando il metodo a quattro punti. 2. Duplicare i residui per formare una sequenza di residui + residui. 3. Applicare il metodo a 4 punti alla sequenza residui + residui. 4. Aggiungere i nuovi cicli estratti ai cicli originali. Entrambi i metodi portano alla stessa tabella che rappresenta sforzo medio e sforzo alternato dei vari cicli (vedere valori range mean in Tabella D.1) Il metodo a quattro punti ha però caratteristiche uniche, per prima cosa questa tecnica è semplice da utilizzare in unione ai dati acquisiti, perché non richiede una riorganizzazione della storia di carico. In secondo luogo questo metodo può essere facilmente implementato per l estrapolazione dei cicli e per la ricostruzione della storia temporale del carico. Infine, questo metodi di conteggio è molto generico, infatti i risultati del metodo a tre punti possono essere dedotti dal metodo a quattro punti e dal suo residuo. Esempio. Utilizzare il metodo rainflow a quattro punti per determinare il numero di cicli nella storia temporale di sforzo di figura D.12. Per prima cosa è meglio controllare la storia temporale di carico per verificare che contenga solo picchi e valli. Applicare il metodo rainflow a quattro punti consecutivi, il primo ciclo da 2 a 6 ed i due punti corrispondenti al primo ciclo vengono estratti (figura D.12). È generata una nuova storia temporale connettendo il punto prima di 2 con il punto dopo 6 e viene identificato un nuovo ciclo da 10 a 2 (figura D.13). Il metodo rainflow applicato alla storia di carico porta a due cicli estratti e ad un residuo con gli otto punti rimanenti (figura D.14). Si ottiene un nuova storia temporale duplicando i residui (figura D.15) e si estraggono i cicli dalla nuova storia (da figura D.16 a figura D.19). Si può notare che dopo questo procedimento il residuo rimane ugualmente (figura D.20). In Tabella D.2 si può notare che si ottengono gli stessi valori di rangemean del metodo a tre punti, mentre i dati from-to sono differenti, ciò è dovuto alla riorganizzazione della storia temporale del metodo a tre punti. N cicli From To Range Mean Tabella D.2:Sommario risultati metodo rainflow quattro punti 180

205 Metodi di conteggio Figura D.12: Estrazione primo ciclo da 2 a 6 Figura D.13: Estrazione secondo ciclo da 10 a 2 Figura D.14: Residui 181

206 Appendice D Figura D.15: Residui duplicati Figura D.16: Estrazione terzo ciclo da 4 a 2 Figura D.17: Estrazione quarto ciclo da 6 a 6 182

207 Metodi di conteggio Figura D.18: Estrazione quinto ciclo da 10 a 6 Figura D.19: Estrazione sesto ciclo da 10 a 12 Figura D.20: Residui finali 183

208 Appendice D D.2 Ricostruzione di una storia temporale di carico Spesso è necessario ricostruire la storia temporale di carico dai cicli conteggiati. La procedura per ricostruire la storia del carico è il procedimento inverso dell estrazione dei cicli con il metodo rainflow a quattro punti. La storia di carico originale e quella ricostruita sono considerate equivalenti in termini di stessi risultati dal rainflow e differenti nella sequenza dei carichi che viene persa durante il processo di ricostruzione. La procedura per la ricostruzione è illustrata in figura D.21 in cui si può notare la differenza tra cicli con pendenza positiva e negativa. Figura D.21: Principi di inserimento di un ciclo Un ciclo può però essere inserito in varie posizioni, la storia ricostruita non è unica, nella figura D.22 il ciclo che deve essere inserito è denotato da a-b-a e il residuo è formato da A-B-C-D-E-F, in questo caso il ciclo a-b-a può essere inserito in tre differenti posizioni (figura D.23): A-B, C-D, E-F. La scelta di una delle tre possibili posizioni è un processo random. 184

209 Metodi di conteggio Figura D.22: Ciclo e residui Figura D.23: Possibili punti di inserimento del ciclo a-b-a nella storia ricostruita Di seguito è mostrata la ricostruzione di una storia di carico: si hanno a disposizione i due cicli a-b-a e c-d-c e il residuo corrispondente A-H. Figura D.24: cicli che devono essere inseriti (a-b-a c-d-c) e residuo corrispondente (A-H) 185

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