Appunti di Meccanica Quantistica

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1 Università degli Studi di Bari Corso di Laurea in Fisica Appunti di Meccanica Quantistica Versione provvisoria aggiornata al 9 dicembre 215 Leonardo Angelini Dipartimento Interateneo di Fisica via Amendola 173, 7126 Bari, Italy leonardo.angelini@fisica.uniba.it

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3 Indice Introduzione iii 1 Potenziali periodici in una dimensione Autofunzioni e autovalori dell hamiltoniano: proprietà generali Teorema di Floquet e Teorema di Bloch Spettro dell hamiltoniano Il pettine di Dirac Il modello di Kronig-Penney Teoria delle Perturbazioni Perturbazioni indipendenti dal tempo Autovalori degeneri Effetto Stark Stato fondamentale Primo stato eccitato La struttura fine Correzioni all energia cinetica Interazione spin-orbita Perturbazione istantanea Perturbazioni dipendenti dal tempo Teoria perturbativa al I ordine Perturbazione periodica Penso di poter affermare che nessuno capisce la Meccanica Quantistica. (R.P. Feynman - comunicazione orale) i

4 ii INDICE

5 Introduzione Questi appunti ricalcano alcuni dei contenuti del mio corso di Istituzioni di Fisica Teorica II e cercano di facilitare loro la preparazione dell esame. Esso non contiene trattazioni originali ed indicherò di volta in volta la fonte. La I parte riguarda i potenziali periodici ed è tratta dal testo di Flügge [1], mentre la parte relativa alla teoria perturbativa segue essenzialmente la trattazione di Shankar [2]. iii

6 iv INTRODUZIONE

7 Capitolo 1 Potenziali periodici in una dimensione 1.1 Autofunzioni e autovalori dell hamiltoniano: proprietà generali Diremo che V (x) è un potenziale periodico di passo a se esso verifica la relazione V (x + n a) = V (x) per n =, ±1, ±2,... (1.1) In questo caso l equazione di Schrödinger è invariante per x x + n a, per traslazioni, cioè, di multipli interi di a. Siano u 1 (x) e u 2 (x) due soluzioni linearmente indipendenti dell equazione di Schrödinger. Per l invarianza, anche u 1 (x + a) e u 2 (x + a) sono soluzioni. Deve risultare quindi: u 1 (x + a) = c 1,1 u 1 (x) + c 1,2 u 2 (x) (1.2) u 2 (x + a) = c 2,1 u 1 (x) + c 2,2 u 2 (x). (1.3) Teorema di Floquet e Teorema di Bloch Dimostriamo ora il seguente Teorema di Floquet. Esso afferma: Tra le soluzioni dell equazione di Schrödinger ne esistono due, ψ 1 e ψ 2 che godono della proprietà dove λ è una costante. Per tali soluzioni dovrà anche risultare Se ψ è soluzione, è possibile scriverla nella forma ψ(x + a) = λψ(x) (1.4) ψ(x + n a) = λ n ψ(x) per n =, ±1, ±2,... (1.5) ψ(x) = A u 1 (x) + B u 2 (x). 1

8 2 CAPITOLO 1. POTENZIALI PERIODICI IN UNA DIMENSIONE Dalla (1.2) ψ(x + a) = A u 1 (x + a) + B u 2 (x + a) = (Ac 1,1 + Bc 2,1 ) u 1 (x) + (Ac 1,2 + Bc 2,2 ) u 2 (x). La ψ verifica la proprietà (1.4) se Ac 1,1 + Bc 2,1 = λa Ac 1,2 + Bc 2,2 = λb che costituisce un sistema lineare omogeneo di due equazioni nelle incognite A e B ed ha soluzioni diverse da quella banale se e solo se c 1,1 λ c 2,1 c 2,2 λ =. c 1,2 Questa è un equazione quadratica in λ, le cui soluzioni λ 1 e λ 2 permettono di determinare effettivamente due soluzioni ψ 1 e ψ 2 aventi la proprietà richiesta. Dimostrato, dunque, il teorema vediamo cosa si può dire su λ 1 e λ 2. Notiamo, prima di tutto, che il Wronskiano di ψ 1 e ψ 2 W (x) = ψ 1 ψ 2 ψ 1ψ 2 soddisfa la relazione W (x + a) = λ 1 λ 2 W (x). Ma il Wronskiano di due autofunzioni corrispondenti allo stesso autovalore è costante (p.e. Messiah [3] vol.i cap. III.8), quindi λ 1 λ 2 = 1. Le funzioni ψ 1 e ψ 2 saranno accettabili se e soltanto se λ 1 = λ 2 = 1. Infatti se accadesse che λ k > 1, l ampiezza della ψ k crescerebbe oltre ogni limite per x +, mentre, se fosse λ k < 1, la stessa cosa accadrebbe per x. Pertanto possiamo scrivere λ 1 = e ıka, λ 2 = e ıka dove k è un numero reale. Poiché le ψ k sono funzioni periodiche di k possiamo limitarci a considerare i valori di k tali che π a k π a sufficienti a determinare tutte le autofunzioni possibili. Per tutte le autofunzioni limitate si avrà quindi (1.5): ψ(x + n a) = e ınka ψ(x) per n =, ±1, ±2,.... Questa espressione mostra che le proprietà di invarianza del potenziale per traslazioni di una lunghezza pari al passo a, si riflettono sulla funzione d onda in modo tale che, spostandoci di un numero intero di passi, essa sia modificata di un semplice fattore di fase. In questo moto le osservabili fisiche non sono influenzate dalla traslazione, cioè la misura di una qualsiasi di esse non consente di dire se ci troviamo in x o in x + na. Se scriviamo la ψ(x) nella forma ψ(x) = e ıkx u k (x) la u k (x) deve essere una funzione periodica di x con passo a: u k (x + a) = u k (x). Questo risultato è noto come Teorema di Bloch. Esso mostra la presenza di soluzioni che si presentano come onde piane, le soluzioni per particelle libere, modificate da un ampiezza che riflette le proprietà di periodicità del potenziale.

9 1.1. AUTOFUNZIONI E AUTOVALORI DELL HAMILTONIANO: PROPRIETÀ GENERALI3 Sul piano più formale questi risultati sono le conseguenze del fatto che siamo in presenza di un Hamiltoniano che, a causa della proprietà d invarianza del potenziale per traslazioni di passo a, commuta con l operatore delle traslazioni D a definito da D a ψ(x) = ψ(x + a). Le funzioni di Bloch non sono altro che le autofunzioni comuni ad H e D a corrispondenti rispettivamente agli autovalori E e e ıka Spettro dell hamiltoniano Quanto abbiamo visto consente di costruire una procedura per ottenere le funzioni di Bloch. Fissato un valore dell energia, si scelgono in maniera qualsiasi due autofunzioni linearmente indipendenti u 1 (x) e u 2 (x) nell intervallo x a e, successivamente, si cerca una funzione ψ(x) che soddisfi le proprietà derivanti dai teoremi di Floquest e di Bloch ψ(x) = A u 1 (x) + B u 2 (x). Nell intervallo a x 2a, la ψ(x) sarà data da: ψ(x) = e ıka [A u 1 (x a) + B u 2 (x a)]. In x = a le due espressioni per ψ(x) e le loro derivate prime devono coincidere A u 1 (a) + B u 2 (a) = e ıka A u 1 () + B u 2 () A u 1(a) + B u 2(a) = e ıka A u 1() + B u 2(). Abbiamo ottenuto ancora una volta un sistema lineare omogeneo nelle incognite A e B che ha soluzioni diverse da quella banale se e solo se il determinante dei coefficienti si annulla, cioè u 1(a) e ıka u 1 () u 2 (a) e ıka u 2 () u 1(a) e ıka u 1() u 2(a) e ıka u 2() = Tenendo conto della costanza del Wronskiano di u 1 (x) e u 2 (x), otteniamo la relazione cos ka = [u 1() u 2(a) + u 1 (a) u 2()] [u 2 () u 1(a) + u 2 (a) u 1()] 2(u 1 u 2 u 2 u 1 ). Questa relazione consente di determinare i possibili valori di k soltanto se il secondo membro non è maggiore di 1: [u 1 () u 2(a) + u 1 (a) u 2()] [u 2 () u 1(a) + u 2 (a) u 1()] 2(u 1 u 2 u 2 u 1 ) 1. Al variare con continuità dell energia, questa condizione per l esistenza di autofunzioni limitate può essere verificata in certi intervalli e non verificata in altri. Questo dà origine ad uno spettro a bande. I limiti delle bande si ottengono quando cos ka = ±1. Si può verificare facilmente che questo risultato non dipende dalla scelta di u 1 (x) e u 2 (x). Basta sostituire a u 1 (x) e u 2 (x) u 1 (x) = c 1,1 v 1 (x) + c 1,2 v 2 (x) e u 2 (x) = c 2,1 v 1 (x) + c 2,2 v 2 (x) dove v 1 (x) e v 2 (x) sono altre due soluzioni linearmente indipendenti; si perviene alla stessa relazione per cos ka.

10 4 CAPITOLO 1. POTENZIALI PERIODICI IN UNA DIMENSIONE Figura 1.1: Soluzione grafica della disequazione (1.7) per Ωa = Il pettine di Dirac Il più semplice potenziale periodico che si possa considerare è il cosiddetto Pettine di Dirac: V (x) = 2 m Ω + n= δ(x + na), una sequenza infinita di delta di Dirac posizionate nei punti x = na con n intero relativo o nullo. In ciascuno degli intervalli ]na, (n+1)a[ la particella è libera, quindi possiamo considerare, fissato l autovalore E dell energia, come soluzioni fondamentali le onde piane: u 1 (x) = A 1 e ıqx e u 2 (x) = A 2 e ıqx, dove q 2 = 2mE 2. Cerchiamo ora le soluzioni limitate di Floquet, cioè tali che, se risulti anche ψ(x) = Ae ıqx + Be ıqx nell intervallo < x < a, ψ(x) = e ıka ψ(x a) = e ıka [Ae ıq(x a) + Be ıq(x a) ] nell intervallo a < x < 2a. Imponiamo ora la continuità della soluzione e, dato che sulla frontiera è posizionata una δ di Dirac, la discontinuità della sua derivata prima: Sostituendo abbiamo il sistema cioè ψ(a + ) = ψ(a ) ψ (a + ) = ψ (a ) + 2 Ω ψ(a). e ıka (A + B) = Ae ıqa + Be ıqa ıqe ıka (A B) = ıq(ae ıqa Be ıqa ) + 2 Ω (Ae ıqa + Be ıqa ), (e ıka e ıqa )A + (e ıka e ıqa )B = [e ıka e ıqa (1 2ı Ωq ] ) A [e ıka e ıqa (1 + 2ı Ωq ] ) B =.

11 1.2. IL PETTINE DI DIRAC 5 Figura 1.2: L andamento dell energia in funzione di qa confrontato con il caso della particella libera (Ωa = 5). Si tratta di un sistema omogeneo, per cui occorre imporre la condizione dalla quale con brevi passaggi otteniamo e ıka e ıqa e ıka e ıqa e ıka e ıqa (1 2ı Ω q ) eıka e ıqa (1 + 2ı Ω q ) =, cos ka = cos qa + Ω q sin qa. (1.6) Le bande degli autovalori dell energia sono, perciò, definiti dalla condizione cos qa + Ω q sin qa 1 (1.7) Una volta trovati i valori di q che soddisfano la disequazione (1.7), in corrispondenza di ciascuno di essi è possibile determinare dall equazione (1.6) il valore di k che caratterizza le funzioni di Bloch. L energia del livello è data da: E = 2 2m q2. Dalla figura 1.1 si nota che le bande proibite sono più ampie per piccoli valori di q e tendono ad annullarsi nel limite q. Riportiamo in figura 1.2, q 2, in pratica l energia, in funzione di k, confrontata con la parabola k 2, che si avrebbe se le autofunzioni fossero le onde piane, cioè se il moto fosse libero e q coincidesse con k. Le due curve coincidono nei punti k = nπ a, cioè al limite superiore di ciascuna banda. Vediamo ora l influenza del valore del parametro Ω, l opacità sullo spettro. Se esso tende a zero, l equazione (1.6) comporta che k q, cioè il reticolo cristallino diventa trasparente, le bande proibite sempre più piccole fino ad annullarsi. Se invece Ω, la funzione a secondo membro della (1.6) assume valori sempre più grandi e soddisfa la condizione (1.7) per intervalli sempre più limitati di q. Le bande permesse degenerano nello spettro discreto che corrisponde alla situazione in cui in ogni segmento di passo a c è una buca con pareti impenetrabili.

12 6 CAPITOLO 1. POTENZIALI PERIODICI IN UNA DIMENSIONE 1.3 Il modello di Kronig-Penney Il modello di Kronig-Penney consiste di una sequenza infinita di barriere rettangolari con altezza del potenziale V, larghezza b e separate da una distanza a b, in modo che a costituisce il passo del reticolo. Per risolvere il modello utilizzeremo un metodo leggermente diverso da quello usato nel caso del Pettine di Dirac. Nel corso della dimostrazione del Teorema di Floquet abbiamo visto che λ 1 = e ıka e λ 2 e ıka sono gli autovalori della matrice ( c1,1 c 2,1 c 1,2 c 2,2 che permette di scrivere le funzioni d onda cercate in termini di due qualsivoglia soluzioni dell equazione di Schrödinger. Risolvendo l equazione agli autovalori troviamo: λ 1,2 = c (c1,1 ) 2 1,1 + c 2,2 + c 2,2 ± + c 1,2 c 2,1 c 1,1 c 2, Questo risultato, combinato con l espressione per λ 1 e λ 2, comporta ) c 1,1 + c 2,2 = λ 1 + λ 2 = 2 cos ka. (1.8) Construiamo ora due soluzioni linearmente indipendenti u 1 (x) e u 2 (x) per il potenziale in oggetto, corrispondenti ad autovalori E < V. Introduciamo le grandezze Una soluzione è data da α = 2m(V E) 2mE e β =. u 1 (x) = cos βx + α β u 1 (x) = e αx per b < x < sin βx per < x < a b, dove i coefficienti risultano dall aver posto uguale a 1 quello di u 1 e dall aver imposto continuità della funzione e della sua derivata in x =. In modo del tutto analogo possiamo determinare una soluzione indipendente u 2 data da u 2 (x) = cos βx α β u 2 (x) = e αx per b < x < sin βx per < x < a b. Spostandoci nella regione occupata dalla successiva barriera, tra a b e a dobbiamo avere: u 1 (x) = c 1,1 e αx + c 1,2 e αx per a b < x < a u 2 (x) = c 2,1 e αx + c 2,2 e αx per a b < x < a. Nel punto x = a b le funzioni e le derivate prime devono coincidere per entrambe le funzioni u 1 (x) e u 2 (x). Questo porta al sistema: cos β(a b) + α β sin β(a b) = c 1,1 e α(a b) + c 1,2 e α(a b) cos β(a b) α β sin β(a b) = c 2,1 e α(a b) + c 2,2 e α(a b) β sin β(a b) + α cos β(a b) = α(c 1,1 e α(a b) c 1,2 e α(a b) ) β sin β(a b) α cos β(a b) = α(c 2,1 e α(a b) c 2,2 e α(a b) )

13 1.3. IL MODELLO DI KRONIG-PENNEY 7 dal quale è possibile determinare i coefficienti c i,k. Risolvendo la seconda e la quarta equazione per c 2,1 e c 1,2 e sostituendo nelle altre due equazioni possiamo ricavare: c 1,1 = α2 β 2 2αβ c 2,2 = α2 β 2 2αβ Infine, utilizzando la relazione (1.8) otteniamo: e αb sin β(a b) + e αb cos β(a b) e αb sin β(a b) + e αb cos β(a b) cos ka = α2 β 2 2αβ sinh αb sin β(a b) + cosh αb cos β(a b). (1.9) Come nel caso del Pettine di Dirac, questa relazione consente di determinare k solo quando il secondo membro è compreso tra 1 e 1, dando così origine allo spettro a bande.

14 8 CAPITOLO 1. POTENZIALI PERIODICI IN UNA DIMENSIONE

15 Capitolo 2 Teoria delle Perturbazioni 2.1 Perturbazioni indipendenti dal tempo In generale il problema degli autovalori non può essere risolto in maniera esatta. Consideriamo l Hamiltoniano H (ma quanto segue può essere applicato ad un qualsiasi operatore). Supponiamo di poter scrivere: H = H + H 1 (2.1) dove H è un osservabile detta Hamiltoniano imperturbato, per il quale si suppone di saper risolvere l equazione agli autovalori: Supponiamo, inoltre, che 1. lo spettro di H sia non degenere 2. H non dipenda dal tempo. H n = E n n con n m = δ n,m (2.2) Lo scopo è quello di trovare un approssimazione agli autovalori ed autovettori di H, cioè alla soluzione dall equazione: H n = E n n, (2.3) tale che, nel limite H 1 risulti n n. Consideriamo uno sviluppo in serie (detta serie perturbativa) per E n e n : n = n + n 1 + n (2.4) E n = E n + E 1 n + E 2 n +... (2.5) dove l indice superiore k di ciascun termine indica che esso è proporzionale alla k sima potenza di H 1, o meglio, dato che si tratta di un operatore, dei suoi elementi di matrice nella base di H. Questi sviluppi in serie hanno senso se, al crescere dell ordine k, i loro termini diventano sempre più piccoli, in modo da assicurarne la convergenza e poterne calcolare, tramite troncamento, delle approssimazioni. La 2.3 può essere riscritta: (H + H 1 ) ( n + n 1 + n ) = (E n + E 1 n + E 2 n +...) ( n + n 1 + n ). (2.6) Per calcolare i termini delle serie (2.4) e (2.5) imponiamo che I e II membro di questa equazione coincidono a ciascun ordine perturbativo. All ordine zero in H 1 riotteniamo, ovviamente, l equazione agli autovalori per H : H n = E n n. 9

16 1 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI Al prim ordine (termini come H 1 n 1 sono del II ordine) abbiamo: H n 1 + H 1 n = E n n 1 + E 1 n n. (2.7) Moltiplicando scalarmente ambo i membri della (2.7) per n e sfruttando l equazione agli autovalori per H : n H n 1 + n H 1 n = E n n n 1 + E 1 n n n E n n n 1 + n H 1 n = E n n n 1 + E 1 n Si ottiene la correzione al I ordine all autovalore espressa come elemento di matrice di H 1 nello stato non perturbato (valore medio): E 1 n = n H 1 n (2.8) Al fine di ottenere la correzione al I ordine all autoket, moltiplichiamo scalarmente ambo i membri della stessa (2.7) per m, con m n. Otteniamo: Da qui otteniamo la relazione: m H n 1 + m H 1 n = E m n n 1 + E 1 n m n E n m n 1 + m H 1 n = E n m n 1 m n 1 = m H 1 n E n E m per tutti gli m con m n (2.9) Poiché nella base { m } n 1 = m m n 1 m (2.1) abbiamo determinato n 1 a meno della sua componente parallela ad n. Poiché il ket n deve essere normalizzato, determiniamo questa componente imponendo n approssimato al I ordine, cioè n + n 1, sia normalizzato. Denotiamo con n 1 e n1 le componenti rispettivamente parallela e perpendicolare di n1 nella direzione di n, tali cioè che: n 1 = n 1 + n1 e n 1 n1 =, n1 n =, n 1 n = Imponendo la normalizzazione, a meno di ordini superiori al I: Quindi, a meno di ordini superiori, 1 = ( n + n 1 )( n + n 1 ) = ( n + n 1 + n1 )( n + n 1 + n1 ) = n n + n 1 n + n n 1 = 1 + n 1 n + n n 1 n 1 n + n n 1 = R( n n 1 ) = n n 1 = ı α con α reale e del I ordine. Poiché, al I ordine, e ı α = 1 + ı α, possiamo scrivere e, pertanto, lo sviluppo 2.1 diventa: n 1 = m n n n 1 = n n 1 = e ı α 1 m H 1 n En Em m + (e ı α 1) n

17 2.1. PERTURBAZIONI INDIPENDENTI DAL TEMPO 11 Al I ordine l autoket n è dato quindi da: n n + n 1 e ı α n + m n m H 1 n En Em m Il fattore e ı α si può eliminare: possiamo moltiplicare ambo i membri per e ı α, i termini della sommatoria non sono modificati in quanto e ı α = 1 ı α e possiamo trascurare i termini del II ordine. Ridefinendo la fase arbitraria di n otteniamo infine: n n + n 1 n + m n m H 1 n En Em m (2.11) Questo risultato comporta che il termine del I ordine di correzione all autoket, n 1 può essere preso ortogonale a n : n 1 = m H 1 n E m n n Em m. (2.12) Determiniamo ora la correzione al II ordine E 2 n all autovalore. Consideriamo il II ordine dell equazione 2.6: H n 2 + H 1 n 1 = E n n 2 + E 1 n n 1 + E 2 n n. Moltiplichiamo scalarmente ambo i membri per n. Ricordando che n n 1 =, si ottiene E n n n 2 + n H 1 n 1 = E n n n 2 + E 2 n n n E 2 n = n H 1 n 1 = m n n H 1 m m H 1 n E n E m In definitiva: E 2 n = m n n H 1 m 2 E n E m (2.13) Da questa espressione si può osservare che la correzione al II ordine dello stato fondamentale sempre negativa. Non esaminero le correzioni di ordine superiore agli autovalori e agli autoket, dato che nelle applicazioni reali le correzioni devono essere abbastanza piccole, tanto da potersi fermare ai primi ordini. A proposito della validità dello sviluppo perturbativo, possiamo osservare che affinché n 1 dia luogo a correzioni piccole rispetto a n deve risultare Perché questo sia verificato occorre che: m H 1 n En Em 1 m n. 1. gli elementi di matrice di H 1 nella base n devono essere piccoli rispetto agli autovalori non perturbati; 2. non vi devono essere autovalori imperturbati vicini. In particolare, se E n è degenere, e dunque m E m = E n, occorre considerare un approccio alternativo.

18 12 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 2.2 Autovalori degeneri Come si detto, in presenza di autovalori degeneri le correzioni perturbative che abbiamo calcolato presentano singolarità e, quindi, non sono applicabili. Quello che accade può essere compreso intuitivamente nel modo seguente. Supponiamo per semplicità che En sia doppiamente degenere e di poter accendere in maniera continua la perturbazione H 1. In generale, la presenza della perturbazione romperà la degenerazione e avremo due nuovi autoket n e n non necessariamente corrispondenti allo stesso autovalore. Se spengo lentamente H 1 i due autoket si sposteranno in maniera continua su due autoket di H, supponiamo n e n, corrispondenti all autovalore En. Questo spostamento dei ket di base è reversibile: cioè riaccendendo gradualmente la perturbazione H 1 si avrà la transizione graduale n n e n n Se, invece, i ket di partenza non sono n e n, ma un altra qualsiasi coppia di autoket ortogonali del sottospazio relativo ad E n, anche se accendo in maniera infinitesima la perturbazione avrò una variazione finita nei ket. In termini di sviluppo in serie avremmo quel che succede ad una serie di potenze se sviluppiamo una funzione a partire da un suo punto di discontinuità, cioè una divergenza. Esaminando la (2.11) si comprende che, per evitare la divergenza derivante dalla presenza di due stati n e m con E n = E m, il modo di individuare correttamente i ket di base n è quello di imporre che gli elementi di matrice di m H 1 n siano nulli, cioè che la matrice sia diagonale. Per quanto riguarda le correzioni al prim ordine agli autovalori date dalla (2.8) E 1 n = n H 1 n, è chiaro che, a causa della degenerazione, potremo avere correzioni diverse a seconda degli autoket di E n considerati. Supponendo sia p il grado della degenerazione di E n, le correzioni al I ordine saranno date proprio dagli elementi diagonali della matrice dove sono stati denotati con i p autoket ortonormali di E n individuati come si è detto. (H 1 ) k,j = n k H n j (2.14) { n 1, n 2,..., n p } (2.15) Una deduzione più formale consente di ricavare anche la correzione al I ordine agli autoket. Il generico autoket n di E n è un elemento del suo sottospazio: n = j=1,p a j n j. (2.16) In generale la correzione al I ordine non apparterrà allo stesso sottospazio: n 1 = b k,j n j (2.17) k j=1,p dove l indice k varia sull intero insieme degli autovalori di H. Riprendiamo l equazione agli autovalori per H al I ordine (2.7): e, dopo aver sostituito l espressione per n H n 1 + H 1 n = E n n 1 + E 1 n n. H n 1 + H 1 j=1,p a j n j = E n n 1 + E 1 n a j n j, j=1,p

19 2.2. AUTOVALORI DEGENERI 13 moltiplichiamo scalarmente per n 1, n 2,..., n p. Tenendo conto del fatto che n m H = En n m, si ottiene un sistema di p equazioni nelle variabili a j a j n m H 1 n j = En 1 a m, m=1,..p, j=1,p che, in termini della (2.14) possiamo riscrivere: a j (H 1 ) m,j = a m, m=1,..p, (2.18) j=1,p Si tratta di un sistema omogeneo che ha soluzioni diverse da quella banale se e solo se il determinante dei coefficienti si annulla: det [ (H 1 ) m,j E 1 n δ m,j ] = ; cioè soltanto se En 1 è autovalore della matrice (H 1 ) m,j. In questo modo si determinano p autovalori En,k 1, k = 1,...p che costituiscono le correzioni al I ordine a E n. In corrispondenza di ciascuno di tali autovalori si può risolvere il sistema (2.18) e determinare, a meno di una costante di normalizzazione, i coefficienti a j,k che consentono di individuare la base corretta nel sottospazio di En, dalla quale partire per uno sviluppo perturbativo privo di divergenze. Dal punto di vista algebrico il vettore a 1,k a 2,k. a p,k è autovettore di (H 1 ) m,j corrispondente all autovalore E 1 n,k. Notiamo che può accadere che la matrice (H 1 ) m,j sia già diagonale, cioè che siamo partiti dalla base corretta. In questo caso le correzioni al I ordine sono proprio gli elementi della diagonale. Questo accade quando H 1 commuta con l operatore che a sua volta commuta con H e i cui autovalori sono utilizzati per etichettare la base nel sottospazio dell autovalore degenere. Consideriamo, ad esempio, l atomo d idrogeno il cui Hamiltoniano ha autovalori degeneri corrispondenti a diversi autovalori di L 2 ed L z. Limitandoci a quest ultima osservabile, esiste una base di autoket comune a H e L z : H n j = E n n j e L z n j = m j n j. Supponiamo che l atomo d idrogeno venga immerso in un campo caratterizzato da un energia potenziale aggiuntiva H 1 tale che [H 1, L z ] =. (2.19) Risulta e, quindi, deve accadere che oppure = n j [H 1, L z ] n k = (m k m j ) (H 1 ) j,k (2.2) m k = m j e (H 1 ) j,k (2.21) m k m j e (H 1 ) j,k =. (2.22) Nei casi più semplici, nei quali m k = m j equivale k = j, cioè nel sottospazio di E n non vi sono stati distinti con lo stesso valore di m, la matrice (H 1 ) j,k è diagonale: possiamo effettuare lo sviluppo perturbativo come nel caso non degenere, in quanto tutti i termini divergenti si azzerano. Può accadere, tuttavia, che due stati diversi abbiano lo stesso valore di m, cioè m k = m j con k j. Nel caso dell atomo d idrogeno questo accade quando due stati degeneri con lo stesso valore di m corrispondono a differenti autovalori di L 2. In questo caso la matrice (H 1 ) j,k non è diagonale. Vedremo che questo accade nel caso di un atomo d Idrogeno in presenza di un campo elettrico (Effetto Stark).

20 14 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 2.3 Effetto Stark Sperimentalmente si nota che, quando un atomo d idrogeno viene posto in un campo elettrico sufficientemente intenso, le righe dello spettro elettromagnetico di emissione o di assorbimento si dividono in componenti vicine. Questo fenomeno prende il nome di Effetto Stark e viene attribuito alla rottura della degenerazione dovuta all interazione tra campo elettrico e momento di dipolo elettrico dell atomo. Consideriamo un atomo d idrogeno in presenza di un campo elettrico costante E risultante da un potenziale ϕ( r) ( E = ϕ) dato da: ϕ( r) = E d r = E r. Denotate con e la carica dell elettrone, r 1 la sua coordinata, r 2 quella del protone e r = r 1 r 2 quella relativa, abbiamo H 1 = e ϕ( r 1 ) + e ϕ( r 2 ) = e E r = µ e E dove µ e = e r il momento di dipolo elettrico del sistema. Se utilizziamo un sistema di riferimento nel quale l asse z ha la direzione di E, abbiamo H 1 = ee r cos θ e verifichiamo immediatamente che, dato che L z dipende solo da ϕ, [H 1, L z ] =, (2.23) mentre [H 1, L 2 ]. (2.24) L energia potenziale non è più centrale e non si può adottare il metodo di calcolo basato sulla separazione delle variabili. L equazione di Schrödinger non è più risolubile esattamente. Per questo motivo cercheremo una soluzione approssimata con la teoria perturbativa per determinare le correzioni ai primi livelli di energia indotte dal campo elettrico esterno, supponendo che quest ultimo, paragonato al campo elettrico già presente nell atomo, sia piccolo in modo da consentire l utilizzo dell approccio perturbativo, pur essendo abbastanza intenso da poter avere degli effetti sperimentali. Ricordiamo, prima di iniziare i calcoli, che spettro e autofunzioni dell Hamiltoniano dell atomo d idrogeno in assenza di campi esterni sono dati da dove E n = 1 2 m c2 α2 n 2 ψ n,l,m ( r) = R n,l (r) Y l,m (θ, ϕ) (2.25) α = e2 c e a = 2 m e 2 sono la costante di struttura fine e il raggio di Bohr. In termini dei polinomi di Laguerre e dei polinomi di Legendre, le autofunzioni sono date da ( ) ψ n,l,m ( r) = N n,l r l e r n a 2r L 2l+1 n l 1 Pl m (cos θ) e ımϕ. (2.26) n a

21 2.3. EFFETTO STARK Stato fondamentale La correzione al I ordine è data da E 1 1 = e 1,, r 1,, E che esprime la correzione in termini del prodotto scalare del campo elettrico per i valori medi della coordinata relativa del sistema elettrone-protone nello stato non perturbato. In termini delle autofunzioni abbiamo E1 1 = e E d r ψ 1,, ( r) 2 r. Questa quantità è nulla, anzi possiamo dire in generale che qualsiasi termine del tipo n, l, m r n, l, m = d r ψ n,l,m ( r) 2 r è nullo. Infatti le ψ n,l,m, che sono date dal prodotto di una funzione di r per una Armonica sferica, hanno la parità di quest ultima, cioè ( 1) l. Il loro modulo quadro è sempre pari e l integrale è nullo essendo l integrale su tutto lo spazio di una funzione di parità negativa. Ovviamente questo è vero solo per la correzione al I ordine, in quanto il risultato esatto coincide con il valore medio della perturbazione negli stati esatti, stati che, rispetto a quelli imperturbati, sono stati modificati dalla presenza del campo elettrico e hanno perso le proprietà di simmetria. Questo fatto emerge dal calcolo della correzione al II ordine: E 2 1 = e 2 E 2 (n,l,m) (1,,) n, l, m r cos θ 1,, 2 E1. E n Il calcolo dell elemento di matrice di r cos θ tra gli stati dell atomo d idrogeno è importante anche per il seguito; per questo lo eseguiamo in tutta generalità nella rappresentazione delle coordinate. Utilizzando l espressione per le autofunzioni (2.26) otteniamo: n, l, m r cos θ n, l, m = d r R n,l (r) Yl,m(θ, ϕ) r cos θ R n,l (r) Y l,m (θ, ϕ) (2.27) = dr r 2 R n,l (r) rr n,l (r) dω Yl,m(θ, ϕ) cos θ Y l,m (θ, ϕ) (2.28) L integrazione sugli angoli può essere eseguita facilmente tenendo conto della relazione (l + m + 1)(l m + 1) cos θ Y l,m = a l,m Y l+1,m + a l 1,m Y l 1,m dove a l,m =, (2l + 1)(2l + 3) ottenendo dω Y l,m(θ, ϕ) cos θ Y l,m (θ, ϕ) = (a l 1,m δ l,l 1 + a l+1,m δ l,l+1) δ m,m Ne deriva che questi elementi di matrice sono nulli, a meno che m = m m = e l = l l = ±1. (2.29) Queste relazioni prendono il nome di regole di selezione; vedremo in seguito (Teoria delle perturbazioni dipendenti dal tempo) che le transizioni di dipolo elettrico sono possibili solo tra livelli di energia per i quali esse sono soddisfatte. Come abbiamo già notato [H 1, L z ] =,

22 16 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI cioè la perturbazione commuta con l operatore che etichetta la degenerazione, per cui, tenendo conto delle (2.21, 2.22), avremmo potuto dire subito che gli unici elementi di matrice diversi da zero sono quelli in cui m = m. Tornando al caso in esame, lo stato fondamentale, abbiamo l = e m =, e l integrale sugli angoli si riduce a 1 3 δ l,1 δ m,. In definitiva abbiamo ottenuto n, l, m r cos θ 1,, = 1 dr r 3 R n,l (r) R 1, (r). 3 Senza insistere sui calcoli, diamo semplicemente il risultato finale per la correzione al II ordine dello stato fondamentale: E 2 1 = 9 4 a E 2 (2.3) che è negativa, come ci aspettiamo. La correzione del II ordine dipende dal quadrato del campo elettrico; se si pensa che essa dipende dal prodotto scalare del momento di dipolo per il campo, questo vuol dire che il momento di dipolo è diventato a sua volta proporzionale al campo. Infatti il campo elettrico aumenta il momento di dipolo poiché contribuisce ad allontanare le cariche. Dal punto di vista quantistico questo è l effetto delle modifiche indotte nelle funzioni d onda e quindi nelle distribuzioni di probabilità Primo stato eccitato Come abbiamo visto, il principale effetto del campo elettrico sullo stato fondamentale di modificarne il livello di energia al II ordine. Questo non può in ogni caso spiegare la separazione delle linee spettrali, che sarebbero al più spostate. La moltiplicazione delle linee spettrali può essere attribuita, invece, al fatto che la degenerazione dei livelli per n > 1 non sopravvive alla presenza del campo elettrico esterno. Consideriamo il livello n = 2. In assenza del campo elettrico abbiamo quattro autofunzioni che corrispondono allo stesso autovalore E 2 = E 1 4, alle quali associamo 4 ket come segue: 1 ψ 2,, (r, θ, ϕ) = π a 2 2 ψ 2,1, (r, θ, ϕ) = π a 2 3 ψ 2,1,1 (r, θ, ϕ) = π a 2 4 ψ 2,1, 1 (r, θ, ϕ) = π a 2 (2 ra ) e r 2a (2.31) r a e r 2a cos θ (2.32) r a e r 2a sin θe ıϕ (2.33) r a e r 2a sin θe ıϕ (2.34) Come si è visto le correzioni al I ordine sono date dagli autovalori della matrice di H 1 nel sottospazio relativo al E 1. Possiamo utilizzare la numerazione degli stati per indicare gli elementi di questa matrice: (H 1 ) m,j = m H 1 j con m, j = 1, 2, 3, 4 Come abbiamo visto gli elementi di matrice diagonali sono nulli per motivi di parità. Inoltre, poiché vale la (2.19), tutti gli elementi di matrice relativi a autoket con differenti autovalori di L z sono nulli. Pertanto la matrice diventa (H 1 ) m,j = 1 H H 1 1,

23 2.4. LA STRUTTURA FINE 17 dove abbiamo indicato gli unici elementi diversi da zero. Due degli autovalori sono nulli e le altre due correzioni si ottengono dagli autovalori del primo blocco 2 2 della matrice ( ) 1 H 1 2 (2.35) 2 H 1 1 Poichè la matrice è hermitiana, gli elementi di matrice non nulli sono complessi coniugati, anzi uguali, essendo reali, Calcoliamoli: 1 H 1 2 = ee r 2 dr d cos θ dϕ ψ 2,, (r, θ, ϕ) r cos θ ψ 2,1, (r, θ, ϕ) ee 2π 1 = 16 2π a 3 dϕ d cos θ cos 2 θ dr r 3 r ( 2 r ) e r a a a 1 = ee 24 a dx x 4 (2 x) e x = 3 e E a. Per l ultimo passaggio abbiamo utilizzato l integrale dx x n e x = ( 1) n dn dα n dx e αx α=1 = ( 1) n dn 1 dα n α = ( 1) n ( 1)n n! = n! α=1 α=1 α n+1 Tornando alla matrice (2.35), essa è data da ( 3 e E a 3 e E a ). Si trova facilmente che i suoi autovalori sono dati da 3 e E a corrispondente all autovettore 1 2 ( 1 1 ) ) 3 e E a corrispondente all autovettore 1 2 ( 1 1 Riassumendo i risultati, il livello E 2, 4-volte degenere con autoket 2,,, 2, 1,, 2, 1, 1, 2, 1, 1, al I ordine perturbativo dà luogo a 3 livelli: E e E a non degenere corrispondente all autoket 1 2 ( 2,, 2, 1, ) E 2 2volte degenere corrispondente agli autoket 2, 1, 1, 2, 1, 1 E 2 3 e E a non degenere corrispondente all autoket 1 2 ( 2,, + 2, 1, ) Notiamo che l effetto Stark lineare, che abbiamo appena descritto, è presente solo nell atomo d idrogeno, in quanto negli atomi con molti elettroni non c è più la degenerazione in l. Permane invece l effetto Stark quadratico che abbiamo visto nel caso dello stato fondamentale al II ordine. 2.4 La struttura fine Il calcolo degli autovalori e delle autofunzioni dell Hamiltoniano dell atomo d idrogeno costituisce, anche se non si considerano campi esterni, solo una approssimazione di ordine zero in quanto, oltre all interazione coulombiana, che abbiamo considerato, esistono correzioni dovute a termini aggiuntivi di energia potenziale. Qui tratteremo due termini: Effetti relativistici Interazione spin-orbita.

24 18 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI Le correzioni dovute ad entrambi questi termini aggiuntivi dell hamiltoniano sono dette di - struttura fine e producono variazioni di ordine α 4 rispetto agli autovalori (2.26). In quest ultima espressione la velocità della luce è introdotta in maniera artificiale, nel senso che esplicitando il valore di α = e2 c, scompare la dipendenza da c, come ci si aspetta dato che i conti sono non relativistici. I nuovi termini, che ora andiamo a calcolare mediante l approccio perturbativo, hanno un origine relativistica che emerge proprio nella nuova dipendenza da α Correzioni all energia cinetica Ricordiamo che l espressione correntemente usata per l energia cinetica T = p2 2 m può essere considerata come un approssimazione per velocità piccole rispetto a c dell espressione relativistica: T = p 2 c 2 + m 2 c 4 Sviluppando in serie questa espressione ( ) T = mc p2 m 2 c 2 mc 2 + p2 2m p4 8m 3 c 2 dove abbiamo trascurato i termini di ordine superiore a ( p c )4. Il primo termine di energia a riposo contribuisce solo a ridefinire la costante arbitraria relativa all energia. Più interessante calcolare gli effetti di Notiamo che, poiché p4 H 1 = 8m 3 c 2. (2.36) ( ) 2 p 4 = 4m 2 H + e2 r commuta con L 2 e L z, la teoria perturbativa si riduce a quella non degenere, nel senso che le matrici di H 1 sono diagonali. Le correzioni al prim ordine dell energia sono date, quindi, da ET 1 = 1 8m 3 c 2 n, l, m p4 n, l, m ) 2 1 = n, l, m (H 2mc2 + e2 n, l, m r = 1 ((E n) ) 2 2mc 2 + 2E n n, l, m e2 e4 n, l, m + n, l, m n, l, m r r2 Utilizzando i risultati, che non saranno qui dimostrati, e 2 r e 4 n,l,m r 2 n,l,m = 2E n = 4(En) 2 n l + 1, 2 si ottiene il risultato finale ET 1 = 1 [ 2 m c2 α 4 3 ] 4n n 3 (l + 1) (2.37) Interazione spin-orbita L altra correzione di ordine α 4 è dovuta all interazione magnetica tra lo spin dell elettrone e il momento magnetico generato dal suo moto orbitale intorno al nucleo. In un riferimento solidale con il Centro di Massa del sistema elettrone-nucleo l elettrone non è fermo, ma si muove con

25 2.4. LA STRUTTURA FINE 19 una velocità che chiamiamo v. Nel sistema di riferimento a riposo dell elettrone il nucleo si muove con velocità v, generando un campo magnetico B = e c v r r 3 = e r p mc r 3 = e mc il quale interagisce con il momento magnetico dell elettrone µ e = e mc S con energia potenziale H SO = µ e B = e 2 2m 2 c 2 r 3 S L, da cui il nome di interazione spin-orbita. In realtà il risultato non avrebbe il 2 a denominatore. Questo fattore tiene conto della necessaria ulteriore trasformazione dal sistema di riferimento solidale con l elettrone (non inerziale) al sistema Centro di Massa. Esso è noto come fattore di Thomas, dal nome di chi lo ha scoperto, ed emerge naturalmente dall equazione di Dirac che ingloba la cinematica relativistica, al contrario dell equazione di Schrödinger. Notiamo, ora, che S L = 1 2 L r 3, [ ( S + L) ] 2 L 2 S2 = 1 2 [J 2 L 2 S 2 ]. H SO commuta, quindi, con gli operatori compatibili J 2, L 2, S 2 e conviene usare, per il calcolo dei valori medi che danno la correzione al I ordine, gli autoket comuni al momento angolare totale e all Hamiltoniano n, j, m j ; l; s, in modo che le matrici della perturbazione in questa base siano già diagonali: n, j, m j; l ; s H SO n, j, m j ; l; s = δ n,n δ j,j δ m,m δ l,l e 2 4m 2 c 2 [ 1 r 3 2 j(j + 1) l(l + 1) 3 ] n,l 4 Poiché il momento angolare totale è somma del momento orbitale dell elettrone e del suo spin abbiamo J = l ± 1 2, per cui E 1 SO = 2 e 2 4m 2 c 2 Poichè si trova che 1 r 3 = 1 n,l a 3 { 1 r 3 n,l l se j = l (l + 1) se j = l ( mcα ) 3 1 n 3 l(l )(l + 1) = n 3 l(l )(l + 1), abbiamo il risultato finale ESO 1 = 1 4 mc2 α 4 1 n 3 l(l )(l + 1) { l se j = l (l + 1) se j = l 1 2 (2.38) Si noti che, sebbene per l = accada che 1 r n,l diverge, mentre S L si annulla, la (2.38) dà in 3 questo limite il corretto spostamento dei livelli anche in questo limite, anche se questo può essere dimostrato solo tramite l equazione di Dirac. Questo risultato dà una buona approssimazione per la struttura fine anche per atomi a più elettroni, purché si effettui la sostituzione: e 2 r 3 dove V è l energia potenziale media sentita dall elettrone dello stato considerato. n,l 1 r dv dr. n,l

26 2 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI 2.5 Perturbazione istantanea Supponiamo che l Hamiltoniano di un sistema cambi in un breve intervallo di tempo ϵ cos breve che la variazione possa essere considerata istantanea. H H = H + H 1 dove H e H 1 non dipendono dal tempo. Cosa succede al vettore di stato? Se la perturbazione ha avuto luogo nell intervallo [ ϵ 2, + ϵ 2 ], possiamo integrare sul tempo l equazione di Schrödinger ı ψ(t) = H ψ(t), t ( ψ + ϵ ) ( ψ ϵ ) = ı ϵ 2 ϵ 2 H ψ(t) dt. Nel limite ϵ, a meno che l integrando non sia singolare in t =, otteniamo ψ( + ) = ψ( ), cioè una perturbazione istantanea non modifica il vettore di stato. Tuttavia il cambiamento dell Hamiltoniano fa sì che negli istanti successivi l evoluzione dello stato sia diversa. Supponiamo che inizialmente il sistema sia nello stato n, autoket di H ; solo nell istante della perturbazione lo stato sar ancora n, ma subito cambierà, poichè sarà H e non H a controllare l evoluzione dello stato. Supponiamo di fare, immediatamente dopo la perturbazione, una misura di energia, cioè di H. Avremo come risultato un suo autovalore E k e poiché n = k k k n, la probabilità della misura E k, e quindi la probabilità di transizione n k, è data da P n k = k n 2. Questo risultato non dipende da quanto H 1 sia grande rispetto a H. Tuttavia se H 1 è piccolo, possiamo applicare allo stato k del sistema dopo la misura la teoria perturbativa indipendente dal tempo al I ordine: k = k + k H 1 m E m k k m. E m Per calcolare la probabilità di transizione, moltiplichiamo scalarmente per n : k n = k n + m k k H 1 m E k E m La probabilità di transizione a stati k n è, dunque: P n k = k H 1 n 2 Ek E. n m n = δ k,n + k H 1 n E k E n (1 δ k,n ) Notiamo che la probabilità di trovare l energia E n è 1, quindi le probabilità non sono a somma unitaria. Sul piano matematico, questo si spiega per il fatto che in termini in H 1 sono considerati infinitesimi del I ordine. Poichè espressioni simili si utilizzando in Fisica anche per termini finiti, il problema viene risolto rinormalizzando la probabilità.

27 2.6. PERTURBAZIONI DIPENDENTI DAL TEMPO Perturbazioni dipendenti dal tempo Nei casi finora considerati, di Hamiltoniani non dipendenti dal tempo, la conoscenza dell evoluzione di uno stato stazionario del sistema, cioè di risolvere l equazione di Schrödinger ı ψ(t) = H ψ(t), t si ottiene tramite la soluzione del problema agli autovalori di H: H n = E n n. La conoscenza dello stato al tempo t= del sistema, ψ(), come sovrapposizione degli autoket n ψ() = c n n dove c n = n ψ() n ne garantisce la conoscenza ad un istante t qualsiasi ψ(t) = n Ent ı c n e n. (2.39) In particolare, se ψ() = n, il sistema resterà sempre nello stesso stato (a parte il fattore di fase). Se H = H(t) questo approccio non è più possibile e la soluzione del problema presenta un elevato grado di complessità. Noi cercheremo una soluzione approssimata a questo problema nell ambito dell approccio perturbativo, cioè quando è possibile scrivere H(t) = H + H 1 (t) (2.4) dove H, l Hamiltoniano imperturbato, non dipende dal tempo e di esso si conosce la soluzione dell equazione agli autovalori (2.3), mentre H 1 (t è un termine (la perturbazione) dipendente dal tempo che può essere considerata piccola rispetto ad H (nel senso, come si è già visto, che gli elementi di matrice m H 1 n sono piccoli rispetto agli autovalori di H ) Teoria perturbativa al I ordine La principale questione alla quale siamo interessati non tanto quella di determinare autovalori ed autoket di H, quanto la seguente: Se sappiamo che al tempo t = il sistema si trova nello stato i, con quale probabilità esso si troverà nello stato f (ancora autostato di H ) al tempo t >? Dato che gli autoket n costituiscono un sistema ortonormale completo, ad ogni istante t possiamo considerare lo sviluppo in questa base del generico ket di stato: ψ(t) = n c n (t) n. (2.41) Come abbiamo visto, in assenza di H 1,avremmo c n (t) = c n () e ı E n t, dove i coefficienti c n () sono costanti. Poiché la presenza di H 1 modifica nel tempo i fattori di fase, ora scriviamo c n (t) = d n (t) e ı E n t, e i coefficienti d n (t) saranno ora funzioni del tempo.

28 22 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI Riscriviamo, pertanto, il generico ket di stato (2.42) ψ(t) = n d n (t)e ı E n t n. (2.42) e imponiamo che esso sia soluzione dell equazione di Schrödinger. Abbiamo: ı t ψ(t) = ı d n (t)e ı E t H ψ(t) = (H + H 1 ) n n n t d n (t)e ı E n = n n t (ı d n + End n )e ı E n t n n = n E nd n e ı E n t n + n d n e ı E n t H1 n. Uguagliando i due termini abbiamo: ı d n e ı E e, moltiplicando ambo i membri per si ottiene: n n t ı d f = n dove abbiamo introdotto la frequenza n = n f e ı E f t d n e ı E n t H1 n, d n f H 1 n e ıω f,nt, (2.43) ω f,n = E f E n. Con il risultato (2.43) siamo riusciti a trasformare l equazione di Schrödinger in un sistema di equazioni differenziale del I ordine nelle funzioni {d f (t)}. Questo sistema si presta ad essere risolto in modo perturbativo. Abbiamo supposto che all istante t = il sistema è nello stato i, quindi, dalla (2.42) d n () = δ n,i. Consideriamo l ordine zero per la (2.43); poiché il secondo membro è del I ordine in H 1, esso può essere trascurato, cioè d f = d f = costante = δ f,i, come è naturale, dato che all ordine zero H 1 non esiste e un autoket di H non può cambiare. Al I ordine, nel secondo membro di (2.43) dobbiamo approssimare il fattore d n (t) con il suo ordine, δ f,i : d f = ı f H 1 i e ıω f,it che può essere risolta in: d f (t) d f () = ı e, tenendo conto delle condizioni iniziali, t dτ f H 1 (τ) i e ıω f,iτ d f (t) = δ f,i ı t dτ f H 1 (τ) i e ıω f,iτ. (2.44) Fermiamoci a questo risultato, anche se, in modo iterativo, si potrebbe proseguire il calcolo agli ordini successivi.

29 2.6. PERTURBAZIONI DIPENDENTI DAL TEMPO 23 Notiamo che, per garantire coerenza alla sviluppo perturbativo, occorre che d f (t) 1 f i, visto che all ordine zero abbiamo approssimato d n (t) con d i = 1. Infine, la probabilità di trovare all istante t il sistema in un qualsiasi stato f = i è data da P i f (t) = c f (t) 2 = d f (t) e ı E f t 2 = d f (t) 2 P i f (t) = 1 t 2 2 dτ f H 1 (τ) i e ıω f,iτ (2.45) che viene detta probabilità di transizione al I ordine dallo stato iniziale i allo stato f Perturbazione periodica Consideriamo il caso di un sistema sottoposto a partire dall istante t = a perturbazione periodica del tipo H 1 (t) = H 1 e ıωt (2.46) dove H 1 non dipende dal tempo. L ampiezza di transizione dallo stato i allo stato f con f i,è data, al I ordine, da d f (t) = ı t dτ f H 1 i e ı(ω f,i ω)τ = ı (H 1) f,i e ı(ω f,i ω)t 1 ı(ω f,i ω) = (2.47) = ı (H 1) f,i e ı(ω f,i ω)t/2 eı(ωf,i ω)t/2 e ı(ω f,i ω)t/2 t = (2.48) 2ı(ω f,i ω)t/2 = ı (H 1) f,i e ı(ω f,i ω)t/2 sin(ω f,i ω)t/2 (ω f,i ω)t/2 t (2.49) dove abbiamo posto (H 1 ) f,i = f H 1 i. La probabilità di transizione data dal modulo quadro dell ampiezza: P i f (t) = d f (t) 2 = 1 [ ] 2 2 (H 1) f,i 2 sin(ωf,i ω)t/2 t 2 (ω f,i ω)t/2 La funzione sin2 x x è piccata nell origine e assume valori importanti nell intervallo [ π, π]. Il 2 sistema quindi avrà con maggiore probabilità transizioni verso stati per i quali (ω f,i ω)t/2 π 2π E f E i E f E i [ ω 2π t t ωt 2π, ω + 2π t Quindi, se t è piccolo si possono avere transizioni probabili con Ef E i qualsiasi. Quando t 2π ω vengono preferite le transizioni con E f E i ω. L interpretazione che si può dare è che la natura periodica della perturbazione e la sua frequenza non possano essere comprese dal sistema se non trascorre un tempo pari ad alcuni periodi 2π ω. Solo dopo il sistema è in grado di acquisire l informazione e comportarsi di conseguenza passando ad uno stato di energia Ef = E i + ω, cioè assorbendo un quanto di energia corrispondente alla frequenza ω. A questo punto è opportuno notare che l espressione (2.46) usata per la perturbazione non ha senso sul piano fisico in quanto corrisponde ad un energia potenziale complessa. Tuttavia essa può essere pensata come una parte di un termine reale tipo e ıωt + e ıωt H 1 cos ωt = H 1. 2 ]

30 24 CAPITOLO 2. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI Come abbiamo visto il termine proporzionale a e ıωt provoca assorbimenti di un quanto ω, il termine e ıωt dà transizioni con emissione dello stesso quanto, come è possibile verificare cambiando nelle formule precedenti ω in ω. In questo caso si parla di emissione stimolata. Modifichiamo la trattazione precedente al fine di calcolare una probabilità di transizione per unità di tempo. Nel calcolo (2.47) supponiamo che la perturbazione sia attiva per un intervallo di tempo tra T 2 e T 2 con T : d f (t) = lim T ı (H 1) f,i T 2 T 2 dτ e ı(ω f,i ω)τ = 2πı (H 1) f,i δ(ω f,i ω) Per la probabilità di transizione calcoliamo il modulo quadro: P i f = 4π2 2 (H 1) f,i 2 δ(ω f,i ω) δ(ω f,i ω) Per evitare il quadrato della funzione delta, riscriviamolo nella forma= δ(ω f,i ω) δ(ω f,i ω) = lim T δ(ω f,i ω) 1 2π T 2 T 2 dτ e ı(ω f,i ω)τ Quando quest espressione compare in un integrazione su ω, la δ valuterà la funzione integranda per ω = ω f,i, possiamo quindi farlo per l integrale a destra: δ(ω f,i ω) δ(ω f,i ω) = δ(ω f,i ω) lim T Se adesso sostituiamo questa espressione nell espressione per P i f e dividiamo per T prima di procedere al limite, otteniamo la probabilità di transizione per unità di tempo: T 2π R i f = 2π (H 1) f,i 2 δ(e f E i ω), (2.5) dove si è tenuto conto della relazione δ(x/ ) = δ(x). L espressione (2.5) prende il nome di Regola d oro di Fermi da colui che l ha ricavata. Nel caso particolare delle transizioni negli atomi dovute ad un campo di dipolo elettrico H 1 = µ e E, dove E è una funzione periodica del tempo, è opportuno ricordare che le uniche transizioni possibili sono quelle che soddisfano le regole di selezione precedentemente trovate (2.29).

31 Bibliografia [1] S. Flügge. Practical Quantum Mechanics, volume I e II. Springer Verlag Berlin, [2] R. Shankar. Principles of Quantum Mechanics. Plenum Press New York, ii edition, [3] A. Messiah. Mecanique Quantique, volume I e II. Dunod Paris,

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