Appunti del corso di. ELABORAZIONE NUMERICA dei SEGNALI. PARTE B bozza 19/09/2011. Ciro Cafforio

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1 Politecnico di Bari Corso di Laurea magistrale in Ingegneria Elettronica Appunti del corso di ELABORAZIONE NUMERICA dei SEGNALI PARTE B bozza 19/09/2011 Ciro Cafforio Anno Accademico

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3 Indice Capitolo 1. Filtri di Wiener e filtri adattativi Metodo dei minimi quadrati Filtri di Wiener Filtri ai minimi quadrati adattativi 12 Capitolo 2. Trasformate Rappresentazioni di un segnale Sequenze base sinusoidali Trasformata di Walsh-Hadamard Codifica a trasformate Trasformata di Karhunen-Loève Trasformata di Hilbert Trasformata chirp-z Wavelet 29 Capitolo 3. Elaborazione di segnali 2D Sistemi bidimensionali Campionamento DFT a due dimensioni 50 Capitolo 4. Applicazioni 1D Segnale vocale Quantizzazione non uniforme Codifica differenziale Vocoder e codifica a predizione lineare Sub band coding Quantizzatori sigma-delta 70 Capitolo 5. Applicazioni 2D Tomografia Codifica televisiva 78 3

4 CAPITOLO 1 Filtri di Wiener e filtri adattativi 1.1. Metodo dei minimi quadrati Facciamo un esempio semplice, in modo da familiarizzarci con la notazione. Consideriamo la retta che approssimi al meglio l andamento di una serie di punti nel piano. I dati (punti nel piano) sono costituiti da coppie di numeri relativi al valore ed all istante in cui il valore è stato misurato. Il valore si suppone noto con precisione limitata, cosa che si può esprimere dicendo che il valore misurato è il valore ideale con addizionato del rumore. Il valore relativo all istante t k si può rappresentare come z k = z k + n k dove z k è il valore ideale, n k è il rumore (o errore) sovrapposto e ẑ k è il valore misurato. Il modello che si vuole fittare è del tipo ẑ k = a + b t k In presenza di più misure, il sistema di equazioni diventa a + b t 1 = z 1 a + b t 2 = z 2 (1.1.1) a + b t N = z N Il problema consiste nel determinare i coefficienti a e b in modo che il modello descriva correttamente le misure. Se c è una misura da soddisfare, ci sono infinite coppie di valori che garantiscono errore nullo. Se il numero di punti misurati è pari a 2, la soluzione ad errore nullo potrebbe essere unica (2 incognite e 2 equazioni). Se il numero di punti è maggiore, o molto maggiore, di 2 non esiste una soluzione che soddisfi tutte le misure: in tal caso si deve cercare la coppia di valori che, pur non soddisfacendo esattamente nessuna misura in particolare, le soddisfa tutte al meglio secondo un criterio determinato. Un criterio molto utilizzato (il primo ad utilizzarlo fu Gauss) è quello dello scarto quadratico medio tra i valori predetti dal modello ed i valori misurati: e k = z k ẑ k = z k a b t k E 2 = N e 2 k = min k=1 4

5 1.1. METODO DEI MINIMI QUADRATI 5 La soluzione si ottiene risolvendo il sistema di equazioni { E 2 / a = 0 E 2 / b = 0 Il problema si può descrivere molto compattamente utilizzando una notazione matriciale. L equazione (1.1.1) si può scrivere compattamente come dove ẑ 1 ẑ 2 ẑ 3 Yx = z 1 t 1 1 t 2 1 t 3 [ ] z = a., x =, Y = b.. ẑ N 1 t N Il vettore errore è dato da e = z Yx con e = [ e 1 e 2 e 3 e N ] T dove la T indica trasposizione. La somma dei quadrati degli elementi di e (la sua norma quadratica) è pari a (1.1.2) E 2 = e T e = (z Yx) T (z Yx) La terna ottimale di valori è quella che corrisponde al minimo di e, cioé quella che ne azzera il gradiente rispetto ad x: E 2 (1.1.3) x = ( z T z z T Yx x T Y T z + x T Y T Yx ) = 2Y T z + 2Y T Yx = 0 x L equazione (1.1.3) si ottiene ricordando la definizione di gradiente [ ] T f f x = f f f x 1 x 2 x 3 x N che e ( x T Y T z ) = x x zt Yx = Y T z ( x T Y T Yx ) = 2Y T Yx x I pesi ottimali si ottengono, quindi, mediante le equazioni x = ( Y T Y ) 1 YT ẑ Nel caso dell esempio di fit di una retta ad una serie di punti nel piano, il risultato è [ ] [ a N N = k=1 t ] 1 [ N k k=1 z ] k b N k=1 t N k k=1 t kz k N k=1 t2 k

6 1.2. FILTRI DI WIENER 6 Questo nell ipotesi che tutti gli errori siano di pari peso. Se si vuole pesare diversamente i vari errori, è necessario modificare l equazione (1.1.2) con l inserimento di una matrice di pesatura, reale, simmetrica e definita positiva: E 2 = (z Yx) T W (z Yx) In tal caso il gradiente dell errore pesato, da azzerare, si può scrivere E 2 x = 2YT Wz + 2Y T WYx = 0 e, quindi, i pesi ottimali sono (1.1.4) x = ( Y T WY ) 1 Y T Wz Se i campioni di rumore aggiunti alle misure si modellano come variabili casuali a valor medio nullo e matrice di correlazione R = E [ nn T ], come matrice di pesatura si può prendere W = R 1 per pesare meno gli errori dovuti a rumore con deviazione standard maggiore Filtri di Wiener Poniamoci ora un problema apparentemente totalmente scollegato da quanto visto finora. Si consideri un segnale y(n) dal quale si voglia ottenere, mediante filtraggio, la migliore approssimazione di un segnale desiderato x(n). L equazione che descrive il funzionamento di un filtro (discreto perché consideriamo segnali campionati) è la classica convoluzione discreta L 1 (1.2.1) ˆx (n) = h (k) y (n k) k=0 dove c è ˆx perché si ritiene che l operazione di filtraggio non potrà in genere produrre il risultato cercato, ma potrà solo approssimarlo MMSE (Minimo errore quadratico medio). Wiener propose, come metodo per progettare il filtro ottimale, la minimizzazione dell aspettazione del quadrato dell errore tra segnale desiderato e segnale stimato min E [ (x (n) ˆx (n)) 2] h La soluzione si ottiene risolvendo il seguente sistema di equazioni ( ) L 1 2 h (m) E x (n) h (k) y (n k) = 0, m = 0,, L 1 k=0 [ ( )] L 1 E y (n m) x (n) h (k) y (n k) = 0, m = 0,, L 1 k=0

7 e, infine, (1.2.2) 1.2. FILTRI DI WIENER 7 L 1 h (k) r yy (m k) = r yx (m), m = 0,, L 1 k=0 o, con notazione matriciale (1.2.3) R yy h = r yx con il significato dei simboli facilmente desumibile da un confronto tra la (1.2.2) e la (1.2.3). Con la stessa notazione σ 2 e = E [ (x (n) ˆx (n)) 2] = r xx (0) 2h T r yx + h T R yy h e il valore minimo di tale errore vale (1.2.4) σ 2 e min = r xx (0) h T r yx = r xx (0) h T R yy h Interpretazione dell errore residuo. Il termine h T R yy h nell equazione (1.2.4) è la varianza σ2ˆx del segnale all uscita del filtro e, perciò σe 2 min = σx 2 σ 2ˆx Il segnale y sarà costituito da un termine correlato con il segnale desiderato x e che possiamo indicare con x c, con del disturbo sovrapposto y (n) = x c (n) + d (n) L errore si può scrivere ( ) L 1 L 1 e (n) = x (n) h (k) x c (n k) h (k) d (n k) = e c (n) + e d (n) k=0 Supponendo che i valori medi dei segnali in gioco siano nulli, poiché è logico ritenere il disturbo incorrelato con il segnale k=0 σ 2 e = σ 2 e c + σ 2 e d È evidente che l errore che si può pensare di ridurre è solo e c, che potrebbe azzerarsi solo se x c è legato ad x da una trasformazione lineare invertibile con un filtro con risposta all impulso lunga L campioni Funzione di trasferimento del filtro di Wiener. La funzione di trasferimento del filtro ottimo di Wiener è immediatamente ottenibile dalla (1.2.2), poiché la trasformata di Fourier dell autocorrelazione è la densità spettrale di potenza, la trasformata della correlazione mutua è il cross-spettro e a convoluzione nel tempo corrisponde prodotto nelle frequenze H (f) P yy (f) = P yx (f) H(f) = P yx (f) P yy (f)

8 1.2. FILTRI DI WIENER BLS (minimi quadrati a blocchi). Lo stesso problema può, però, essere affrontato utilizzando i concetti e la notazione della sezione precedente. Infatti, la (1.2.1) può rappresentarsi in termini matriciali, se e come h = [ h 0 h 1 h 2 h L 1 ] T y n = [ y (n) y (n 1) y (n 2) y (n L + 1) ] T (1.2.5) ˆx (n) = y T n h con Se si considerano più campioni successivi, l equazione (1.2.5) diventa e (1.2.6) Y = y T n y T n+1 y T n+2. y T n+n ˆx = Yh ˆx = [ ˆx (n) ˆx (n + 1) ˆx (n + 2) ˆx (n + N) ] T y (n) y (n 1) y (n 2). y (n L + 1) y (n + 1) y (n) y (n 1). y (n L + 2) = y (n + 2) y (n + 1) y (n). y (n L + 3) y (n + N) y (n + N 1) y (n + N 2). y (n L + N + 1) A questo punto, considerando il fatto che il modello non consentirà l esatta trasformazione di y (n) in x (n), ma che ci sarà un errore residuo e = x ˆx Si ripropone la situazione considerata nella sezione precedente: (1.2.7) E 2 = (x Yh) T (x Yh) = min (1.2.8) E 2 h = 2YT x + 2Y T Yh = 2Y T (x Yh) = 2Y T e = 0 Il risultato sarà, ricalcando la (1.1.4): (1.2.9) h = ( Y T Y ) 1 Y T x Il valore minimo dell errore quadratico sarà E 2 min = x T x x T Yh = x T [ I Y ( Y T Y ) 1 Y T ] x 0

9 1.2. FILTRI DI WIENER 9 Analizziamo ora il significato di Y T Y e di Y T x, osservando che moltiplicare entrambi per uno stesso fattore non cambia l equazione (1.2.9): NP NP NP y 2 (n+k) y(n+k)y(n+k 1) y(n+k)y(n L+1+k) k=0 k=0 k=0 Y T Y = 1 P N k=0 N + 1 y(n 1+k)y(n+k) P N NP k=0 y2 (n 1+k) y(n 1+k)y(n L+1+k) = k=0... NP NP NP y(n L+1+k)y(n+k) y(n L+1+k)y(n+k 1) y 2 (n L+1+k) = k=0 k=0 ˆr yy (0, n) ˆr yy (1) ˆr yy (L 1) ˆr yy (1) ˆr yy (0, n 1) ˆr yy (L 2)... ˆr yy (L 1) ˆr yy (L 2) ˆr yy (0, n L + 1) k=0 = ˆR yy In presenza di un processo stazionario ed ergodico, almeno limitatamente alla correlazione, per N le stime ˆr yy tenderebbero, in probabilità 1, ai valori dell autocorrelazione lim N 1 N + 1 In modo simile N y (n m + k) y (n + k) = r yy (m) = E [y (n m) y (n)] k=0 Y T x = 1 N + 1 NP y(n+k)x(n+k) k=0 P N k=0 y(n 1+k)x(n+k). NP y(n L+1+k)x(n+k) k=0 = ˆr yx con considerazioni simili per N. Si verifica, quindi, la convergenza tra l equazione (1.2.9) e la (1.2.3) Interpretazione vettoriale dei filtri di Wiener. Da quanto detto finora emerge che la stima ˆx del segnale obiettivo è un vettore di N elementi ed è una media pesata, con pesi costituiti dai campioni di h, delle L colonne della matrice Y che, dalla (1.2.6), sono vettori di lunghezza N costituiti da elementi contigui del segnale y. Un vettore di lunghezza N può individuare un punto in uno spazio a N dimensioni. Un insieme di L vettori, viceversa, individua uno spazio, o meglio un sottospazio (se L < N) dello spazio N-dimensionale, di dimensionalità L. Il vettore ˆx, perciò, appartiene al sottospazio L-dimensionale, ma non è detto che a tale sottospazio appartenga anche x. I filtri alla Wiener identificano, nel sottospazio L-dimensionale, il punto a distanza minima dal punto nello spazio N-dimensionale identificato da x. Quindi ˆx può considerarsi la proiezione sul sottospazio L-dimensionale identificato dalle colonne di Y del puntox nello spazio N-dimensionale.

10 1.2. FILTRI DI WIENER 10 c 3 x V 2 x^ c 2 V 1 c 1 Figura Esempio di proiezione su sottospazio per N = 3 ed L = RLS (Minimi quadrati recursivi). Per avere buoni risultati statistici è ovviamente necessario che il blocco di dati utilizzato sia grande, ma questo implica un ritardo elevato nel processing, visto che è necessario accumulare tutta la matrice Y prima di procedere. Si può, però, utilizzare un blocco molto grande di dati spezzandolo in blocchi più piccoli ed effettuando il rpocessing strada facendo senza rinunciare a stime statisticamente più stabili all aumentare dei dati utilizzati (sempre che il processo rimanga stazionario per tutto il tempo). La matrice dei dati sia segmentata come in figura Dopo un primo blocco di dati Y 1 il vettore di parametri stimato sia h 1 = ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 1 x 1 Dopo l arrivo di un blocco successivo Y 2, il nuovo vettore stimato in base alla totalità dei dati disponibili è h 2 = ( [ Y1 Y 2 ] T [ Y1 Y 2 ]) 1 [ Y1 Y 2 ] T [ x1 x 2 ] = (1.2.10) = ( Y T 1 Y 1 + Y T 2Y 2 ) 1 ( Y T 1 x 1 + Y T 2x 2 )

11 1.2. FILTRI DI WIENER 11 Y 1 Y 2 Y 2 Y 3 Y 3 Y 4 Y 4 Figura Matrice dei dati Y segmentata. Grazie al lemma sull inversione di una matrice, che dice (basta verificare che il prodotto delle matrici è la matrice identità 1 ) che (A + BCD) 1 = A 1 A 1 B ( C 1 + DA 1 B ) 1 DA 1 l equazione (1.2.10) si può riscrivere, ponendo A = Y1 T Y 1, B = Y2 T, D = Y 2 e C = I: [ (Y ) T 1 ( ) ( h 2 = 1 Y 1 Y T 1 ( ) ) ] 1 Y 1 Y T 2 I + Y 2 Y T 1 1 ( ) 1 Y 1 Y T 2 Y 2 Y T 1 1 Y 1 (Y T 1 x 1 + Y T 2x 2 ) = = ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 1 x 1 + ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 2 x 2 + ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 2 (I + Y 2 ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 2 ) 1 Y 2 ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 1 x 1 + ( ) Y1 T 1 ( ) ) Y 1 Y T 2 (I + Y 2 Y T 1 1 ( ) 1 Y 1 Y T 2 Y 2 Y T 1 1 Y 1 Y T 2 x 2 = [( ( ) ) = h 1 K 2 Y 2 h 1 + K 2 I + Y 2 Y T 1 ( ) ] 1 Y 1 Y T 2 Y 2 Y T 1 1 Y 1 Y T 2 x 2 = = h 1 + K 2 (x 2 Y 2 h 1 ) con K 2 matrice dei guadagni del metodo dei minimi quadrati recursivi: K 2 = ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 2 ( I + Y 2 ( Y T 1 Y 1 ) 1 Y T 2 ) 1 Naturalmente la procedura si può ripetere recursivamente all arrivo di un nuovo blocco di dati h n = h n 1 + K n (x n Y n h n 1 ) ( (A + BCD) A 1 A 1 B ( C 1 + DA 1 B ) ) 1 DA 1 = 1 = I + BCDA 1 B ( C 1 + DA 1 B ) 1 DA 1 BCDA 1 B ( C 1 + DA 1 B ) 1 DA 1 = = I + BCDA 1 BC ( C 1 + DA 1 B ) ( C 1 + DA 1 B ) 1 DA 1 = I

12 1.3. FILTRI AI MINIMI QUADRATI ADATTATIVI 12 con e K n = ( Y T n 1Y n 1 ) 1 Y T n ( I + Y n ( Y T n 1 Y n 1 ) 1 Y T n ) 1 ( Y T n Y n ) 1 = ( Y T n 1 Y n 1 ) 1 Kn Y n ( Y T n 1 Y n 1 ) Pesatura per la covarianza dell errore di stima Filtri ai minimi quadrati adattativi Metodo del gradiente. La soluzione dell equazione (1.2.7) piò essere trovata iterativamente con il metodo del gradiente, partendo da un vettore iniziale h 0 ed avvicinandosi al risultato con passi successivi h k+1 = h k µ E 2 (h k ) = h k + 2µ (r yx R yy h k ) h Per un processo stazionario il valore ottimale di h è h opt = R 1 yy r yx e, perciò, se con h k = h k h opt ondochiamo l errore tra la stima al passo k ed il valore ottimalem si può scrivere h k+1 = h k R 1 yy r yx + 2µR yy ( R 1 yy r yx h k ) = [I 2µRyy ] h k Come noto, il procedimento risente molto del valore numerico assegnato al parametro µ: se è grande il processo iterativo converge velocemente, ma può risultare instabile; se è piccolo la stabilità è garantita, ma la convergenza è lenta. Si possono fare con relativa facilità delle considerazioni che portano a stabilire un limite superiore per µ. Poiché R yy è una matrice di Toepliz, essa ha autovalori reali, positivi o nulli, e può essere espressa in termini della matrice ortogonale formata dagli autovettori e di una matrice diagonale con gli autovalori e Perciò R yy = QΛQ T h k+1 = [ I 2µQΛQ T] hk Q T hk+1 = [I 2µΛ] Q T hk poiché Q T Q = I e Λ è una matrice diagonale. Ponendo ν k = Q T hk (1.3.1) ν k+1 = [I 2µΛ] ν k poiché sia I che Λ sono diagonali, la (1.3.1) si può esprimere in termini dei singoli elementi del vettore errore ν k ν k+1 (i) = [1 µλ (i)] ν k (i)

13 1.3. FILTRI AI MINIMI QUADRATI ADATTATIVI 13 con λ (i) i-esimo autovalore della matrice di autocorrelazione del segnale y. La condizione per la stabilità del processo iterativo è che, per tutti gli i sia verificata la relazione 1 < 1 2µλ (i) < 1 Di conseguenza, per la stabilità della recursione, dovrà essere 0 < µ < 1 λ max Siccome ogni elemento di h evolverà con il suo autovalore, ci sarà uno spread nella velocità di convergenza dipendente dallo spread degli autovalori della matrice di autocorrelazione spread autovalori = λ max λ min Siccome R è una matrice di Toepliz λ (i) = traccia (R) = Lσ 2 y con σ 2 y = E [y 2 ]. Poiché λ max < λ (i), il vincolo su µ si può esprimere anche come 0 < µ < 1 Lσ 2 y In conclusione, il metodo del gradiente applicato alla soluzione della (1.2.7) porta al seguente algoritmo iterativo: h k+1 = h k + 2 (r Lσy 2 yx R yy h k ) che richiede ancora la valutazione del gradiente dell errore e, quindi, della matrice di autocorrelazione Filtri Least Square Error. L algoritmo LSE ricalca quello già visto con il metodo del gradiente, ma l aggiornamento della stima della risposta all impulso del filtro viene aggiornata ad ogni nuovo campione del segnale e del segnale di riferimento. Nel paragrafo precedente si usava il gradiente dell errore mediato; nell algoritmo LSE si usa l errore puntuale e (m) = x (m) j h (j) y (m j) = x (m) y T mh m h m+1 = h m µ E 2 (m) h E 2 (m) = ( x (m) y T mh ) 2 = h m + 2µ ( ) x(m)y m ymh T m y m = hm + 2u e (m) y Lσy 2 m, 0 < u < 1 Di y (n) ora serve solo conoscere (stimare) la varianza.

14 1.3. FILTRI AI MINIMI QUADRATI ADATTATIVI Filtri RLS adattativi. Particolareggiando la (1.2.10) al caso in cui il nuovo blocco di dati è costituito da un solo campione (per cui la recursione avviene ad ogni nuovo campione), si ha con ( [ ] T [ ] ) 1 [ ] T [ ] Yk Yk Yk x h k+1 = k yk+1 T yk+1 T yk+1 T = x (k + 1) = ( ) Yk T Y k + y k+1 yk+1 T 1 ( Y T k x k + y k+1 x (k + 1) ) h 1 = ( ) y 1 y1 T 1 y1 x (1) Utilizzando il lemma sulla matrice inversa, si ottiene ( ) h n = h n 1 + K n x (n) y T n h n 1 con ( ) Y T 1 K n = n 1 Y n 1 yn ( ) I + yn T Y T 1 n 1 Y n 1 yn e ( ) Y T 1 ( ) n Y n = Y T 1 ( ) n 1 Y n 1 Kn yn T Y T 1 n 1 Y n 1 Se si vuole introdurre un decadimento esponenziale della memoria dell algoritmo, bisogna moltiplicare per λ 1 (con 0 < λ < 1) tutti termini ( ) Yn 1Y T 1 n 1 che appaiono nelle formule precedenti.

15 CAPITOLO 2 Trasformate 2.1. Rappresentazioni di un segnale Un segnale campionato viene normalmente rappresentato come una serie numerica i cui elementi sono i valori dei campioni del segnale. Questa rappresentazione si presta ad una descrizione mediante le sequenze delta di Kronecker, come già visto nella prima parte del corso quando si sono introdotti i sistemi lineari discreti: (2.1.1) f (n) = k f (k) δ (k n) Consideriamo un segnale di lunghezza finita, rappresentato da una sequenza numerica con un numero finito di elementi: f (n) con 0 < n < N 1. La sequenza numerica può essere descritta mediante un vettore con N elementi, il quale si può pensare che individui un punto in uno spazio N-dimensionale: i campioni rappresentano le componenti lungo le direzioni coordinate. Con riferimento alla (2.1.1) si può descrivere la sequenza f (n) come somma pesata di sequenze base δ (k n) le quali individuano le coordinate dello spazio e possono essere equiparate ai versori della geometria classica. Le funzioni delta di Kronecker sono estremamente localizzate nel dominio di definizione della sequenza di campioni e ciò può essere uno svantaggio nel caso si voglia trasmettere la sequenza, o nel caso si voglia identificare al suo interno regolarità di qualche tipo o strutture particolari. A titolo di esempio, con riferimento al problema della trasmissione, se le ampiezze di alcune di tali funzioni base risultassero mancanti al terminale ricevente, questo sarebbe impossibilitato a ricostruire alcuni segmenti della sequenza: ci sarebbero dei vuoti nella sequenza ricostruita. Se, però, si potessero utilizzare delle sequenze base r k (n) diverse, che si estendano su tutto l intervallo di definizione (2.1.2) f (n) = k a(k) r k (n) la mancanza di alcuni termini nella (2.1.2) produrrebbe sicuramente una ricostruzione ˆf (n) affetta da errore, ma almeno senza vuoti. Le sequenze r k (n) devono soddisfare alcune condizioni per poter essere utilizzate come sequenze base: una loro combinazione con pesi opportuni deve poter descrivere una qualsiasi sequenza, cioé devono costituire una base completa. Una proprietà molto utile, ma 15

16 2.1. RAPPRESENTAZIONI DI UN SEGNALE 16 non indispensabile, è l ortogonalità delle sequenze base, cioé: c 2 (2.1.3) r j (n) rk (n) = c 2 k, j = k kδ (j k) = n 0, j k dove l asterisco denota complessa coniugazione e c 2 k è l energia della sequenza r k. Se le sequenze ortogonali vengono normalizzate in modo da avere energia unitaria, si ottengono delle sequenze base ortonormali ϕ k (n) = r k (n) c k per le quali 1, j = k (2.1.4) ϕ j (n) ϕ k (n) = δ (j k) = n 0, j k Se si usano le ϕ k ovviamente la (2.1.2) va modificata (2.1.5) f (n) = k b(k) ϕ k (n) Calcolare i coefficienti dello sviluppo (2.1.5) utilizzando una base ortonormata è semplice: (2.1.6) b (k) = n f (n) ϕ k (n) Per verificarlo basta inserire la (2.1.6) nella (2.1.2) ed utilizzare le (2.1.4) b(j) ϕ j (n) ϕ k (n) = b (k) n j La (2.1.6) viene definita trasformazione diretta, la (2.1.5) trasformazione inversa. È evidente che risultati simili si possono ottenere usando basi ortogonali, ma non normalizzate. In questo caso i fattori c 2 k andranno compensati o nella trasformazione diretta o in quella inversa. Utilizzando una base ortonormata si può facilmente dimostrare (teorema di Parceval) che f (n) f (n) = b (k) b (k) n k e che, se f (n) = k b(k) ϕ k (n) e g (n) = k d(k) ϕ k (n), f (n) g (n) = b (k) d (k) n k Tutte le considerazioni precedenti richiedono, per avere validità, che le serie considerate convergano. Se le sequenze sono di lunghezza finita basta che i campioni abbiano tutti valore finito. Le sequenze possono anche essere di lunghezza illimitata: in tal caso la

17 2.2. SEQUENZE BASE SINUSOIDALI 17 convergenza delle serie pone vincoli più stringenti perché diventa necessario che i campioni delle sequenze tendano a zero se l indice tende ad infinito, positivo o negativo Sequenze base sinusoidali Una base di sequenze ortogonali si è già incontrata nella prima parte del corso, quando si è parlato delle versioni tempo discrete della trasformata di Fourier: DTFT e DFT. Nel caso della DFT le sequenze base sono ( r k (n) = exp j 2π ) N kn non normalizzate. Infatti in questo caso c 2 k = N e di tale fattore si è tenuto conto nella trasformata inversa N 1 ( X (k) = x (n) exp j 2π ) N kn x (n) = 1 N 1 ( X (k) exp j 2π ) N N kn n=0 La trasformata di Fourier usa come funzioni base delle sinusoidi complesse e produce trasformate complesse anche se applicata a segnali reali. La trasformata di Fourier di un segnale reale è reale solo se il segnale è pari. È, però, concettualmente semplice ottenere una variante della DFT che produca una sequenza trasformata reale partendo da una sequenza reale qualsiasi: basta forzarla a diventare pari. Un possibile modo è il seguente: partendo da x (n) con 0 n < N si genera una sequenza di lunghezza doppia affiancando alla sequenza originaria una sua copia ribaltata come in figura La sequenza ottenuta è pari, ma non rispetto all origine dei tempi, bensì rispetto a mezzo passo di campionamento prima di 0. k=0 0 N 1 2N 0 N 1 N 1 n=0 Figura Un modo di ottenere una sequenza pari. La DFT della sequenza pari che ne risulta è calcolabile come ( x(n) 2 exp j 2π ( 2N k n + 1 )) 2N 1 x(2n 1 n) + exp 2 2 N 1 n=0 x(n) cos n=n ( ( πk n N )) = DCT (x) ( j 2π 2N k ( 2N n 1 )) = 2

18 2.2. SEQUENZE BASE SINUSOIDALI Figura Sequenze base per una DCT con N = 8. In questo caso ( N 1 ( )) ( ( )) πl n πk n + 1 c 2 k, l = k 2 cos cos = N N n=0 0, l k con c 2 0 = N e c 2 k = N 2, k 0 Una possibile definizione di quella che si chiama trasformata coseno discreta (o DCT dall inglese discrete cosine transform) è. perciò, la seguente: ( (2.2.1) DCT [x] = X (k) = 1 N 1 ( )) πk n x(n) cos c k N e, per la trasformata inversa IDCT [X] = x (n) = N 1 k=0 n=0 X(k) 1 c k cos ( ( πk n N )) Le sequenze base per una DCT con N = 8 sono rappresentate in figura

19 2.3. TRASFORMATA DI WALSH-HADAMARD Trasformata di Walsh-Hadamard Un altro insieme di funzioni ortogonli fu proposto da Walsh. tempo discrete possono essere definite come p 1 (2.3.1) wal (N) (k, n) = ( 1) k in p i i=0 Le funzioni di Walsh con N = 2 p e k i rappresenta l i-esimo bit nella rappresentazione binaria del numeo k. n p 1 rappresenta, perciò, l i-esimo bit nella rappresentazione binaria, a bit invertiti, di n. Il valore è +1 o 1 a seconda che l and tra k e la rappresentazione bit-reversed di n abbia rispettivamente un numero pari o dispari di 1. Per un qualunque N potenza di due esistono esattamente N sequenze di Walsh, che possiamo distinguere mediante l indice k. Dalla definizione è evidente che wal (N) (k, n) = wal (N) (n, k) e, quindi, l indice che enumera le sequenze della base ortogonale e quello che indica il campione nella sequenza possono essere intercambiabili. Le sequenze sono definite per 0 n < N, ma fuori di questo intervallo si considera che abbiano andamento periodico. Le sequenze di Walsh per N = 8 sono rappresentate in figura Per un qualunque N risulta Figura Sequenze di Walsh per N = 8. wal (N) (0, n) = 1 per tutti i k

20 2.3. TRASFORMATA DI WALSH-HADAMARD 20 1 n < N/2 wal (N) (1, n) = 1 altrove Per ricavare tutte le altre sequenze si possono usare due proprietà delle sequenze di Walsh: e wal (N) (2k, n) = wal (N) (k, 2n) wal (N) (k l, n) = wal (N) (k, n) wal (N) (l, n) dove il simbolo rappresenta la somma modulo 2. La prima si dimostra osservando che moltiplicare per 2 un numero binario è equivalente a spostarne i bit di una posizione verso i più signifativi e, quindi, per quanto riguarda il totale numero di 1 nel prodotto è lo stesso spostare a sinistra di una posizione uno dei due fattori o spostare a destra di una posizione l altro (quello i cui bit vanno ribaltati). Per la seconda: p 1 p 1 wal (N) (k, n) wal (N) (l, n) = ( 1) k in p i ( 1) l in p i = i=0 p 1 = ( 1) (k i l i )n p i i=0 Nota wal (N) (1, n), per ricavare wal (N) (2, n) basta scandire a passo doppio la precedente (ricordando che le sequenze di Walsh sono periodiche. Per ricavare wal (N) (3, n) bisogna moltiplicare wal (N) (1, n) e wal (N) (2, n), e così via. In tali operazioni è facile osservare che si mantiene invariato il numero di campioni di valore +1 e quello dei campioni di valore 1, per cui N 1 n=0 wal (N) (k, n) = i=0 N k = 0 0 k 0 dalla quale si deduce l ortogonalità delle sequenze di Walsh N 1 n=0 wal (N) (k, n) wal (N) (j, n) = N δ (k j) Se si sotituisce um rettangolo di base unitaria al campione delle seuqenze si ottengono le funzioni di Walsh che, per N = 8 sono rappresentate in figura Matrici di Hadamard. Le sequenze di Walsh possono essere definite ed ordinate in altro modo. Un ordinamento diverso da quello implicito nelle (2.3.1) è quello che ordina le funzioni di Walsh in base al numero di attraversamenti dello zero (nel contarli bisogna ricordarsi che le sequenze sono periodiche per definizione!). Una diversa definizione, che genera le stesse funzioni in un diverso ordine è quella che utilizza le matrici du Hadamard.

21 Sia 2.4. CODIFICA A TRASFORMATE 21 H 1 = [ Le successive si ottengono mediante la regola [ ] Hn H H 2n = n H n H n per cui H 2 = , H 4 = ] e così via. È facile verificare che nelle colonne di H 4 si ritrovano le sequenze della figura (2.3.1), solo in un ordine diverso La trasformata di Walsh non gode di proprietà che tanto rendono utili altre trasformate come la DFT o la DCT, in particolare quella che trasforma una convoluzione in un prodotto. Unico suo particolare merito è la semplicità di calcolo, non richiedendo alcuna moltiplicazione. Qualcuno ha suggerito di utilizzarla come passo intermedio nel calcolo di trasformate più convenzionali, visto che si potrebbero memorizzare le trasfromate delle sequenze e poi combinarle con gli stessi pesi della trasformata di Walsh inversa Codifica a trasformate Come si è già accennato, l utilizzo di una diversa base può risultare vantaggioso ai fini della codifica di un segnale. Si è già osservato che utilizzando delle sequenze base molto localizzate, se se ne salta qualcuna si lasciano dei buchi nella descrizione del segnale. Se le sequenze base (come quelle dei due precedenti paragrafi, coprono tuuto l intervallo di definizione del segnale, saltarne qualcuna produce errore, ma non si verificano più dei veri e propri buchi. Se una sequenza di N campioni può essere descritta esattamente come somma pesata di N funzioni base s (n) = N 1 k=0 c k ϕ k (n) considerarne solo L produrrà un approssimazione ŝ (n) L 1 ŝ (n) = c k ϕ k (n) k=0

22 L energia dell errore sarà pari a 2.5. TRASFORMATA DI KARHUNEN-LOÈVE 22 E 2 = N 1 k=l e rappresenta il minimo errore quadratico che si può commettere approssimando s (n) con una combinazione lineare di quelle L funzioni base. Infatti [ N 1 L 1 ] 2 min p k ϕ k (n) s (n) p k N 1 n=0 n=0 ϕ j (n) k=0 ( L 1 c 2 k ) p k ϕ k (n) s (n) = 0 k=0 Per l ortonormalità delle funzioni base p j = N 1 n=0 ϕ j (n) s (n) c.v.d. Ai fini della codifica, quindi, è importante che la base utilizzata sia tale che un prefissato errore si possa ottenere con il minimo numero L di coefficienti e che i coefficienti risultino scorrelati tra loro, in modo da rendere ottima per ognuno di loro una quantizzazione indipendente da tutti gli altri. In figura è riportato l errore commesso quando un segnale rappresentato viene rappresentato con il 60% dei coefficienti utilizzando la trasformata codeno discreta e la trasformata di Walsh: è evidente che la trasformata DCT effettua un maggiore compattamento dell energia, almeno per il segnale considerato Trasformata di Karhunen-Loève È evidente che una base non può essere ottima, nel senso prima ricordato, per un qualunque segnale. Con notazione già definita, sia s il vettore con gli N campioni del segnale e sia r ss (0) r ss (1) r ss (2) r ss (N 1) R ss = E [ ss ] r ss (1) r ss (0) r ss (1) r ss (N 2) T = r ss (2) r ss (1) r ss (0) r ss (N 3) r ss (N 1) r ss (N 2) r ss (N 3) r ss (0) Siano λ i e u i rispettivamente gli autovalori ed i corrispondenti autovettori di R ss R ss u i = λ i u i Questi autovettori ortonormalizzati possono ordinarsi nelle colonne di una matrice U, tale che U T U = I, per cui R ss U = UΛ U T R ss U = Λ

23 2.6. TRASFORMATA DI HILBERT 23 con Λ = diag (λ 1, λ 2,, λ N ). Ne risulta che U è in grado di diagonalizzare R ss. La base individuata dalla matrice U può essere utilizzata per rappresentare un segnale s s = Uv con il vettore trasformato v definito mediante v = U 1 s = U T s Risulta E [ vv T] = E [ U T ss T U ] = U T R ss U = Λ ed è evidente che il vettore trasformato ha componenti incorrelate. Siccome gli autovalori rappresentano le varianze delle componenti di v, basta scartare le componenti corrispondenti agli autovalori più piccoli per garantirsi un errore di codifica minimo. La trasformata di Karhunen-Loève è, quindi, la trasformata ottima che si cercava. Va osservato, però, che il suo utilizzo in sistemi reali di codifica è oneroso, in quanto richiede la trasmissione al ricevitore delle sequenze base e non ammette (ovviamente) nessuna implementazione fast tipo la FFT. Ciò vanifica il guadagno legato alle sue proprietà. D altro canto la DCT si è dimostrata di efficienza comparabile con modelli di segnale abbastanza aderenti al vero e, perciò, rimane al momento la migliore scelta da utilizzare nel contesto della codifca a trasformate Trasformata di Hilbert La trasformata di Hilbert è inserita in questo capitolo anche se non contempla la proiezione di un segnale su di una base di sequenze ortogonali: è una trasformazione di tipo convolutivo. Essa è l operatore lineare che lega parte reale e parte immaginaria della trasformata di un segnale reale e causale. Sia s (t) una funzione reale e causale, cioé tale che s (t) = 0 per t < 0. s (t) può essere scomposta in parte pari e parte dispari: con s (t) = s p (t) + s d (t) s p (t) = 1 2 (s (t) + s ( t)) e s d (t) = 1 (s (t) s ( t)) 2 s p (t) S p (f) = 1 2 (S (f) + S (f)) = Re {S (f )} s d (t) S d (f) = 1 2 (S (f) S (f)) = jim {S (f )} Ma s d (t) = s p (t) sign (t) e, perciò, e S d (f) = S p (f) 2 j2πf = S p (f) j πf Im {S (f )} = Re {S (f )} 1 πf

24 con 2.6. TRASFORMATA DI HILBERT Sequenze discrete. Se il segnale è campionato la trasformata di Hilbert assume una forma un pò diversa. s d (n) = s p (n) sign (n) sign (n) = +1 n > 0 0 n = 0 1 n < 0 s(n) s p(n) 0 s (n) d 0 0 Figura Sequenza causale scomposta in parte pari e parte dispari. S d (Ω) sarà, quindi, la convoluzione tra S p (Ω) e la trasformata di sign (n)che, trattandosi di segnali discreti è più comodo calcolare utilizzando la trasformata z: ( z n z n) ( ) 1 1 = 1 z z 1 = z + 1 z 1 n=1 che, valutata sul cerchio unitario z = exp (jω)(ω è la pulsazione normalizzata Ω = ωt, con T passo di campionamento): ( ) z + 1 Ω z 1 = j cot z=exp(jω) 2 Ne consegue che Im {S (Ω)} = H [Re {S (Ω)}] =Re {S (Ω)} ( ( )) Ω cot Spettri nulli per f < 0. Data la simmetria che lega trasformata ed antitrasformata di Fourier, considerazioni simili si fanno se è lo spettro ad essere nullo per valori negativi della frequenza. In tal caso il segnale nel tempo è complesso e le sue parti reale ed immaginaria sono legate dalla trasformata di Hilbert.

25 2.6. TRASFORMATA DI HILBERT Tempo continuo. Si procede in modo duale a quanto fatto precedentemente arrivando ad un risultato analogo. Si parta da un segnale reale s (t) e dal suo spettro S (f) con parte reale pari e parte immaginaria dispari. Per azzerarne S (f) per f < 0 bisogna sommargli uno spettro che abbia parte reale uguale per f > 0, ma sia dispari rispetto ad f e parte immaginaria uguale per f > 0, ma pari. Tale spettro corrisponde ad un segnale puramente immaginario jg (t): jg (t) S (f) sign (f) s (t) F 1 {jsign (f)} e g (t) = s (t) 1 πt È il caso di osservare che lo spettro di g (t) è quello di s (t) con tutte le componenti spettrali ruotate di π/ Tempo discreto. In questo caso bisogna tener conto che gli spettri sono periodici e, quindi, spettro nullo per f < 0 in realtà vuol dire spettri nulli in metà del periodo (quello appunto che si riferisce alle frequenze negative). Anche la funzione sign (Ω) va riconsiderata e periodicizzata nell intervallo π < Ω < π. La sequenza del tempo per cui bisogna convolvere s (n) per ottenere g (n) è, allora: ˆ π 1 jsign (Ω) exp (jnω) dω = j exp (jnω) dω = 2π π π 0 [ ] π j exp (jnω) = ( 1)n 1, < n < π jn 0 πn Tempo e frequenza discreti. Il campionamento in frequenza (come quello che fa passare dalla DTFT alla DFT) comporta una periodicizzazione anche nel tempo Pratica implementazione. Naturalmente per una implementazione pratica dell operatore tempo discreto sarà necessario utilizzare una risposta all impulso di lunghezza finita, ottenibile per finestratura dell operatore ideale ricavato nella sezione precedente, od utilizzando altri metodi per il progetto di filtri numerici. A titolo d esempio si osservi come, data una sinusoide modulata, sia possibile, mediante la trasformata di Hilbert, ottenerne una rappresentazione complessa in cui la legge di modulazione d ampiezza e di fase siano facilmente calcolabili. La trasformata di Hilbert applicata ad una sinusoide modulata ne ruota di 90 la fase: s (t) = a (t) cos (ωt + ϕ (t)) s (t) = H [s (t)] = a (t) sin (ωt + ϕ (t)) Il segnale complesso ottenuto sommando ad s (t) una parte immaginaria j s (t) è detto segnale analitico con ˆ π ŝ (t) = s (t) + j s (t) = a (t) exp [j (ωt + ϕ (t))] (2.6.1) a (t) = s 2 (t) + s 2 (t), ωt + ϕ (t) = arctan ( ) s (t) s (t)

26 2.7. TRASFORMATA CHIRP-Z 26 La figura mostra le considerazioni precedenti applicate al caso di una sinusoide modulata d ampiezza. 1 1 s(t) ~ s(t) Figura Esempio di uso della trasformata di Hilbert: a sinistra il segnale reale, al centro parte reale e parte immaginaria del segnale complesso, a destra l inviluppo calcolato come in (2.6.1) Trasformata chirp-z La trasformata z e la DFT (per sequenze di lunghezza finita) sono legate dal fatto che quest ultima si può ottenere dall altra valutata sul cerchio unitario X (z) = n x (n) z.n X (Ω) = n x (n) exp ( jnω) Per sequenze di lunghezza finita, la trasformata la DFT[x (n)] si può ottenere valutando la X (z) su N punti equispaziati sul cerchio unitario. Genericamente il valore della trasformata z si può valutare in un punto qualsiasi del piano z, a patto di sommare la serie. La trasformata chirp-z è definita come (2.7.1) czt (k) = dove N 1 n=0 x (n) z.n k, k = 0,, K 1 k k = A W k con A e W generici numeri complessi. I K punti nel piano z partono dal punto z 0 = A exp (j A) e si susseguono in z k = A W k exp {j ( A + k W )}. Per ottenere i campioni della DFT basta porre A = W = 1, A = 0 e W = 2π/N (ma ovviamente è molto più comodo calcolarseli con la FFT). Se i campioni della czt (k) dovessero calcolarsi sommando la serie, tali osservazioni sarebbero di scarsa conseguenza. In realtà, poiché (Bluenstein): nk = n2 + k 2 (n k) 2 2

27 2.7. TRASFORMATA CHIRP-Z 27 la (2.7.1) può scriversi czt (k) = N 1 n=0 x (n) A.n W nk = = W k2 2 N 1 n=0 N 1 n=0 x (n) A.n W n2 +k 2 (n k) 2 2 = ) (x (n) A.n W n2 2 W (n k)2 2 che, a meno del prodotto per il primo termine, è una convoluzione tra la sequenza x (n) modificata (compresa tra parentesi) e la sequenza chirp che, per W = 1, è una sinusoide con fase che cresce quadraticamente e la cui frequenza, perciò, cresce linearmente con n. L FFT permette un calcolo molto efficiente di una convoluzione e permette, quindi, anche un calcolo efficiente della trasformta chirp-z Il segnale chirp. Una sinusoide modulata linearmente di frequenza è un segnale molto usato in applicazioni radar perché è un segnale che, pur avendo un inviluppo costante (come una sinusoide) può avere una banda molto ampia. Ciò lo rende molto utile nei cosiddetti radar a compressione di impulso. La risoluzione in distanza di un radar dipende dalla durata della forma d onda all uscita del filtro di ricezione. Il filtro ottimo è il filtro adattato, la cui uscita è proporzionale all autocorrelazione della forma d onda in ingresso. Se il segnale utilizzato è una sinusoide troncata di durata T, all uscita del filtro adattato essa genera una sinusoide di identica frequenza, modulata in ampiezza da un triangolo di base 2T, forma d onda che permette di distinguere due sue repliche solo se poste a distanza maggiore di T (vedi figura ). Se, invece di una sinusoide, si usa un chirp di durata T, l uscita del filtro adattato è costituita da una sinusoide con la stessa legge di modulazione angolare, ma con una modulazione d ampiezza ˆ T t 0 s (τ) s (t + τ) dτ = s (t) = cos ( 2πf o t + Kt 2), 0 t < T ˆ T T cos ( 2πf o τ + Kτ 2) cos ( 2πf o [t + τ] + K [t + τ] 2) dτ = Possibili usi della trasformata chirp-z. La trasformata chirp-z consente di calcolare la DTFT di una sequenza su un numero arbitrario di frequenze arbitrariamente vicine, a partire da una frequenza anch essa arbitraria. Ad esempio, si consideri la sequenza di 500 campioni del segnale costituito dalla somma di due sinusoidi di frequenze normalizzate.2 e.205 e se ne calcoli la DFT. La figura riporta il grafico del modulo della DFT nell intervallo di frequenze normalizzate 0 0, 5 (250 campioni) ed un ingrandimento del segmento relativo alle frequenze 0, 15 0, 25 (25 campioni).

28 2.7. TRASFORMATA CHIRP-Z Figura DFT della sequenza di 500 campioni: intervallo di frequenze normalizzate a) 0.5, b) 0, 15 0, 25 La figura riporta, invece, il grafico del modulo della DTFT della sequenza, calcolata con la trasformata chirp-z in 500 punti equispaziati in frequenza normalizzata di 0, 1/500 (A = 2π 0, 15; W = 2π 0, 0002) Figura DFT della sequenza di 500 campioni nell intervallo di frequenze normalizzate 0, 15 0, 25, calcolata con una chirp-z di 500 punti con A = 2π 0, 15; W = 2π 0, Poiché permette di calcolare la DTFT su un numero qualsiasi di frequenze comunque, ma uniformemente, spaziate, la chirp-z si presta, usata insieme alla IDFT, al ricampionamento di un fattore arbitrario di un segnale campionato. Ovviamente bisognerà tener conto degli effetti di bordo insiti nell utilizzo di una trasformata campionata in frequenza.

29 2.8. WAVELET Wavelet L analisi di Fourier classica. Trasformare un segnale può servire a diversi scopi: ad esempio, a semplificare o rendere possibile il calcolo della risposta a quel segnale da parte di un sistema dinamico oppure ad evidenziare alcune caratteristiche di interesse del segnale al fine di codificarlo in modo efficiente, di effettuarne una classificazione o simili. La trasformata di Fourier (insieme alla trasformata di Laplace) è la trasformata classica. Essa scompone un segnale in somma di sinusoidi di durata infinita e, perciò, in somma di funzioni base la cui localizzazione temporale è nulla. La cosa va bene per segnali stazionari, le cui caratteristiche non cambiano nel tempo. Se, viceversa, si avesse a che fare con un segnale le cui proprietà cambiano nel tempo, di tali cambiamenti nel dominio trasformato si perderebbe traccia, o meglio: le informazioni relative alla localizzazione temporale dei cambiamenti sarebbero scritte nella fase da cui è, normalmente, tutt altro che facile ricostruirle. In tale contesto l uso della trasformata può risultare di dubbia o nessuna utilità. A titolo di esempio consideriamo il segnale chirp del paragrafo precedente, che consiste in una sinusoide la cui frequenza cambia proporzionalmente al tempo, ed un segnale multitono costituito da segmenti di sinusoidi di frequenze diverse i cui valori, nella sequenza con cui si presentano, servono a codificare una informazione, ad esempio un numero a più cifre. Sottoporre il segnale chirp o il segnale multitono ad una analisi di Fourier convenzionale produce i risultati presentati in figura Figure Spettri di segnale chirp e di segnale multitono. Lo spettro del chirp indica che tale segnale si estende su un intervallo di frequenze che, nell esempio in figura, si estende approssimativamente da 50 a 250 Hz, ma del fatto che esso consista di una sinusoide la cui frequenza cambia nel tempo non c è traccia. Qualcosa di simile accade per il segnale multitono: lo spettro rivela la presenza di sinusoidi a 80, 100, 150, 250 e 300 Hz, ma come esse siano localizzate e, soprattutto, in quale sequenza si presentino, dal modulo dello spettro non c è modo di dedurlo La Short Time Fourier Transform.

30 2.8. WAVELET 30 Per conservare traccia di una localizzazione temporale del segnale dopo aver applicato la trasformata di Fourier è necessario applicare la trasformazione a segmenti temporali limitati dello stesso segnale: in altri termini, è necessario applicare una finestratura temporale, prima di eseguire la trasformata di Fourier: S (f, τ) = ˆ + s (t) g (t τ) exp (j2πft) dt Quello che ne risulta è quello che si chiama Short Time Fourier Transform ed è funzione sia della frequenza, sia della posizione temporale della finestra. La risoluzione in frequenza e quella nel tempo dipendono dalla finestra g (t) adottata e dalla sua trasformata. Se come durata (banda) di un segnale (spettro) si assume una definizione equivalente, ad es.: e f 2 = t 2 = f 2 G (f) 2 df G (f) df t2 g (t) 2 dt g (t) dt vale la relazione (2.8.1) t f 1 4π che afferma che la risoluzione temporale e quella frequenziale non possono assumere valori qualsiasi, ma sono legate. In particolare, se si vuole maggiore risoluzione in frequenza bisogna usare finestre più lunghe e viceversa. Le definizioni elementari di durata e banda non sono utili perché in quel caso l unica affermazione che si può fare è che durata finita banda infinita e viceversa, che niente permette di affermare sul quanto il segnale (o il suo spettro) sia più o meno concentrato intorno ad un particolare istante (intorno ad una particolare frequenza). Una finestra che permette di raggiungere il valore minimo della (2.8.1) è la finestra gaussiana, la cui trasformata è anch essa una gaussiana ) exp ( x2 a ) π exp ( a2 ω 2 a 2 2 La figura mostra le mappe tempo-frequenza della STFT per il segnale chirp e per il segnale multitono, i cui spettri sono riportati in figura 2.8.1: è evidente la maggiore quantità di informazioni sui segnali che si possono ricavare dalla STFT. Fissata la finestra, però, restano fissate le risoluzioni nel tempo ed in frequenza. Avere una risoluzione di 1 ms può essere sufficiente quando si considerano sinusoidi di 100 Hz o meno, ma è del tutto indeguato con sinusoidi di 1 khz o più, in quanto, in questo caso, 1 ms corrisponde ad un intero periodo o più. La risoluzione nel tempo, in altre parole, non è utile che sia costante: meglio sarebbe che fosse proporzionale all intervallo di tempo che si vuole stimare. Ragionamento analogo si può fare per la risoluzione in frequenza.

31 2.8. WAVELET Figura STFT del segnale chirp e del segnale multitono i cui spettri sono riportati in figura Le wavelet. La STFT utilizza come funzioni base delle sinusoidi di frequenze diverse, modulate da una stessa g (t): il loro spettro è esattamente lo stesso, solo traslato in frequenza. Sarebbe utile avere funzioni base il cui spettro diventa via via più largo, man mano che la frequenza centrale diventa maggiore. Servirebbero filtri a Q costante (ricordando che per un risonante il fattore di merito Q quantifica la banda relativa). Simili funzioni base si possono ottenere, partendo da una sinusoide finestrata, se le funzioni a frequenze maggiori si ottengono per compressione dell asse dei tempi: infatti, a compressione di un fattore α nel tempo di una funzione corrisponde una espansione in frequenza di uno stesso fattore del suo spettro. Una simile trasformazione dovrebbe consentire di descrivere una qualunque funzione come combinazione di versioni compresse e/o traslate nel tempo di una stessa funzione base originante. Una prima considerazione: è strano ritenere che una stessa funzione permetta di descriverne un altra mediante sue repliche traslate nel tempo e/o compresse? La risposta è no: basta pensare all impulso che per traslazione permette di descrivere un segnale qualsiasi ˆ f (τ ) δ (τ t) dτ = f (t) o alla sinusoide, che cambia solo frequenza in corrispondenza ad una uniforme compressione/espansione dell asse del tempo e che permette di descrivere ugualmete un segnale qualsiasi mediante la trasformata inversa di Fourier ˆ F (f ) exp ( 2πf t) df = f (t) Solo che impulso e sinusoide non consentono di utilizzare contemporaneamente traslazione e scalamento perché rispettivamente di banda e di durata infinite. Si consideri una funzione di scalamento (in inglese scaling function) ϕ (t) e tutte le funzioni che si possono ottenere mediando sue repliche traslate nel tempo. Visto che ci muoviamo nel contesto di segnali numerici, quindi tempo discreti, non ha molto senso considerare traslazioni non intere (lo si potrebbe fare, ma traslare di uno shift frazionario

32 2.8. WAVELET 32 un segnale tempo discreto richiede il ricorso all interpolazione). Quindi c 0 (k) ϕ (t k) = f 0 (t) V 0 k dove V 0 rappresenta il sottospazio delle funzioni ottenibili per somma pesata di repliche traslate di ϕ (t). Se si considerano versioni di ϕ (t) compresse nel tempo, le funzioni rappresentabili come medie pesate di traslazioni di questa funzione compressa copriranno un sottospazio più ampio, perchéϕ (αt) è più compatta (con α > 1) e si presta meglio a descrivere variazioni più brusche nella funzione risultante. È ovvio che anche il fattore di scalamento potrebbe assumere un valore qualsiasi. Nel discreto, però, come ha senso utilizzare traslazioni intere così ha senso utilizzare valori interi per il fattore di scala. In particolare per il fattore di scala si possono usare potenze del due. Utilizzando la funzione ϕ scalata di un fattore 2: c 1 (k) ϕ (2t k) = f 1 (t) V 1 k Se si vuole che V 1, oltre ad essere genericamente più ampio di V 0, lo contenga al suo interno, cioé V 1 V 0, deve necessariamente verificarsi che ϕ (t) possa essere descritta mediante versioni traslate di ϕ (2t), cioé: ϕ (t) = h (n) ϕ (2t n) n Si ottiene, in questo modo, una rappresentazione multirisoluzione di uno stesso segnale (f 0, f 1, f 2, ), ma è evidente che tale rappreentazione è intrinsecamente ridondante, perché la descrizione a maggior risoluzione contiene anche le altre Rappresentazioni multirisoluzione. Nella codifica o nella interpretazione di segnali può far comodo usare descrizioni molto compatte, a basso dettaglio, di un segnale, perché in esse risulterebbero evidenti solo le caratteristiche più evidenti del segnale stesso. Una volta individuata una caratteristica molto evidente, però, sarà necessario passare ad una analisi su un livello di dettaglio maggiore. Da qui la necessità di descrizioni multirisoluzione. Una di tali descrizioni è la piramide multirisoluzione ottenibile mediante applicazione ripetuta della elaborazione illustrata in figura La procedura ivi descritta può essere ripetutamente applicata alla descrizione a basso dettaglio, producendo descrizioni a sempre più basso dettaglio e tutta una serie di termini di dettaglio (termini di alta frequenza). Questo tipo di descrizione è ridondante perché tra dettaglio e termine a bassa risoluzione servono il 50% in più di campioni che per descrivere il segnale originario. Un altro modo di procedere, non ridondante, è stato studiato nella prima parte del corso con i banchi di filtri quadrature mirror che dividono un segnale in un termine passa basso ed uno passa alto, entrambi di banda metà di quella del segnale originale ed entrambi sottocampionati di un fattore due, mantenendo così costante il numero totale di bit necessari.

33 2.8. WAVELET 33 filtro passa basso 2 1 descrizione a bassa risoluzione 1 2 filtro interpolatore + dettaglio Figura Piramide multirisoluzione: uno stadio di elaborazione.

34 CAPITOLO 3 Elaborazione di segnali 2D 3.1. Sistemi bidimensionali Non sempre i segnali e i sistemi che li generano o li elaborano si prestano ad essere descritti mediante l uso di funzioni monodimensionali. Un esempio di segnale monodimensionale è il segnale telefonico. Per quanto riguarda il segnale televisivo, esso viene descritto come segnale monodimensionale scandendo le righe dell immagine una di seguito all altra. Si deve tornare, però, ad una descrizione bidimensionale quando si voglia sfruttare la correlazione verticale esistente tra punti di righe diverse, per ottenere una descrizione migliore (più compatta) dell immagine. Estendiamo ai sistemi bidimensionali quanto visto per i sistemi monodimensionali. Naturalmente sarà necessario considerare funzioni di due variabili: se nel caso monodimensionale si è considerata come variabile tipica (t) il tempo (anche se poteva benissimo trattarsi di una lunghezza od altra grandezza), nel caso bidimensionale si considereranno variabili tipiche le coordinate (x, y) di un punto nel piano (anche se potrebbe trattarsi di un tempo ed una lunghezza o qualsiasi altra combinazione): f (t) f (x, y) Nel caso monodimensionale si è fatto largo uso della funzione impulsiva che è servita a dare una descrizione molto compatta dei sistemi lineari. Consideriamo ora la funzione f(x, y) = δ(x). Essa è una funzione a simmetria cilindrica in quanto il suo valore non dipende dalla variabile y. Si ha una discontinuità a muraglia. y x Figura Discontinuità a muraglia. 34

35 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 35 Naturalmente non è necessario che giaccia sull asse y o sull asse x (banalmente, per avere una muraglia allineata sull asse x, basta porre f(x, y) = δ(y)): essa può anche essere "storta" e giacere su una qualunque curva nel piano x, y. In questo caso la discontinuità assume la forma f(x, y) = δ (a (x, y)), essendo la curva nel piano x, y descritta dall equazione a(x, y) = 0. y x Figura Muraglia storta. Nell effettuare un cambiamento di variabili è sempre necessario tener conto dello jacobiano! Nel caso appena descritto, l area degli impulsi della muraglia non sarà costante in ogni punto della curva, ma sarà proporzionale alla seguente espressione 1 ( a ) 2 ( ) 2 a + x y Si ricordi che nel caso monodimensionale la definizione di impulso è la seguente ˆ f (t) δ (t t o ) dt = f (t o ) Nel caso bidimensionale si avrà ˆˆ (3.1.1) f (x, y) δ (x x o, y y o ) dxdy = f (x o, y o ) essendo δ (x x o, y y o ) l impulso nel punto di coordinate (x o, y o ). Vediamo che relazione esiste tra δ(x, y) e δ (x). Si ha semplicemente che δ(x, y) = δ (x) δ (y) L impulso nell origine è dato dal prodotto tra due muraglie rispettivamente sull asse y e sull asse x. Infatti si haˆˆ f (x, y) δ (x xo) δ (y yo) dxdy = ˆ (ˆ = ) f (x, y) δ (x x o ) dx δ (y y o ) dy = f (x o, y o )

36 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 36 Si ottiene, cioé, lo stesso risultato della (3.1.1), potendo separare l integrazione rispetto a x da quella rispetto a y, e questo prova quanto affermato. Si è trovato così l effettivo equivalente bidimensionale dell impulso monodimensionale. Ricordiamo che nel caso monodimensionale l impulso è stato utile per la sua stessa definizione: qualunque funzione è descrivibile come successione di infiniti impulsi di area pari al valore che la funzione di partenza assume in corrispondenza di ciascun impulso. Il discorso è del tutto simile nel caso bidimensionale. La (3.1.1), che riscriviamo come segue ˆˆ f (η, ζ) δ (η x, ζ y) dηdζ = f (x, y) indica che è possibile considerare la funzione f (x, y) come sovrapposizione di impulsi opportunamente piazzati nel piano, di volume pari al valore che la funzione assume nel punto considerato. Il vantaggio di questa scomposizione sta nel fatto che, lavorando con sistemi lineari (in cui vale il principio di sovrapposizione degli effetti), nota la risposta del sistema ad un impulso dovunque piazzato, la risposta alla sollecitazione in ingresso è ottenibile come sovrapposizione della risposta ai singoli impulsi in cui l ingresso è stato scomposto. δ(η,ζ) f(x,y) SISTEMA LINEARE h(x,y; η,ζ) g(x,y) Figura Sistema lineare bidimensionale. In altri termini, nota la risposta all impulso del sistema h (x, y; η, ζ), è possibile calcolare la risposta del sistema alla sollecitazione f(x, y), scomponendola in impulsi e sovrapponendo le risposte ai singoli impulsi. La risposta a f(x, y) è allora data da ˆˆ (3.1.2) g (x.y) = f (η, ζ) h (x, y; η, ζ) dηdζ Naturalmente la linearità del sistema garantisce semplicemente la possibilità di ricombinare le risposte ai singoli impulsi per ottenere l uscita; questo non implica, però, che la risposta del sistema sia la stessa qualunque sia la posizione dell impulso in ingresso. Questo è vero solo se il sistema è invariante: in questo caso la risposta del sistema non dipende da dove è posizionato l impulso e dove si misura l uscita, ma solo dalla distanza relativa. La risposta all impulso δ (η, ζ) è, cioé, del tipo h (x η, y ζ). L integrale della (3.1.2) diventa allora l integrale di convoluzione avendosi ˆˆ (3.1.3) g (x.y) = f (η, ζ) h (x η, y ζ) dηdζ Consideriamo una risposta all impulso con simmetria cilindrica, cioé del tipo h(x). L integrale di convoluzione diventa ˆˆ (3.1.4) g (x.y) = f (η, ζ) h (x η) dηdζ

37 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 37 É sempre necessaria una integrazione doppia, dato che h(x) è sempre una risposta impulsiva bidimensionale di un sistema bidimensionale. La (3.1.4) si può scrivere ˆ g (x.y) = (ˆ h (x η) ) f (η, ζ) dζ dη Si mette cosi in evidenza che la dipendenza dell ingresso da ζ non ha nessun effetto sull uscita. La risposta del sistema è allora calcolabile come risposta di un sistema intrinsecamente monodimesionale, con risposta all impulso pari ad una "fetta" della risposta all impulso bidimensionale, che agisce non sul segnale bidimensionale di partenza, ma sulla sua proiezione sull asse η, essendo la proiezione data da ˆ f (η, ζ) dζ Se la risposta all impulso bidimensionale è separabile, cioé se si può scrivere h (x.y) = h 1 (x) h 2 (y) l integrale di convoluzione nella (3.1.3) diventa semplicemente la cascata di due convoluzioni monodimensionali, una lungo x e l altra lungo y. Si ha cioé ˆˆ f (η, ζ) h 1 (x η) h 2 (y ζ) dηdζ = ˆ = (ˆ h 1 (x η) ) f (η, ζ) h 2 (y ζ) dζ dη = ˆ = g (η, y) h 1 (x η) dη Si noti che la (3.1.4) non è che un caso particolare di quanto appena visto, potendosi scrivere h (η x) = h (η x) 1 Nel caso monodimensionale, per effetture la convoluzione era necessario ribaltare la risposta all impulso, moltiplicarla punto a punto con la funzione in ingresso e integrare. Nel caso bidimensionale il discorso è perfettamente analogo. Se la risposta all impulso è definita nel dominio segnato in figura 3.1.4, bisogna ribaltarla rispetto a y e ad x, come indicato in figura 3.1.5, moltiplicare punto a punto per la funzione e integrare bidimensionalmente. Il problema della convoluzione è che l uscita in una qualsiasi posizione è una media pesata degli ingressi in un intorno del punto, essendo il sistema dotato di memoria (se così non fosse la risposta all impulso sarebbe un puro impulso e l uscita si calcolerebbe moltiplicando l ingresso per una costante). La memoria del sistema crea problemi perché crea accoppiamento tra gli impulsi in cui abbiamo scomposto la funzione. Questo è conseguenza del fatto che sollecitando il sistema con un impulso, la risposta che se ne ricava non è un impulso ma è distribuita nello spazio (cioé l impulso non è una autofunzione del sistema).

38 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 38 y x Figura Dominio di definizione di h (x, y). y x Figura Dominio di definizione di h ( x, y). Se, invece, si considerano autofunzioni del sistema, cioé funzioni tali che l uscita è pari all ingresso a meno di un fattore moltiplicativo, eventualmente complesso, è possibile disaccoppiare le varie componenti. Alcune delle funzioni di cui si sta parlando sono semplicemente una generalizzazione al caso bidimensionale delle funzioni esponenziali complesse usate per la trasformata di Fourier monodimensionale e sono del tipo exp [j (k x x + k y y)] Ancora una volta questa funzione è separabile, potendosi scrivere (3.1.5) exp (j (k x x + k y y)) = exp (jk x x) exp (jk y y) Verifichiamo che funzioni del tipo (3.1.5) sono autofunzioni di un sistema lineare spazio invariante. Si ha infatti che l uscita è data da ˆˆ h (η, ζ) exp [j (k x (x η) + k y (y ζ))] dηdζ = ˆˆ = exp [j (k x x + k y y)] h (η, ζ) exp [ j (k x η + k y ζ)] dηdζ = = exp [j (k x x + k y y)] H (k x, k y ) Si ottiene quindi che in uscita si ha la stessa funzione di ingresso scalata per una costante, che altro non è che la trasformata bidimensionale della risposta all impulso bidimensionale del sistema. k x è il numero d onda (poiché si parte da x che ha dimensione m, k x ha dimensione m 1 e non s 1 come una pulsazione) che corrisponde alla varibile x e k y è il numero d onda che corrisponde alla variabile y.

39 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 39 Le funzioni (3.1.5) sono generalizzazioni delle sinusoidi monodimensionali e sono delle tettoie del tipo in figura Figura Assonometria della parte reale (o immaginaria) di exp [j (k x x + k y y)]. Quella in figura è, ovviamente, la rappresentazione grafica della sola parte reale o immaginaria dell esponenziale complesso exp [j (k x x + k y y)]. Consideriamo infatti Re {exp [j (k x x + k y y)]} = cos (k x x + k y y). Il valore del coseno resta costante se l argomento è costante, cioé se ovvero lungo rette di equazione k x x + k y y = c (3.1.6) y = c (k y /k x ) x Si spiega così perché l oscillazione avvenga solo lungo una direzione, ottenendo una tettoia ondulata. Effettuando un taglio con un piano perpendicolare al piano x, y si ottiene una sinusoide, la cui periodicità varia in funzione dell angolo di taglio. Il numero d onda massimo si ha quando il piano con cui si effettua il taglio è perpendicolare alle rette (3.1.6), cioé in una direzione che forma con l asse x un angolo ψ pari a ψ = arctan (k x /k y ), e vale K = kx 2 + ky. 2 La funzione exp [j (k x x + k y y)] è rappresentata da un punto nel piano k x, k y. Le variabili derivate k x e k y rappresentano un modo alternativo di identificare tale punto. k y K ψ k x Figura Rappresentazione polare di un esponenziale complesso bidimensionale nel piano k x, k y.

40 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 40 Ci sono altre situazioni in cui si scompone la funzione bidimensionale secondo delle funzioni base che non sono delle tettoie bidimensionali, ma sono funzioni che hanno andamento sinusoidale sia lungo una direzione, sia lungo l altra. Si osservi che il nocciolo della trasformata di Fourier exp [j (k x x + k y y)] è separabile e quindi è possibile effettuare la trasformazione come cascata di due trasformazioni monodimensionali. f (x, y) F x (k x, y) F xy (k x, k y ) Questo è molto utile. in quanto permette di usare le tecniche della trasformata monodimensionale, prima ad una variabile e poi all altra. Il tutto è legato esclusivamente alla separabilità del nocciolo della trasformazione. Tale separabilità è tuttavia vera solo in coordinate cartesiane. Infatti per rappresentare un punto in un piano si possono usare le coordinate cartesiane ortogonali x, y, ma si possono anche usare le coordinate polari (3.1.7) ρ = x 2 + y 2 θ = arctan (y/x) Effettuando il cambiamento di variabili es esprimendo la trasformata di Fourier bidimensionale in coordinate polari, le (3.1.7) si possono scrivere { x = ρ cos θ e analogamente si può scrivere { K = k 2 x + k 2 y ψ = arctan (k x /k y ) y = ρ sin θ { kx = K cos ψ k y = K sin ψ Si ottiene allora H (K, ψ) = h (ρ, θ) exp [jkρ (cos θ cos ψ + sin θ sin ψ) ρdρdθ] = h (ρ, θ) exp [jkρ cos (θ ψ)] ρdρdθ Come si vede, il nocciolo non è più separabile, per cui è effettivamente necessario il calcolo dell integrale doppio. Vediamo alcune proprietà della trasformata di Fourier bidimensionale: se f(x, y) F (k x, k y ), a : f( x, y) F ( k x, k y ) b : f( x, y) F ( k x, k y ) f (x, y) c : jk x F (k x, k y ) d : x f (x, y) y jk y F (k x, k y ) e : 2 f (x, y) k x k y F (k x, k y ) x y f : F (k x, k y ) jk x f (x, y) k x

41 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 41 g : F (k x, k y ) k y jy f (x, y) h : f (x x o, y) exp (jk x x o ) F (k x, k y ) i : f (x, y y o ) exp (jk y y o ) F (k x, k y ) l : f (x x o, y y o ) exp (jk x x o ) exp (jk y y o ) F (k x, k y ) m : Se f(x, y) è reale, F (k x, k y ) = F ( k x, k y ) Un ulteriore operazione, possibile nel caso bidimensionale, è la rotazione della funzione. Procediamo in coordinate polari. La rotazione della funzione porta da h (ρ, θ) a h (ρ, θ θ o ). Se h (ρ, θ) H (K, ψ) ne segue n : h (ρ, θ θ o ) H (K, ψ ψ o ) Si è già visto cosa si intenda per proiezione di una funzione. Vediamo ora se esiste qualche legame tra la trasformata di Fourier di una funzione bidimensionale e la trasformata di Fourier di una sua proiezione. Usiamo la formula della trasformata di Fourier in coordinate cartesiane ˆˆ (3.1.8) H (k x, k y ) = f (x, y) exp j (k x x + k y y) dxdy Consideriamo per semplicità la proiezione sull asse x, rappresentabile da ˆ p (x) = f (x, y) dy Calcoliamo la trasformata di Fourier monodimensionale di p(x). (3.1.9) P (k x ) = { f (x, y) dy } exp (jk x x) dx = = f (x, y) exp (jk x x) dxdy = F (k x, 0) Confrontando la (3.1.9) con la (3.1.8) è evidente che la (3.1.9) non è altro che la (3.1.8) calcolata per k y = 0: la trasformata della proiezione di f(x, y) sull asse x è pari al valore che la trasformata di Fourier bidimensionale di f(x, y) assume sull asse k x. È immediato rendersi conto che quanto detto vale anche se si effettua la proiezione di f(x, y) lungo una direzione qualsiasi (in virtù della proprietà i). Esempi di trasformate bidimensionali. Si consideri la trasformata dell impulso bidimensionale δ(x, y) = δ(x) δ(y). Per banale estensione del caso monodimensionale si ha che la trasformata dell impulso è un piano La trasformata della muraglia δ(y) lungo l asse x, si può calcolare sapendo che si può scrivere δ(y) = 1 δ(y) e separando poi l espressione. In questo modo si può effettuare separatamente prima la trasformazione in una direzione e poi lungo l altra direzione. Si ha Effettuando la trasformazione lungo x (x k x ) per ogni possibile valore di y, si ottiene un impulso, che è la trasformata della costante (muraglia) per y = 0. Trasformando ora secondo y (y k y ) per tutti i possibili valori di k x si ottiene

42 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 42 f(x,y) F(k x,k y) y k y x k x Figura Trasformata dell impulso 2D. f(x,y) y x Figura Funzione a muraglia allineata sull asse x. F x (k x,y) y k x Figura F xy(k x,k y) k y k x Figura La trasformata della muraglia sull asse x, δ(y), è una muraglia sull asse k y, δ (k x ). Naturalmente il discorso è perfettamente analogo trasformando prima lungo y e poi lungo x: si ottiene lo stesso risultato. Tale risultato è valido comunque sia orientata la muraglia nel piano: in virtù delle proprietà della trasformata di Fourier bidimensionale, anche la trasformata sarà ruotata dello stesso angolo, restando in direzione ortogonale a quella

43 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 43 della muraglia di partenza. Questo discorso si generalizza anche ad altre funzioni. La trasformata di una funzione allungata sull asse x è una funzione allungata sull asse k y e viceversa y x ky kx 3 Figura Il risultato è evidente in quanto sappiamo che, nel caso monodimensionale, a funzioni di durata limitata nel tempo corrispondono trasformate di banda infinita. In questo caso, la funzione non è separabile. Tuttavia essa è allungata sull asse x e quindi avrà banda minore sull asse k x, mentre è stretta sull asse y, estendendosi di conseguenza sull asse k y. Ne consegue che ad una struttura allungata in una direzione in un dominio corrisponde una struttura allungata in direzione perpendicolare nel dominio coniugato (tale osservazione potrebbe utilizzarsi per il calcolo dell orientamento prevalente delle valli in una regione). Si calcoli ora la trasformata di Fourier dell equivalente bidimensionale del rettangolo, cioé di un parallelepipedo di lato 2b lungo y e 2a lungo x. La trasformata si calcola trasformando prima rispetto ad x e poi rispetto ad y. f(x,y) y b a b a x Figura Trasformando lungo x (x k x ): per ogni b < y < b, la funzione ha l andamento di un rettangolo di altezza 1 e base 2a. Trasformandolo si ha un seno cardinale con zeri a distanza 2π/2a. Questo sempre per b < y < b. 1 La trasformata di Fourier bidimensionale esiste se la funzione è ad energia finita, come nel caso monodimensionale.

44 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI Figura Trasformando rispetto ad y (y k y ): per ogni k x si ottiene sempre un rettangolo di base 2b la cui altezza è, però, pari ai valori assunti dal sin(x)/x in corrispondenza del valore di k x. La trasformata è Si ottiene una struttura del tipo F (k x, k y ) = 2a sin (k xa) 2b sin (k yb) k x a k y b Figura I massimi si trovano a distanza π/a lungo k x e π/b lungo k y. Questo è un filtro separabile che ha separabile sia la risposta all impulso che la funzione di trasferimento. Naturalmente, se si ha il parallelepipedo nei numeri d onda, quello che si ottiene è un filtro passa basso bidimensionale. Si può, però, pensare ad un altro tipo di filtro passa basso, a simmetria circolare come quello la cui risposta all impulso è rappresentata in figura. Questa funzione di trasferimento non è separabile e, quindi, richiede una implementazione bidimensionale. Per calcolare la risposta all impulso corrispondente a questa funzione

45 3.1. SISTEMI BIDIMENSIONALI 45 f(x,y) y x Figura di trasferimento a simmetria circolare è più utile usare un sistema di riferimento polare. La trasformata in coordinate polari è H (K, ψ) = f (ρ, ϑ) exp ( jkρ cos (ϑ ψ)) ρdρdϑ Nel caso di filtro con risposta all impulso circolare si ha ˆ [ˆ 2π ] H (K, ψ) = f (ρ) ρ exp ( jkρ cos (ϑ ψ)) dϑ dρ 0 0 Poiché la funzione è indipendente da ϑ (simmetria circolare), la trasformata sarà indipendente da ψ. L integrale fra parentesi quadre è pari a 2πJ 0 (Kρ) con J 0 ( ) funzione di Bessel di ordine zero. Si ottiene allora H (K) = 2π ˆ 0 f (ρ) J 0 (Kρ) ρdρ Questa relazione integrale va sotto il nome di trasformata di Hankel. Per calcolare la trasformata inversa f (x, y) = 1 (2π) 2 F (k x, k y ) exp [j (k x x + k y y)] o, in coordinate polari f (ρ, ϑ) = 1 4π 2 F (K, ψ) exp (jkρ cos (ϑ ψ)) KdKdψ nel caso della trasformata di Hankel si avrà (trasformata di Hankel inversa): f (ρ) = 1 ˆ H(K)J 0 (Kρ) KdK 2π che si particolarizza, nel caso del filtro a simmetria circolare, nel modo seguente f (ρ) = 1 2π per un cilindro di altezza unitaria. ˆ KR 0 J 0 (Kρ) KdK = K R 2π J 1 (K R ρ) ρ

46 3.2. CAMPIONAMENTO Campionamento Nel caso monodimensionale l operazione di campionamento consisteva nel misurare il valore che la funzione continua assumeva in istanti di tempo equispaziati. L operazione di campionamento era poi matematicamente intepretata come il prodotto della funzione per una successione di impulsi, perché in questo modo l operazione di ricostruzione era banalmente descrivibile come passaggio degli impulsi di area opportuna attraverso un filtro la cui risposta all impulso è la funzione interpolante. Nel caso bidimensionale il discorso si generalizza in modo banale. Serve passare dalla funzione continua ai valori che la funzione assume su una griglia rettangolare del piano x, y. y b a x Figura Reticolo di campionamento rettangolare. La funzione campionata può allora essere matematicamente descritta da (3.2.1) f c (x, y) = f (x, y) δ (x ka) δ (y lb) k l Il primo problema da risolvere consiste nel determinare quali condizioni debbano essere verificate affinchè sia possibile tornare dai campioni alla funzione continua di partenza. È necessario, in altri termini, determinare quali possano essere i valori massimi di a e di b affinchè dai campioni si possa risalire al valore che la funzione f(x, y) assume in qualunque punto del piano. Conviene affrontare il problema nel dominio della trasformata di Fourier. Dalla (3.2.1) discende immediatamente che l operazione di campionamento è separabile. Calcolare la trasformata di Fourier di una funzione bidimensionale separabile, cioé tale che f(x, y) = f 1 (x)f 2 (y), è banale, essendo già separabile il nocciolo della trasformata. Si ha, infatti: ˆˆ F (k x, k y ) = f 1 (x) f 2 (y) exp ( jk x x) exp ( jk y y) dxdy = ˆ = f 1 (x) exp ( jk x x) dx ˆ f (y) exp ( jk y y) dy = F 1 (k x ) F 2 (k y )

47 3.2. CAMPIONAMENTO 47 Nella (3.2.1) è presente un prodotto, per cui nella sua trasformata si avrà una convoluzione. 2 La trasformata della (3.2.1) è F (k x, k y ) 1 a m ( δ k x m 2π a ) 1 b n ( δ k y n 2π b Quindi, a impulsi nel piano x, y corrispondono ancora impulsi nel piano k x, k y. Il risultato non è strano perché la funzione nel piano x, y è periodica di a lungo x e di b lungo y. La trasformata di Fourier potrà essere costituita solo da sinusoidi di periodi a in orizzontale e b in verticale, o loro sottomultipli o, che è la stessa cosa, di frequenza 1/a in orizzontale ed 1/b in verticale o multipli. ) y k y b a x 2 π /a k x 2 π /b Figura Posizione degli impulsi di campionamento nel piano x, y e degli impulsi nel piano k x, k y della corrispondente trasformata. Come nel caso monodimensionale, convolvere una funzione con un impulso significa traslare la funzione a cavallo della posizione dell impulso, cosi nel caso bidimensionale convolvere una funzione con un impulso significa traslare la funzione fino a quanto l origine degli assi non coincide con la posizione dell impulso. La trasformata di Fourier di una funzione campionata sarà allora semplicemente una ripetizione del suo spettro a cavallo di tutti i punti del piano k x, k y corrispondenti alla posizione degli impulsi. A questo punto per ricostruire lo spettro della funzione continua di partenza basta isolare il termine centrato a k x = 0 e k y = 0, generalizzando così il discorso del caso monodimensionale Campionamento a quinconce. Il problema di un campionamento regolare come quello descritto è che non sono ben rappresentate le frequenze in direzione obliqua. Per ottenere maggior risoluzione in tali direzioni sarebbe necessario ridurre il passo di campionamento sia in orizzontale sia in verticale, cioé infittire la griglia. In realtà si può procedere in altro modo, effettuando un campionamento sfalsato come in figura. 2 Anche nel caso bidimensionale, una convoluzione nei tempi si trasforma in un prodotto nei dominio trasformato e viceversa, in virtù della ortogonalità delle autofunzioni del sistema.

48 3.2. CAMPIONAMENTO 48 y x Figura Questo schema di campionamento si può, in effetti, pensarlo costituito da due pattern diversi, uno costituito dai punti marcati con ed uno costituito dai punti marcati con, intercalati tra loro. Calcolare cosa succede nei numeri d onda è banale, ricordando le proprietà della trasformata di Fourier. Lo spettro del pattern vale (3.2.2) 1 4π 2 a 2b l δ (k x 2πa ) l m δ (k y π ) b m Il pattern è traslato rispetto all altro di a/2 in orizzontale e di b in verticale. La sua trasformata sarà, perciò, quella già calcolata nella (3.2.2)moltiplicata per l operatore di traslazione di a/2 in orizzontale e di b in verticale 1 4π 2 a 2b δ (k x 2πa ) l δ (k y π ) b m l m [ ( a )] exp j k x 2 + k yb La trasformata del pattern complessivo sarà dato dalla somma delle due trasformate 1 δ (k 4π 2 x 2πa ) a 2b l δ (k y π ) ( [ ( b m a )]) 1 + exp j k x 2 + k yb l m La quantità tra parentesi quadre è sostanzialmente una funzione di trasferimento che moltiplica una trasformata impulsiva ed il suo valore ha importanza solo in corrispondenza di un impulso. Si può allora scrivere ( 1 + exp [ j ( k x a 2 + k yb )]) = ( 1 + exp [ ( 2π j a la 2 + π )]) b mb = (1 + exp [ jπ (l + m)]) e, quindi { 2 l + m pari (1 + exp [ jπ (l + m)]) = 0 l + m dispari Vediamo allora cosa succede nel piano k x, k y. In figura è rappresentato lo spettro relativo ad uno dei due pattern di campionamento (quello dei o quello dei ); gli spettri sono infatti uguali, a meno di un termine di fase. Per non avere aliasing la funzione bidimensionale deve avere spettro compreso nel dominio k x π/a e k y π/2b. Vediamo cosa succede considerando l effetto della sovrapposizione tra i due pattern.

49 3.2. CAMPIONAMENTO 49 k y π/b 2π/ a π/b 2π/ a k x Figura Spettro di ogni singolo reticolo di campionamento. Gli impulsi piazzati in posizione tale che l+m sia pari restano, mentre quelli in posizione tale che l + m sia dispari si cancellano. Lo spettro risultante è il seguente. k y 2π/ b 2π/ a 2π/ a k x 2π/ b Figura Spettro della somma dei due reticoli parziali. Il dominio all interno del quale deve essere contenuto lo spettro della funzione da campionare diventa l esagono segnato in figura Le rette che lo delimitano sono le bisettrici delle congiungenti l origine degli assi con le posizioni degli impulsi contigui della trasformata del grid di campionamento. Naturalmente questa struttura esagonale è presente attorno a ciascuno degli impulsi nello spettro, ricoprendo così tutto il piano. In verticale si è guadagnato un fattore due, nel senso che il dominio non ambiguo è ora π/b < k y < π/b, mentre prima era π/2b < k y < π/2b. In orizzontale, però, la frequenza di campionamento è rimasta invariata. D altra parte, prima la zona non ambigua si estendeva fino a π/a (rettangolo punteggiato). Ora, invece, si estende oltre tale valore, di una quantità dipendente dal rapporto tra a e b. Naturalmente il confronto non va effettuato tra l esagono in figura ed il rettangolo in figura Il confronto deve essere effettuato tra un campionamento rettangolare ed un campionamento sfalsato con lo stesso numero di campioni per unità di superficie. Il confronto deve quindi essere effettuato tra l esagono in figura ed il rettangolo tratteggiato nella stessa figura, che rappresenta il dominio non ambiguo che si sarebbe ottenuto con un campionamento rettangolare. Si noti che l area complessiva è uguale nei due casi: col campionamento sfalsato si è rinunciato a poter descrivere le frequenze spaziali contenute nei triangolini sui vertici del rettangolo, a favore delle frequenze spaziali contenute nei triangoli vicini ai vertici

50 3.3. DFT A DUE DIMENSIONI 50 dell esagono sull asse k x. In altri termini, si è rinunciato a descrivere delle componenti a frequenza spaziale più alta in direzione obliqua, cosa che a volte può non interessare, a vantaggio di una migliore descrizione dei dettagli verticali, cioé di una estensione del dominio non ambiguo lungo la direzione k x. È ovvio che non si può sperare in un aumento dell area del dominio non ambiguo, dato che il numero di campioni per unità di superficie è sempre lo stesso. Si possono dare due interpretazioni di un segnale bidimensionale campionato: una consiste nell assegnare a punti del piano i valori in considerazione, mentre l altra, non del tutto equivalente, consiste nel suddividere il piano in cellette ad ognuna delle quali si assegna un valore. La scelta tra le due rappresentazioni può essere importante nel caso in cui sia necessario eseguire delle interpolazioni. Se infatti si vuole calcolare il valore in un punto intermedio tra punti di campionamento contigui, può essere utile la prima descrizione. Se è necessaria ripartire il valore di un campione tra più celle adiacenti, è utile la seconda descrizione Campionamento irregolare. Questo discorso è applicabile a strutture ancora più complicate. È ovvio che il pattern di campionamento deve essere regolare, altrimenti potrebbe non essere più valido il teorema del campionamento. D altra parte ci sono delle situazioni, anche e soprattutto nel caso bidimensionale, in cui è impossibile effettuare un campionamento regolare: ad esempio una campagna di misure per misurare l anomalia gravitazionale in una certa zona, per identificare nel sottosuolo masse di densità differente dal materiale circostante. In questo caso si può ricorrere alle stesse tecniche viste nel caso monodimensionale come, ad esempio, agli splines. Nel caso monodimensionale si ricorreva al modello del filo di acciaio armonico, nel caso bidimensionale si può usare, come modello, un piano di materiale con proprietà simili. Una procedura più approssimata, ma più semplice, si può ottenere operando con tecniche 1D prima sulle righe, regolarizzando i campioni in orizzontale, e poi sulle colonne, regolarizzando i campioni in verticale DFT a due dimensioni Cerchiamo ora di estendere ad un segnale campionato l analisi di Fourier. Definiamo cioé la DFT bidimensionale. Il discorso è perfettamente analogo al caso monodimensionale. Abbiamo già visto che lo spettro di un segnale campionato è la ripetizione periodica dello spettro nel dominio non ambiguo. La funzione campionata è esprimibile come f c (x, y) = f (na, lb) δ (x na) δ (y lb) k l e sappiamo che in generale la trasformata di Fourier è ˆˆ F (k x, k y ) = f 1 (x, y) exp [ j (k x x + k y y)] dxdy =

51 Nel nostro caso si ottiene F c (k x, k y ) = 3.3. DFT A DUE DIMENSIONI 51 N 1 M 1 n=0 l=0 f (na, lb) exp [( jk x na + k y lb)] Questa è la trasformata di Fourier bidimensionale della funzione f(x, y) dopo campionamento regolare a passo a in orizzontale ed a passo b in verticale. Naturalmente per l uso al calcolatore, è necessaria una discretizzazione anche nelle frequenze. Naturalmente campionare nelle frequenze equivale a periodicizzare nel dominio coniugato. Il passo di campionamento nelle frequenze si sceglie, esattamente come nel caso monodimensionale, prendendo nell intervallo ampio 2π/a sull asse k x N campioni (se si avevanon campioni in orizzontale), e nell intervallo ampio 2π/b sull asse k y M campioni (se M erano i campioni in verticale). Si ottiene così che la trasformata di Fourier bidimensionale discreta è data da DFT [f (k, l)] = F (n, m) = N 1 M 1 k=0 l=0 f (k, l) exp [ j2π (kn/n + lm/m)] Il nocciolo della trasformata non è altro che il prodotto dei noccioli della DFT monodimensionale: infatti il campionamento rettangolare non ha alterato la separabilità del nocciolo. Segue che la trasformata bidimensionale può essere calcolata trasformando monodimensionalmente prima le righe della matrice dei campioni, e poi le colonne della matrice ottenuta dopo la prima trasformazione. Quindi se il pattern di campionamento è regolare, la separbilità valida nel caso continuo, si ritrova anche nel discreto. Quindi basta saper calcolare una DFT monodimensionale per poter valutare in modo altrettanto efficiente una trasformata di Fourier bidimensionale discreta. Il realtà questo è vero fino a quando la matrice è piccola, o meglio di dimensioni tali da poter essere contenuta nella memoria di un calcolatore. In caso contrario è necessario usare un dispositivo di memorizzazione di massa. In questo caso la lettura delle righe della matrice può non creare grossi problemi, se la matrice è memorizzata per righe, ma può essere molto lenta e onerosa durante la lettura per colonne. Il problema può essere risolto trasponento la matrice prima di effettuare le operazioni sulle colonne. Il risultato è naturalmente trasposto e si rende necessaria una ulteriore trasposizione. In realtà non è difficile trovare un modo efficiente per effettuare la trasformazione per colonne. Si ricordi, infatti, che nell effettuare la FFT, si faceva uso di strutture a farfalla, sovrapponendo i risultati ai dati. L operazione per righe non crea problemi. Per quanto riguarda l operazione per colonne, basta in effetti caricare in memoria due righe, la i-esima e la n-esima, ed operare sugli elementi a coppie, sovrapponendo poi i risultati ai dati. Si ricordi come nel caso monodimensionale il campionamento in frequenza della DFT creava problemi, a causa della simmetria circolare che portava ad un risultato errato per i campioni ai bordi della sequenza. Nel caso bidimensionale si ha qualcosa di analogo. Il campionamento nelle frequenze porta naturalmente una periodicizzazione negli spazi. Per descrivere compiutamente la funzione periodica, è naturalmente sufficiente descriverne un solo periodo e, quindi, considerare un solo rettangolo, comunque piazzato.

52 3.3. DFT A DUE DIMENSIONI 52 y M/2 b (M 1)/2 b x (N 1)/2 a N/2 a Figura Dominio non ambiguo della DTFT 2D. Sarebbe naturale considerare il rettangolo centrato nell origine, con x N a/2 e y Mb/2 negli spazi, e con k x π/a e k y π/b nei numeri d onda. In realtà, si preferisce considerare per i vettori solo indici positivi: questo equivale a considerare il rettangolo (nelle frequenze) avente un vertice in (k x, k y ) = (0, 0) e giacente nel primo quadrante. In altri termini, invece di considerare il dominio di figura ##a, si considera il dominio di figura ##b k y π/b a π/ π/b π/a k x Figura Si ricordi che anche nel caso monodimensionale succedeva una cosa analoga, in quanto si aveva che il primo coefficiente era quello relativo alla continua, seguivano le frequenze positive fino al campione N/2 + 1 e, successivamente, le frequenze negative con modulo via via decrescente, dal più grande al più piccolo (la frequenza 1 in ultima posizione). Qualcosa di simile succede nel caso bidimensionale sia per le frequenze orizzontali che per quelle verticali. Si hanno allora le seguenti corrispondenze tra quadranti È chiaro che a questo punto è necessario cercare la corrispondenza tra valore di frequenza spaziale e posizione nella matrice. Se i campioni vanno da 1 a N si avrà che per 1 n N/2 + 1 la posizione orizzontale sarà (n 1) x, mentre per N/2 + 2 n N la posizione nella matrice vettore sarà (n N 1) x. Qualcosa di analogo naturalmente vale per la posizione verticale all interno della matrice.

53 3.3. DFT A DUE DIMENSIONI 53 k y π/b k y 2π/ b π/a π/a k x π/b 2π/ a k x Figura 3.3.3

54 CAPITOLO 4 Applicazioni 1D 4.1. Segnale vocale Il segnale vocale di qualità telefonica ha banda che si assume pari a Hz. Tale banda non coincide, come è noto, con la banda del segnale vocale, ma è tale da salvare l intellegibilità del messaggio e il riconoscimento del parlatore. Un diverso standard considera banda doppia e permette il cosiddetto audio a qualità migliorata, consentendo applicazioni come teleconferenze o teledidattica per le quali la qualità telefonica non è sufficiente. La trasmissione del segnale vocale di qualità telefonica in modalità numerica rende necessario un campionamento. Tale campionamento viene effettuato a frequenza f c = 8 khz (la banda lorda supposta è B = 4 khz). Il problema che si pone a questo punto è la quantizzazione: la legge di quantizzazione del segnale telefonico deve essere adeguata alle proprietà statistiche del segnale. Nel caso del segnale vocale va tenuto presente che ciascuno ha timbro e livello di voce diverso dagli altri, per cui la legge di quantizzazione deve essere tale da soddisfare tutti i parlatori. La dinamica del segnale è stata valutata in 72 db e questo implica, con una quantizzazione uniforme, l uso di 12 bit. Osserviamo che per effettuare la trasmissione numerica di un segnale sono necessarie due discretizzazioni. Una di esse, cioé il campionamento (discretizzazione nel tempo), è reversibile, a patto naturalmente di rispettare il teorema del campionamento. La discretizzazione dei valori, invece, cioé la quantizzazione, non è reversibile in alcun modo. D altra parte, spesso non è importante ricostruire esattamente la forma d onda del segnale che si vuole trasmettere, basta ricostruirla in modo approssimato ma sufficiente a soddisfare l utenza. Questo discorso può essere portato alle estreme conseguenze: si può arrivare ad una forma d onda ricostruita completamente diversa da quella che si voleva trasmettere, purché essa fornisca all utente la stessa sensazione che gli avrebbe dato il segnale originale. Per il momento restiamo nell ambito della cosiddetta codifica di forme d onda. La scelta più banale è quella di fare una quantizzazione uniforme. Tale scelta è inevitabile quando non è possibile accedere ad una statistica affidabile del segnale e, quindi, non è possibile l ottimizzazione di una funzione costo. Per il segnale telefonico tale statistica è disponibile: come è noto è disponibile la statistica della potenza del singolo parlatore e la statistica della potenza media dei vari parlatori. Le due statistiche si possono mettere insieme ottenendo una densità di probabilità del tipo in figura 4.1.1, con un picco intorno ai valori molto piccoli (fluttuazioni molto lente nel tempo). È quindi nota una statistica del segnale. Si può allora tentare di ottimizzare la legge di quantizzazione in modo da minimizzazione una funzione costo. La funzione costo che 54

55 4.2. QUANTIZZAZIONE NON UNIFORME 55 Figura Densità di probabilità della potenza di un segnale telefonico. normalmente si usa è l errore quadratico medio, cioé E [ (u e) 2] essendo e l ingresso ed u l uscita del quantizzatore. Il quantizzatore che garantisce la minimizzazione del valore quadratico medio dell errore, per un numero fissato di livelli di quantizzazione, si dice alla Max dal nome di chi ne propose per primo il metodo di progetto. u rk+1 rk s k s k+1 e Figura Caratteristica ingresso-uscita di un quantizzatore. Un quantizzatore è un sistema non lineare senza memoria, caratterizzato da una relazione ingresso-uscita come quella schematizzata in figura 4.1.2: quanto l ingresso è compreso nell intervallo tra due valori di soglia successivi (s k e s k+1 ) il valore in uscita è pari al corrispondente valore di restituzione (r k ). Si può ipotizzare che, all interno del singolo intervallino, la densità di probabilità condizionata al fatto che il valore del segnale in ingresso cada in quell intervallino sia più o meno uniforme. In tal caso la varianza del rumore di quantizzazione (o errore di quantizzazione) sia proporzionale al quadrato dell ampiezza dell intervallino. Minimizzare l errore quadratico medio, cioé la media delle varianze pesate per la probabilità che il segnale cada nei vari intervallini, implica di assegnare errore maggiore agli intervalli che si presentano meno frequentemente ed errore più piccolo a quelli che si presentano più frequentemente Quantizzazione non uniforme Nel caso di una distribuzione cumulativa del tipo in figura 4.1.1, si agisce in modo da rendere più piccolo il rumore di quantizzazione per piccoli livelli di ingresso (scalini piccoli per piccoli valori in ingresso) e aumentare la grossolanità della legge di quantizzazione all aumentare del valore del campione da quantizzare. Si arriva così ad una quantizzazione non uniforme. Questa procedura è ottimale solo se ha senso usare il valore quadratico medio come misura dell errore. Per un segnale telefonico ciò ha senso essendo l orecchio sensibile alla potenza del segnale ed alla sua distribuzione in frequenza. Nel caso di un segnale televisivo, invece, questo modo di procedere non è ragionevole perché il fastidio percepito dall occhio non è proporzionale alla potenza del disturbo, ma anche alle sue altre caratteristiche.

56 4.2. QUANTIZZAZIONE NON UNIFORME 56 Nel caso della quantizzazione di un segnale telefonico ci si trova di fronte al problema di fornire un servizio di qualità accettabile sia a chi ha una voce forte, sia a chi ha una voce debole. Servizio accettabile vuol dire adeguato rapporto segnale/rumore. Nel caso di quantizzazione uniforme, la potenza del disturbo di quantizzazione è fissata una volta che si sia fissato il passo di quantizzazione. Questo vuole evidentemente dire che il passo di quantizzazione andrebbe fissato sul parlatore più debole, quello con minore potenza di segnale, mentre il parlatore più forte sarebbe quello che stabilisce la massima dinamica e, quindi, il numero di livelli di quantizzazione. Il risultato sarebbe che, anche in questo caso, chi urla di più avrebbe un servizio migliore. Si può, invece, perseguire l obiettivo di trattare tutti più o meno allo stesso modo, almeno all interno di una fascia che copra la maggioranza degli utenti telefonici. A questo scopo si potrebbe puntare ad ottenere un rapporto segnale/rumore di quantizzazione costante: vorrebbe dire maggiore rumore di quantizzazione a chi ha una dinamica più ampia. A tal fine si può usare un intervallo di quantizzazione di ampiezza proporzionale al livello da quantizzare Compressione/espansione. Questo lo si può ottenere utilizzando soglie non equispaziate ma, siccome la loro implementazione porrebbe problemi, si preferisce usare sempre un quantizzatore uniforme, facendolo predere da un dispositivo non lineare senza memoria la cui relazione ingresso uscita sia tale da modificare le soglie uniformemente spaziate in soglie opportunamente disposte.. f( ) A/D 1. D/A f ( ) Figura Quantizzazione non uniforme ottenuta con non-linearità. vout f(v in) δ out δ in v in Figura Legame ingresso uscita della non-linearità anteposta al quantizzatore uniforme. Con riferimento alla figura 4.2.2, si osserva che il passo di quantizzazione uniforme dell uscita è legato al corrispondente passo di quantizzazione dell ingresso tramite la derivata della caratteristics non lineare. Nel caso citato del segnale telefonico il legame dovrebbe

57 4.2. QUANTIZZAZIONE NON UNIFORME 57 essere del tipo df df δ out = a = δ in = kv in dv in dv in con k costante arbitraria, mentre a è il passo costante di quantizzazione. Ne segue che f (v in ) log v in + cost. È evidente che una tale legge vada modificata perché se v in 0 f ed è altresì ovvio che il segno vada trattato separatamente. In realtà l intera caratteristica logaritmica implicherebbe passi di quantizzazione infinitesimi ad un estremo ed infiniti all altro. Evidentemente, invece, l intervallo delle dinamiche da considerare è limitato. Per i valori di dinamica minima si può utilizzare una quantizzazione uniforme, mentre quando la dinamica aumenta si può passare alla compressione logaritmica. Ne viene fuori, comunque, che per rendere più uniformi i rapporti segnale-rumore è necessario anteporre una non-linearità in grado di comprimere la dinamica del segnale in ingresso (un compressore ). In ricezione un convertitore digitale/analogico, anch esso uniforme, andrebbe seguito da una non-linearità complementare ( espansore ) per completare la realizzazione di una quantizzazione non uniforme del segnale. Nella realtà si utilizza effettivamente questa procedura. La legge di compressione utilizzata (in Europa, in America se ne utilizza una simile) è detta A-law (vedi figura 4.2.3) ed è descritta dalle seguenti equazioni: A x x < log e (A) A y = f (x) = sign(x) 1 + log e (A x ) log e (A) A x 1 dove x è il segnale di ingresso normalizzato, con dinamica compresa tra 1 e +1. costante A si assume abbia un valore 87, 7. La v out v in 1 Figura Caratteristica di compressione della A-law.

58 x = f 1 (y) = sign(y) 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 58 L espansore da utilizzare in ricezione è descritto dalla relazione inversa y (1 + log e (A)) y < A exp ( y (1 + log e (A)) 1) A log e (A) log e (A) y Quantizzatore di Max. Se si conosce la densità di probabilità p (x) del segnale da quantizzare ed il valore quadratico medio dell errore di quantizzazione è una misura adeguata del rumore introdotto dal processo di quantizzazione, si può ricorrere al metodo di Max per progettare il quantizzatore non uniforme che, a parità di numero di livelli di quantizzazione, fornisce il più piccolo valore quadratico medio dell errore di quantizzazione. Il valore quadratico medio dell errore di quantizzazione per un segnale a densità di probabilità pari e quantizzatore a soglia centrale (ma il discorso si può facilmente generalizzre) o midrise, se s k indica la generica soglia del quantizzatore (s 1 = 0) ed r k il generico valore di restituzione quantizzato, vale: (4.2.1) d 2 = E [ (u e) 2] = 2 N/2 1 k=1 ˆ sk+1 s k (e r k ) 2 p(e) de + 2 ˆ s N/2 (e r N/2 ) 2 p(e) de i valori di s k ed r k che minimizzano (4.2.1) sono quelli che annullano le derivate parziali di d 2 ( d 2 / s k e d 2 / r k ): (4.2.2) s k = r k + r k+1 2 e (4.2.3) r k = sk+1 s k sk+1 s k x p(x) dx p(x) dx I valori di soglia devono essere equidistanti dai contigui valori di restituzione ed i valori di restituzione devono essere piazzati nel baricentro della densità di probabilità compresa tra due soglie contigue. Basandosi su queste conclusioni si può cercare, mediante una procedura iterativa, il set di valori di soglia e di restituzione che caratterizzano il quantizzatore ottimale Codifica differenziale Tornando al segnale telefonico, l aver introdotto una quantizzazione non uniforme consente di passare da 12 a 8 bit per campione, giungendo ai noti 64 kb/s della trasmissione PCM. Per andare oltre è necessario utilizzare informazioni a priori sul segnale: è noto, infatti, che il segnale vocale viene generato attraverso la cavità vocale. La vibrazione delle corde vocali genera degli impulsini con cadenza regolare. La frequenza (pitch) è di circa

59 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 59 Hz ed è legata al timbro della voce. A basse frequenze corrispondono toni più bassi, e quindi voci maschili, ad alte frequenze toni più alti e, quindi, voci femminili o di bambini. Il pitch non è rigorosamente costante per ogni parlatore, ma varia a seconda dell intonazione del parlato. La presenza della cavità nasale, costituendo un cammino parallelo che fornisce un contributo che poi si somma all uscita a quello della cavità principale, crea ulteriori problemi. Nel caso dei suoni nasali, tra il generatore e il suono che esce c è una funzione di trasferimento che non è più solo con poli in quanto la cavità nasale, che costituisce un cammino parallelo, introduce degli zeri. Di conseguenza, per descrivere l effetto della cavità vocale sarebbe necessario l uso di un modello ARMA, con l introduzione di una funzione di trasferimento con poli e zeri. In realtà, però, tutti i codificatori usano un numero limitato di poli, trascurando la modellizzazione degli zeri. Quanto detto vale per i suoni vocalizzati. Il meccanismo di generazione dei suoni sibilanti o gutturali è leggermente diverso: le corde vocali non vibrano ma si aprono e lasciano passare l aria. In questo caso il suono viene generato da strozzature che possono aver luogo nella parte posteriore della gola (suoni gutturali) o nella cavità orale (suoni sibilanti). Il modello è abbastanza complicato. La prima cosa evidente è che le variazioni di assetto della cavità orale non possono avvenire che con una relativa lentezza e, quindi, è ragionevole ipotizzare nel suono generato una certa regolarità temporale a breve periodo. La potenza del segnale può essere quantificata mediante la statistica del secondo ordine r x (0) = E [ x(n) 2] essendo naturalmente E [x(n)] = 0. Se si vuole fare una quantizzazione per descrivere un segnale di potenza r(0) con dei margini di errore quadratico medio fissati, si ricade nei problemi già analizzati. D altra parte, se la potenza media del segnale fosse più bassa, sarebbe possibile mantenere l errore quadratico medio entro i limiti stabiliti pur usando una quantizzazione con un numero inferiore di livelli. Si può allora, osservando che, per il meccanismo della generazione, il segnale ha delle variazioni lente nel tempo, invece di trasmettere ogni campione come se fosse indipendente dagli altri, cercare di tenere in considerazione il legame esistente tra un campione ed il precedente. Si trasmette non il valore del campione x(n), ma la differenza x(n) x(n 1) tra tale campione e quello precedente, effettuando così una codifica differenziale. Si può sperare di trarre vantaggio da una codifica differenziale del tipo descritto, a patto che tra due campioni successivi ci sia una certa somiglianza, che in termini di statistica del secondo ordine si può valutare mediante la correlazione esistente tra campioni successivi. Quello descritto è un modo banale di tener conto di un modello del sistema, dato che l unica cosa di cui si tiene conto è che c è una regolarità temporale. In realtà la procedura deve essere modificata: in un sistema trasmissivo, infatti, è necessario che il ricevitore sia in grado di effettuare l operazione duale di quella operata dal trasmettitore. Nel caso in questione il ricevitore non ha a disposizione il campione precedente, ma soltanto una sua stima. Di conseguenza anche il trasmettitore, nel misurare la differenza rispetto al campione precedente, non dovrà usare il vero valore x(n 1), ma la sua stima ˆx(n 1)

60 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 60 disponibile anche al ricevitore: e(n) = x(n) ˆx(n 1). In trasmissione, quindi, si deve utilizzare uno schema come quello riportato in figura 4.3.1a ed al ricevitore uno schema del tipo riportato in figura 4.3.1b. quantizzatore z 1 z 1 a) b) Figura Schemi a blocchi: a) codificatore differenziale, b) decodificatore. In effetti è necessario introdurre un ulteriore modifica. Per poter agganciare il ricevitore al trasmettitore, è necessario partire da una situazione preesistente definita; poi bisogna garantire il mantenimento dell aggancio. Se c e un errore di trasmissione, il ricevitore non è in grado di recuperarlo e continuerà a ricostruire una forma d onda errata da quel momento in poi, anche se la trasmissione torna ad essere esatta. Si fa perciò in modo che il sistema non abbia memoria infinita, aggiungendo una moltiplicazione per una costante c < 1, così che l effetto dell errore pesi sempre meno col passare del tempo. In questo modo ci si assicura che il sistema sia in grado di ristabilire l aggancio. Si ottengono allora gli schemi di figura quantizzatore z 1 c 1 z c IN TRASMISSIONE IN RICEZIONE Figura Codifica e decodifica differenziale con guadagno d anello minore di 1. Quanto visto per la predizione del campione in funzione di quello precedente non è l optimum. La varianza del segnale da trasmettere, da confrontare con r(0), è (sempre nell ipotesi di segnale a valor medio nullo, come per il segnale telefonico) (4.3.1) E [ (x(n) x(n 1)) 2] = 2 [r x (0) r x (1)] essendo r (0) = funzione di autocorrelazione per ritardo nullo r (1) = funzione di autocorrelazione per ritardo unitario. Questa è la varianza del segnale da codificare, se si usa una semplice codifica differenziale. Nella prima parte del corso si è studiata la predizione lineare, in cui si considera come stima del campione successivo il valore del campione precedente opportunamente pesato: come stima del campione successivo si considera ax(n 1) con a = r(1)/r(0). Questo valore

61 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 61 di a è il valore ottimale per ridurre la varianza dell errore residuo e, quindi, per ridurre la varianza del segnale da codificare. Sostituendo quanto appena scritto nella (4.3.1) si ha E [ (x(n) ax(n 1)) 2] = r x (0) [ 1 a 2] Modulazione delta. Una volta che si sia deciso di effettuare una codifica differenziale, sorge il problema della quantizzazione. L ipotesi più semplice è quella di considerare una quantizzazione con un solo bit, cioé trasmettere solo il segno dell errore di predizione. La trasmissione del solo segno dell errore prende il nome di modulazione delta. In ricezione si ricostruisce la forma d onda a gradini di ampiezza costante, verso l alto se il segno è positivo, verso il basso se negativo. TRASMISSIONE RICEZIONE Figura Segnale da trasmettere e segnale ricostruito con la modulazione delta. È chiaro che non si ottiene una forma d onda identica a quella di partenza, ma ciò è insito nella stessa quantizzazione. Questo modo di procedere si presta a due errori tipici: il rumore granulare in zone piatte e la saturazione di pendenza. Figura Rumore granulare in modulazione. Il primo tipo di errore è messo in evidenza nella figura 4.3.4: se l andamento è molto regolare, cioé se le fluttuazioni di ampiezza tra un campione ed il successivo sono molto piccole, il segno dell errore continua a diventare alternativamente positivo e negativo. Non è, infatti, possibile mantenere un valore costante e, quindi, necessariamente nel seguire un andamento regolare ci sono oscillazioni. Per ridurre il rumore granulare, inevitabile, si possono fare dei gradini di altezza piccola. Un altra situazione che crea problemi è quella in cui il segnale ha delle variazioni molto brusche. Essendo, infatti, gli scalini di durata e altezza fisse, non è possibile seguire una

62 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 62 PENDENZA MAGGIORE DELLA MASSIMA PENDENZA MASSIMA Figura Errore di superamento della pendenza massima. funzione con pendenza maggiore della pendenza data dall altezza diviso la larghezza dello scalino. Tutto ciò è evidenziato in figura Di conseguenza se la pendenza è maggiore della massima ottenibile, il modulatore delta non può far altro che salire con la velocità che il sistema gli consente, sganciandosi per poi riagganciarsi quando il segnale cresce più lentamente o ricomincia a scendere. Questo è sostanzialmente un effetto non lineare, in quanto viene tagliato tutto un pezzo del segnale. Questo effetto prende il nome di slope overload (o sovraccarico di pendenza). Il rimedio, per poter seguire pendenze molto forti, è fare dei gradini più alti, esattamente il contrario di quanto serve per ridurre il rumore di granularità. È chiaro che è necessario fissare un valore per l altezza del gradino che vada bene per tutti i casi. Un altro modo di alleviare sia l uno che l altro problema è quello di infittire il passo di campionamento. In questo modo, a pari altezza di scalino, la massima pendenza che si può seguire aumenta, e inoltre il rumore di granularità diventa di più alta frequenza, per cui il filtraggio passa basso per otenere una ricostruzione del segnale analogico è più facile. Qualcosa di meglio si può fare ipotizzando un modello per il segnale già in parte usato per la modulazione delta. Quest ultima si basa sull ipotesi di regolarità temporale del segnale. Il sistema non riesce a seguire il segnale quando questo cresce rapidamente e per un certo periodo di tempo. Di questa situazione ci si può facilmente accorgere e si può mettere in piedi un sistema di codifica delta-adattativo che, ovviamente, prevede ulteriore memoria nel codificatore e nel ricevitore e introduce ulteriori problemi per un eventuale sganciamento a causa di errori. La logica che è alla base del sistema di codifica delta-adattativo è la seguente: si estrapola dal passato un andamento nel futuro, considerando più di un elemento di memoria. In altri termini, se per più volte consecutive è necessario emettere il comando di salita (segnale che cresce), si amplia l altezza dello scalino: al persistere della situazione di crescita, l ampiezza degli scalini viene man mano aumentata. Tutto ciò prevede, come già detto, l uso di più elementi di memoria, per la conoscenza di un pezzo di storia passata. Dualmente, quando ci si trova in una zona in cui il segnale è piatto, gli scalini tendono alternativamente a salire e a scendere, come mostrato in figura Anche di questa situazione ci si può facilmente accorgere, mediante l uso di più elementi di memoria. In questo caso il sistema si adatterà diminuendo l ampiezza degli scalini. Il problema sta nel fatto che, come in tutti i sistemi che usano il passato per predire il futuro, il futuro deve cambiare molto lentamente. In presenza di brusche variazioni, infatti,

63 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 63 si crea un transitorio nel quale il sistema perde momentaneamente l aggancio, prima di adattarsi alle mutate condizioni DPCM. L idea allettante della modulazione delta è che basta un bit per campione, anche se campionando ad una frequenza maggiore della frequenza di Nyquist. Naturalmente è possibile usare quantizzatori a più bit, eventualmente da ottimizzare in base a qualche opportuno criterio (spesso, a torto o a ragione, l errore quadratico medio). Con la codifica differenziale ci si trova in una situazione in cui la statistica del segnale da quantizzare è molto più uniforme, molto più concentrata verso i valori piccoli. Si possono fare due cose: usare una quantizzazione non uniforme, in modo da dare errore più piccolo ai valori più probabili, oppure usare una quantizzazione uniforme. Nel primo caso si varia l intervallo di quantizzazione facendolo più piccolo dove ci sono eventi più probabili, In quato modo si arriva a determinare eventi (appartenenza ad un particolare intervallo di quantizzazione) più o meno equiprobabili. All uscita del quantizzatore si hanno così dei messaggi equiprobabili ed a ciascuno di essi si può assegnare una parola binaria di lunghezza costante. Nel caso di quantizzazione uniforme si ottengono, invece, degli eventi non equiprobabili: gli eventi relativi a valori piccoli saranno molto più probabili di eventi relativi a valori grandi. In questo caso conviene usare una codifica a lunghezza variabile, che assegni configurazioni più corte ai valori più interni (più probabili) e configurazioni più lunghe ai valori più esterni (meno probabili). Nel caso di quantizzazione non uniforme si ottiene, indipendentemente dalla ottimizzazione del quantizzatore, un bit-rate uniforme (numero di bit al secondo generato fisso); nel caso di quantizzazione uniforme seguita da codifica a lunghezza variabile, invece, il bit rate non è uniforme. Quest ultimo tipo di codifica crea un altro tipo di problema. Un sistema di trasmissione è fatto per trasmettere a velocità sostanzialmente fissa: bisogna allora regolarizzare il flusso di bit da trasmettere. La cosa più facile da fare è dimensionare il sistema in modo che possa garantire la massima velocità di trasmissione, quando la velocità di trasmissione richiesta è inferiore si introducono dei bit fittizi (da rendere riconoscibili al ricevitore!). In ogni caso bisogna verificare che il tasso di creazione dei bit coincida con quello dei bit assorbiti dal canale e, in funzione della capacità trasmissiva in eccesso o in difetto, forzare delle modalità di funzionamento a qualità più alta o più bassa, in modo da mantenere rigorosamente il flusso medio di generazione uguale al flusso medio di trasmissione. Si noti che, nel caso di codifica a lunghezza fissa, se si commette un errore su un bit si ha un campione sbagliato in ricezione, ma l errore è limitatp al singolo campione. Nel caso di codifica a lunghezza variabile, un bit sbagliato provoca errore non solo sul campione, ma può ripercuotersi su ciò che segue, perché fa perdere (almeno momentaneamente) la capacità di distinguere correttamente le successive parole del codice. I sistemi di codifica a lunghezza varibile, infatti, si basano sul principio che nessuna parola di codice può costituire parte iniziale di un altra. Con un bit sbagliato questo principio può risultare violato e, quindi, prima di riagganciare la sequenza è possibile che passi un pò di tempo. Questo significa che l errore singolo può protrarsi nel tempo.

64 4.3. CODIFICA DIFFERENZIALE 64 Nella codifica differenziale abbiamo considerato come stima del campione il campione precedente opportunamente pesato. In realtà si può complicare il predittore considerando più campioni precedenti, passando da un predittore lineare ad un solo coefficiente ad un predittore lineare di ordine superiore. Aumentando la complessità del predittore si riesce a ridurre la varianza dell errore di predizione. Una volta ottenuto l errore di predizione lo si quantizza e lo si trasmette. La qualità del segnale ricostruito dipende dalla fedeltà con cui si descrive l errore di predizione: continuando ad aumentare il numero di livelli con cui discretizziamo l errore di predizione, si arriva a descrivere il segnale esattamente con la stessa qualità di partenza. Lo schema è quello in figura Figura Codificatore DPCM. Al segnale di ingresso si sottrae la predizione; l errore così ottenuto viene quantizzato e trasmesso. L anello di predizione l avevamo schematizzato con un solo elemento di ritardo, ipotizzando il predittore di ordine uno. In realtà si può pensare ad una struttura con più ritardi (come in figura) che combian gli ultimi N campioni ricevuti, pesati opportunamente, in modo da ottenere una stima migliore del campione da trasmettere, sfruttando la correlazione esistente con i campioni precedenti. Una volta ottenuto, con qualunque ordine di predizione, l errore ê(n) = x(n) a 1 x(n 1) + a 2 x(n 2) + viene mandato nel quantizzatore. A questo punto vediamo come realizzare quanto visto. Si può pensare di usare x(n) analogico, ottenendo così anche e(n) analogico, che poi viene quantizzato. In questo modo si rende necessario un convertitore A/D all uscita dello stimatore, che opera in digitale. Questa operazione è molto pericolosa in quanto il convertitore A/D non può garantire gli stessi salti di tensione con cui il quantizzatore campiona l errore. Ogni volta, quindi, si passerebbe dalla rappresentazione analogica alla quantizzazione, dalla quantizzazione nuovamente ad una rappresentazione analogica, senza però riuscire a far coincidere esattamente le tensioni di soglia e i valori rappresentativi, facendo così aumentare il rumore di quantizzazione al di là dell accettabile. La cosa più sensata da fare, dal momento che dobbiamo fare una codifica numerica, è prendere il segnale analogico, campionarlo e quantizzarlo con un numero di bit che sicuramente è più che sufficiente a dare la qualità massima che si potrebbe richiedere al sistema. Naturalmente il convertitore A/D non serve più e non ci sono più i problemi di rumore visti nel caso precedente. Si può continuare ad infittire il passo di quantizzazione del quantizzatore all interno dell anello fino a descrivere a piena qualità l errore, e quindi il segnale di ingresso. Naturalmente non sarà possibile scendere al di sotto del passo di quantizzazione usato per l ingresso, perché quello è il limite della risoluzione con cui viene descritto il segnale di ingresso. È chiaro che infittendo il passo di quantizzazione del quantizzatore del sistema si aumenta il numero di bit necessari a descrivere tutte le possibili configurazioni in uscita dal quantizzatore stesso e, quindi, aumenta il costo di trasmissione.

65 4.4. VOCODER E CODIFICA A PREDIZIONE LINEARE Vocoder e codifica a predizione lineare. La codifica differenziale, la modulazione delta, la modulazione delta-adattativa e il DPCM, cioé PCM differenziale in cui si fa la codifica PCM dell errore di predizione, sono sistemi che in ricezione tentano di riprodurre, più o meno fedelmente, la forma d onda del segnale da trasmettere. Anche il meno costoso (anche se a qualità tutt altro che eccelsa), cioé quello che utilizza un quantizzatore ad 1 solo bit, non può scendere al disotto del bit per campione, cioé 8000 b/s campionando a 8 khz. Esistono algoritmi di codifica che consentono di ottenere un segnale intellegibile a 800 b/s. Nei sistemi finora considerati la qualità è quantificata mediante lo scostamento tra forma d onda ricostruita in ricezione e forma d onda originale. Tale scostamento viene mantenuto al di sotto del limite di accettabilità dell utente. L utente, però, si comporta da analizzatore di spettro, cioé è sensibile alla distribuzione in frequenza della potenza del segnale: si può allora trascurare completamente la forma d onda e puntare ad ottenere in ricezione un segnale in grado di produrre nell utente una sensazione uditiva simile a quella che avrebbe prodotto il segnale originale, a prescindere dall effettivo andamento della sua forma d onda. A tale scopo si può considerare un banco di filtri passa banda, di bande passanti non necessariamente uguali (si tende a fare le bande passanti dei filtri a frequenze più alte più larghe rispetto a quelle dei filtri a frequenze più basse, perché l orecchio funziona in questo modo), e sfalsate in frequenza in modo da affettare la banda coperta dal segnale da codificare. Il segnale vocale viene inviato a questi filtri all uscita di ognuno dei quali si s(n) filtro N filtro N 1 filtro 2 filtro 1 Σ i Σ i Σ i Σ i 2 x i 2 x i 2 x i 2 x i canale trasmissivo filtro N filtro N 1 filtro 2 filtro 1 s(n) ^ voiced/ unvoiced misura pitch segnale periodico rumore bianco Figura Schema di principio del vocoder. mette un misuratore con lo scopo di stimare la potenza media del segnale che ne emerge. Il risultato è quello di ottenere una stima, acnhe se grossolana, della densità spettrale di potenza del segnale.

66 4.4. VOCODER E CODIFICA A PREDIZIONE LINEARE. 66 Per il descritto (molto grossolanamente) processo di generazione del parlato, ci si aspetta che il profilo di densità spettrale vari abbastanza lentamente nel tempo. La misura di potenza può, quindi, essere mediata (filtrata passa-basso) in un intervallo di tempo in cui le proprietà della cavità vocale ci si attende che non possano variare significativamente. Queste misure vengono trasmesse al ricevitore e, per ognuna, sono necessari un certo numero di bit per ogni canale. Il guadagno essenziale (rispetto ad una codifca PCM differenziale o meno) sta nella drastica riduzione della frequenza di campionamento: il segnale telefonico ha bisogno di un campione ogni 125µs, mentre le misure di potenza alle uscita dei canali possono essere campionate ogni 100 ms. Il ricevitore, per generare un segnale con densità spettrale simile, deve avere un banco di filtri identico, in cui l uscita di ogni filtro è pesata più o meno in funzione dell informazione che giunge dal trasmettitore. In questo modo si può pensare di riprodurre la sagomatura spettrale dovuta alla cavità orale, ma rimane il problema di riprodurre in qualche modo nel ricevitore l eccitazione di questa cavità. Non è pensabile, infatti, che l uscita di un filtro suoni allo stesso modo indipendentemente dal segnale che quel filtro alimenta! Il problema è, quindi, quello di mettere in grado il ricevitore di suntetizzare il segnale da inviare in ingresso al banco di filtri. La sollecitazione può essere di due tipi: rumore più o meno bianco (sibilanti o gutturali) oppure sollecitazione periodica (di periodicità o pitch opportuni) per i suoni vocalizzati. Il ricevitore deve sapere, cioé, se mandare in ingresso ai filtri rumore bianco o un segnale periodico di periodo da specificare. Oltre ai parametri che costituiscono una misura a breve periodo della densità spettrale del segnale da trasmettere, è necessario specificare se si tratta di suoni vocalizzati o non vocalizzati e, nel caso di suoni vocalizzati, è anche necessario misurare e trasmettere la frequenza del pitch. È interessante fare qualche osservazione sulla misura del pitch. Si tratta di misurare la periodicità di un segnale più o meno periodico. Non è possibile, naturalmente, accedere alla sollecitazione; quello che si ha a disposizione è ciò che emerge dalla cavità orale. La cosa più facile che si potrebbe pensare di fare è cercare i massimi dalla forma d onda e misurarne la distanza relativa. In questo modo non si tiene conto del rumore sovrapposto, e quindi le misure così effettuate sono fasulle. Quando si effettuano delle misure è necessario fare una operazione di filtraggio, ovvero una operazione di media pesata in maniera tale da esaltare il segnale e attenuare tutte le possibili forme di disturbo. Se si cercano i massimi della forma d onda ci si espone a tutte le possibili fonti di disturbo. In effetti lo scopo è la ricerca di una regolarità periodica del segnale. Il peggio che si può fare è usare una procedura puntale, perché questo significa fare delle misure a banda larga, facendo passare non solo il segnale, ma anche tutto il rumore. Siccome serve identificare una periodicità, la cosa più sicura è fare delle misure integrate e non puntuali, e vedere quanto la forma d onda è simile a se stessa quando la si trasla nel tempo. In pratica si calcola la autocorrelazione del segnale. Se esso è periodico è chiaro che si troverà un massimo assoluto per sfasamento relativo nullo. La somiglianza dimiuirà al crescere dello shift relativo, fino a quanto il valore dello shift non è prossimo al periodo della forma d onda: a questo punto la funzione di autocorrelazione tornerà a crescere. Se si verificano delle irregolarità locali, su una durata percentualmente piccola, esse non potranno influire molto sull andamento della misura, essendo questa protratta su un intervallo molto lungo. Lo svantaggio di questo modo

67 4.4. VOCODER E CODIFICA A PREDIZIONE LINEARE. 67 di procedere sta nel fatto che il calcolo dell autocorrelazione richiede una molteplicità di moltiplicazioni e somme. Quello che si può fare è considerare la somma dei moduli delle differenze tra le funzioni. In questo modo invece di fare delle moltiplicazioni si fanno delle differenze. Si calcola poi la potenza che assumerà valore minimo quando le forme d onda si somigliano di più (sarà zero se sono uguali). Invece di calcolare le potenze, cioé i quadrati delle differenze, si sommano i moduli, operazione che è meno costosa. Si noti che la funzione di autocorrelazione fornisce buoni risultati se si considerano le forme d onda su tutta la loro durata. Si possono ottenere dei risultati errati se si considerano pezzi di forma d onda. Il tipo di codifica visto prende il nome di vocoder. Esso è il primo codificatore vocale vero e proprio. Nonostante non si presti a codifica di qualità, ha però innumerevoli innegabili vantaggi. Il primo vantaggio è che si può implementare senza troppi problemi in analogico, con l unica difficoltà che i filtri del trasmettitore e del ricevitore devono essere uguali. In realtà, dato che si tratta di fare una stima più o meno grossolana della densità spettrale di potenza a breve periodo, non si creano grossi problemi se i filtri non sono del tutto identici. Altro notevole vantaggio è che, in conseguenza di errori di trasmissione, si può ottenere un livello in una particolare banda leggermente o anche sostanzialmente diverso da quello che dovrebbe essere; i livelli nelle altre bande contigue restano corretti e, quindi, l intellegibilità ne soffre limitatamente. Però, visto che ci si sgancia completamente dalla forma d onda, quello che si può salvaguardare è l intellegibiltà del messaggio, non il riconoscimento del parlatore. Il problema del vocoder nella implementazione appena descritta è che non è possibile aumentare gradualmente la qualità del segnale riprodotto in ricezione, anche adeguando il numero di bit al secondo in trasmissione. Si può aumentare il numero di filtri, si possono quantizzare più finemente le misure di potenza, ma il problema è legato al fatto che in ricezione l eccitazione dei filtri è generata indipendentemente. C è, però, una variante implementativa di questo codificatore che si presta a graduare la qualità del segnale ricostruito, sempre a spese del numero di bit al secondo necessari per la trasmissione. Si è già accennato al fatto che il canale vocale può essere modellato come una struttura riverberante: nella prima parte del corso si è studiata la predizione lineare come metodo per sbiancare un processo AR e, parallelamente, per stimarne la densità spettrale di potenza. Nell implementazione del filtro sbiancante a soli zeri come filtro a traliccio, si otteneva una struttura ripetitiva che consentiva la necessaria accuratezza spettrale a patto di aumentare il numero di celle. Ogni cella produceva un coefficiente di riflessione o di correlazione parziale: l insieme dei coefficienti permetteva (eventualmente tramite la recursione di Levinson) di descrivere la funzione di trasferimento del filtro sbiancante e, quindi, la densità spettrale del segnale in ingresso. È evidente che un filtro a traliccio può egregiamente sostituire il banco di filtri di analisi del trasmettore del vocoder ma, a differenza del banco di filtri e successivi misuratori di potenza a breve periodo, il filtro a traliccio fornisce in uscita il residuo di predizione o segnale sbiancato, cioé una stima della eccitazione della cavità vocale. Tale residuo di predizione può essere usato solo per decidere voiced/unvoiced e l eventuale frequenza del pitch (riottenendo le prestazioni del vocoder classico) o può essere codificato in maniera

68 4.4. VOCODER E CODIFICA A PREDIZIONE LINEARE. 68 più o meno accurata ed inviato al ricevitore che lo utilizza come eccitazione al filtro inverso (tutti poli). È evidente che se il residuo viene trasmesso al ricevitore a piena qualità, il ricevitore è in grado di ricostruire esattamente il segnale trasmesso. Dalla teoria della predizione lineare si ricorderà che questo residuo avrà varianza minore del segnale originario e, quindi, a parità di potenza del disturbo di quantizzazione, richiederà meno bit per la quantizzazione. Questa variante implementativa del vocoder che può chiamarsi vocoder lpc (linear prediction coding) consente, quindi, quella gradualità qualità/bit rate che per la implementazione precedente non era possibile. D altra parte questa implementazione è solo possibile con tecniche digitali, mentre il vocoder classico può essere implementato anche in analogico. Il modello autoregressivo considera rumore bianco sagomato in frequenza da un filtro a soli poli 1 che è calzante per i suoni non vocalizzati. Nel caso di suoni vocalizzati l eccitazione è periodica e questo implica che lo spettro del segnale prodotto avrà un andamento oscillante. Nella determinazione dei parametri del filtro non si userà un modello a infinite sezioni, nel qual caso si potrebbero "inseguire" tutti i massimi locali. Si ha un numero di parametri limitato per il modello: il sistema sarà identificato in modo che permetta di descrivere al meglio, in termini di minimi quadrati, l andamento della densità spettrale di potenza. È chiaro allora che non sarà possibile seguire la natura periodica del segnale eccitante, ma al massimo si potranno identificare alcuni massimi grossolani della densità spettrale a breve periodo. Tali massimi, di frequenza via via crescente, vanno sotto il nome di formanti, perché sono quelle sagomature spettrali che caratterizzano il suono vocalizzato. Le corde vocali, infatti, vibrano sempre più o meno allo stesso modo: quello che cambia da una vocale all altra è la sagomatura della cavità orale e, quindi, la sagomatura della funzione di trasferimento ed i suoi massimi. Quindi si sbianca solo fino a un certo punto, cioé fino a fare in maniera che l andamento consentito dal numero di parametri a disposizione fitti al meglio, in termini di minimi quadrati, la vera densità spettrale a breve periodo. In presenza di una sibilante, come residuo dello sbiancamento si otterrà qualcosa che è abbastanza prossimo al rumore bianco. In presenza di una vocale, all uscita dello sbiancatore si otterrà ancora una sequenza periodica, ma con spettro sbiancato, cioé qualcosa che somiglia molto ad una sequenza periodica di impulsi molto stretti. I coefficienti di riflessione sono dei parametri che è necessario trasmettere al ricevitore, in modo che sia in grado di riprodurre opportunamente la sagomatura spettrale, eliminata dal filtro sbiancante presente nel trasmettitore, dovuta al comportamento della cavità orale. In trasmissione si ha un filtro tutti zeri; il ricevitore, invece, deve usare un filtro tutti poli. Quindi sostanzialmente il ricevitore potrà usare un filtro recursivo, con un opportuno numero di ritardi e con dei coefficienti da ricavare dai coefficienti di riflessione mediante la recursione di Levinson, oppure potrà usare un filtro a traliccio, tutti poli, nel quale usare gli stessi coefficienti di riflessione del filtro di analisi. 1 I poli di una funzione di trasferimento servono a identificare dei guadagni localizzati in banda; quindi una struttura autoregressiva (solo poli) permette di approssimare al meglio i massimi locali della densità spettrale di potenza e, naturalmente, non consente di descrivere accuratamente i minimi locali. Viceversa se si usa un modello MA, cioé solo zeri, la parte che si riesce a descrivere meglio è quella relativa ai minimi.

69 4.5. SUB BAND CODING 69 Qualche osservazione: è necessario innanzitutto vedere se è più conveniente trasmettere i coefficienti di riflessione o direttamente i parametri del filtro FIR o IIR. Dal lato del trasmettitore non ci sono problemi perché si ha a che fare con una struttura tutti zeri: anche se i valori numerici dei parametri sono approssimati, le cose non cambiano molto, semplicemente il filtro ha una funzione di trasferimento leggermente diversa. Le cose sono ben diverse in ricezione, dato che gli stessi parametri servono non più per descrivere il numeratore della funzione di trasferimento, ma il denominatore. Si ha a che fare con poli, il cui spostamento, dovuto a errori nei parametri, può causare l instabilità del filtro. Se si usano filtri a traliccio, i parametri da usare sono i coefficienti di riflessione, che se non superano in modulo il valore 1 gatantiscono la stabilità del sistema. In questo modo ci si può facilmente assicurare sia della fedeltà del filtro sbiancatore in trasmissione, sia della stabilità del filtro in ricezione. Ne consegue che nella descrizione della funzione di trasferimento della cavità orale mediante codificatori a predizione lineare, si preferisce trasmettere i coefficienti di riflessione perché permettono un controllo immediato della stabilità del filtro in ricezione. Un altro problematica è quella legata alla quantizzazione di tali coefficienti. È facile rendersi conto che la n-upla dei coefficienti di riflessione, che descrivono la struttura del filtro, è una unica entità: invece di avere una grandezza scalare, si ha una grandezza vettoriale. Il concetto di quantizzazione, che per una varibile scalare è banale, si può generalizzare a grandezze vettoriali. Nel caso di un vettore a due sole componenti si tratta di dividere il dominio bidimensionale, che definisce l intervallo dei valori assumibili dall una e dall altra componente del vettore, in un numero finito di "aree" per ognuna delle quali si definisce una coppia di valori rappresentativi da usare come valori di restituzione. Un vantaggio di codificare insieme più varibili sta nel fatto che si può arrivare ad usare per ogni singola variabile un numero di bit frazionario. Il discorso è naturalmente generalizzabile a gruppi di più di due variabili Sub band coding L idea di suddividere un segnale in componenti spettrali, già considerato nel caso del vocoder, si ripropone in un altro schema di codifica per suddivisione in sottobande (subband coding). Nel caso del vocoder ogni canale del blocco di sintesi produceva una misura della potenza a breve periodo del segnale all scita di ogni filtro. I diversi segnali passa-banda non avevano, né potevano avere, altro uso. Se i banchi di filtri di analisi e di sintesi sono implementati con tecniche numeriche, però, si può fare in modo (come già visto nella prima parte del corso) che la cascata del banco di analisi e di quello di sintesi diano luogo ad una struttura trasparente nel senso che all uscita del bando di sintesi è possibile ricostruire fedelmenre il segnale che alimenta il banco di analisi. Qusto richiede proprietà stringenti ai diversi filtri in gioco, che si possono ottenere solo con filtri numerici. Se i segnali all uscita dei filtri di analisi sono inviati all ingresso dei ripsettivi filtri del banco di sintesi il segnale ricostruito è perfetto, ma se i segnali sono sottoposti a codifica che ne dà una descrizione approssimata, il segnale ricostruito risulterà affetto da distorsione. Questa disotrsione si

70 4.6. QUANTIZZATORI SIGMA-DELTA 70 filtro analisi N coder N decoder N filtro sintesi N filtro analisi N 1 coder N 1 decoder N 1 filtro sintesi N 1 s(n) filtro analisi 3 filtro analisi 2 coder 3 coder 2 canale trasmissivo decoder 3 decoder 2 filtro sintesi 3 filtro sintesi 2 s(n) ^ filtro analisi 1 coder 1 decoder 1 filtro sintesi 1 Figura Schema di principio del sub-band coder. può rendere il meno possibile percepibile dall utente finale giocando su proprietà psicofisiche del sistema uditivo utilizzando la separazione delle diverse componenti spettrali del ssegnale da codificare. La figura riporta uno schema di principio di un tale tipo di codificatore Quantizzatori sigma-delta La modulazione delta ha l inconveniente che in ricezione c è un integratore e questo propaga all infinito l effetto di un errore di trasmissione. L appesantirsi delle conseguenze di un errore di trasmissione è tipico di tutti i sistemi di codifica che tendono a ridurre le ridondanze presenti in un segnale. Se si commette un errore le ridondanze permettono di recuperarlo, mentre il ricevitore diventa molto sensibile agli errori se queste ridondanze non ci sono. Per eliminare questo inconveniente si può trasmettere il segnale integrato (vedi figura 4.6.1). Naturalmente in ricezione sarà necessario un derivatore per riottenere il segnale originario. Ovviamente l integratore che integra il segnale prima della trasmissione può essere portato al di là del nodo sommatore semplificando la struttura. Gli schemi di figura si modificano in quelli di figura Questo tipo di codifica prende il nome di modulazione sigma-delta. codificatore delta decodificatore delta d dt filtro p.basso Figura Codifica e decodifica sigma-delta.

71 4.6. QUANTIZZATORI SIGMA-DELTA 71 Il decodificatore delta produceva un approssimazione a gradinata del segnale trasmesso (vedi figura 4.3.3) che, mediante un filtro passa-basso di ricostruzione genera l approssimazione analogica del segnale trasmesso. Nel caso della modulazione sigma-delta l approssimazione del segnale trasmesso, prima del filtro di ricostruzione, è costituita da impulsini di durata ed ampiezza costante, il cui numero medio per unità di tempo convoglia l informazione relativa al valore del segnale analogico, che viene poi estratto dal filtro di ricostruzione. È evidente dallo schema di figura che il decodificatore non ha bisogno che del filtro passa-basso, dal momento che l effetto dell integratore si annulla con quello del derivatore. Dato il principio di funzionamento, è ovvio che la frequenza di campionamento dovrà essere più alta di quella di Nyquist, anche se ogni campione risulta quantizzato con un solo bit. Questa procedura può essere implementata sostituendo il filtro passa basso analogico con un filtro numerico con banda passante anche molto più piccola di metà della frequenza di campionamento. Se il segnale all ingresso del filtro è quantizzato con un solo bit per campione, quello all uscita del filtro risulterà rappresentato con un numero di bit per campione maggiore. Di questo fatto si può dare una duplice interpretazione: 1) Ogni campione all uscita del filtro è una media pesata di più campioni successivi all ingresso e, come tale, rappresentabile con numeri binari con un maggior numero di bit dei campioni in ingresso; 2) l operazione di smussatura operata dal filtro può essere vista come una riduzione del rumore di quantizzazione corrispondente ad una quantizzazione su più livelli. A valle del filtro che riduce la bamda del segnale, la frequenza di campionamento può adeguatamente essere ridotta. Si arriva così ad un sistema che permette la quantizzazione su un numero anche elevato di bit per campione, pur utilizzando inizialmente un quantizzatore ad un solo bit (un semplice comparatore che si può far funzionare anche a frequenze di campionamento molto elevate) ma utilizzato a frequenza di campionamento molto naggiore di quella di Nyquist. Il sistema delineato si configura non più come un sistema per la trasmissione numerica di un segnale, ma come una implementazione molto efficace di un quantizzatore con un numero elevato di bit per campione. Lìutilizzo iniziale di una frequenza di campionamento molto elevata semplifica altresì il filtraggio anti-alias iniziale che adesso dovrà lasciar passare indisturbate le componenti spettrali B, con B banda del segnale, ed attenuare fortemente le componenti f c /2, con f c frequemza di campionamento iniziale. f c B f c/2 B f c/2 B f c/2 Q M 1 f /2M c Figura Schema di decimazione. B f /2M c f c/m Per valutare le prestazioni del sistema in esame conviene partire dal valutare quanto un iniziale sovracampionamento può produrre in termini di aumento del numero di bit di quantizzazione. Con riferimento alla figura ed a quanto detto nella prima parte

72 4.6. QUANTIZZATORI SIGMA-DELTA 72 del corso a proposito del rumore di quantizzazione: il campionamento del segnale produce la periodicizzazione dello spettro del segnale allìingresso del quantizzatore, mentre la quantizzazione aggiunge disturbo bianco con varianza σ 2 e q. La varianza del rumore di quantizzazione a valle del filtro con banda f c /2M varrà σ 2 e q /M, corrispondente ad un passo di quantizzazione èiù piccolo di un fattore 1/ M, cioé ad un incremento nel numero di bit pari a 1 2 log 2 M. Per un bit in più bisogna usare una frequenza di campionamento quadrupla; per aumentare i bit da 1 a 8 ci vorrebbe una frequenza di campionamento = volte più alta (se B = 20 khz, f c khz 2, 62 GHz!). x(t) f c B f /2 c z 1 e (n) q B f c/2 B f c/2 x Σ (n) f /2M c M 1 B f /2M c f c/m Figura Schema di quantizzatore sigma-delta di tipo 1. Se, invece di un quantizzatore si usa un modulatore sigma-delta, la situazione cambia. Con riferimento alla figura 4.6.1, come già osservato, è possibile spostare gli integratori (tempo discreti: ricordarsi che il sistema è tempo discreto) oltre il nodo sommatore, ottenendo per tutta la catena elaboativa sigma-delta il circuito equivalente riportato in figura 4.6.3, dove sono aggiunti, però, lo stadio di filtraggio e successiva decimazione della figura Il quantizzatore ad 1 bit (comparatore) viene schematizzato mediante l aggiunta al segnale in ingresso del rumore di quantizzazione e q (n). Il segnale all scita del modulatore sigma-delta si può esprimere, usando le trasformate z come: (4.6.1) X Σ (z) = z 1 X (z) + ( 1 z 1) E q (z) x Σ (n) = x (n 1) + e q (n) e q (n 1) L interposizione del modulatore sigma-delta, perciò, non ha modificato il segnale, limitandosi a ritardarlo di un passo di campionamento. In compenso ha sagomato spettralmente il rumore di quantizzazione, che risulta filtrato passa-alto e con densità spettrale h eq (f) 4 sin 2 (πf/f c ) che, integrata nella banda f c /2M, dà una varianza del rumore di quantizzazione all uscita del filtro fˆ c/2m fˆ c/2m ( ) σe 2 f = σ2 e q f c /2 4 sin 2 (πf/f c ) df σ2 e q f c /2 4 (πf/f c ) 2 df = σe 2 π q 3 M 0 Questo vuol dire che per un fattore di sovracampionamento pari ad M = 2 r si ottiene una riduzione della varianza del rumore di quantizzazione pari a (9, 03r 5, 17) db. Questo vuol dire che, siccome per un quantizzatore un raddoppio del numero dei livelli (1 bit in più) riduce la varianza dell errore di quantizzazione di 6dB, in questo caso un raddoppio 0

73 4.6. QUANTIZZATORI SIGMA-DELTA 73 della frequenza di campionamento corrisponde ad un incremento equivalente pari a 1, 5 bit (il fattore π 2 /3 è costante). Facendo riferimento all esempio già considerato nel caso del semplice sovracampionamento, per incrementare il numero di bit di un fattore 8 è necessario un fattore di sovracampionamento tale che 5, r 6, r 11, 24 M 2419 (se B = 20 khz, f c khz 96, 76 MHz!). Il miglioramento delle prestazioni rispetto al puro sovracampionamento e decimazione successiva alla quantizzazione è legato alla sagomatura spettrale del rumore di quantizzazione operata dal modulatore sigma-delta. Il concetto si può estendere, ricorrendo ad ulteriori stadi di sagomatura spettrale del rumore, In figura è schematizzato un codificatore sigma-delta del secondo tipo. In questo caso il segnale all scita del modulatore x(t) f c B f /2 c z 1 ~ x(t) z 1 e (n) q B f c/2 B f c/2 x Σ 2(n) f /2M c M 1 B f /2M c f c/m Figura Schema di quantizzatore sigma-delta di tipo 2. sigma-delta si può esprimere, sempre usando le trasformate z, come: (4.6.2) X Σ 2 (z) = z 1 X (z)+ ( 1 z 1) 2 Eq (z) x Σ 2 (n) = x (n 1)+e q (n) 2e q (n 1)+e q (n 2) che si può ottenere osservando che l ingresso al secondo anello ( x (n)) è esprimibile come X (z) = X (z) z 1 X (z) (1 z 1 ) E q (z) 1 z 1 e che X Σ 2 (z) è legata ad X (z) ed a E q (z) dalla (4.6.1). L interposizione del modulatore sigma-delta anche questa volta non ha modificato il segnale, limitandosi a ritardarlo di un passo di campionamento. In compenso ha sagomato spettralmente il rumore di quantizzazione, che risulta filtrato passa-alto e con densità spettrale h eq (f) 16 sin 4 (πf/f c ) che, integrata nella banda f c /2M, dà una varianza del rumore di quantizzazione all uscita del filtro fˆ c/2m fˆ c/2m σ 2 e f = σ2 e q f c / sin 4 (πf/f c ) df σ2 e q f c /2 0 (2πf/f c ) 4 df = = σ2 e q f c /2 [(2π/f c ) 4 f 5 /5 ] ( ) f c/2m = σ 2 π e q 5 M Questo vuol dire che per un fattore di sovracampionamento pari ad M = 2 r si ottiene una riduzione della varianza del rumore di quantizzazione pari a (15, 05r 12, 89) db.

74 4.6. QUANTIZZATORI SIGMA-DELTA 74 Questo vuol dire che, siccome per un quantizzatore un raddoppio del numero dei livelli (1 bit in più) riduce la varianza dell errore di quantizzazione di 6dB, in questo caso un sovracampionamento di un fattore 2 corrisponde ad un incremento equivalente a 2, 5 bit (al solito, il fattore π 4 /5 è costante). Facendo sempre riferimento all esempio già considerato, per incrementare il numero di bit di un fattore 16 è necessario un fattore di sovracampionamento tale che 12, , 05 r 6, r 7, 257 M 153 (se B = 20 khz, f c khz 6, 12 MHz!).

75 CAPITOLO 5 Applicazioni 2D 5.1. Tomografia La tomografia assiale a raggi X richiede una sorgente di raggi X ed un rivelatore. I raggi attraversano il materiale e la loro intensità viene valuatata dal rivelatore: quello che si misura è l integrale dell attenuazione che la radiazione incontra attraversando il soggetto. La tomografia può anche essere emissiva, piazzando la sorgente all interno del soggetto mediante iniezione di traccianti radioattivi che si addensano in maniera differenziata nei vari organi, permettendo una valutazione anche della funzionalità degli organi stessi, oltre che della loro forma e posizione. In entrambi i casi si tratta di valutare una funzione bidimensionale mediante delle misure effettuate dall esterno, cioé delle misure integrate (proiezioni). Si è già visto che nel paragrafo ### cosa si intenda per proiezione: la proiezione sull asse x si ottiene mediante l integrale ˆ p 0 (r) = f (x, y) dy è una funzione calcolata effettuando l integrale della funzione bidimensionale. Questa è la proiezione relativa all angolo zero. Naturalmente se ne possono calcolare altre al variare dell angolo. La trasformata di Fourier monodimensionale della proiezione coincide con la fetta della trasformata di Fourier bidimensionale valutata lungo la stessa direzione. Si è già visto un algoritmo di ricostruzione tomografica: basta misurare le proiezioni per tutti i possibili angoli, trasformare le proiezioni e distribuire i valori ottenuti lungo rette passanti per l origine nel piano k x, k y. Il problema di questo modo di procedere sta nel fatto che i dati sono disponibili su un grid polare. Calcolare la FFT bidimensionale in coordinate polari non è agevole perché l operatore non è separabile. L unico modo sensato di procedere sarebbe, quindi, quello di interpolare in modo da riportarsi in coordinate rettangolari. Ma anche l operazione di interpolazione non è agevole, dovendo tener conto di modulo e fase. Si preferisce usare quindi altre strade. Il sistema è lineare e vale, quindi, il principio di sovrapposizione degli effetti: nulla cambia se la funzione che si considera è un impulso bidimensionale. Si considerino, per semplicità, solo tre proiezioni. Il problema è ricostruire l informazione originaria. Ogni singola proiezione fornisce una informazione integrata. L unica cosa che si può fare è rispalmare quanto è in nostro possesso lungo tutta la direzione. 75 r=x

76 5.1. TOMOGRAFIA 76 Questa operazione va sotto il nome di retroproiezione, cioé di rispalmatura dei valori corrispondenti a una certa posizione nella proiezione su tutti i punti del piano x, y che possono aver contribuito a quei valori. Naturalmente la presenza dei valori spalmati darà luogo ad una incongruenza tra le nuove proiezioni e quelle già in nostro possesso. Si mette allora in piedi una procedura iterativa. Dopo aver effettuato la prima riproiezione si verifica se quanto ottenuto è congruente con le proiezioni originali, ricalcolando le nuove proiezioni. Naturalmente queste saranno diverse dalle prime, come esemplificato, nel caso estremo ed irrealistico di due proiezioni) in figura ACQUISIZIONE etc Figura Algoritmo algebrico iterativo. A questo punto si calcola l errore, come differenza differenza tra le proiezioni iniziali e le ultime calcolate, e lo si rispalma. Così facendo si otterrà un affinamento del risultato. Questa operazione, tuttavia, dovrà essere ripetuta più volte. Quello che si ottiene alla fine è il punto, più evidente, ma non si riuscirà a cancellare completamente l artefatto a stella che si crea, se non nelle immediate vicinanze della funzione, cioé dell impulso. Al crescere della distanza dall impulso, infatti, i campioni sono sempre più distanti tra loro, e quindi, in effetti, si opera un sottocampionamento creando così aliasing. La zona pulita intorno all immagine cresce all aumentare del numero di proiezioni. C è tuttavia una procedura molto comoda che utilizza un solo passo di riproiezione, effettuando delle elaborazioni sulle proiezioni prima di rispalmarle Filtered Back Projections. Il discorso è evidente se si usa l espressione della trasformata di Fourier in coordinate polari. Possiamo ritenere nota la trasformata di Fourier F (K, ψ) a partire dalle proiezioni e dalle loro trasformate. L antitrasformata sarà f (ρ, ϑ) = 1 4π 2 ˆ + ˆπ 0 F (K, ψ) exp [jkρ cos (ϑ ψ)] K dkdψ

77 5.1. TOMOGRAFIA 77 Per come sono stati considerati gli estremi dell integrale doppio è necessario considerare K e non K. Fissato ψ = ψ o, F (K, ψ o ) è una fetta della trasformata di Fourier presa sulla retta di inclinazione ψ o, e quindi è ottenibile come la trasformata di Fourier monodimensionale della proiezione ottenuta con lo stesso angolo P ψo (K). Si ha allora f (ρ, ϑ) = 1 4π 2 ˆ + ˆπ 0 P ψ (K) exp [jkρ cos (ϑ ψ)] K dkdψ La quantità P ψ (K) K può essere considerata come prodotto di trasformate, in cui K è la funzione di trasferimento di un filtro. La quantità restante è il nocciolo di una antitrasformata di Fourier. Si ottiene allora che ˆ+ 1 P ψ (K) K exp [jkρ cos (ϑ ψ)] dk 2π non è altro che l antitrasformata dalla trasformata della proiezione filtrata e, quindi, non è altro che la proiezione relativa all angolo ψ, passata attraverso un filtro con funzione di trasferimento K, valutata per argomento pari a ρ cos (ϑ ψ). Si ha cioé f (ρ, ϑ) = 1 ˆπ p F ψ [ρ cos (ϑ ψ)] dψ 2π 0 Quindi, per valutare il valore della funzione f nel punto di coordinate (ρ, ϑ), bisogna sommare i valori assunti dalle proiezioni relative ad angoli 0 ψ < π nei punti che giacciono sui piedi delle perpendicolari che congiungono il punto generico (ρ, ϑ) alla proiezione stessa, cioé in Q con riferimento alla figura (la distanza di Q dall origine è ρ cos (ϑ ψ). y P ρ θ ψ Q x Figura Riproiezione Si noti che quanto descritto è del tutto simile a quanto si fa col metodo delle riproiezioni precedentemente descritto. L integrale nella (1) esprime in termini matematici l operazione

78 5.2. CODIFICA TELEVISIVA 78 di riproiezione. Se viene effettuata la riproiezione di proiezioni filtrate, il risultato è pulito e non sono necessari metodi iterativi. Questo è l algoritmo delle Filtered Back Projection (retroproiezioni filtrate) Problemi implementativi. Vediamo i problemi che si possono incontrare implementando questo algoritmo. I valori di ρ, ϑ in cui calcolare le funzioni sono discreti. Anche le proiezioni, filtrate o meno, sono campionate. Quando si calcola il valore ρ cos (ϑ ψ) non è detto che si cada esattamente su un campione della proiezione. E quindi necessario ricorrere ad una interpolazione, per esempio di ordine zero (prendendo il valore più vicino). L effetto di disturbo introdotto da questa interpolazione (l errore commesso) si media su tutte le proiezioni divenendo abbastanza poco evidente. Sarebbe meglio, tuttavia, usare una interpolazione lineare, migliorando così la qualità dell immagine ricostruita. La ricostruzione può avvenire secondo due direttive: dato un punto nel piano, si calcolano la coordinate sulle varie proiezioni ove serve valutare i campioni, oppure si può tentare di implementare una retroproiezione in quanto tale. In altri termini, dato un campione, lo si può spalmare in tutte le celle della matrice che descrive l immagine. A questo punto, però, può succedere di incontrare più celle adiacenti (vedi figura) e, quindi, si rende necessario dividere il valore in maniera proporzionale. Un altro problema è creato dal filtro K, che è un filtro passa alto del tipo in figura. In questo modo si tende ad amplificare anche il rumore al di fuori della banda del segnale. Il filtro che bisogna utilizzare, allora, non potrà mai essere passa alto fino a frequenza infinita, ma deve essere il filtro passa alto desiderato, moltiplicato, in frequenza, per un opportuno filtro passa basso che limiti i termini in alta frequenza che sono sostanzialmente rumore. Il filtro deve essere quindi del tipo in figura, cioé crescente in proporzione al valore della frequenza radiale, ma che poi torni a zero. Si tenga presente che il valore nell origine per un filtro reale non può essere nullo altrimenti si perde la continua (non così nel caso di infinite proiezioni) Codifica televisiva Il segnale televisivo analogico. La televisione consiste nella trasmissione di una sequenza di immagini che, visualizzate in sequenza, siano in grado di rendere l effetto del movimento presente nella scena ripresa. A rigore un segnale televisivo è tridimensionale perché descrive la variazione temporale (prima dimensione) della proiezione bidimensionale di un scena tridimensionale (le altre due dimensioni). Per essere trasmessa su un canale trasmissivo questa informazione deve essere descrivibile mediante una funzione della sola variabile tempo. Lo standard televisivo analogico è una risposta a questa esigenza: la proiezione bidimensionale della scena ripresa viene scandita secondo linee parallele (scansione a raster, evidenziata in figura ) che coprono tutta l area sensibile del sensore. Finita la scansione di una immagine (l equivalente del fotogramma nel cinema) si comincia a scandire l immagine successiva. Della scena ripresa nella televisione bianco-nero si misura l intensità luminosa puntuale (luminanza indicata con il simbolo Y) ovvero, nella televisione a colori, l intensita puntuale

79 5.2. CODIFICA TELEVISIVA 79 Figura Scansione di un segnale televisivo. nei tre colori fondamentali che, nella sintesi additiva, sono il rosso, il verde e il blu (con acronimo inglese RGB per red, green, blue). Trasmettere un segnale a colori equivale a trasmettere tre diversi segnali televisivi. Le proprietà del segnale di luminanza o dei segnali relativi ai tre colori fondamentali sono molto simili: si possono, perciò, fare delle considerazioni sul modo di trsmettere uno solo di tali segnali ed applicare il discorso anche agli altri nel caso di TV a colori. Il calcolo della banda necessaria al segnale risultante dalla scansione descritta è abbastanza agevole, a partire da alcuni dati: numero di quadri scanditi in un secondo, numero di righe scandite in un quadro e percentuale di righe effettivamente utilizzate per trasmettere informazione pittorica. Nello standard in vigore in Italia si usano 25 quadri al secondo e 625 righe per quadro, di cui solo 570 attive. Con 570 righe è possibile descrivere in verticale una sinusoide con un numero teorico massimo di periodi pari a 570/2, che in realtà si riducono (si sta parlando della descrizione campionata di un segnale) di circa un 30%. In direzione orizzontale è logico che si sia in grado di descrivere un pari numero di periodi nella stessa lunghezza. Siccome il rapporto d aspetto dello standard TV attuale è 4/3, in una riga si devono poter descrivere 570/2 0, 7 4/3 periodi di sinusoide. Il periodo di riga è pari a 1/ (625 25) = secondi, di cui solo 50 µs attivi. Ne consegue che la banda necessaria è, approssimativamente B 5 MHz. Trasmettere tre segnali televisivi contemporaneamente (R, G e B), però, porterebbe il costo di trasmissione di un segnale TV a colori ad essere pari a tre volte il costo di trasmissione di un segnale TV bianco e nero. In effetti si è notato che l occhio è molto più sensibile ai dettagli della luminanza di quanto non lo sia ai dettagli del colore. Separando l informazione di intensità luminosa da quella di tinta (crominanza), quest ultima può essere trasmessa con dettaglio molto minore senza che l occhio se ne accorga. La luminanza è la somma (con pesi non unitari, dipendenti da considerazioni colorimetriche e variabili da standard a standard che in questo contesto verranno ignorati) di rosso,

80 verde e blu: 5.2. CODIFICA TELEVISIVA 80 Y = R + G + B L informazione sul colore (crominanza) può essere separata da quella di luminanza considerando le cosiddette differenze colore (ancora una volta si ignorano coefficienti diversi da 1): U = B Y e V = R Y Questo consente di allocare alle differenze colore molta meno banda che alla luminanza. Una descrizione adeguata del movimento richiede 25 immagini complete (quadri) al secondo. In realtà con 25 scansioni al secondo della scena, l utente percepirebbe uno sfarfallio troppo fastidioso. Per questo motivo la scena viene scandita un numero doppio di volte ma, per evitare un raddoppio della banda necessaria alla trasmissione si scandiscono alternativamente le righe di posto pari e successivamente quelle di posto dispari all interno del quadro, ricorrendo a quella che si chiama scansione interallacciata Figura Esempi di immagine e relativo istogramma delle ampiezze: quadri di luminanza delle sequenze container e Akiyo Il segnale televisivo numerico. Per passare ad una trasmissione numerica è necessario discretizzare il segnale televisivo anche lungo la direzione orizzontale, in modo che il segnale televisivo sia costituito da campioni (picture element o pixel) disposti lungo un reticolo tridimensionale: posizione orizzontale, posizione verticale e posizione temporale.

81 5.2. CODIFICA TELEVISIVA 81 Per la trasmissione ogni campione (di luminanza o di crominanza) deve essere quantizzato per ottenere il tipo di codifica denominata PCM (come già visto nel caso del segnale vocale: pulse code modulation). Il rumore di quantizzazione, dovuto ad una quantizzazione grossolana, si manifesta nell immagine con zone di grigio o colore uniforme, che fanno comparire dei falsi contorni che nell immagine reale non esistono. Il fatto che il segnale televisivo sia non stazionario (la statistica dei livelli di grigio cambia al cambiare della scena come evidente nella figura 5.2.2) ha come conseguenza che l unica legge di quantizzazione che abbia senso usare è quella uniforme. Se la quantizzazione è uniforme, per avere una qualità ragionevole, cioé Figura Immagini di figura quantizzate con 3 bit per campione (8 livelli di grigio). perché l occhio non percepisca questi pseudocontorni, occorrono 6 bit. In effetti, poi, si usano 8 bit. Il risparmio che si può operare sulle differenze colore consiste nella riduzione della frequenza di campionamento rispetto a quella della luminanza: si ottengono così gli standard 4:4:4, 4:2:2 e 4:1:1, il cui significato è spiegato in figura Y U V 4:4:4 4:2:2 4:1:1 Figura Standard di campionamento delle differenze colore. Il segnale televisivo analogico occupa una banda di 5 MHz. Se si suppone di campionare a 10 MHz (lo standard è 13, 5 MHz), per trasmettere 8 bit/campione bisogna trasmettere 80 Mb/s (corrispondenti con modulazione PSK ad una banda occupata di 40 MHz). La banda

82 5.2. CODIFICA TELEVISIVA 82 occupata è così aumentata di un fattore 8. Qual è allora il vantaggio di trasmettere un segnale televisivo in forma numerica? Il vantaggio principale sta nel fatto che è possibile controllare il rumore. Infatti, una volta stabilita la legge di quantizzazione, si è fissato anche il rumore di quantizzazione. In analogico ogni volta che si trasmette o si riversa il segnale da un nastro all altro si aggiunge del rumore. In numerico, invece, si aggiunge del rumore alla forma d onda che rappresenta il singolo bit e questo non ha importanza fino a quando la probabilità d errore rimane bassa. Quindi se si riusce a garantire all inizio un certo rapporto S/N, le manipolazioni/ritrasmissioni successive possono non degradare più il segnale Codifica differenziale. Nella trasmissione PCM non ci si preoccupa di che cosa si sta trasmettendo: si leggono i campioni, si quantizza e si trasmettono i bit. Questo sarebbe ragionevole se i campioni del segnale fossero tra loro statisticamente indipendenti, ma nel segnale televisivo, invece, c è sicuramente correlazione tra campioni vicini. È certamente il caso di tentare di ridurre la banda occupata. Per tener conto della correlazione esistente tra campioni adiacenti si può mettere in piedi un meccanismo di predizione. Nella codifica del segnale televisivo si può usare la predizione lineare che, nella forma più semplice possibile, invece di trasmettere il valore di luminanza di un campione, trasmette la differenza fra il campione ed il campione contiguo in orizzontale o in verticale già disponibile al ricevitore. L errore di predizione viene poi codificato con il classico PCM, cioé si applica la codifica PCM non al segnale x(n, m), ma all errore di predizione orizzontale e h (n, m) = x(n, m) ˆx(n, m 1) o verticale e v (n, m) = x(n, m) ˆx(n 1, m), dove ˆx( ) è la stima del campione precedente disponibile anche al ricevitore. Questo tipo di codifica va sotto il nome di DPCM: PCM differenziale. Il suo vantaggio consiste nel fatto che l errore di predizione ha varianza molto inferiore a quella del segnale e che la statistica degli errori di predizione è molto più prevedibile, con una densità di probabilità concentrata intorno a valori piccoli di e. Le figure e visualizzano le differenze orizzontali e quelle verticali calcolate per le immagini di figura con i relativi istogrammi. È interessante osservare come le stastiche delle ampiezze delle differenze spaziali di una immagine siano molto più regolari delle statistiche delle ampiezze: l istogramma è sempre concentrato intorno al valore zero, anche se la sua larghezza e, in qualche misura la sua forma effettiva cambia. Una volta ottenuto l errore di predizione, si può procedere in due modi. Il primo prevede una quantizzazione uniforme con codifica a lunghezza variabile, che associa ai valori più piccoli di e parole di lunghezza minore: non si otterrà il codice ottimo perché la statistica non è esattamente definita, ma le inefficienze saranno abbastanza contenute. Il secondo modo di precedere prevede una quantizzazione non uniforme, in modo da cercare di uniformare la probabilità dei vari intervalli di quantizzazione, e poi una codifica a lunghezza fissa. La quantizzazione sarà più fine e, quindi, gli intervallini più piccoli dove la probabilità è più alta e più grossolana dove la probabiltà è più bassa.

83 5.2. CODIFICA TELEVISIVA Figura Differenze di luminanza orizzontali e verticali dell immagine estratta dalla sequenza container. Nel caso della codifica video, il valore quadratico medio non è significativo nel quantificare l effetto provocato nell utente da un particolare disturbo. Esso assume, però, significatività se applicato a disturbi con uguali caratteristiche. Questa considerazione legittima, almeno parzialmente, l adozione del metodo di Max per determinare il quantizzatore non uniforme ottimale, nota la densità di probabilità delle ampiezze dell errore di predizione. La statistica che sperimentalmente si è rivelata quella che meglio approssima le proprietà dell errore di predizione è una densità di probabilità laplaciana. Si può in questo modo dimensionare il quantizzatore minimizzando il valore quadratico medio del rumore di quantizzazione, una volta assunta o stimata la varianza. In realtà questa non è la cosa migliore che si possa fare, in quanto il rumore di quantizzazione può avere effetti diversi a seconda dell area dell immagine dove è allocato. Ad esempio, il rumore termico si manifesta come effetto nebbia ed è più visibile nelle zone chiare che nelle zone scure. Il rumore di quantizzazione, a seconda che sia concentrato a livelli bassi o a livelli alti dell errore di predizione, ha degli effetti diversi. Si avranno livelli bassi di errore di predizione dove l immagine è abbastanza uniforme, ad esempio sul viso di una annunciatrice o su uno sfondo uniforme. L errore di quantizzazione in queste zone si manifesta come rumore granulare facendo comparire, ad esempio sul volto dell annunciatrice, una granularità che in effetti non esiste. Le zone dove l errore di predizione è alto sono quelle dove ci sono discontinuità, per esempio nel passaggio dallo sfondo alla faccia dell annunciatrice o dove c è un elevato grado

84 5.2. CODIFICA TELEVISIVA Figura Differenze di luminanza orizzontali e verticali dell immagine estratta dalla sequenza Akiyo. di dettagli anche all interno di uno stesso oggetto: ad esempio un arazzo. Un rumore di quantizzazione eccessivo può fare in modo che il bordo della guancia appaia seghettato, cioé si verificano delle irregolarità nei bordi degli oggetti ripresi (edge business). Questo effetto viene ancora più evidenziato dal fatto che tra un fotogramma ed il successivo la scena non cambia di molto, ma cambia (anche se di poco) la sua posizione rispetto al reticolo di campionamento, per cui la frastagliatura indotta dalla quantizzazione grossolana cambia da fotogramma a fotogramma. I contorni appariranno perciò seghettati ed in più la seghettatura sarà variabile nel tempo. Nella codifica DPCM si può agire sul quantizzatore e sul predittore. Un pixel in un immagine sarà correlato con tutti i punti intorno anche se questa correlazione diminuisce all aumentare della distanza. I punti vicini che si possono usare per la stima devono essere quelli che sono già disponibili al ricevitore e questi punti sono quelli a sinistra sulla stessa riga ed i punti della riga precedente (o delle righe precedenti) indicati nella figura Β Α Figura Campioni disponibili per la predizione del campione corrente ( ).

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