LINEE GUIDA PER LO SCREENING DEI PAZIENTI CON SOSPETTO DIFETTO EMORRAGICO CONGENITO

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LINEE GUIDA PER LO SCREENING DEI PAZIENTI CON SOSPETTO DIFETTO EMORRAGICO CONGENITO Armando Tripodi Centro Emofilia e Trombosi "A. Bianchi Bonomi", Istituto di Medicina Interna, Universita' e IRCCS - Ospedale Maggiore, Milano. La fonte di queste linee guida è una bozza della SISET (7/ 1998) attualmente in fase di correzione e non ancora sottoposta a diffusione INTRODUZIONE I test di screening di laboratorio per l'emostasi, sono utili a identificare eventuali difetti dell'emostasi in soggetti asintomatici che debbano essere sottoposti ad intervento chirurgico, o a stabilire quale è la fase dell'emostasi responsabile del difetto nei pazienti che hanno già avuto una storia emorragica. Per assolvere in maniera adeguata al loro compito, essi devono essere semplici, perchè devono essere alla portata dei laboratori anche non particolarmente specializzati; sensibili, così da rilevare non solo le piu' grossolane anomalie dell'emostasi, ma anche i difetti minori, che possono aumentare considerevolmente il rischio emorragico in seguito ad intervento chirurgico; limitati nel numero, in quanto il loro scopo è di mettere in evidenza, il più rapidamente possibile, alterazioni di ognuno dei sistemi emostatici (emostasi primaria e coagulazione). RACCOLTA DELLA STORIA CLINICA Non è esagerato dire che il più importante test di screening è la raccolta di una storia clinica personale e famigliare più accurata possibile. Ciò è vero per una serie di motivi. I reagenti necessari ad eseguire i test di screening dell'emostasi non possiedono lo stesso grado di sensibilità a tutti i difetti dell'emostasi; non è quindi infrequente trovare delle situazioni nelle quali, pur essendo i test di laboratorio nella norma, esiste una chiara storia emorragica, per lo più in seguito a traumi e/o estrazioni dentarie. Un'altra situazione nella quale la raccolta della storia clinica può

impedire erronee valutazioni basate sui test di screening è l'errata esecuzione del prelievo di sangue necessario per i test di laboratorio. Può infatti accadere che durante l'esecuzione, la raccolta e la conservazione del prelievo, l'emostasi venga in qualche modo attivata e questo inevitabilmente produrrà poi degli artefatti nei test di screening, capaci a volte di mascherare un lieve difetto emostatico, o dare una impressione di ipocoagulabilità inesistente. Ne sono esempi l'attivazione del Fattore VII e la ipercitratazione del plasma in soggetti con elevato ematocrito, che simulano tempi di coagulazione rispettivamente accorciati o prolungati. Per la raccolta della storia clinica è opportuno seguire lo schema riportato nella Tabella 1. È importante stabilire la natura degli eventi emorragici ed il loro carattere precoce o tardivo in relazione ai traumi, perchè tali informazioni possono orientare sulla probabile natura del difetto emostatico. In generale i difetti della coagulazione sono prevalentemente associati ad emartri, ematomi, emorragie postoperatorie ad insorgenza tardiva, mentre i difetti dell'emostasi primaria sono associati ad emorragie mucocutanee ed emorragie post-operatorie immediate. Importante è anche stabilire se in passato l'efficienza dell'emostasi è stata o meno testata con successo da interventi chirugici, o estrazioni dentarie. Quest'ultimo elemento può essere un utile elemento di giudizio nei pazienti con storia negativa e candidati ad interventi ad alto rischio. TEST DI SCREENING DELL'EMOSTASI I test storici, noti complessivamente come prove emogeniche, quali il tempo di coagulazione, il tempo di stillicidio dal lobo dell'orecchio, le prove del pizzicotto, del martello e del laccio, hanno oramai solo valore storico e non debbono, pertanto, essere mai eseguiti. Essi sono a volte scarsamente correlati con l'emostasi in vivo, sono scarsamente standardizzabili, la loro riproducibilità è molto scarsa. La probabilità, quindi, di prendere delle decisioni sbagliate basandosi sui loro risultati è molto alta. L'approccio ragionato allo screening dell'emostasi prevede almeno due livelli di indagine. In un primo tempo vengono eseguite quelle indagini che sono in grado di evidenziare con buona probabilità la maggiore e più importante parte dei difetti emostatici (primo filtro). Qualora questi test risultino rigorosamente nella norma, ma la storia clinica sia suggestiva del difetto emostatico, si ricorre ad altre indagini di secondo filtro, che vanno ad indagare

difetti più rari. Test di primo filtro. Una esplorazione efficace dell'emostasi prevede l'esecuzione del tempo di emorragia e la conta delle piastrine, che esplorano l'emostasi primaria, del tempo di protrombina (PT) e del tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT), che esplorano la fase della coagulazione (Tabella 2). Il tempo di emorragia è definito come il tempo (minuti) necessario all'arresto del sanguinamento provocato da punture o incisioni superficiali eseguite, in condizioni standardizzate, sull'avambraccio del paziente. Nei tagli molto superficiali dove sono interessati i capillari, le arteriole e le venule dei primissimi strati dell'epidermide, l'arresto dell'emorragia è assicurato da una valida emostasi primaria e il tempo di emorragia è il test globale per la sua esplorazione. Esso sarà prolungato nelle piastrinopenie, piastrinopatie e malattia di Willebrand. Il tempo di emorragia è influenzato da una serie di variabili analitiche e deve quindi essere eseguito con notevole perizia, e soprattutto standardizzando molto scrupolosamente la procedura secondo la tecnica di Ivy (1). È, ad esempio, molto critica la scelta della zona dell'avambraccio in cui eseguire le incisioni, la lunghezza e profondità delle stesse e la rimozione del sangue che fuoriesce dai margini della ferita. Inoltre nell'interpretare un tempo di emorragia prolungato, bisogna sempre tener presente l'influenza di farmaci come l'aspirina che è nota interferire con l'emostasi primaria. In caso di prolungamento del tempo di emorragia, il difetto specifico può essere individuato mediante la misura del fattore Willebrand plasmatico e gli studi di funzionalità piastrinica. Il PT si definisce come il tempo (secondi) necessario affinchè un'aliquota di plasma povero di piastrine, coaguli in seguito all'aggiunta di un estratto tissutale di origine umana o animale (tromboplastina) e ioni calcio a 37 oc. Questo test esplora il meccanismo estrinseco della coagulazione ed è prolungato nella carenza dei fattori VII, X, V, II e fibrinogeno; è prolungato anche in presenza di eparina ed in seguito ad assunzione di anticoagulanti orali. L'APTT, è il tempo (secondi) necessario affinchè un'aliquota di plasma povero di piastrine coaguli in seguito all'aggiunta di un attivatore della fase di contatto (caolino, acido ellagico, silice, ecc.), di fosfolipidi in funzione di sostituto piastrinico e ioni calcio a 37 oc. L'APTT esplora il meccanismo intrinseco della coagulazione ed è prolungato nella carenza dei fattori precallicreina, chininogeno ad alto peso molecolare e Fattore XII,

che non danno però manifestazioni cliniche emorragiche. È prolungato anche nella carenza dei Fattori XI, IX, VIII, X, V, II e fibrinogeno. L'APTT è sensibile inoltre alla presenza di anticoagulanti circolanti, alla presenza di eparina e agli anticoagulanti orali. PT e APTT indagano un gruppo comune di fattori della coagulazione, mentre ciascuno è sensibile a un gruppo di fattori che gli sono propri. La loro esecuzione contemporanea permetterà, quindi, non solo di confermare o di escludere un'alterazione della fase coagulatoria dell'emostasi, ma anche, in caso di anormalità, di orientare in un ambito ristretto le ricerche per identificare il fattore carente. Le varie possibilità sono schematicamente esposte nella Tabella3. Come già accennato PT e APTT sono sensibili oltre che ad una eventuale carenza dei fattori anche, sebbene con diversa sensibilità, alla presenza di anticoagulanti circolanti. È quindi evidente che un'anomalia in uno o in entrambi i test non depone necessariamente a favore di una carenza; la carenza di uno o più fattori o la presenza dell'inibitore viene accertata in maniera relativamente semplice, ripetendo il test su una miscela preparata con il plasma del paziente e un plasma normale in rapporto 1:1. Se il tempo di coagulazione eseguito sulla miscela sarà piùvicino a quello del plasma normale, si tratterà di una carenza; infatti basta solo il 50% del fattore carente fornito dal plasma normale per normalizzare il test. Se viceversa il tempo di coagulazione della miscela sarà più vicino a quello ottenuto sul plasma del paziente, saremo allora, con buona probabilità, in presenza di un inibitore. Anche se in alcune situazioni le cose sono un pò più complesse di quanto qui schematicamente esposto, l'esecuzione di questo semplice test dà informazioni molto preziose per proseguire l'iter diagnostico. Il concetto di restringere l'indagine ai soli Fattori X, V, II e fibrinogeno, quando sono alterati sia il PT che l'aptt è valido solo nei casi di carenza di un singolo Fattore; i due test sono alterati contemporaneamente nei casi di carenza multipla come nella carenza congenita combinata dei Fattori V e VIII e nelle sindromi emorragiche da alterazioni acquisite della coagulazione che si riscontrano ad esempio in corso di trattamento con anticoagulanti orali o eparina, nelle epatopatie e nella sindrome da coagulazione intravascolare disseminata. In questi casi l'alterazione dell'emostasi interessa anche l'emostasi primaria e ciò comporta spesso anormalità anche del tempo di emorragia e del numero delle piastrine. Test di secondo filtro. Esiste una serie di alterazioni emostatiche

che non vengono esplorate dai test semplici che abbiamo prima esaminato. Ogni qualvolta si è in presenza di una chiara storia clinica positiva, ma affinchè i test di primo filtro siano normali è necessario estendere l'indagine. Lo screening di secondo filtro (Tabella 4) prevede il dosaggio del Fattore XIII, il dosaggio dell'antiplasmina, dell'attivatore del plasminogeno e il suo inibitore (PAI), un test capace di evidenziare difetti dei fosfolipidi ad azione procoagulante della membrana piastrinica (esposizione della fosfatidilserina), il dosaggio del fattore Willebrand, il tempo di trombina, il tempo di reptilase e dosaggio del fibrinogeno. Sia il PT sia l'aptt sono normali nella carenza di Fattore XIII che può dare luogo ad una rara sindrome emorragica. Tuttavia la rarità di questa coagulopatia congenita non rende necessaria l'esecuzione routinaria del dosaggio di questo fattore in tutti i pazienti, se non quando in presenza di una storia clinica con presenza di emorragia i test di screening di primo filtro siano normali. L'antiplasmina è il principale inibitore plasmatico della plasmina. Una sua carenza congenita può dare luogo ad una diatesi emorragica conseguente all'azione plasminica incontrastata. In questo caso tutte le fasi dell'emostasi sono normali, il coagulo si forma normalmente, ma viene lisato prematuramente. Sono stati riportati pazienti con carenza totale di antiplasmina e problemi emorragici simili a quelli dell'emofilico; anche la carenza a valori del 50% della norma potrebbe essere in grado di provocare sintomatologia emorragica di un certo rilievo (2, 3). Il dosaggio dell'attivatore tissutale del plasminogeno assume un certa importanza nei casi in cui la storia clinica è positiva e i test di primo filtro siano normali. Infatti, se l'attivatore del plasminogeno è aumentato, si ha una condizione di iperfibrinolisi che può determinare una rara diatesi emorragica (4, 5). Le stesse manifestazioni emorragiche sono sostenute, ma per ragioni opposte, dalla carenza dell'inibitore dell'attivatore del plasminogeno (PAI) (6-9). La fosfatidilserina, in passato nota anche come fattore piastrinico 3, è un fosfolipide della membrana piastrinica che partecipa alla coagulazione, fungendo da base per l'assemblaggio dei Fattori. Un suo difetto di esposizione sulla membrana delle piastrine attivate (Scott syndrome) potrebbe ritardare la fase della coagulazione, determinando eventi emorragici di una certa entità (10, 11). L'APTT non è sensibile a questo difetto, perchè in questo test si usa generalmente plasma povero di piastrine e i fosfolipidi vengono aggiunti in eccesso dall'esterno. Bisogna allora eseguire un test specifico capace di mettere in evidenza questa anomalia.

L'APTT e il tempo di emorragia non sono sempre adeguati allo screening dei pazienti con malattia di Willebrand, soprattutto nei casi meno gravi dove l'attività del Fattore VIII è sufficientemente alta, ed in alcune forme particolari dove pure il tempo di emorragia è normale o ai limiti della norma. Occorre, quindi, nei casi con storia emorragica accertata e test di primo filtro nella norma, pensare anche al dosaggio specifico dell'attività funzionale (cofattore ristocetinico) del Fattore Willebrand, che dà maggiori garanzie di svelare il difetto (12). Un'altra situazione non molto frequente è la presenza nel plasma del paziente di un fibrinogeno anomalo (disfibrinogenemia) (13) a cui i test di screening (PT e APTT) sono talvolta poco sensibili. Questa situazione, la cui conseguenza non è sempre un evento emorragico (ci sono dei pazienti disfibrinogenemici che sviluppano paradossalmente la trombosi, altri ancora che sono asintomatici), si può mettere in evidenza in laboratorio con il dosaggio immunologico e funzionale del fibrinogeno, o più semplicemente mediante il tempo di trombina e il tempo di reptilase. Questi due ultimi test esplorano direttamente la reazione di conversione del fibrinogeno in fibrina e sono perciò in grado di svelare queste anomalie. Il tempo di trombina, a differenza del tempo di reptilase, è sensibile anche all'eparina. L'uso accoppiato dei due test permette, pertanto, di differenziare le situazioni in cui il tempo di trombina è prolungato per la presenza accidentale o terapeutica di eparina, da quella in cui tutte e due sono alterate per una disfibrinogenemia. CONCLUSIONI Queste linee guida illustrano la metodologia di tipo clinico e laboratoristico, atta a valutare l'integrità del sistema emostatico di un paziente che debba essere sottoposto ad un cimento dell'emostasi (come ad esempio un intervento chirurgico). Lo stesso tipo di metodologia è utile anche nel caso in cui esista una storia clinica con eventi emorragici spontanei o conseguenti a traumi, e si voglia giungere ad una diagnosi precisa sulle cause che la sostengono. A motivo delle limitate conoscenze dei fenomeni di regolazione dell'emostasi,non è sempre possibile dare una risposta a tutti i problemi. Esistono infatti delle situazioni con evidenti difetti emostatici senza un riscontro nella alterazione dei test di esplorazione dell'emostasi. Si tratta di problemi di difficile soluzione, che verranno probabilmente risolti con la progressiva messa a punto di test di esplorazione dell'emostasi sempre più fini e sensibili e, soprattutto, capaci di studiare i meccanismi

emostatici anche a livello locale. RACCOMANDAZIONI Per l'indagine sul paziente con sospetta coagulopatia emorragica congenita valgono le seguenti raccomandazioni: 1. Raccolta della storia clinica personale e familiare (Tabella 1). 2. Nel paziente senza storia emorragica si eseguono i test di primo filtro (Tabella 2). In caso di normalità di tutti i test, l'emostasi si può considerare ragionevolmente normale. In caso di anomalia in uno o più test si procede alla identificazione del difetto specifico (Tabella 3). 3. Nel paziente con pregressa storia emorragica si eseguono i test di primo filtro (Tabella 2). In caso di anomalia in uno o più test si procede alla identificazione del difetto specifico (Tabella 3). In caso di normalità si procede all'esecuzione dei test di secondo filtro (Tabella 4). BIBLIOGRAFIA 1. Harker L.A., Slicther S.J. The bleeding time as a screening test for evaluation of platelet function. New Engl J Med, 1972 ; 287: 155. 2. Miles L.A., Plow E.F., Donnelly K.J., Hougie C., Griffin J.H. A bleeding disorder due to a deficiency of antiplasmin. Blood, 1982 ; 59: 1246. 3. Kluft C., Vellenga E., Brommer E.J.P., Wijngaards G. A familial hemorrhagic diathesis in a Dutch family: an inherited deficiency of antiplasmin. Blood, 1982 ; 59: 1169. 4. Booth N.A., Bennet B., Wijngaards G., Grieve J.H.K. A new life-long hemorrhagic disorders due to excess plasminogen activator. Blood, 1983 ; 61: 267. 5. Aznar J., Estellas A., Vila V., Reganon E., Espana F., Villa P.

Inherited fibrinolytic disorders due to enhanced plasminogen activator level. Thromb. Haemost, 1984 ; 52: 196. 6. Dieval J., Genevieve N., Gross S., Delobel J., Kruithof E.K.O. A life-long bleeding disorders associated with a deficiency of plasminogen activator inhibitor type 1. Blood, 1991; 77 : 528. 7. Schleef R.R., Higgins D.L., Pillemer E., Levitt L.J. Bleeding diathesis due to decreased functional activity of type 1 plasminogen activator inhibitor. J Clin Inv, 1989 ; 83: 1747. 8. Lee M.H., Vosburgh E., Anderson K., McDonagh J. Deficiency of plasma plasminogen activator inhibitor-1 results in hyperfibrinolytic bleeding. Blood, 1993 ; 81: 2357. 9. Stankiewicz A.J., Crowley J.P., Steiner M. Increased levels of tissue plasminogen activator with a low plasmingoen activator inhibitor-1 in a patient with pos-toperative bleeding. Am J Hematol, 1991 ; 38: 226. 10. Weiss H.J., Vicic W., Lages B.A., Rogers J. Isolated deficiency of platelet procoagulant activity. Am J Med, 1979 ; 67: 206. 11. Satta N., Toti F., Fressinaud E., Meyer D., Freyssinet J.M. Scott syndrome: an inherited defect of the procoagulant activity of platelets. Platelets, 1997 ; 8: 117. 12. Rodeghiero F., Castaman G., Dini E. Epidemiological investigation of the prevalence of von Willebrand's disease. Blood, 1987 ; 69: 454. 13. Rocha E., Paramo J.A., Aranda A., Cuesta B., Fernandez J. Congenital dysfibrinogenemias. A review. La Ric Clin Lab, 1985 ; 15: 205.

TABELLA 1. Raccolta della storia clinica. Lo scopo della storia è accertare il tipo di manifestazione emorragica il luogo la frequenza la durata la gravità se spontanea o post-traumatica se precoce o tardiva interventi chirurgici, o estrazioni dentarie senza eventi emorragici. la presenza o meno delle stesse manifestazioni in altri membri della famiglia l'età di comparsa dei primi sintomi la presenza di altre malattie l'assunzione recente di farmaci (a) escluse le possibili eccezioni della carenza di Fattore XIII, antiplasmina, aumento dell'attivatore del plasminogeno e carenza di PAI, carenza isolata di fattore piastrinico 3 e, talvolta, disfibrinogenemia e m. di Willebrand (da esplorare con i test di secondo filtro). (b) anche in taluni casi di malattia di Willebrand. (c) considerare anche la possibile carenza di Fattore XII, precallicreina e chininogeno ad alto peso molecolare, che non danno però manifestazioni cliniche emorragiche. (d) questa situazione si verifica anche nelle carenze multiple (epatopatie, anticoagulanti circolanti, terapia anticoagulante orale, eparina, coagulazione intravascolare disseminata e carenza combinata dei Fattori V e VIII). TABELLA 2 Test di primo filtro per la valutazione dell'emostasi tempo di emorragia conteggio delle piastrine tempo di protrombina (PT)

tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT) TABELLA 3. Possibili anomalie dell'emostasi esplorata mediante i test di primo filtro TABELLA 4 Test di secondo filtro per la valutazione dell'emostasi. Fattore XIII antiplasmina attivatore tissutale del plasminogeno inibitore dell'attivatore Tissutale del Plasminogeno (PAI) esposizione della fosfatidilserina (fattore piastrinico 3) fattore Willebrand tempo di trombina e tempo di reptilase (più fibrinogeno immunologico e funzionale)