n. 15 Open Innovation nel Veneto Mappatura dei centri per l innovazione e il trasferimento tecnologico nel Veneto Sara Bonesso Anna Comacchio



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OPEN INNOVATION NEL VENETO QUADERNO n. 15 CONFERENZA REGIONALE SULLE DINAMICHE ECONOMICHE E DEL LAVORO crel consiglio regionale del veneto Sara Bonesso Anna Comacchio Open Innovation nel Veneto Mappatura dei centri per l innovazione e il trasferimento tecnologico nel Veneto n. 15 università ca foscari venezia

Consiglio regionale del Veneto Atti - Quaderni Quaderno n. 15

CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO CREL (Conferenza regionale sulle dinamiche economiche e del lavoro) Direzione Regionale Rapporti e Attività Istituzionali Servizio Studi, Documentazione e Biblioteca Uffi cio dinamiche economiche Dirigente: Claudio De Donatis Coordinamento: Luca Romano Segreteria: Jacopo Capuzzo (Uffi cio dinamiche economiche), Serenella Poggi e Paolo Pozzo (Servizio Studi, Documentazione e Biblioteca) Collana Atti/Quaderni n. 15 Copyright 2008 Consiglio regionale del Veneto Cierre edizioni

CONFERENZA REGIONALE SULLE DINAMICHE ECONOMICHE E DEL LAVORO crel consiglio regionale del veneto università ca foscari venezia Sara Bonesso Anna Comacchio Open Innovation nel Veneto Mappatura dei centri per l innovazione e il trasferimento tecnologico nel Veneto

Ringraziamenti Si desiderano ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a diverso titolo alla realizzazione di questa ricerca. Anzitutto un ringraziamento sentito ai responsabili dei CITT coinvolti nel progetto e che hanno dato la loro piena collaborazione compilando il questionario e rispondendo alle domande delle interviste telefoniche. Si ringrazia la dottoressa Lara Martellozzo per la preziosa collaborazione nelle diverse fasi di raccolta ed elaborazione dei dati. Un ringraziamento al gruppo di lavoro del CREL sull innovazione che in occasione della presentazione dei risultati della ricerca con domande e commenti ha permesso le riflessioni e gli approfondimenti di analisi contenute in questo volume. Infine un grazie ai colleghi del Dipartimento di Economia e direzione aziendale, per il continuo e produttivo scambio di idee, un grazie in particolare a Franco Isotta, Andrea Pontiggia, Massimo Warglien e Fabrizio Gerli.

Indice Prefazione VII Capitolo 1. Il Trasferimento tecnologico: ruolo e questioni aperte 3 1.1 Trasferimento tecnologico e open innovation 3 1.2 Trasferimento tecnologico e fonti dell innovazione 5 1.3 I centri per il trasferimento tecnologico 10 1.3.1 Definizione dei CITT e funzioni a supporto della value chain dell innovazione 10 1.3.2 Natura delle conoscenze, funzioni e servizi di trasferimento tecnologico 13 1.4 Il ruolo dei centri di trasferimento tecnologico: competitività del singolo CITT ed effi cacia del sistema di TT 20 1.5 Obiettivi della ricerca Open innovation nel Veneto 22 1.6 Metodologia di ricerca 25 Capitolo 2. Mappatura dei Centri per l Innovazione e il Trasferimento Tecnologico nel Veneto 27 2.1 Defi nizione di CITT per tipologia 27 2.1.1 Stazioni sperimentali per l industria 28 2.1.2 Parchi scientifi ci e tecnologici 30 2.1.3 Uffici di trasferimento tecnologico 34 2.1.4 Incubatori d impresa 35 2.1.5 Business Innovation Centre 40 2.1.6 Aziende speciali e laboratori delle CCIAA 42 2.1.7 Agenzie per lo sviluppo del territorio 43 2.1.8 Centri tematici e multisettoriali 44 2.1.9 Centri di ricerca pubblica 50 2.1.10 Laboratori 52 2.2 Profilo della popolazione dei CITT 57 V

Capitolo 3. Profilo dei servizi e dotazione di risorse dei CITT 63 3.1 Introduzione 63 3.2 Profilo del servizio di trasferimento tecnologico offerto 66 3.2.1 Tipologia di servizio e grado di continuità 66 3.2.2 Modalità di erogazione del servizio 73 3.2.3 Evoluzione del servizio di trasferimento tecnologico 78 3.3 La dotazione di risorse dei CITT: analisi del capitale intellettuale e finanziario 80 3.3.1 L investimento in capitale umano 81 3.3.2 Il capitale organizzativo: l uso delle tecnologie ICT per la produzione del servizio 86 3.3.3 Il capitale sociale dei CITT 87 3.3.4 I capitali fi nanziari 89 3.4 Conclusioni 96 Capitolo 4. Analisi dell efficacia del sistema di trasferimento tecnologico 101 4.1 Introduzione 101 4.2 L impatto dei CITT sulla catena del valore dell innovazione 102 4.3 La rete di collaborazione dei CITT 106 4.3.1 Introduzione 106 4.3.2 Il grado di apertura della rete e complessità delle forme di collaborazione 107 4.3.3 Il grado di intermediazione: il tipo di partner e il ruolo di boundary spanning con le università 110 4.3.4 La struttura della rete dei CITT: un approfondimento mediante social network analysis 114 4.4. L effi cacia del trasferimento tecnologico a livello settoriale 123 4.4.1 Introduzione 123 4.4.2 Coerenza tra specializzazione settoriale del sistema di trasferimento tecnologico e struttura industriale del Veneto 123 4.4.3 L attività di TT verso i settori a medio-alta intensità di conoscenza 125 4.4.4 Specializzazione dei CITT e opportunità di fusione o ibridazione tecnologica 130 4.5 Conclusioni 133 Conclusioni 137 Appendice A - Questionario 149 Appendice B - Mappatura dei CITT per fonte 161 Bibliografia 179 VI

Prefazione Nel corso del 2006-2007 la Conferenza Regionale sulle dinamiche economiche e del lavoro è stata fortemente impegnata sui temi dell innovazione. Ne è derivato un apposito gruppo di lavoro nel quale sono stati invitati tutti i centri di ricerca ben 88 presenti nella nostra regione. La ricerca che qui presentiamo, affidata alla direzione scientifica della professoressa Anna Comacchio di Ca Foscari, è stata impostata, discussa e realizzata sotto gli auspici di quel gruppo di lavoro. Non si tratta di una pura e semplice mappatura dei CITT (Centri per l Innovazione e il Trasferimento Tecnologico), perché è largamente arricchita da informazioni relative alla classifi cazione qualitativa, alla stratifi cazione storica e al posizionamento operativo sia in termini di relazioni internazionali e nazionali, sia in una logica sistemica di offerta regionale dei Centri. Il quadro che ne emerge è ricco di luci, ma anche con qualche ombra. Se da un lato, infatti, la varietà e l articolazione del sistema di offerta si presenta ricco e differenziato, dall altro ancora non è soddisfacente l integrazione tra il piano della ricerca scientifica, soprattutto sviluppata in ambito universitario, questi centri di connessione e di trasferimento e il variegatissimo mondo delle imprese che caratterizzano il nostro territorio. Negli anni Novanta questo sistema ha registrato un intensità di innovazione sia in una logica tematica, più congeniale a presidiare le filiere del tessuto produttivo, sia di multisettorialità, dedicata a una varietà di attori economici. Quella spinta si è poi infi acchita in un quadro internazionale che, invece, richiede la generazione continua di innovazioni derivanti dalla ricerca propria. Consegniamo questa elaborazione a tutte le realtà organizzate che siedono nella Conferenza, con l augurio che possa rappresentare uno strumento prezioso per individuare nuovi obiettivi di posizionamento, per competere con centri concorrenti, per coprire nicchie di servizi non presenti a livello regionale e per rafforzare partnership che permettano una specializzazione in una logica di sistema. L impegno prodigato anche in questa sede ha contribuito all approvazione della legge regionale n. 9 del 18 maggio 2007 recante il titolo Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo economico e dell innovazione nel sistema produttivo regionale. VII

Il 20 ottobre scorso il Consiglio regionale ha approvato con larghissima condivisione il primo passaggio della tradizione operativa della legge che discende dall art. 11, ovvero il Piano Strategico. Il contesto economico internazionale minaccia una recessione, nella quale come sempre gli elementi di crisi convivono con quelli di selezione e di trasformazione. La crisi, quindi, è anche un opportunità per i sistemi più vitali e innovativi. Marino Finozzi Presidente del Consiglio regionale del Veneto VIII

Open Innovation nel Veneto

Capitolo 1 Il Trasferimento tecnologico: ruolo e questioni aperte 1.1 Trasferimento tecnologico e open innovation La creazione di nuova conoscenza attraverso l attivazione di canali di trasferimento e condivisione tra organizzazioni diverse è un processo sempre più significativo per la competitività aziendale e più in generale per lo sviluppo economico (Easterby-Smith, Lyles e Tsang, 2008), soprattutto in anni recenti, nei quali la conoscenza rappresenta il principale fattore produttivo (Rullani, 2004) e i confi ni organizzativi costituiscono una leva progettuale utilizzata non solo per creare barriere difensive, ma anche e soprattutto per aprire fi nestre di opportunità per l accesso a risorse complementari a quelle possedute da una singola impresa. Una specifica forma di trasferimento inter-organizzativo di conoscenza è costituita dal trasferimento tecnologico (TT), che può essere definito in modo sintetico come un processo di interazione intenzionale attraverso il quale informazioni e conoscenze scientifi che e tecnologiche, e/o artefatti e diritti vengono trasferiti ai fini dell innovazione di prodotto o processo da un contesto organizzativo fornitore-doner ad un altro cliente-receiver (Bessant e Rush, 1995; Bozeman, 2000; Amesse e Cohendet, 2001; Howells, 2006). Occorre specificare che le informazioni o conoscenze trasferite possono essere frutto da un lato di un processo di produzione interna di un organizzazione (ad esempio un centro o laboratorio privato di ricerca) che, come fornitoredoner cede al cliente-receiver (impresa) la conoscenza prodotta internamente, in una relazione one-to-one. Oppure possono derivare da una attività di intermediazione in cui un organizzazione (ad esempio una società broker tecnologico) facilita il trasferimento di conoscenza tra un secondo fornitore-doner (ad esempio un università) e il cliente-receiver (impresa) mediante una relazione one-to-one-to-one. Il trasferimento tecnologico inter-organizzativo non è un fenomeno nuovo nell ambito della Ricerca e Sviluppo (R&S). A partire dai primi studi degli anni settanta sui laboratori di R&S (Allen, 1966, 1977; Von Hippel, 1987) diversi autori indicano l esistenza di relazioni interpersonali tra ricercatori di imprese concorrenti. Questo fenomeno è stato anche defi nito collective invention (Allen, 1983; Cowan e Jonard, 2003): le relazioni informali attivate consentono uno scambio di know-how 3

utile al problem solving dei team di ricerca, di cui beneficiano sia doner che receiver (chi non restituisce nel tempo informazioni utili viene penalizzato ed estromesso dalla rete di collaborazioni informali). Negli anni novanta alcuni studi dimostrano l emergere di relazioni più formalizzate tra università, grandi multinazionali e piccole imprese altamente innovative. Tale fenomeno caratterizza tuttavia prevalentemente settori a elevato tasso di investimento in R&S come quello farmaceutico e delle biotecnologie (Arora e Gambardella, 1990; 1994). Nell ultimo decennio il trasferimento tecnologico inter-organizzativo ha subito una forte diffusione ed evoluzione, e un crescente numero di settori e organizzazioni si sono aperti a processi di scambio di conoscenza con partner esterni, secondo un modello di open innovation (Chesborough, 2006; Gassman, 2006; Kodama et al., 2008). Ad esempio nel settore della telefonia mobile le grandi multinazionali che hanno tradizionalmente investito in Research & Development (R&D) in-house stanno riducendo e focalizzando tali investimenti, ricorrendo a partnership esterne. Nokia Corp. ha previsto di portare l investimento in R&D rispetto al fatturato, dal 12.8% del 2004 a meno del 10% del 2006. Contestualmente la progettazione del 20% dei 700 milioni di mobile phones venduti worldwide nel 2006 con il brand di multinazionali del settore è stata data in outsourcing a Original Design Manufacturers (ODMs), (Business Week, 2005). Diversi fattori possono essere considerati come cause della diffusione del ricorso alle fonti esterne di innovazione. Ne sono state individuati cinque principali (Gassmann, 2006). Anzitutto il processo di globalizzazione che se da un lato ha reso più accessibili pocket of knowlegde (Santos et al., 2004) a livello internazionale e più facilmente trasferibili le conoscenze tra confini nazionali, dall altro ha portato a una intensificazione della concorrenza. Un secondo trend è l intensità e velocità dell innovazione tecnologica e la riduzione del ciclo di vita dei prodotti. Un esempio di un modello di open innovation guidato dalla ricerca di riduzione del time to market è il caso della HP. La multinazionale ha previsto di ridurre il suo investimento dal 6% del fatturato al 4.4% del 2006, impostando la propria strategia sull attivazione di un network globale di partner tecnologici come Quanta e Hon Hai Precision a cui ha esternalizzato la progettazione di PC o Inventec per i servers e lettori MP3, ottenendo una riduzione del 60% dei tempi con cui un nuovo concept è commercializzato e una focalizzazione delle risorse interne verso progetti a maggiore valore aggiunto (Business Week, 2005). Un terzo trend è dato dalla fusione o convergenza di più tecnologie come la meccatronica, l optotronica e la bioinformatica (Kodama 1992). Questa evoluzione ha portato a una riduzione delle barriere tra settori e a una diffusione di strategie di diversificazione tecnologica, ossia di innovazione di prodotto che sfrutta appunto le opportunità derivanti dalla ibridazione e combinazione di tecnologie diverse, come nel caso del settore delle macchine utensili (che fondono idraulica, meccanica, 4

elettronica e software) (Kodama, 1992) o delle nanotecnologie ai cui avanzamenti si devono opportunità di fertilizzazione incrociata con tecnologie consolidate di settori maturi (Avenel, Favier, Ma, Mangematin e Rieu, 2007). La necessità di accedere a conoscenze a carattere interdisciplinare, che tali progetti di fusione di più tecnologie richiedono, spinge alla ricerca di fonti esterne anche oltre i confini di settore. Infine possono essere considerati come fattori che creano le condizioni per una maggiore apertura delle imprese a fonti esterne l evoluzione di un economia knowledge-based e l emergere di nuovi modelli di business (Gassman, 2006). A fronte del rischio che molti prodotti e servizi diventino commodities le imprese cercano nuove opportunità derivanti da prodotti ad alta intensità di conoscenza o emergenti in domini tecnologici avanzati come nanotecnologie o biotecnologie (Yusuf, 2008). Inoltre, grazie anche all evoluzione di internet, si aprono opportunità per cooperazioni con comunità strategiche di clienti (Kodama, 2007) che ne valorizzino informazioni e conoscenze in progetti innovativi, come nel caso Ducati (Verona e Prandelli, 2006). Questi macro trend delineano le forze che spingono le imprese a cercare conoscenze prodotte all esterno. Alcune ricerche sostengono che le fonti interne e le fonti esterne di conoscenza siano sostitutive, trovando in ragioni economiche, di riduzione dei costi della ricerca e dei costi di transazione i motivi dell outsourcing dell R&D (Pisano, 1990). Vi sono studi che viceversa indicano una complementarità tra investimenti in R&D in-house e l attivazione di processi di trasferimento tecnologico dall esterno (Arora e Gambardella, 1990; Cassiman e Veugelers, 2006; Roper et al., 2008; Tether e Tajar, 2008). Questi studi individuano la ragione del ricorso a fonti esterne non solo nell efficienza e nella riduzione degli investimenti in R&D, ma anche nella ricerca di conoscenze ad alto valore aggiunto necessarie a integrare quelle sviluppate internamente, inoltre indicano che proprio l esperienza in R&D interna è al tempo stesso anche una condizione che favorisce la capacità di attivare e gestire collaborazioni estere. 1.2 Trasferimento tecnologico e fonti dell innovazione La ricerca di fonti esterne di innovazione ai fini del trasferimento tecnologico può rivolgersi a organizzazioni fra loro molto differenziate. Secondo gli studi sulle traiettorie tecnologiche le fonti di innovazione esterna più rilevanti sono definite in media dalle specificità di ciascun regime tecnologico di settore (Pavitt, 1984; Malerba e Orsenigo, 1997; De Jong e Marsili, 2006). Le università o i laboratori di ricerca sono le fonti esterne di innovazione a cui fanno ricorso le imprese di settori science based (ad esempio farmaceutico, elettronica), i fornitori di beni industriali sono le fonti di innovazione privilegiate da imprese del settore sup- 5

plier dominated (ad esempio settori del made in Italy come tessile, abbigliamento o calzature). Nel caso di imprese scale intensive (settore dell alimentare o prodotti di largo consumo) l innovazione è prevalentemente interna in quanto principalmente innovazione di processo, mentre nei settori specialised supplier (fornitori di beni industriali) la fonte dell innovazione esterna è costituita dai clienti industriali. Alle fonti principali oggi si sta affiancando una gamma di altri potenziali partner. Un esempio viene da un settore scale intesive come quello dei beni di consumo per la casa, nel quale con una riorganizzazione della ricerca del 2006, la Procter and Gamble è passata da un modello di R&D, mediante il quale il 90% dei prodotti nuovi era realizzato grazie a progetti interni, a un modello di C&D (Connect and Develop) con il quale ha attivato forme di collaborazione con enti e ricercatori esterni e ha portato al 50% la quota di prodotti realizzati con l ausilio di fonti esterne, con un incremento della produttività della ricerca del 35% (Dodgson et al., 2006). Ma si pensi anche al caso di un settore maturo e supplier dominated come il tessile che grazie a strategie di fusione con le nanotecnologie, sta scoprendo opportunità nuove in termini di segmenti di mercato. Ne è un esempio il caso del tessile tecnico che grazie alla collaborazione con laboratori di ricerca e università coniuga le tecnologie consolidate del tessile con le nanotecnologie, come avviene nel caso delle imprese italiane del TexClubTec, l associazione nata con circa 30 imprese nel 1998, che attualmente annovera 120 aziende innovative. Forme di cooperazione di tipo verticale tra organizzazioni appartenenti alla stessa filiera produttiva sono indicate come un canale privilegiato per l innovazione soprattutto dalle piccole e medie imprese appartenenti ai distretti produttivi (Istat, 2008). Le partnership lungo la supply chain si sono più recentemente qualifi cate e intensifi cate per ciò che riguarda lo scambio di conoscenze ai fi ni dell innovazione di prodotto sia con i clienti industriali nel caso di settori B2B, che con lead users o comunità di consumatori, per i settori di beni durevoli o di consumo, sia infine con i fornitori che, soprattutto in strategie di diversificazione tecnologica, possono essere fonti di nuove idee e know-how su materiali o componenti avanzati. Altre fonti di innovazione esterne sono i concorrenti, con i quali sono in crescita cooperazioni di tipo orizzontale per la R&D, sebbene si registri una variazione nelle forme di governance di queste alleanze con una tendenza ad abbandonare forme più rigide come le joint venture per forme più fl essibili come il licensing (Hagerdoon, 2002). L evoluzione e la crescita di tali accordi avviene nonostante i problemi di appropriazione dei vantaggi derivanti dall innovazione, i quali, in questo tipo di cooperazioni, sono ancora più rilevanti di quelli che possono emergere nelle relazioni tra partner della supply chain (Colombo e Zanfei, 1988). Gli studi degli ultimi quindici anni sulle alleanze strategiche hanno fornito molti riscontri empirici della diffusione 6

di tali partnership in diversi settori, della loro evoluzione, ma anche delle difficoltà che tuttora permangono nella gestione di questo tipo di alleanze. Infi ne fonti di conoscenze alla frontiera per processi di ricerca di base e applicata sono enti di ricerca pubblici, centri o laboratori privati e le università. Molteplici studi attribuiscono ai primi e soprattutto alle università un ruolo sempre più centrale nell evoluzione di sistemi di innovazione, sia a livello internazionale che locale (Arundel e Geuna, 2001; Adams, 2005). Tuttavia ancora limitata è la propensione delle Piccole e Medie Imprese (PMI) ad avviare rapporti di collaborazione tecnologica con Università o centri di ricerca, come rilevato anche dalla survey della comunità europea sull innovazione (Community Innovation Survey) che indica come in Europa solo l 11% delle imprese innovative di piccola dimensione attiva forme di cooperazione di questo tipo contro il 61% delle imprese di grandi dimensioni (Crowley, 2004). Come sottolineano anche questi dati sulle collaborazioni con le università da parte delle PMI, le opportunità offerte dalla molteplicità di fonti sia per collaborazioni verticali interne o esterne al settore (nel caso di diversificazione tecnologica), sia per collaborazioni orizzontali, che infine per relazioni con enti di ricerca e università non sono facilmente coglibili dalle imprese. Difficoltà si incontrano nelle diverse fasi di un processo di trasferimento o sourcing tecnologico: a. scanning del mercato, b. valutazione e selezione della conoscenza e dell eventuale partner e c. governance e coordinamento per lo scambio. a. Fase di scanning del mercato Anzitutto nella prima fase di scanning o ricerca di nuove conoscenze, a causa delle imperfezioni del mercato delle conoscenze (Arora et al., 2001; Lichtenthaler e Ernst, 2006) risulta diffi cile raccogliere informazioni su nuove idee generate all esterno e su chi ne è la fonte, ad esempio per mancanza o inefficienza dei canali di comunicazione. Tale difficoltà è ancora più elevata nel momento in cui la ricerca di idee e partner non avviene in un contesto locale o settoriale ben defi nito, come nel caso di un distretto industriale, ma si cercano partner tecnologici oltre i confini geografi ci o oltre i confini cognitivi definiti da una specifica traiettoria tecnologica di settore. Inoltre in questa fase possono sorgere barriere legate alle persone, come la carenza di competenze o di motivazione (Greiner e Franza, 2003), si pensi alla sindrome del Not invented here che preclude a team di ricercatori molto competenti e coesi di cercare all esterno idee nuove, nella convinzione della superiorità del lavoro svolto all interno del team rispetto a qualsiasi fonte esterna (Katz, 1988). b. Fase di valutazione e selezione della conoscenza e dei partner Una volta raccolte le informazioni necessarie sulle potenziali fonti esterne di 7

innovazione, un secondo ordine di difficoltà deriva dalla valutazione del valore che le conoscenze oggetto di scambio hanno per l impresa receiver, in relazione alla natura delle conoscenze scambiate, ad esempio più tali conoscenze sono nuove o tacite più elevata è la diffi coltà dell assessment. Inoltre la diffi coltà di valutazione può derivare dell incertezza ambientale (Carson et al., 2006), nelle fasi iniziali di una nuova traiettoria tecnologica è più difficile valutare le opportunità di innovazione derivanti da conoscenza avanzata sia scientifica che tecnologica. Lo scambio di conoscenza non avviene solo mediante meccanismi di mercato come la cessione di un brevetto, ma sulla base di rapporti cooperativi tra imprese caratterizzati da processi di apprendimento congiunto e da specifi ci progetti strategici. Rispetto all uso del mercato, un apprendimento da cooperazione consente di generare un numero maggiore di alternative tecnologiche (Colombo e Zanfei, 1988), ma diversi ostacoli possono ridurne o neutralizzarne l esito. La selezione dei partner in questo tipo di collaborazioni richiede particolare attenzione con riferimento anzitutto alle complementarità tecnologiche e alla diversa distribuzione del know-how tra le due organizzazioni. Lo squilibrio può causare problemi di comunicazione e può essere fonte di diverso potere contrattuale, e quindi di comportamenti opportunistici di una delle due parti. Inoltre oggetto di valutazione dovranno essere anche le complementarità strategiche-organizzative e quelle culturali (Emden, Calantone e Droge, 2006). c. Fase di governance e coordinamento della collaborazione Un terzo elemento di complessità emerge nelle fasi di gestione della relazione con uno o più partner, per diffi coltà di coordinamento degli obiettivi strategici tra le parti, problemi di integrazione e coerenza tra i meccanismi operativi e le risorse umane delle due organizzazioni partner. In questa fase le imprese incontrano problemi dovuti all incertezza comportamentale per comportamenti opportunistici del partner (Carson et al., 2006) da cui deriva il rischio di perdita di informazioni. Talora tale rischio è maggiore per le imprese di piccole dimensioni per le limitate difese della proprietà intellettuale che possono attivare, a causa dei costi dei mezzi legali di protezione o per la limitata efficacia di tali mezzi in regimi tecnologici ad appropriabilità debole. Infine in questa fase una barriera significativa è legata all incertezza relativa al contenuto della relazione e quindi al tipo di conoscenza oggetto di scambio, la sua maggiore o minore complessità (technology equivocability o casual ambiguity), la componente fi rm specific (stikiness) che caratterizza conoscenze tacite, fattori che determinano, come ricordano diverse ricerche, il costo di attivazione di meccanismi di trasmissione e coordinamento adeguati e la loro efficacia. 8

L esigenza di ottenere un supporto a tali processi soprattutto da parte della PMI è dimostrata dai dati italiani relativi al ricorso a fonti esterne di innovazione, i quali indicano che nell industria mentre il 34,7% delle imprese con 250 addetti dichiara di avere accordi di collaborazione, tale percentuale scende al 16,8% delle imprese con 50-249 addetti e al 9,0% delle imprese con 10-49 addetti (Istat, 2008). Nei sistemi locali di innovazione caratterizzati da forte presenza di PMI e di settori maturi gli elementi di complessità del processo di innovazione e trasferimento tecnologico sono ancora più critici, in quanto elevati investimenti fi ssi in R&D non sono giustificati dalla limitata numerosità di progetti, dal limitato volume di vendite dell impresa o dai margini ridotti. Gli alti investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti interessano tutte le fasi della value chain dell innovazione (Hansen e Birkinshaw, 2007; Roper et al., 2008): 1. fase di knowledge sourcing: ricognizione e acquisizione di conoscenza 1. scanning del mercato; 2. valutazione e selezione della conoscenza e dell eventuale partner; 3. governance e coordinamento per lo scambio. 2. fase di knowledge transformation: produzione e combinazione della conoscenza ai fi ni della realizzazione di un ouput innovativo; 3. fase di knowledge exploitation: sfruttamento a fi ni commerciali dell innovazione. Si tratta anzitutto di costi da sostenere per svolgere le attività di knowledge sourcing: costi di search e bargaining (Kodama, 2008) per le problematiche di ricerca di informazioni e selezione del partner e di gestione di problemi negoziali emergenti nelle fasi che precedono l attivazione di uno scambio. Si tratta anche di costi di organizzazione della collaborazione, una volta avviata, volti alla predisposizione dei più corretti e coerenti meccanismi di trasferimento della conoscenza e all allineamento dei comportamenti dei partner (comunicazione, sistemi di incentivi, sistemi di controllo). È stato dimostrato da diverse ricerche che un fattore che spiega la differenza tra imprese che hanno attivato collaborazioni e imprese non in grado di superare le barriere alla collaborazione è il possesso da parte delle imprese di capacità di assorbimento dall esterno (absorptive capacity) (Cohen e Levinthal, 1990; Arbussà e Coenders, 2007; Easterby-Smith et al., 2008; Kodama, 2008), ossia l abilità di riconoscere velocemente opportunità tecnologiche e valutare effi cacemente le idee di valore nel mercato delle conoscenze scientifiche e tecnologiche e trasferirle internamente integrandole nei progetti di innovazione aziendale. La presenza di tale capacità dipende da scelte organizzative e di gestione delle risorse umane e in particolare dalla conoscenza sviluppata mediante attività di 9

R&D interna. Pertanto per poter avviare nuove collaborazioni le imprese devono fare anche un investimento interno in attività di ricerca e sviluppo. Questo si spiega in base al fatto che l attività di R&D interna favorisce lo sviluppo di competenze nel personale che rendono i ricercatori in grado di attivare i canali più appropriati di raccolta delle informazioni e ne fanno interlocutori altamente qualifi cati di partner esterni (Arora e Gambardella, 1990, 1994; Cassiman e Veugelers, 2006; Roper et al., 2008). Una ricerca realizzata sulla base di dati della CIS-2 in Inghilterra ha rilevato che le imprese che investono in R&D e hanno come obiettivo lo sviluppo di prodotti non incrementali ( new to the market rather than new to the firm ) e quindi sono interessate a conoscenze ad altro grado di novità hanno più probabilità di avviare accordi di collaborazione per l innovazione (Tether, 2002). Per ciò che riguarda gli investimenti da parte delle imprese in knowledge transformation ed exploitation il limitato investimento in ricerca da parte delle imprese italiane è documentato da diverse indagini (Lucking, 2003; Crowley, 2004; Daveri, 2006). L Italia spicca per la ridotta intensità dell attività di Ricerca e Sviluppo, misurata sia come investimento in capitale umano sia come spese per l R&S (European Commission, 2004). Nel 2003, inoltre, la Commissione Europea ha rilevato che la percentuale di manager italiani che dichiarava di innovare per incontrare le esigenze del mercato era la più bassa tra i paesi analizzati, mentre quella che indicava come driver dell innovazione la necessità di migliorare l efficienza di macchinari e impianti era la più alta (Eos Galup, 2003). Infine, le imprese italiane, anche le giovani aziende high-tech, mostrano una scarsa propensione alla brevettazione (Colombo, 2005). La diffi coltà o scarsa convenienza ad effettuare investimenti nelle diverse fasi della value chain dell innovazione per fattori interni o di contesto ha creato l opportunità per la nascita di organizzazioni specializzate in fornitura di servizi di ricerca e sviluppo e di trasferimento tecnologico. 1.3 I centri per il trasferimento tecnologico 1.3.1 Definizione dei CITT e funzioni a supporto della value chain dell innovazione Recentemente diverse ricerche hanno iniziato a porre attenzione ad attori economici che a diverso titolo svolgono un ruolo di supporto all innovazione e al trasferimento tecnologico, cercando di identificarne la natura, le principali funzioni svolte e di classifi care i servizi resi al sistema delle imprese. Nel 2004 la Comunità Europea ha pubblicato uno studio dedicato all analisi e classifi cazione dei centri di trasferimento tecnologico. Si tratta della prima ricerca 10

su questo tipo di organizzazioni realizzata dalla comunità europea con un estensione geografi ca che comprende tutti i paesi europei, e include nel data set una popolazione di 1596 enti, di cui 101 italiani. Lo studio sostiene che le Technology Transfer Institutions (TTIs), such as industrial liaison offices, technology transfer offices, contract research organisations and other innovation support providers such as technology parks and incubators, play an increasingly important role in the creation and reinforcement of the relationships between industry and public research organisations (PROs). (EU 2004: 7). Come si nota la comunità europea individua le istituzioni per il trasferimento tecnologico (ITTs) o Centri per il Trasferimento Tecnologico (CITT) in base al ruolo attivamente svolto da tali istituzioni nel creare un ponte tra imprese e ricerca pubblica. Mentre l OECD (2002; 2003) aveva dato una defi nizione simile di Technology Transfer Organisations (TTOs) ma più restrittiva considerando quelle organizzazioni o parti di organizzazioni che help the staff at public research organizations to identify and manage the organization s intellectual assets, including protecting intellectual property and transferring or licensing rights to other parties to enhance prospects for further development, la comunità europea offre una definizione più ampia. Nel classificare i Centri di trasferimento tecnologico, include oltre alle organizzazioni o parti di esse che operano a supporto del trasferimento tecnologico dei centri pubblici di ricerca (PROs), in particolare le università, anche i centri che svolgono un ruolo di supporto alla creazione di imprese per lo sviluppo e la commercializzazione di invenzioni (spin-off) come i Parchi scientifici e tecnologici e gli incubatori. Inoltre considera anche una terza categoria di organizzazioni che definisce Contract Research Organisations, che offrono al settore privato servizi legati alla ricerca, con specifica funzione di trasferimento tecnologico. Come si comprende dalla classificazione, nella definizione di ITTs della Comunità europea rientrano organizzazioni legate ai centri pubblici di ricerca (PROs), o in quanto dipartimenti di tali Centri o unità esterne degli stessi oppure come intermediari pubblici o anche privati ma strettamente legati, per il servizio, reso ai PROs. Pertanto le attività svolte sono identifi cate nelle seguenti cinque tipologie: Patenting and patenting assistance, Licensing of IPR, Management of contract research (not performing of), Spin-off assistance (e.g. business consulting), Spin-off fi nancing (provision of seed capital). La priorità per la comunità europea è dunque la fertilizzazione incrociata tra mondo della ricerca e mondo dell industria e la riduzione delle barriere al trasferimento di conoscenza tra i due sistemi, soprattutto con riguardo alle maggiori difficoltà che le PMI incontrano nel rapportarsi al mondo della ricerca. I CITT o ITTs secondo la comunità europea possono ridurre alcune barriere a questo tipo di relazione, le quali risiedono nella carenza di informazioni sui progetti svolti e le conoscenze sviluppate dai PROs, negli 11