nelle sindromi coronariche acute e la gestione del rischio emorragico dei farmaci antitrombotici

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Transcript:

La preparazione farmacologica all angioplastica nelle sindromi coronariche acute e la gestione del rischio emorragico dei farmaci antitrombotici Silvia Zagnoni, Gianni Casella, Anna Chiara Musuraca, Daniela Calabrese, Pier Camillo Pavesi, Giuseppe Di Pasquale U.O. di Cardiologia, Azienda USL, Ospedale Maggiore, Bologna Key words: Acute coronary syndrome; Anticoagulants; Antiplatelet drugs; Coronary angioplasty. Acute coronary syndromes (ACS) are one of the most dramatic manifestations of atherothrombosis and several efforts have been made in recent years to improve their prognosis. Morbidity and mortality of high-tomedium risk ACS have significantly reduced in the real world setting during the last few years, due to a very aggressive antithrombotic therapy, which always involves a combination of an anticoagulant and different antiplatelet agents, and an extensive indication to revascularization. However, it has become increasingly important for clinicians to identify the correct treatment between the several different combination of antithrombotic and antiplatelet agents. The selection and intensity of these combinations are based in the first instance on the ischemic risk profile of the patient and the treatment strategy (early invasive, delayed invasive or conservative) selected. However, the use of such an aggressive antithrombotic therapy coupled with coronary angioplasty exposes the patients to a significant risk of bleeding. Unfortunately, these bleeding complications have a negative prognostic significance and force clinicians to suspend (or decrease) the antithrombotic treatments to control bleeding. (G Ital Cardiol 2010; 11 (12 Suppl 3): 34S-42S) 2010 AIM Publishing Srl Per la corrispondenza: Dr. Gianni Casella U.O. di Cardiologia Azienda USL Ospedale Maggiore Largo B. Nigrisoli, 2 40133 Bologna E-mail: gianni.casella@alice.it Negli ultimi decenni le sindromi coronariche acute (SCA) hanno vissuto un progressivo miglioramento della prognosi dovuto ad una chiara comprensione della loro fisiopatologia ed alla conseguente evoluzione del trattamento. Di pari passo anche l approccio invasivo è cambiato, passando in epoche recenti da un atteggiamento molto conservativo ad una timida strategia invasiva ritardata. La ragione di queste lunghe resistenze alla strategia invasiva risiede nel fatto che in passato effettuare una rivascolarizzazione coronarica in un paziente con lesioni instabili e complicate determinava risultati insoddisfacenti ed un elevato tasso di complicazioni. Le SCA, nella loro fase acuta di instabilità, erano considerate quasi una controindicazione alla rivascolarizzazione per la forte attivazione trombotica e la scarsa disponibilità di farmaci adatti a contrastarla. Purtroppo questo ritardo nella rivascolarizzazione impediva a molti pazienti di limitare l estensione dell infarto o prevenirne la recidiva e li esponeva ad un rischio di eventi precoci, in genere nelle prime 48h dall esordio dei sintomi, molto elevato. Fortunatamente da qualche anno la disponibilità di trattamenti antitrombotici molto efficaci e la notevole evoluzione tecnica dell angioplastica (PCI) hanno aperto la strada ad un efficace approccio invasivo precoce, oggi disponibile per un numero consistente di pazienti con SCA anche nel mondo reale. Questo richiede al cardiologo clinico una precisa conoscenza dei trattamenti antitrombotici ed antipiastrinici necessari alla gestione di una strategia invasiva (in emergenza, precoce o elettiva) e del rischio emorragico ad essi correlato 1. La preparazione farmacologica all angioplastica La grande efficacia della PCI nelle SCA è fuor di dubbio, ma non possiamo dimenticare che gli stessi meccanismi che ne determinano l efficacia (schiacciamento, rottura, dissezione della placca e sua espansione con l impianto di uno stent) sono a loro volta responsabili di una forte attivazione emocoagulativa. Per questo tra i diversi obiettivi del trattamento farmacologico adiuvante (Tabella 1) 2,3 sicuramente l inibizione dell attivazione trombotica e dell aggregazione piastrinica costituiscono quelli più importanti. Questo è particolarmente evidente per i pazienti più instabili od i diabetici, dove il substrato aterotrombotico può essere molto consistente. Infine gli stretti rapporti tra instabilità della placca ed infiammazione, rendono necessario affiancare altri trattamenti per modificare le caratteristiche delle placche stesse o limitare i fenomeni infiammatori locali. 34S

S Zagnoni et al - Farmaci per l angioplastica nelle sindromi coronariche acute e rischio emorragico Tabella 1. Obiettivi della terapia farmacologica in corso di angioplastica. Adesione/attivazione/aggregazione piastrinica Aspirina (acido acetilsalicilico) Clopidogrel, ticlopidina Prasugrel Ticagrelor Inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa Attivazione della cascata coagulativa Eparina non frazionata Eparine a basso peso molecolare Fondaparinux Bivalirudina Stato infiammatorio/danno endoteliale Statine Area ischemica/necrosi Betabloccanti/adenosina Da Fuster et al. 2 e Falk et al. 3, modificata. Negli anni i trattamenti disponibili sono diventati sempre più efficaci, ma contemporaneamente le combinazioni di farmaci antitrombotici ed antipiastrinici utilizzabili nel singolo paziente sono divenute sempre più complesse e varie. Spesso infatti il cardiologo clinico trova difficile individuare un momento di sintesi tra le combinazioni possibili di antitrombotici [eparina non frazionata (UFH), eparina a basso peso molecolare, fondaparinux, bivalirudina] o antipiastrinici [aspirina, ticlopidina, clopidogrel, prasugrel, ticagrelor, inibitori delle glicoproteine (GP) IIb/IIIa] (Figura 1). Certamente la scelta e l intensità di queste combinazioni sono condizionate dal profilo di rischio ischemico del paziente e dalla strategia terapeutica selezionata 4,5. Quest ultima infatti può essere (Figura 2) 1 : - interventistica in urgenza (entro 2h) in caso di dolore toracico persistente e refrattario alla terapia, di instabilità emodinamica o aritmica, - interventistica precoce (entro 72h) in caso di SCA con rialzo della troponina, alterazioni elettrocardiografiche di tipo ischemico, alto rischio clinico (Grace score >140, diabete), - conservativa negli altri casi, fondamentalmente a basso rischio. Diagnosi e stratificazione del rischio Risposta al trattamento antianginoso Marcatori biochimici di routine, incluse troponine (all'ingresso e dopo 6-12h), possibili altri marcatori (ad es. D-dimero, BNP/NT-proBNP) Ripetere valutazione ST o monitorare Valutazione score di rischio Valutazione rischio emorragico Esclusione diagnosi differenziali: ecocardiogramma, TAC, RM, scintigrafia Urgente <120 min Angina persistente/ricorrente con/senza alterazioni ST ( 2 mm) o onde T negative profonde nonostante la terapia antianginosa Scompenso o instabilità emodinamica TV / FV Precoce <72h Troponina elevata Alterazioni dinamiche ST o T Diabete IRC (GFR<60ml/min/1.73m 2 ) FE <40% Angina precoce post-ima Pregresso IMA PCI entro 6 mesi precedenti Pregresso BPAC GRACE risk score medio-alto Elettivo No recidive angina No scompenso No nuove alterazioni ECG (ingresso e 6-12h) No troponina elevata (ingresso e 6-12h) Figura 2. Strategie terapeutiche nelle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST. BPAC = bypass aortocoronarico; BNP = peptide natriuretico cerebrale; FE = frazione di eiezione; FV = fibrillazione ventricolare; GFR = glomerular filtration rate; IMA = infarto miocardico acuto; IRC = insufficienza renale cronica; PCI = angioplastica coronarica; NT-proBNP = porzione N terminale del propeptide natriuretico cerebrale; RM = risonanza magnetica; TAC = tomografia assiale computerizzata; TV = tachicardia ventricolare. Da Bassand et al. 1, modificata. Discuteremo brevemente nei prossimi paragrafi le indicazioni ai diversi trattamenti adiuvanti utilizzati per i pazienti con SCA senza sopralivellamento del tratto ST (SCA- NSTE) trattati con angioplastica ed il rischio emorragico correlato ai trattamenti antitrombotici. La terapia antipiastrinica nei pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti ad angioplastica In un paziente con SCA, quando si esegue un angioplastica, l attivazione piastrinica è elevatissima sia per il quadro clinico contingente che per gli effetti pro-trombotici intrinseci della PCI. Le evidenze scientifiche documentano come durante l angioplastica maggiore è il livello di inibizione piastrinica minore è il rischio di eventi coronarici maggiori a breve e medio termine (Figura 3) 6. Per questo Terapia anti-trombinica trombinica Fondaparinux LMWH UFH AT AT Bivalirudina Fattori tissutali Cascata coagulativa plasmatica Fattore Xa Protrombina Trombina Fibrinogeno Aspirina Terapia anti-piastrinica Formazione ponti piastrinici Attivazione GPIIb/IIIa Inibitori GPIIb/IIIa Aggregazione piastrinica Fibrina Collagene Trombossano A 2 ADP Ticlopidina Clopidogrel Prasugrel Ticagrelor % MACE in ospedale 30 25 20 15 10 5 0 14.4 <95% 10 min 8h p = 0.006 6.4 25 p = 0.009 8.1 95% <70% 70% Trombo % inibizione della funzione piastrinica Figura 1. Target terapeutici dei farmaci anti-trombotici e anti-piastrinici utilizzati nell angioplastica. ADP = adenosina difosfato; AT = antitrombotico; GP = glicoproteine; LMWH = eparina a basso peso molecolare; UFH = eparina non frazionata. Figura 3. Relazione tra inibizione della funzione piastrinica durante angioplastica e riduzione degli eventi clinici maggiori (MACE) in ospedale. Da Steinhubl et al. 6, modificata. 35S

G Ital Cardiol Vol 11 Suppl 3 al n 12 2010 durante l esecuzione della PCI è necessario garantire al paziente il grado di inibizione piastrinica ottimale per il suo quadro clinico. Aspirina (acido acetilsalicilico) L aspirina (ASA) è il primo farmaco antipiastrinico utilizzato nel corso di un angioplastica e nelle SCA; essa inibisce l aggregazione piastrinica bloccando irreversibilmente la ciclossigenasi-1 e riducendo la formazione di trombossano A2. L ASA può essere somministrata per via orale o endovenosa. I suoi principali effetti collaterali sono di tipo gastroenterico (emorragie digestive, gastrite) e dose-dipendenti. Le controversie inerenti alla dose ottimale da utilizzare sono state di recente risolte dalla pubblicazione dello studio CURRENT- OASIS 7 che ha confrontato, in un largo numero di pazienti inviati a strategia invasiva precoce, l utilizzo di dosi elevate di ASA (300 mg/die) rispetto a dosi standard (75-100 mg/die) senza riscontrare differenze significative rispetto ai principali obiettivi clinici [morte cardiovascolare, infarto miocardico acuto (IMA), ictus]. (Figura 4) 7,8. Rimane quindi raccomandabile un unica dose iniziale di 160-325 mg, seguita, soprattutto se è associata al clopidogrel, da 100 mg/die, per limitare il rischio emorragico a distanza 9. Tienopiridine (ticlopidina, clopidogrel) Le tienopiridine sono farmaci antipiastrinici che agiscono attraverso il loro metabolita attivo che si lega irreversibilmente con il recettore P2Y12 dell adenosina difosfato (ADP). I due farmaci più conosciuti sono la ticlopidina e il clopidogrel. La ticlopidina è ora scarsamente utilizzata sia per le sue caratteristiche farmacocinetiche poco favorevoli (lenta insorgenza d azione ed effetti collaterali potenzialmente gravi come la neutropenia) che per la scarsità di dati che ne documentano un effetto favorevole nelle SCA. Nella pratica clinica la ticlopidina è stata quasi completamente sostituita dal clopidogrel, che vanta un ampio numero di studi favorevoli 10. Il clopidogrel esercita una più specifica, rapida e completa inibizione dell aggregazione piastrinica indotta dall ADP. La somministrazione di una dose di carico per os di 300 o 600 mg consente un buon grado di inibizione piastrinica già dopo 3-5h. Negli ultimi anni il farmaco ha evidenziato un ottima efficacia nei pazienti con SCA, trattati conservativamente o sottoposti a rivascolarizzazione con angioplastica; gran parte della fortuna della PCI nelle SCA è legata all ampia diffusione della duplice antiaggregazione. Pur tuttavia sussistono alcuni problemi legati alla resistenza che alcuni pazienti presentano al clopidogrel, all incertezza sulla corretta dose di carico e di mantenimento ed all interferenza farmacologia con altri preparati. Visti gli obiettivi di questa rassegna ci occuperemo brevemente dei primi due punti. Nel primo caso circa un terzo dei soggetti con SCA ha una ridotta risposta al clopidogrel legata alla presenza di un genotipo a ridotta funzione (CYP2C19*2); alcuni studi hanno documentato una maggior incidenza di eventi cardiovascolari e di trombosi di stent nei soggetti portatori di questa variante. Tuttavia il preciso significato clinico di questa variante genetica a ridotta funzione non è ancora del tutto chiarito. Più definito nei suoi aspetti pratici è il problema della corretta dose di carico e di mantenimento del farmaco. Il dosaggio ottimale di clopidogrel è stato infatti ridefinito dalla pubblicazione dello studio CURRENT-OASIS 7 che ha confrontato in un largo numero di pazienti con SCA avviati ad una strategia invasiva precoce l utilizzo di elevate dosi di clopidogrel (600 mg carico + 150 mg/die per 7 giorni) con dosaggi standard (300 mg carico + 75 mg/die). Nella popolazione generale dello studio l utilizzo di dosi più elevate di clopidogrel per 7 giorni non ha determinato un vantaggio clinico sostanziale, mentre nell ampio gruppo di pazienti sottoposti a PCI, circa il 70% della popolazione dello studio e motivo di un analisi prespecificata, riduce in modo significativo l incidenza di eventi clinici maggiori e di trombosi di stent, avvicinandosi ai risultati ottenuti con nuovi e più potenti antiaggreganti (Figura 5) 7. Tale effetto è probabilmente legato alla più rapida ed efficace inibizione piastrinica ottenuta con dosaggi maggiori in una popolazione a maggior rischio clinico. Per questo motivo anche le più recenti linee guida sulla rivascolarizzazione consigliano una dose di carico di 600 mg per i pazienti con SCA trattati con angioplastica. Rischio cumulativo (morte CV, IMA, ictus) 0.05 0.04 0.03 0.02 0.01 Aspirina dosi standard (75-100 mg/die) Aspirina dosi elevate (300 mg/die) HR 0.98 (IC 95% 0.84-1.13); p = 0.76 0.0 0 3 6 9 12 15 18 21 24 27 30 Giorni dall'evento ischemico Figura 4. Confronto tra dosi standard e dosi elevate di aspirina in pazienti con sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST indirizzati a strategia invasiva precoce. Studio CURRENT- OASIS 7. CV = cardiovascolare; HR = hazard ratio; IC = intervallo di confidenza; IMA = infarto miocardico acuto. Da Mehta et al. 7, modificata. Rischio cumulativo (morte CV, IMA, ictus) 0.05 0.04 0.03 0.02 0.01 0.0 Clopidogrel dose standard Clopidogrel alta dose HR 0.86 (IC 95% 0.74-0.99); p = 0.039 0 3 6 9 12 15 18 21 24 27 30 Giorni dall'evento ischemico -15% RR Figura 5. Confronto tra dosi standard (carico 300 mg seguito da 75 mg/die) e dosi elevate (carico da 600 mg e 150 mg/die) di clopidogrel in pazienti con sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST, indirizzati a strategia invasiva precoce. Studio CURRENT- OASIS 7. CV = cardiovascolare; IC = intervallo di confidenza; IMA = infarto miocardico acuto; RR = rischio relativo. Da Mehta et al. 7, modificata. 36S

S Zagnoni et al - Farmaci per l angioplastica nelle sindromi coronariche acute e rischio emorragico Prasugrel Il prasugrel è un farmaco antipiastrinico, non tienopiridinico, che richiede la conversione a metabolita attivo per legarsi al recettore P2Y12 piastrinico (isoenzimi CYP3A4 e CYP2B6 del citocromo P450 a livello epatico); esso inibisce l ADP con un effetto antiaggregante più rapido e marcato del clopidogrel. Ha minore variabilità di risposta individuale e non è affetto, secondo i primi studi effettuati, dai medesimi problemi di resistenza riscontrati per il clopidogrel. In particolare non ha una minor efficacia nei pazienti portatori della variante genetica a ridotta funzione del CYP2C19. In 13 608 pazienti con SCA (prevalentemente IMA- NSTE e in un terzo dei casi STE) a rischio medio-alto, indirizzati a rivascolarizzazione o riperfusione meccanica, il prasugrel ha determinato una riduzione significativa degli eventi ischemici (morte, infarto ed ictus non fatali, trombosi di stent) rispetto al clopidogrel, ma al prezzo di un aumento dei sanguinamenti maggiori (Figura 6) 11. L efficacia del farmaco si è dimostrata più rilevante in alcuni sottogruppi di pazienti quali i diabetici o quelli con STEMI o nella prevenzione di alcuni eventi particolari (recidiva di eventi ischemici e trombosi di stent). L aumento di rischio emorragico osservato con prasugrel rispetto a clopidogrel è risultato particolarmente evidente in tre sottogruppi di pazienti: quelli con pregresso attacco ischemico transitorio o ictus, di età 75 anni, o di peso <60 kg, mentre nel sottogruppo a basso rischio per sanguinamenti è stata riscontrata una riduzione degli eventi senza incremento significativo delle emorragie maggiori. Obiettivo (%) 15 10 5 HR 0.81 (IC 95% 0.73-0.90); p = 0.0004 HR 1.32 (IC 95% 1.03-1.68); p = 0.03 Clopidogrel Prasugrel Prasugrel Clopidogrel 0 0 30 60 90 180 270 360 450 Giorni Morte CV, IMA, Ictus Sanguinamenti Maggiori TIMI (Non BPAC) Figura 6. Confronto tra clopidogrel e prasugrel nei pazienti con sindrome coronarica acuta indirizzati alla rivascolarizzazione. STUDIO TRITON TIMI 38. BPAC = bypass aortocoronarico; CV = cardiovascolare; HR = hazard ratio; IC = intervallo di confidenza; IMA = infarto miocardico acuto. Da Wiviott et al. 11, modificata. Ticagrelor Ticagrelor è un antagonista diretto e reversibile del recettore piastrinico P2Y12 dell adenosina difosfato, attivo per via orale, associato ad una più rapida e più intensa inibizione della funzione piastrinica rispetto al clopidogrel. Il ticagrelor è stato recentemente confrontato con il clopidogrel nel trial PLATO. In questo studio multicentrico randomizzato, in doppio cieco, ticagrelor (dose di carico 180 mg seguita da 90 mg x 2/die) è stato confrontato con clopidogrel (dose di carico 300-600 mg seguita da 75 mg/die) per la prevenzione degli eventi cardiovascolari in 18 624 pazienti ricoverati per SCA, STE o NSTE. Dopo 1 anno l endpoint primario (morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico e ictus) si è verificato nel 9.8% dei pazienti trattati con ticagrelor vs l 11.7% di quelli assegnati a clopidogrel (hazard ratio 0.84; intervallo di confidenza al 95% 0.77-0.92; p <0.001). È poi stata evidenziata una differenza significativa nell incidenza di infarto miocardico (5.8% nel gruppo ticagrelor vs 6.9% nel gruppo clopidogrel, p = 0.005), nella mortalità per cause cardiovascolari (4.0 vs 5.1%, p = 0.001) e nella mortalità per tutte le cause (4.5 vs 5.9%, p <0.001). Non è stata osservata alcuna differenza significativa tra i due gruppi nell incidenza di sanguinamenti maggiori (11.6 vs 11.2%, p = 0.43), anche se ticagrelor è risultato associato ad un incidenza più elevata di sanguinamenti maggiori non correlati a bypass aortocoronarico (4.5 vs 3.8%, p = 0.03), in particolare con un maggior numero di emorragie intracraniche fatali e un minor numero di emorragie fatali di altra natura. Nei pazienti candidati a procedura invasiva, ticagrelor si è dimostrato più efficace del clopidogrel nel determinare una significativa riduzione di morte per cause cardiovascolari, infarto e ictus (9 vs 10.7%, p = 0.0025). Nei pazienti SCA STE l obiettivo primario composito è stato ridotto del 15% rispetto a clopidogrel (p = 0.02) e la mortalità complessiva del 18% (p = 0.04) (Figura 7) 12,13. L incidenza di sanguinamenti maggiori (non correlati ad intervento di bypass aortocoronarico) è risultata sovrapponibile a quella riscontrata con l utilizzo di prasugrel (TRITON TIMI 38), mentre le emorragie correlate ad intervento cardiochirurgico sono risultate minori rispetto al clopidogrel, verosimilmente per la più rapida normalizzazione dell attività piastrinica dopo sospensione della terapia 12,13. Inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa I farmaci di questa classe, tutti utilizzati per via endovenosa, agiscono inibendo il legame del recettore piastrinico GPIIb/IIIa e bloccando il passaggio finale della catena dell attivazione dell aggregazione piastrinica. I trial che hanno documentato il beneficio nell utilizzo degli inibitori sono stati effettuati prevalentemente in epoca precedente l utilizzo sistematico degli antiaggreganti non tienopiridinici ed hanno documentato un beneficio consistente nei pazienti sottoposti ad angioplastica e nei diabetici 14. Studi più recenti hanno confermato il beneficio clinico dell abciximab nei pazienti ad alto rischio (troponina-positivi) trattati con un carico di 600 mg di clopidogrel e sottoposti ad angioplastica molto precocemente 15. Incidenza stimata eventi (%anno) 15 0 Clopidogrel Ticagrelor 10.65 Figura 7. Confronto tra clopidogrel e ticagrelor nei pazienti con sindrome coronarica acuta candidati a procedura invasiva. Studio PLATO. Da Cannon et al. 13, modificata. 8.95-18% p = 0.0025 0 60 120 180 240 300 360 Giorni dalla randomizzazione 37S

G Ital Cardiol Vol 11 Suppl 3 al n 12 2010 Nello studio EARLY-ACS (9492 pazienti con SCA-NSTE con almeno 2 dei 3 criteri di rischio tra NSTE, incremento della troponina ed età >60 anni) il trattamento upstream con eptifibatide per almeno 12h prima dell angioplastica non ha determinato benefici significativi rispetto a quello intrapreso durante la PCI. Nello studio è stato documentato un incremento degli eventi emorragici non fatali e della necessità di emotrasfusione, a fronte di una tendenza alla riduzione di quelli ischemici, con la strategia upstream soprattutto nei soggetti ad alto rischio (troponina positiva) 16. In base a questi studi l utilizzo degli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa andrebbe riservato ai pazienti con SCA ad alto rischio indirizzati a strategia invasiva urgente e precoce (soprattutto se entro le prime 24h). In particolare, secondo le più recenti linee guida ESC per la rivascolarizzazione, l utilizzo upstream degli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa (pre-trattamento con tirofiban o eptifibatide 24-48h prima dell angioplastica e il suo mantenimento durante la procedura) non viene raccomandato (indicazione classe III, livello di evidenza B), mentre viene consigliata una strategia down-stream (iniziando l infusione di inibitore GPIIb/IIIa in corso di PCI) nei pazienti ad alto rischio (troponina positiva). In questo caso l indicazione è la classe IB per l abciximab e II-a per eptifibatide e tirofiban (Tabella 2) 4. Tabella 2. Attuali indicazioni all utilizzo di farmaci antipiastrinici nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST. Classe Livello Acido acetilsalicilico I C Clopidogrel (600 mg dose di carico) I C Prasugrel IIa B Ticagrelor I B Inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa (in associazione a terapia con doppio antiaggregante) Abciximab I B Tirofiban, eptifibatide IIa B Somministrazione upstream III B inibitori glicoproteine IIb/IIIa Da Wijns et al. 4, modificata. La terapia anticoagulante nei pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti ad angioplastica Un farmaco anticoagulante è indicato per i pazienti con SCA sottoposti a PCI, ma la sua utilità è limitata soprattutto alla fase acuta della patologia ed al periodo peri-procedurale. La scelta dell anticoagulante più adatto, tra i vari disponibili, è dettata dal profilo di rischio tromboticoemorragico del singolo paziente e dal momento (immediata, precoce, tardiva) dell angioplastica. Per evitare spiacevoli complicanze emorragiche è bene evitare il cross-over tra anticoagulanti [specialmente da eparine a basso peso molecolare (LMWH) ad UFH] e interrompere la terapia anticoagulante dopo la PCI, salvo situazioni a rischio trombotico particolarmente elevato. Eparina non frazionata L UFH esercita un effetto antitrombotico inibendo il fattore II attivato, a cui si lega attraverso un legame con l antitrombina III. Nei pazienti ad alto rischio avviati ad una strategia invasiva immediata o precoce ha l indubbio vantaggio di consentire il rapido raggiungimento di un sufficiente livello di anticoagulazione, monitorando il suo effetto farmacologico con la misurazione del tempo parziale di tromboplastina attivato (target ottimale tra 50 e 75 s o 1.5-2.5 volte i limiti superiori di normalità) od in modo meno preciso con l activating clotting time (ACT). L UHF viene metabolizzata per via epatica e va in maniera minore incontro ad accumulo in caso di insufficienza renale. La dose è di 60/70 UI/kg in bolo seguita dall infusione di 12-15 UI/kg/h fino all esecuzione dell angioplastica 17. Eparine a basso peso molecolare Molti studi hanno documentato nei pazienti con SCA sottoposti a PCI l efficacia delle eparine a basso peso molecolare, le quali differiscono dall UFH per caratteristiche farmacocinetiche (somministrazione sottocutanea ogni 12h, nessuna necessità di monitoraggio) e biologiche (attività antifattore II minore ma una più efficace attività antifattore X, minore rischio di trombocitopenia). Queste molecole presentano lo svantaggio di essere eliminate per via renale (sono controindicate in caso di clearance della creatinina <30 ml/min) ed il loro dosaggio va ridotto in pazienti con disfunzione renale, basso peso corporeo, negli anziani o in quelli con elevato rischio emorragico 18. Nei pazienti con SCA a rischio medio-alto alcuni algoritmi consigliano di integrare la somministrazione di eparina a basso peso molecolare con un bolo di 0.30 mg/kg endovena qualora la PCI sia effettuata 8-12h dopo l ultima somministrazione sottocute (0.75 mg/kg endovena se la PCI è eseguita a >12h dall ultima somministrazione sottocutanea). Il trattamento con LMWH non è consigliabile nei soggetti a rischio molto elevato avviati alla strategia invasiva immediata, nei quali è preferibile l utilizzo di UFH. Fondaparinux Il fondaparinux è un inibitore selettivo indiretto del fattore Xa, a lunga emivita, eliminato per via renale, ma che non richiede un monitoraggio della coagulazione. Nello studio OASIS-5 è stato confrontato con l enoxaparina in più di 20 000 pazienti con SCA NSTE ed ha dimostrato un efficacia analoga all enoxaparina, ma con un minor rischio emorragico. Questo ha determinato una riduzione della mortalità a 30 giorni del 17% 19,20. Purtroppo in questo studio i pazienti trattati con fondaparinux e sottoposti a PCI hanno presentato una più elevata incidenza di trombosi di catetere rispetto ad enoxaparina (0.9 vs 0.4%). Questo maggior rischio non era presente nei soggetti trattati con fondaparinux nei quali era stata somministrata in aperto anche UFH (0.3%). Per questo motivo è indicato l utilizzo aggiuntivo di UFH in corso di PCI nei pazienti colpiti da infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) trattati con fondaparinux. Lo studio FUTU- RA OASIS-8 ha cercato di individuare il dosaggio di UFH ottimale da utilizzare in questi pazienti confrontando una dose standard di UFH (80 U/kg bolo iniziale, più eventuale bolo aggiuntivo per raggiungere ACT 300-350; oppure 60 U/kg bolo, più eventuale bolo aggiuntivo per ACT target 38S

S Zagnoni et al - Farmaci per l angioplastica nelle sindromi coronariche acute e rischio emorragico 200 se utilizzati inibitori GP IIb/IIIa) con un dosaggio inferiore (50 U/kg bolo singolo senza utilizzare il controllo del valore di ACT). I risultati indicano una bassissima incidenza di trombosi di catetere in entrambi i gruppi (0.5% nel gruppo a bassa dose di UFH, 0.1% nel gruppo a dose standard con controllo ACT) e un incidenza di sanguinamenti maggiori sovrapponibile a quella riscontrata nel gruppo storico di confronto dell OASIS-5 trattato con solo fondaparinux. Gli autori concludono quindi che l utilizzo di UFH in corso di PCI in pazienti con SCA-NSTE trattati con fondaparinux previene efficacemente la trombosi di catetere mantenendo il sostanziale vantaggio del fondaparinux nei confronti del rischio emorragico 21. Bivalirudina La bivalirudiva è un inibitore diretto della trombina eliminato per via renale, con un attività antifattore II più potente e specifica dell UFH, ma con minor rischio emorragico. Nello studio ACUITY, dove sono stati arruolati quasi 14 000 pazienti con SCA sottoposti a PCI e trattati con bivalirudina (0.1 mg/kg in bolo endovena seguito da infusione di 0.25 mg/kg/h) o eparina (UFH o LMWH) ed inibitori delle GPIIb/IIIa, il farmaco ha dimostrato un beneficio clinico paragonabile a quello ottenuto con l eparina, ma con un minor rischio emorragico Nel sottogruppo di pazienti trattati con la bivalirudina da sola essa ha dimostrato di ridurre gli eventi emorragici rispetto all UFH/LMWH in associazione agli inibitori delle GPIIb/IIIa, a parità di incidenza di quelli ischemici. Tuttavia, questo studio è stato oggetto di una serie di critiche, legate essenzialmente alla definizione dei sanguinamenti maggiori utilizzata, all uso di criteri di non inferiorità favorevoli alla bivalirudina e al lungo intervallo di tempo trascorso tra l ammissione in ospedale e la randomizzazione 22. Attualmente le linee guida indicano l utilizzo di bivalirudina in classe I-A in pazienti ad elevato rischio di sanguinamento 4. Il pre-trattamento con statine nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST sottoposti ad angioplastica L azione meccanica determinata dal pallone e dall impianto di stent sulla placca aterosclerotica può determinare un danno della parete vasale stessa e causare l embolizzazione di frammenti di placca. Per questo un danno miocardico durante PCI elettiva si verifica nel 10-40% dei casi ed è di solito accompagnato da un lieve rialzo dei marcatori di necrosi, pur in assenza di sintomi, alterazioni dell ECG o della funzione cardiaca. Purtroppo, anche quando la PCI è stata efficace, pur minimi incrementi post-procedurali dei marcatori di necrosi si associano ad un aumentata mortalità a distanza. È stato ipotizzato che il principale meccanismo alla base del danno miocardico peri-procedurale sia rappresentato dalla microembolizzazione distale di componenti di placca, da un aumentato stato infiammatorio o legato direttamente all instabilità della placca. Differenti trattamenti sono stati proposti per prevenire tale danno miocardico procedurale (infusione di nitrati, betabloccanti intracoronarici, adenosina ed inibitori GPIIb/IIIa), ma nessuno di questi, salvo gli inibitori delle GP IIb/IIIa, è stato routinariamente introdotto nella pratica clinica a questo scopo. Negli ultimi anni alcuni studi osservazionali hanno suggerito il beneficio di un pre-trattamento con statine nei pazienti con angina stabile sottoposti a PCI. Questi effetti favorevoli sono stati integrati dall evidenza che in diversi trial l utilizzo di statine ad alto dosaggio nei pazienti con SCA-NSTE riduce in modo significativo l incidenza di eventi coronarici maggiori e la mortalità. Si ritiene che questo effetto terapeutico sia indipendente dalla semplice riduzione della colesterolemia, ma dipenda da più complessi effetti pleiotropici 23. Con questo razionale l utilizzo di un pre-trattamento con alte dosi di statina nei pazienti con SCA trattati con PCI è stato testato in diversi studi. Nel trial ARMYDA-ACS, dove 171 pazienti con SCA-NSTE sono stati trattati con una dose di carico di atorvastatina prima della PCI (80 mg pre-pci poi 40 mg/die in cronico) in associazione alla terapia standard, è stato osservato un beneficio clinico importante della statina, la quale ha consentito la riduzione degli eventi avversi maggiori ed in modo particolare degli infarti peri-procedurali 24. Effetti analoghi sono stati osservati con la rosuvastatina (Tabella 3) 25. I meccanismi responsabili di questi effetti benefici delle statine possono essere rappresentati dall azione antinfiammatoria che riduce la necrosi miocardica legata a fenomeni di microembolizzazione, da un miglioramento della funzione endoteliale sul microcircolo e da una protezione diretta sul miocardio. Sono comunque necessari più ampi studi randomizzati per chiarire definitivamente quest associazione. Rischio emorragico Il trattamento anticoagulante e quello antipiastrinico sono indicati per tutti i pazienti con SCA-NSTE ed in modo particolarmente aggressivo per quelli trattati con PCI. È chiaro che questi trattamenti hanno insito un rischio emorragico tanto più importante quanto più il trattamento antitrombotico è aggressivo e grande attenzione è stata posta fin dal passato alla sua prevenzione. Di recente si è compreso che la prevenzione dei sanguinamenti è importante quanto la prevenzione degli eventi ischemici; infatti, in recenti esperienze cliniche i sanguinamenti maggiori si sono dimostrati associati a un incremento del rischio di morte, IMA e ictus. Di conseguenza, la stratificazione del rischio emorragico è entrata a far parte del processo decisionale e la scelta del farmaco antitrombotico da somministrare nelle SCA-NSTE viene basata sull equilibrio ottimale tra rischio ischemico ed emorragico. È sempre più evidente come il rischio di eventi ischemici e quello di complicanze emorragiche siano spesso correlati e che i pazienti ad elevato rischio di eventi ischemici sono spesso gli stessi che presentano una probabilità elevata di complicanze emorragiche. Questo è dovuto all aumento dell età dei pazienti ricoverati negli ultimi anni, che di per sé costituisce un fattore di rischio (maggiore fragilità, maggiore prevalenza di insufficienza renale, ecc.) ed al prevalere di fattori di rischio comuni. In particolare i fattori predittivi di rischio emorragico nella pratica clinica sono: l età avanzata, il sesso femminile, una precedente emorragia maggiore (indipendentemente dalla sede), l insufficienza renale, l anemia pre-esistente, uso degli inibitori delle GPIIb/IIIa, l utilizzo di strategia invasiva (angioplastica), l uso combinato di diversi 39S

G Ital Cardiol Vol 11 Suppl 3 al n 12 2010 Tabella 3. Principali trial sull utilizzo di statine nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST. Studio Anno N. Statina Dose Timing Dose Endpoint Risultati Riduzione p pazienti (mg) clopidogrel (mg) (%) NAPLES II b 2009 668 Atorvastatina 80 <24h 300/75 CK-MB 9.5 vs 15.8 40 0.014 >3XULN TnI 26.6 vs 39.1 32 <0.01 >3xULN MACE in H 10 vs 15.7 36 0.029 ARMYDA- 2009 393 Atorvastatina 80 80 mg 600/75 MACE 3.7 vs 9.4 61 0.037 recapture a 12h 30 giorni 40 mg CK-MB 13 vs 24 46 0.017 prepci TnI 37 vs 47 21 0.021 Yun et al. b 2009 445 Rosuvastatina 40 <48h 300/75 MACE 6.7 vs 15.9 58 0.002 30 giorni CKMB 5.8 vs 11.4 49 0.035 >2XULN TnI 11.6 vs 18.6 38 0.037 >3xULN ARMYDA- 2007 171 Atorvastatina 80 80 mg 600/75 MACE 4.7 vs 16.5 72 0.01 ACS a 12h 30 giorni 40 mg CK-MB 7 vs 27 74 0.001 prepci TnI 41 vs 56 29 0.039 ARMYDA a 2004 153 Atorvastatina 40 7-10 300/75 MACE 5 vs 18 72 0.025 giorni 30 giorni CK-MB 12 vs 35 66 0.001 TnI 20 vs 48 58 0.001 a trial clinici randomizzati; b studi in aperto. CK-MB = creatinfosfochinasi miocardica; H = ospedale; MACE = eventi clinici maggiori; TnI = troponina I; ULN = limite superiore dell intervallo di normalità. Da Tsimikas et al. 25, modificata. farmaci antitrombotici (a dose elevata e per periodi prolungati), la sostituzione di un farmaco antitrombotico con un altro (il cosiddetto switch). Purtroppo le emorragie hanno un notevole impatto sulla prognosi a breve termine, con un rischio di morte fortemente aumentato per le conseguenze emodinamiche delle emorragie stesse, lo stato pro-infiammatorio e protrombotico e il ricorso alle trasfusioni di sangue. Quest ultimo è un fattore prognostico negativo indipendente a lungo termine e dunque la trasfusione di emocomponenti andrebbe riservata solo a pazienti con severa anemizzazione ed ematocrito <24%. Il verificarsi di un sanguinamento maggiore inoltre impone di interrompere la terapia antitrombotica. Questo causa un aumento di incidenza di eventi ischemici non solo nei pazienti sottoposti ad angioplastica ma anche in quelli trattati conservativamente per un meccanismo di rebound pro-trombotico, con un picco di eventi al quarto giorno e un aumento del rischio fino a 30 giorni 26. Dati più recenti parrebbero attribuire un significato prognostico negativo ad 1 anno a qualsiasi tipo (maggiore o minore) di sanguinamento post-procedurale elevando in modo ancor più drammatico il nostro livello di attenzione su questo tipo di complicanze 27. Rimane abbastanza complesso comprendere qual è l esatta dimensione del problema nella realtà clinica: gli stessi studi randomizzati segnalano prevalenze di complicanze emorragiche estremamente variabili e, contrariamente alle attese, gli studi di registro documentano percentuali di eventi spesso inferiori rispetto ai trial. Purtroppo, le definizioni di emorragia variano nei diversi studi clinici e questo è spesso motivo di confusione nella valutazione del loro significato prognostico o nella comparazione degli effetti dei diversi trattamenti. Le definizioni più utilizzate sono la scala TIMI e quella GUSTO. La scala TIMI suddivide quattro diverse categorie di sanguinamento (maggiore, minore, minimo ed assente) ed è principalmente basata su parametri laboratoristici o quantitativi (calo dei valori di emoglobina, ecc); la scala GUSTO è divisa anch essa in quattro categorie (severa, moderata, lieve, assente) e considera variabili qualitative e cliniche. Entrambe le scale sono state sviluppate per la valutazione delle complicanze emorragiche nell infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STE- MI) trattato con trombolisi, mentre non vi sono studi di validazione né per i pazienti trattati con PCI primaria né nel contesto delle SCA-NSTE. Dal punto di vista prognostico la scala GUSTO ha probabilmente un maggiore valore predittivo a distanza 28. Certamente incuriosisce osservare che mentre negli studi randomizzati il rischio di complicanze emorragiche maggiori nei pazienti con SCA trattati con PCI può arrivare anche al 10% quando vengono utilizzate le combinazioni più aggressive della terapia antitrombotica, al contrario nella pratica clinica la prevalenza sembra inferiore, forse per la presenza di una larga quota di casi trattati conservativamente. Nel registro BLITZ-2 dove sono stati inseriti pazienti con SCA-NSTE l incidenza di complicanze emorragiche è risultato pari a 1.5% 29. Nel registro BLITZ-3 la prevalenza di emotrasfusione era pari al 3% nei pazienti con infarto STEMI e al 4% nel gruppo SCA-NSTE ri- 40S

S Zagnoni et al - Farmaci per l angioplastica nelle sindromi coronariche acute e rischio emorragico ducendo molto la prevalenza di questo fenomeno nella pratica clinica 30. Purtroppo quando si verificano le complicanze emorragiche i loro costi sanitari sono elevati: nelle SCA-NSTE la degenza viene prolungata in media di 10 giorni in caso di sanguinamento 31. Per questo è opportuno che il cardiologo valuti nel singolo paziente il rischio emorragico e lo confronti con quello ischemico per meglio selezionare la strategia antitrombotica ottimale. A questo proposito vi sono oggi a disposizione del clinico dei punteggi di rischio molto efficaci, del tutto simili a quelli già utilizzati per valutare il rischio ischemico. Uno dei punteggi più utilizzati è quello del registro CRUSADE (Tabella 4) 32 che combina 8 fattori predittivi e calcola quattro livelli di rischio di emorragie maggiori, da molto basso (3.1%) a molto elevato (19.5%). Tabella 4. Punteggio di valutazione del rischio emorragico (CRUSA- DE Bleeding Score). Fattore di rischio Range Punteggio Ematocrito (%, basale) <31 9 31-33.9 7 34-36.9 3 37-39.9 2 40 0 Clearance creatinina (ml/min) <15 39 15-30 35 31-60 28 61-90 17 91-120 7 >120 0 Frequenza cardiaca (b/min) 70 0 71-80 1 81-90 3 91-100 6 101-110 8 111-120 10 >120 11 Sesso Femminile 8 Scompenso cardiaco Sì 7 Anamnesi di patologia Sì 6 cardiovascolare Diabete mellito Sì 6 Pressione arteriosa (mmhg) <90 10 91-100 8 101-120 5 121-180 1 181-200 3 201 5 Da Subherwal et al. 32, modificata. Conclusioni Le SCA costituiscono una delle manifestazioni più drammatiche dell aterotrombosi ed il loro trattamento si basa su di una terapia antitrombotica molto aggressiva, la quale prevede sempre la combinazione di un anticoagulante ed uno o più antiaggreganti, associata a rivascolarizzazione nei pazienti a rischio medio-elevato. L utilizzo di una te- rapia antitrombotica così aggressiva e dell angioplastica espongono i pazienti ad un rischio emorragico non trascurabile. Purtroppo queste complicanze emorragiche hanno un significato prognostico sfavorevole e rendono quasi sempre necessaria la sospensione (o la riduzione) del trattamento antitrombotico stesso per controllarle. È comprensibile quindi come il cardiologo clinico prima e il cardiologo interventista poi, siano obbligati ad effettuare un attenta stima del rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente per personalizzare le scelte terapeutiche e ridurre al minimo il rischio emorragico. Riassunto Le sindromi coronariche acute (SCA) costituiscono una delle manifestazioni più drammatiche dell aterotrombosi e per questo ampi sono stati gli sforzi negli ultimi anni per migliorarne la prognosi. Grazie all utilizzo di una terapia antitrombotica molto aggressiva, la quale prevede sempre la combinazione di un anticoagulante e più antiaggreganti, associata, nei pazienti a rischio medio-elevato, alla rivascolarizzazione percutanea, la morbilità e la mortalità delle SCA è oggi sensibilmente ridotta anche nel mondo reale. Diviene sempre più importante da parte del clinico individuare un momento di sintesi tra le combinazioni possibili di farmaci antitrombotici e antipiastrinici, il cui numero è fortunatamente sempre più ampio. La scelta e l intensità di queste combinazioni sono in prima istanza condizionate dal profilo di rischio ischemico del paziente e dalla strategia terapeutica selezionata (invasiva precoce, invasiva tardiva o conservativa). L utilizzo di una terapia antitrombotica così aggressiva e dell angioplastica espongono però i pazienti ad un rischio emorragico non trascurabile. Purtroppo queste complicanze emorragiche hanno un significato prognostico sfavorevole e rendono quasi sempre necessaria la sospensione (o la riduzione) del trattamento antitrombotico stesso per controllarle. Parole chiave: Angioplastica coronarica; Antiaggreganti piastrinici; Anticoagulanti; Sindromi coronariche acute. Bibliografia 1. Bassand JP, Hamm CW, Ardissino D, et al. Guidelines for the diagnosis and treatment of non-st-segment elevation acute coronary syndromes. The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Non-ST-Segment Elevation Acute Coronary Syndromes of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 2007; 28: 1598-660. 2. Fuster V, Badimon L, Badimon JJ, Chesebro Jh. The pathogenesis of coronary artery disease and the acute coronary syndromes. N Engl J Med 1992; 326: 242-50. 3. Falk E, Shah PK, Fuster V. Coronary plaque disruption. Circulation 1995; 92: 657-71. 4. Wijns W, Kolh P, Danchin N, et al. 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