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EVENTO FORMATIVO EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA Allerta sanitaria nel settore alimentare: aspetti giuridici, sanitari e gestionali Rovigo 28 maggio 2010 La nocività microbiologica degli alimenti come causa di allerta Valerio Giaccone Dipartimento di Sanità pubblica, Patologia comparata e Igiene veterinaria, Facoltà di Medicina veterinaria di Padova. 1. Allerta sanitaria e responsabilità In pratica, un allerta in campo alimentare è un segnale d allarme che le Autorità Sanitarie (AS) lanciano alla comunità perché si prevenga un rischio concreto di malattia da consumo di alimenti non salubri (concetto di nocività concreta di un alimento). Un allerta può essere lanciata dalle AS su segnalazione dello stesso produttore, perché questi nei suoi controlli di routine ha evidenziato una non conformità di tipo sanitario in uno o più lotti del suo prodotto. Più sovente, però, sono le stesse AS competenti a lanciare un allerta perché nell ambito dei loro controlli emerge una non conformità igienico-sanitaria grave. Un allerta è un provvedimento molto serio perché in pratica corrisponde a un allarme che può seminare il panico alimentare tra i consumatori. Di conseguenza, qualunque allerta deve essere a mio avviso un atto di grande professionalità da parte di chiunque lo faccia e la parola d ordine che deve accomunare produttori e AS in questo ambito è responsabilità. Non la responsabilità civile e penale che è comunque presente in tutti gli atti degli OSA e delle Autorità sanitarie (questi argomenti saranno trattati da altri relatori, in questa giornata). Io intendo riferirmi alla responsabilità civica che ciascun cittadino dovrebbe avere nei suoi atti pubblici, secondo il concetto del buon padre di famiglia di vecchio stampo, a mio avviso sempre valido. Chi emana un allerta alla comunità, quindi, lo deve fare in modo responsabile e professionale perché l allerta, per definizione, va fatta partire solo quando si ravvisino in uno o più lotti di alimento dei seri e concreti pericoli per la salute dei cittadini consumatori. Mio compito, in questa sede, è di inquadrare le cause microbiologiche delle allerta sanitarie negli alimenti; non intendo passare in rassegna i singoli casi di allerta che si sono verificati negli ultimi anni, anche se ovviamente ne ho valutato gli elenchi per farmene una precisa idea. La mia finalità, in questo breve intervento, sarà piuttosto quella di fornire agli addetti ai lavori indicazioni (spero utili) per consentire loro di giudicare in quali occasioni sia davvero il caso di fare partire un allerta e quando, invece, non lo sia. Lo faremo, ovviamente, partendo dalla realtà operativa, cioè basandoci sui dati di allerta sanitaria emessi in questi ultimi anni a livello europeo. Non prenderò in esame le allerte da contaminazione di istamina negli alimenti perché sono di competenza di chi tratterà i casi di tipo chimico e nemmeno prenderò in considerazione le allerte lanciate per evidenti condizioni di alterazione o

invecchiamento dei prodotti alimentari. È scontato che un alimento è a rischio quando non è più idoneo al consumo umano perché presenta modificazioni delle caratteristiche sensoriali non più sue tipiche. Mi concentrerò sulle allerte provocate dai principali agenti batterici di malattia alimentare, soffermandomi anche sugli aspetti diagnostici del problema, ossia sulle difficoltà che possono sorgere nei tempi e nelle modalità di esecuzione delle analisi che portano ad evidenziare un rischio microbico per la salute umana. 2. Aspetti microbiologici delle allerte sanitarie Se vogliamo riprendere semplicemente i numeri delle allerte, vedremo che nel 2006 esse sono state 2.874, 2.933 nel 2007, 3.040 nel 2008 e 3.204 nel 2009: una tendenza al continuo incremento. Bisogna però ricordare che solo un terzo circa dei casi segnalati ogni anno è inserito nella categoria delle Alert notification, mentre i due terzi confluiscono nella categoria delle Information notification. Inoltre, si tenga presente che una piccola frazione di questi valori è riferita a non conformità segnalate nei mangimi per animali, come si può vedere nella Fig. 1, tratta dalla Relazione sul sistema di allerta comunitario annuale, relativa al 2009. Per quanto riguarda in particolare l Italia, 137 segnalazioni sono pervenute alla UE da Assessorati alla Sanità, ASL, Carabinieri per la Sanità e da altre Amministrazioni (nel 2008 erano state 118 e 107 nel 2007). In Fig. 2 sono riportati i principali agenti patogeni biologici oggetto di segnalazioni di allerta, con indicazione della tendenza al crescere o al diminuire dei valori rispetto al 2008 indicati da frecce rosse o nere. I maggiori contaminanti microbiologici sono stati Salmonella (314 notifiche contro le 334 del 2008), Listeria monocytogenes e la presenza di larve di Anisakis in prodotti ittici. Su 314 segnalazioni relative alla presenza di Salmonella, 88 si riferiscono a mangimi per animali. I dati riportati in forma grafica in Fig. 3, relativi al confronto delle cause microbiche di allerta tra il 2008 e il 2009, mostrano con evidenza che ancora oggi Salmonella è di gran lunga il microrganismo più sovente all origine di casi di allerta sanitaria. 2.1. Rilevanza dei singoli gruppi di alimenti nel panorama delle allerte Le allerte sanitarie, al di là del loro immediato significato come strumento di prevenzione di pericoli per la salute pubblica, possono diventare a mio avviso un utile strumento di misurazione del grado di problemi sanitari presenti in Europa e più in generale nel mondo. Ciò a patto che si faccia partire un allerta solo quando è davvero necessario farlo perché ci sono fondati motivi per temere un pericolo concreto per la salute della popolazione. Vediamo di trarre qualche breve considerazione dal rapporto 2009. VEGETALI FRESCHI (ORTAGGI E FRUTTA) Contrariamente a quanto molti ancora credono, i vegetali possono essere una fonte cospicua di rischi sanitari per chi li consuma. Lo conferma il fatto che nel 2009 le segnalazioni che li hanno riguardati sono state in tutto 326, quasi stazionarie rispetto alle 324 del 2008. In questo caso, la stragrande maggioranza dei problemi sanitari è data dalla contaminazione dei prodotti con residui di fitosanitari (137 segnalazioni), seguite a grande distanza dai problemi di ordine microbiologico (39 casi). Di questi una buona parte è ancora data dalle salmonelle (17 casi su 39).

FRUTTA SECCA E SNACK I vegetali sono più esposti a rischi di natura chimica che microbiologica; lo conferma anche il dato relativo a frutta secca e snack, per i quali le segnalazioni di allerta nel 2009 sono state 793, in calo rispetto alle 896 del 2008. Quasi tutte le segnalazioni riguardavano partite di frutta secca contaminate da micotossine (577). A confronto, le allerte di natura microbiologica erano quasi inesistenti (46, in aumento rispetto alle 26 del 2008). Nel rapporto annuale non si fa cenno a singoli agenti di malattia alimentare, fra le allerte microbiologiche per cui non ci è dato sapere con precisione. GELATI E DOLCIUMI Questi prodotti sono tutt altro che indenni da problemi igienico-sanitari, malgrado quel che si potrebbe pensare. Nel 2009 sono pervenute, infatti, ben 145 notifiche a loro carico (in aumento, rispetto alle 127 del 2008). Va però anche fatto rilevare subito che nella maggior parte dei casi le irregolarità sono da attribuire ai rischi dati dalla presenza nei prodotti di allergeni non dichiarati. A confronto, i problemi di ordine microbiologico sono praticamente irrisori (solo 8 segnalazioni nel 2009). CARNI E PRODOTTI DERIVATI (ESCLUSE LE CARNI AVICOLE) Le notifiche sono state, nel 2009, 141 e la metà era da attribuire proprio a cause microbiche, come si può vedere anche nel grafico di Fig. 4. su 70 segnalazioni di allerta, ben 48 erano relative alla presenza nelle carni di Salmonella, che si conferma il maggiore problema igienico-sanitario di questi specifici prodotti alimentari. Le allerte da inquinamento da L. monocytogenes sono state, comunque, 17 e 7 le segnalazioni per inquinamenti da E. coli. ERBE AROMATICHE E SPEZIE È noto che le spezie possono contenere quantità anche rilevanti di microrganismi, per la natura del processi di ottenimento, compresi microrganismi patogeni. In effetti, questa condizione riverbera sui dati delle allerte; nel 2009 complessivamente si sono avute 128 segnalazioni di irregolarità per le erbe e spezie, in aumento rispetto alle 100 del 2008, con prevalenza delle contaminazioni microbiologiche (35, delle quali 30 per Salmonella). In pratica, Salmonella è l unico patogeno che può facilmente inquinare questo tipo di alimenti. CEREALI E PRODOTTI DERIVATI Alla luce dei dati del 2009, cereali e derivati possono avere molti altri problemi sanitari, ma non certo quelli di natura microbiologica: infatti nel 2009 sono state fatte in totale 114 segnalazioni (in calo rispetto alle 130 del 2008), con solo 3 segnalazioni per problemi di tipo microbiologico. Il fatto che sovente i cereali siano commercializzati sotto forma di alimenti in grani o sfarinati a bassissimo contenuto di acqua libera giustifica questa situazione. PRODOTTI DELLA PESCA Nel 2009 hanno avuto 98 segnalazioni per cause microbiche (seconda fonte di pericolo dopo i contaminanti chimici). È significativo che in questo gruppo di alimenti la principale causa di allerta sia la presenza di Listeria monocytogenes (ben 47 casi) seguita a distanza da E. coli (26 casi) e da Salmonella (17 casi).

CARNI DI POLLAME In questo settore le notifiche sono state 92, in calo rispetto al 2008, quando erano state 122. In maggioranza sono allerte di natura microbiologica (in totale 68) con una prevedibile, netta prevalenza per Salmonella (60 segnalazioni). Le altre segnalazioni di pericoli microbiologici sono riferite al riscontro nelle carni di agenti quali Campylobacter e Listeria monocytogenes. LATTE CRUDO E PRODOTTI DERIVATI Rispetto alle carni e ai prodotti ittici, latte e derivati non sono certo una fonte cospicua di preoccupazioni, ma sono comunque presenti. Nel 2009 sono pervenute 43 segnalazioni, un calo rispetto alle 65 del 2008, con preponderanza di problematiche microbiologiche (23), delle quali 13 riguardano L. monocytogenes (vedi anche Fig. 5). ZUPPE, BRODI, MINESTRE E SALSE Siamo di fronte a un gruppo di alimenti tra i più interessanti, per un igienista, perché in questi ultimi 3 anni si sta assistendo a un vero e proprio boom delle produzioni e delle vendite di prodotti RTE, quali le minestre di verdura e i brodi già pronti in scatola. Nel 2009 sono pervenute in tutto 38 segnalazioni, che hanno riguardato un eterogenea distribuzione delle irregolarità. I problemi sanitari, però, si concentrano quasi esclusivamente nei settori chimico e generico, visto che le allerte da cause microbiologiche sono state solo 3 nel 2009. UOVA E OVOPRODOTTI Rispetto ad altri gruppi di alimenti, le uova e gli ovoprodotti non costituiscono un grosso problema, sul piano sanitario: nel 2009 vi sono state 14 notifiche, in lieve aumento rispetto alle 9 del 2008. Le segnalazioni in assoluto più rilevanti sono state quelle di origine microbiologica ed è sintomatico che in 9 casi su 9 l agente patogeno riscontrato fosse Salmonella che evidentemente rappresenta ancora il principale problema biologico per questi prodotti. 2.2. Quando le allerte hanno bisogna di chiarimento Il lancio di un allerta sanitaria per cause microbiche richiede quasi sempre delle riflessioni tecniche che si rifanno alle nostre conoscenze di microbiologia degli alimenti per inquadrare esattamente la concreta possibilità che l agente patogeno ha di causare danni alla salute umana. Qui torna utile, a mio avviso, sottolineare ancora una volta un concetto essenziale: quando si fanno considerazioni sulle flore microbiche che possono inquinare un alimento, si dovrebbe sempre ricordare che non sono le prime a decidere il destino del secondo, ma l opposto. È l alimento, con le sue caratteristiche chimico-fisiche e i processi produttivi cui è stato sottoposto, che influenza in misura decisiva il destino di uno o più microrganismi che possono averlo inquinato (patogeni, alteranti o utili che essi siano). Quindi, più che di microbiologia degli alimenti è utile, a mio parere, parlare di microecologia degli alimenti, scienza che studia i rapporti che si possono creare tra un alimento (il protagonista principale) e i microrganismi che più o meno occasionalmente possono arrivare a inquinarlo nel corso del processo produttivo.

Non bisogna, poi, dimentica che un alimento è tale fino allo scadere della sua vita commerciale; di conseguenza, le valutazioni che i tecnici igienisti dovranno fare riguardano la partita di alimento non solo durante la sua produzione e la permanenza nei depositi della ditta produttrice, ma anche nel corso della successiva vita commerciale, sugli scaffali di vendita e poi a casa del consumatore, almeno fino a quando questi non avrà aperto la confezione originale. Nell attivare un allerta sanitaria per cause microbiologiche, quindi, bisogna che le AS si pongano una serie di domande e che si diano poi delle risposte scientificamente fondate: (1) l agente microbico che è stato individuato è veramente pericoloso per la salute umana? (2) qual è la carica dell agente patogeno nella partita sospetta? (3) Quale destino potrà avere questa carica microbica specifica nell alimento, considerando la vita commerciale dichiarata dal produttore? Di seguito cercherò di fornire qualche dato specifico per provare almeno in parte a impostare le giuste risposte ai suddetti quesiti. QUESITO N. 1 (l agente microbico individuato, è veramente pericoloso per la salute umana?) I microrganismi agenti di malattia alimentare sono oggi una trentina. Fra loro: - alcuni sono noti ormai da svariati decenni (Salmonella enterica, S. aureus, Shigella, Clostridium botulinum e C. perfringens, Vibrio enteropatogeni, Bacillus cereus) - altri sono stati scoperti come tali sono da 20-30 anni (Listeria monocytogenes, Campylobacter enteropatogeni, Cronobacter sakazakii, Yersinia enterocolitica) - altri ancora sono stati riconosciuti sicuramente patogeni solo negli ultimi 15 anni (Caliciviridae del genere Norovirus, ceppi verocitotossici di E. coli). Questi ultimi sono chiamati dagli epidemiologici emerging pathogen ossia patogeni emergenti, - altri ancora sono dei patogeni più occasionali: per vari motivi, ogni tanto si rendono responsabili di episodi di malattia alimentare, sempre ovviamente se l alimento ne consente la duplicazione (Klebsiella, Citrobacter, Pseudomonas aeruginosa, Plesiomonas shigelloides). La concreta pericolosità di un agente di malattia alimentare è legata al concretizzarsi di una serie di eventi che, insieme, portano all esplodere della malattia: (1) la capacità del microrganismo di produrre tossine più o meno specifiche (2) la carica infettante che il microrganismo può raggiungere nell alimento (3) le condizioni immunitarie della persone che ingerisce l alimento potenzialmente pericoloso. PUNTO (1) VIRULENZA DEL MICRORGANISMO CAUSA DI MALATTIA ALIMENTARE Un batterio può sintetizzare una o più tossine solo se ha nel suo genoma la sequenza genica completa per questa sintesi. In base alle attuali conoscenze possiamo ricordare che: - nell ambito di una stessa specie batterica ci possono essere cloni che sono in grado di sintetizzare la tossina e altri che non possono farlo

- di conseguenza, all interno di una stessa specie si individuano ceppi tossinogeni e altri non tossinogeni, non pericolosi per la salute umana. Questa è la condizione che caratterizza Staphylococcus aureus e Bacillus cereus (dato ormai assodato da anni) - è molto più recente, invece, la scoperta che anche Clostridium botulinum annovera al suo interno cloni batterici in grado di sintetizzare la neurotossina (BonT) e altri che non posseggono la sequenza genica. Inoltre, sappiamo che esistono ceppi di Clostridium di specie differenti da C. botulinum in grado di produrre la BonT (C. baratti, C. sordelli, C. butyricum) - anche nel genere Salmonella sono documentate spiccate differenze di virulenza e di infettività: sono noti alcuni stipiti batterici che rispetto a loro consimili del medesimo sierotipo hanno una virulenza centinaia di volte minore perché nel loro genoma non hanno complete le sequenze geniche che servono per produrre le tossine patogene - nel genere Campylobacter sono annoverate attualmente circa 15 specie, fra le quali solo alcune sono sicuramente patogene per l uomo (C. jejuni, C. coli e C. lari). Sovente le metodiche analitiche in uso portano a evidenziare la presenza di un Campylobacter nell alimento, ma se non si arriva a individuarne la specie, non si può formulare un giudizio fondato sulla concreta nocività di quell alimento per la salute umana - quindi, quando il laboratorio isola da un alimento uno di questi batteri, una delle domande che dovrebbe sempre porsi è si tratta di un ceppo enterotossico oppure no? Sempre a questo proposito, mi sembra opportuno ricordare il significato dei sierotipi di Salmonella. Secondo l attuale classificazione tassonomica, il genere Salmonella comprende due sole specie riconoscibili in base alle loro caratteristiche biochimiche: Salmonella enterica e Salmonella bongori. Da decenni, però, siamo abituati a classificare le salmonelle anche in base alle loro caratteristiche antigeniche, in sierogruppi (A, B, C, C, ecc.) e in sierotipi (typhi, typhimurium, enteritidis, ecc.. Attualmente si conoscono oltre 2.500 sierotipi di Salmonella; la maggior parte di essi (oltre 1.600) costituisce cloni salmonellari che fanno capo alla specie S. enterica, mentre una frazione minore fa capo alla specie S. bongori. Questa seconda specie minore di salmonelle annovera sierotipi che in genere si isolano dall ambiente e/o dal contenuto intestinale di insetti, altri invertebrati e vertebrati a sangue freddo. È ben raro che simili sierotipi possano causare problemi sanitari ai vertebrati a sangue caldo, uomo compreso. Tutti i sierotipi concretamente patogeni per l uomo sono, invece, raccolti nella specie S. enterica, a partire da S. typhimurium. CONSIGLIO Prima di fare partire un allerta è bene sincerarsi che l agente patogeno rilevato nell alimento sia davvero concretamente pericoloso per la salute umana. In particolare, non bisogna accontentarsi di una determinazione di genere (Campylobacter, Salmonella, Yersinia, ecc.); occorre arrivare a stabilire quale sia la specie che inquina la partita di alimenti oggetto di indagini. PUNTO (2) CARICA INFETTANTE RAGGIUNGIBILE NELL ALIMENTO

Nella stragrande maggioranza dei casi, quando un microrganismo patogeno arriva a inquinare un alimento, lo fa in cariche molto, molto ridotte (sovente meno di 10 e a volte persino meno di 1 ufc/g o /ml). Nelle persone immunocompetenti la carica infettante minima da raggiungere nell alimento di un qualunque patogeno alimentare è stimabile in non meno di 10.000 ufc/g (a esclusione dei virus enterici quali i Norovirus che sono infettanti in cariche anche bassissime, meno di 100 virioni/g di prodotto). Sovente, perché scoppi un focolaio di malattia, nel cibo devono essersi accumulati milioni o decine di milioni di microrganismi per grammo. Nei soggetti immunocompromessi, invece, la carica infettante minima dello stesso microrganismo può essere di 1.000 ufc/g o persino meno, per le condizioni intrinseche del paziente. Alla luce di questi dati, dobbiamo concludere che per diventare concretamente pericoloso per la salute umana un batterio deve essere in grado di duplicare attivamente in un alimento e raggiungere cariche microbiche elevate o elevatissime. Qui entra in gioco l alimento che, con le sue caratteristiche di composizione, ph, A w e potenziale di ossido-riduzione può favorire od ostacolare in modo efficace la proliferazione del patogeno, vanificando la sua supposta presunta nocività. Facendo riferimento alle esperienze personali e alle conoscenze che derivano dalla letteratura internazionale, possiamo dire che un alimento non è in grado di favorire la crescita di un batterio patogeno quando: (1) ha un valore di ph inferiore a 4,5 4, 1 (2) ha un valore di A W inferiore a 0,910 (3) ha un ph inferiore a 5,0 e una A W inferiore a 0,930. Tutti i batteri causa di malattia alimentare, infatti, non duplicano e non producono tossine se il ph del substrato è troppo acido (inferiore a 4,5) e analogamente si astengono dal duplicare e da produrre composti tossici se l alimento ha un A W inferiore a 0,910. Quasi tutti i patogeni microbici, infatti, stentano a duplicare a ph inferiore a 5,0 e non riescono a moltiplicare se la A w è inferiore a 0,910. Quando sui trattati di microbiologia si riportano i valori minimi di A w e di ph per la crescita dei batteri causa di malattia alimentare, tali valori sono quelli minimi al disotto dei quali il germe non duplica più, ma continua a sopravvivere. Non mi stancherò mai di ricordare, tuttavia, che per duplicare e/o per produrre tossine lo stesso batterio ha bisogno di valori di ph e/o di A w decisamente superiori a quelli indicati dal trattato. Per fare un esempio tra i più eclatanti, cito Clostridium botulinum; è noto che il batterio non riesce a duplicare se la A w dell alimento è inferiore a 0,940; ma per la sintesi della neurotossina il valore minimo di A w richiesto è addirittura 0,950. C è un altro aspetto importante da ricordare: il valore minimo di crescita di ph o di A w di un microrganismo si intende rispettato quando il secondo dei parametri è attestato su valori ottimali. Un esempio specifico: per i coliformi il valore di A w minimo di crescita è pari a 0,910, leggiamo sui trattati; ma questo dato si intende valido se il ph del substrato è prossimo a 7,0. Se il ph scende intorno a 5,5 il valore di A w minimo di crescita per i coliformi sale a 0,950. In altri termini, se in un salame in fase di stagionatura e maturazione sono presenti dei coliformi, a rigore questi potrebbero continuare a duplicare fino a quando la A w non scende sotto 0,910; in realtà, il salame ha un ph nettamente acido (intorno a 5,4 in piena maturazione) a causa della proliferazione del batteri lattici fermentanti. Di conseguenza, il prodotto sarà al riparo da eventuali proliferazioni di batteri alteranti ben prima che la sua A w scenda al

disotto di 0,910. Un discorso analogo si potrà fare per la proliferazione e la produzione di neurotossina da parte di C. botulinum; la sua A w minima di crescita è pari a 0,940, secondo tutti i trattati di microbiologia, ma ciò vale se il ph del mezzo è prossimo a 7,0. Se il ph si discosta da questo valore, portandosi verso l acidità, è più che probabile che il clostridio non riesca a sintetizzare la neurotossina neanche a valori di A w superiori a 0,940. CONSIGLIO Quando si prospetta l ipotesi di un allerta per presenza di un batterio patogeno, è bene valutare con cura quali possono essere le sue possibilità di sopravvivenza e soprattutto di moltiplicazione nell alimento che è oggetto di allerta. Se l alimento ha valori di ph pari o inferiori a 5,0 e una A w inferiore o uguale a 0,940, ci sono i presupposti per concludere che il batterio non sarà in grado di duplicare attivamente nella matrice alimentare. PUNTO (3) CONDIZIONI IMMUNITARIE DEI CONSUMATORI Questo è forse il punto sul quale più degli altri deve agire il principio di precauzione. Sappiamo che le persone non perfettamente immunocompetenti sono molte di più di quanto non si creda. Soffrono di un indebolimento delle difese immunitarie (per alcuni versi del tutto naturale) i bambini sotto i 4 anni di età, gli anziani oltre gli 80 anni, le donne in gravidanza e coloro che sono affetti da patologie croniche quali epatopatie e diabete. Per queste categorie di consumatori in generale le cariche infettanti dei microrganismi patogeni sono inferiori a quelle dei soggetti immunocompetenti, ma è estremamente difficile calcolarle e in letteratura non abbiamo dati specifici che ci diano indicazioni esatte. QUESITO N. 2 (qual è la carica dell agente patogeno nella partita sospetta?) Col passare degli anni e l accumularsi di dati sperimentali diventa sempre più evidente che nella maggior parte dei casi i microrganismi agenti di malattia alimentare inquinano le materie prime, i semilavorati e/o i prodotti finiti in cariche molto ridotte, inferiori alle 10 ufc/g e persino inferiori a 1 ufc/g. Per scatenare un episodio di malattia alimentare occorrono cariche microbiche sempre piuttosto alte; di conseguenza, diventa decisivo il substrato in cui i patogeni arrivano, vale a dire l alimento. Quest ultimo, con la sua composizione e i processi di trasformazione cui è sottoposto, può condizionare in misura decisiva la sopravvivenza del patogeno e la sua eventuale moltiplicazione. Alle Autorità sanitarie che stanno svolgendo indagini sulla potenziale pericolosità di una partita di alimenti si pone, a questo punto, un problema funzionale: a parte Listeria monocytogenes, per la quale ormai è invalsa la determinazione della carica microbica, al momento i laboratori di analisi non eseguono di routine la quantificazione di un patogeno quale Salmonella enterica o di Campylobacter enteropatogeni. Da un punto di vista analitico, oggi è possibile identificare con buona efficacia non solo la specie microbica, ma anche le eventuali sottospecie o i sierotipi, nel caso di Salmonella. Il perfezionamento delle indagini, però, richiede ancora più tempo di quello normalmente richiesto per un analisi microbiologica (2-3 giorni); sovente questi tempi tecnici del laboratorio non si accordano con la necessità delle Autorità

Sanitarie di arrivare a completare la raccolta dei dati per attivare, eventualmente, l allerta. Ai fini dell emanazione di un allerta, quindi, è auspicabile che i laboratori di analisi si dotino il più possibile di sistemi diagnostici alternativi al sistema tradizionale di isolamento in coltura, sistemi che permettano di abbreviare i tempi di analisi richiesti per arrivare a identificare non solo una specie batterica, ma anche una sottospecie o un sierotipo o a identificare se un clone microbico è effettivamente virulento oppure no. Tra i metodi diagnostici innovativi possiamo citare: (1) i metodi che si fondano su reazioni antigene/anticorpo policlonale o monoclonale (test immunoenzimatici), principio su cui fondano il loro funzionamento apparecchi come Vidas BioMérieux, (2) i metodi di biologia molecolare che fanno capo alla PCR, che promettono una rapida individuazione non solo di specie batteriche, ma anche di varianti genomiche dotate di virulenza per l uomo. Lo svantaggio di tali tecniche è che il test può individuare nell alimento anche il DNA di batteri morti, senza alcun interesse pratico sotto il profilo della salute umana (3) i metodi di fluorocitometria, che permettono di quantificare in circa 1 ora le specie patogene eventualmente presenti nell alimento, col vantaggio di numerare solo le cellule vive e non quelle morte, come per le tecniche di PCR. QUESITO N. 3 (Quale destino potrà avere la carica di un patogeno nell alimento, considerando la vita commerciale dichiarata dal produttore?) Per chi deve decidere se lanciare un allerta sanitaria, è essenziale riuscire quanto meno a prevedere quale potrà essere la dinamica di popolazione di un microrganismo in quell alimento considerando la sua durabilità commerciale. Al di là, quindi, dello stabilire la presenza/assenza di un microrganismo patogeno in una certa quantità di alimento (es. 25 g per 5 unità campionarie), per un igienista degli alimenti è importante riuscire a stabilire se quel patogeno rilevato nell alimento potrà moltiplicare fino a raggiungere cariche concretamente pericolose per l uomo, oppure no. La dinamica di popolazione microbica risente fortemente della natura della matrice alimentare cui ci si sta riferendo (ph, valore di A w, potenziale di ossido-riduzione, presenza di additivi alimentari antimicrobici, confezionamento in atmosfera protettiva, ecc.). Per stabilire questa dinamica si possono seguire due strade: (1) utilizzare i sistemi informatici di modellazione microbica predittiva, che consentono di prevedere, con calcoli probabilistici, il comportamento di un certo patogeno in un alimento, a patto di conoscerne le caratteristiche compositive, (2) sfruttare dati di prove di inoculazione sperimentale del microrganismo, per avere indicazioni su come si può modellare la popolazione microbica dei patogeni in uno specifico substrato alimentare. I sistemi di modellazione microbica predittiva sono oggi sono molto più evoluti dei loro predecessori di qualche anno fa e i risultati che offrono sono decisamente più validi. Bisogna però considerare che questi software informatici funzionano su un database di valori raccolti da colture microbiche in vitro, non su dati ottenuti con prove sperimentali su alimenti veri. Di conseguenza, i risultati che i sistemi di modellazione predittiva possono offrire, nel caso dei microrganismi patogeni,

possono essere non del tutto realistici perché nell elaborazione statistica viene a mancare un componente fondamentale: l influenza della matrice organica sulla di manica di popolazione microbica. CONSIGLIO Là ove possibile, è opportuno reperire in bibliografia scientifica studi che documentino i risultati di prove sperimentali condotte inoculando il patogeno in causa nell alimento oggetto di indagine. In caso di assenza di dati, possono essere utili i dati forniti dalla modellazione microbica predittiva. 3. Conclusioni? Le conclusioni si traggono quando un evento è al termine e si deve arrivare a un sunto delle cose più importanti che sono emerse nella discussione. Non pretendo che questa mia relazione porti a delle vere conclusioni perché molto c è ancora da discutere e da imparare sul tema delle allerte alimentari. Mi sembra utile, invece, sottolineare ancora quello che ho annotato all inizio della relazione: la valutazione delle allerte sanitarie alimentari nell UE può avere un notevole significato perché può permettere di fotografare la reale situazione dei rischi che gli alimenti possono portare ai consumatori. Ma perché i dati delle allerte possano essere un valido specchio della qualità igienicosanitaria dei nostri alimenti è essenziale che le AS compiano con la massima professionalità il proprio dovere, lanciando un allerta quando effettivamente c è un concreto pericolo per la salute umana.

Fig. 1 Ripartizione delle allerte 2009 secondo la matrice

Fig. 2 principali agenti microbici oggetto di segnalazione di allerta nel 2009 (le frecce indicano l andamento dei valori, in calo o in crescita, confrontati con gli analoghi valori del 2008)

Fig. 3 Andamento dei singoli agenti patogeni a confronto tra 2008 e 2009

Fig. 4 Ripartizione delle cause di allerta nelle carni e nei prodotti derivati (escluso il pollame)

Fig. 5 Ripartizione delle cause di allerta in latte crudo e prodotti derivati