Immunodeficienze primitive e suscettibilità all infezione da EBV

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ottobre-dicembre 2017 Vol. 47 N. 188 Pp. 233-242 Prospettive in Pediatria Immunologia Immunodeficienze primitive e suscettibilità all infezione da EBV Laura Dotta Raffaele Badolato Clinica Pediatrica, Asst - Spedali Civili, Università degli Studi di Brescia Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un comune herpes virus, la cui infezione spesso decorre in modo asintomatico. Tuttavia, quando il delicato equilibrio tra virus EBV e sistema immunitario dell ospite viene alterato, l infezione può presentarsi con un gruppo eterogeneo di manifestazioni cliniche che vanno dalla mononucleosi infettiva, a disordini linfoproliferativi e linfomi. Sebbene casi di tumori EBV-associati di origine linfoide o epiteliale possano manifestarsi anche in individui con un sistema immunitario apparentemente normale, pazienti con immunodeficienza a carico di linfociti T e/o NK, così come pazienti sottoposti a terapia immunosoppressiva, hanno un maggior rischio di sviluppare forme potenzialmente fatali di malattia, come sindrome emofagocitica e tumori. In questo lavoro riassumiamo i meccanismi che regolano le interazioni tra virus EBV e ospite immunocompetente, illustriamo i principali tipi di disordini immunitari nella diagnosi differenziale di pazienti che si presentino con infezione da EBV complicata, e discutiamo i nuovi approcci diagnostici e terapeutici. Riassunto Epstein-Barr virus (EBV) is a common human herpes virus usually acquired in an asymptomatic way in the majority of the world population. However, when the delicate balance between EBV and the host is altered, the virus can display pathological potential. Therefore, its infection can present with a heterogeneous group of clinical manifestations ranging from self-limiting infectious mononucleosis, often in adolescents or young adults, to forms of severe mononucleosis, lymphoproliferative disorders and malignancy. Despite the observation that EBV-positive malignancies of lymphoid or epithelial origin and/or chronic EBV viraemia can occur in individuals with an apparently normal immune system, patients with primary immunodeficiency affecting the T and/or NK cell systems, as well as immunosuppressed patients, are at increased risk of virus-driven life threatening disease, including haemophagocytosis and cancer. In this paper, we summarise the mechanisms that regulate normal EBV-immunocompetent host interactions, illustrate the main types of immune disorders the clinician must consider in the differential diagnosis of patients presenting with complicated course of EBV infection, and discuss recommended and novel approaches for the diagnosis and treatment. Summary Abbreviazioni EBV: Virus di Epstein-Barr CAEBV: Chronic Active Epstein-Barr Virus Infection (infezione cronica attiva da EBV) GVHD: Graft Versus Host Disease (malattia del trapianto contro l ospite) : Haemophagocytic Lymphohistiocytosis (linfoistiocitosi emofagocitica) HSCT: Haematopoietic Stem Cell Transplantation (trapianto di cellule staminali ematopoietiche) MI: Mononucleosi infettiva NK: cellule Natural Killer SCID: Severe Combined Immunodeficiency (immunodeficienza severa combinata) WHIM: Warts, Hypogammaglobulinemia, Infections, Myelokathexis (sindrome verruche, ipogammaglobulinemia, infezioni, mielocatessi) 233

L. Dotta, R. Badolato Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti sull infezione da EBV è stata effettuata nella banca bibliografica Medline, utilizzando come motore di ricerca PubMed e come parole chiave: Epstein-Barr virus, EBV, infectious mononucleosis,, treatment, caebv. Introduzione Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un gamma-herpesvirus la cui infezione ha una prevalenza > 90% nella popolazione mondiale: nella maggior parte dei casi l infezione è contratta nella prima infanzia e decorre in modo asintomatico, mentre negli adolescenti e giovani adulti l infezione è sintomatica in oltre il 70% dei casi (Balfour et al., 2013) ed è responsabile della mononucleosi infettiva (MI). Isolato nel 1964 dalla coltura di cellule tumorali di pazienti con di Burkitt, il virus EBV è coinvolto nella genesi di tumori epiteliali e linfomi, anche in pazienti apparentemente immunocompetenti, benché in questi ultimi le ragioni rimangano del tutto sconosciute. Tuttavia, sono i pazienti con immunodeficienza primitiva, e/o pazienti immunosoppressi che esibiscono il maggior rischio di sviluppare disordini linfoproliferativi e/o tumori associati all EBV, a decorso spesso fatale. Ciclo biologico del virus e mononucleosi infettiva: interazione tra virus EBV e ospite immunocompetente Il virus di Epstein-Barr è un virus a DNA di circa 100 geni dotato di un capside virale proteico. Il virus si trasmette attraverso la saliva e il periodo di incubazione è di 6 settimane. L infezione ha inizio a livello delle cellule epiteliali squamose della mucosa orale, ove proteine virali interagiscono con integrine della membrana cellulare. Il virus si caratterizza per un ciclo bi-fasico, ovvero è in grado di avviare sia un ciclo replicativo di tipo litico, sia un programma di trasformazione-immortalizzazione cellulare, con specifico tropismo nei confronti dei linfociti B. Si distingue dunque infezione primaria e infezione latente: in quest ultima il virus risiede nei linfociti B di memoria, o nelle cellule epiteliali dell orofaringe, in forma di episomi multipli nel nucleo cellulare, dove può andare incontro a fasi di riattivazione. Durante il ciclo litico vengono indotte dapprima proteine precoci che agiscono da attivatori di trascrizione per proteine e RNA virali coinvolti nella replicazione del virus e per proteine strutturali del virione stesso; segue la lisi cellulare con rilascio di nuovi virioni. Dal cavo orale il virus si diffonde e infetta i linfociti B nel tessuto linfoide periferico, avviando il programma di crescita cellulare e stabilendo un pool di cellule B di memoria infette, antigene-negative, che ricircola tra il sangue e i tessuti linfoidi dell orofaringe. Occasionalmente, in risposta a stimoli antigenici, le cellule B di memoria con infezione latente possono riattivarsi e dare avvio alla produzione di nuovi virioni attraverso il ciclo litico di replicazione virale, oppure avviare un nuovo ciclo di infezione e replicazione in altre cellule B. La risposta immunitaria all infezione virale da EBV vede coinvolte sia l immunità cellulare che innata, ovvero i linfociti T citotossici (CD8+) e le cellule Natural Killer (NK) (Taylor et al., 2016). L attivazione di cellule mononucleate riflette la denominazione della malattia. Nel soggetto immunocompetente l infezione sintomatica determina significativa linfocitosi, con espansione del comparto cellulare CD8+, in particolare in risposta agli antigeni litici precoci (EBNA-2 e EBNA-3). Esiste anche una, seppur ridotta, risposta cellulare T CD4+, che, al contrario, predomina nei confronti degli antigeni latenti (EBNA-1) (Taylor et al., 2016). Linfociti T CD4+ riconoscono anche diversi antigeni litici attraverso i tetrameri del complesso MHC di classe II, e permangono nel sangue periferico, seppur a bassi livelli, anche dopo l infezione acuta. L infezione sintomatica si associa ad aumento del numero delle cellule NK nel sangue periferico, la cui risposta è più rapida rispetto a quella dei linfociti T CD8+. L entità dell espansione cellulare sembra contribuire all evoluzione verso forme sintomatiche di infezione. Il ruolo delle cellule NK si esplica sia nella citotossicità nei confronti delle cellule B infettate, sia nel potenziare la risposta antigene-specifica T cellulare attraverso il rilascio di citochine immunomodulatorie. La tipizzazione delle cellule NK in pazienti con MI in fase acuta ha messo in evidenza l espansione, anche per diversi mesi dopo l infezione, di un pool di cellule NK CD56dim NKG2A+ KIR- (Azzi et al., 2014) che proliferano durante la fase acuta ed esprimono il marcatore di differenziazione CD57. Il numero di linfociti CD8+ e di cellule NK ritorna a livelli normali da 3 a 6 mesi dopo l esordio della MI (Balfour, 2013). Oltre alle cellule NK, altre cellule sono implicate nell iniziale risposta al virus: l EBV attiva le cellule dendritiche, sia plasmacitoidi che mieloidi, via TLR9 e TLR3 rispettivamente, che a loro volta attivano, via IL-12, la produzione di IFNγ. Questa citochina è cruciale in quanto blocca la trasformazione delle cellule B e potenzia la citotossicità delle cellule NK. Durante l infezione primaria, l ospite immunocompetente produce anticorpi nei confronti di diversi antigeni virali. Tra le proteine espresse durante il ciclo litico, le proteine Viral Capsid Antigen (VCA) e Immediate Early Antigen (EA) sono altamente immunogene e determinano la produzione di anticorpi (anti-vca) già a partire da una settimana prima dell esordio clinico dei sintomi. La risposta anticorpale nei confronti delle proteine di latenza è 234

Immunodeficienze primitive e suscettibilità all infezione da EBV Tabella I. Profilo anticorpale per la diagnosi di infezione da EBV. Tempo Anti-VCA IgM Anti-VCA IgG Anti-EBNA-1 IgG Assenza di infezione -- Negativo Negativo Negativo Infezione acuta primaria 0-3 settimane Positivo Negativo/positivo Negativo Infezione subacuta 4 settimane-3 mesi Positivo Positivo Negativo Convalescenza 4-6 mesi Negativo/positivo Positivo Negativo/positivo Infezione pregressa > 6 mesi Negativo Positivo Positivo ritardata: IgG anti-ebna2 vengono prodotte in corrispondenza dell acuzie della sintomatologia, mentre le IgG anti-ebna1 a partire da 3 mesi dall infezione. Il profilo anticorpale dell infezione primaria diagnostico di infezione in atto è caratterizzato dalla presenza di VCA IgM e da un titolo crescente di VCA IgG (Balfour et al., 2013). Non più utilizzata la determinazione degli anticorpi eterofili (scoperti da Paul e Bannel nel 1932), per la bassa sensibilità e specificità. Inoltre, la presenza di EBNA-1 IgG esclude l infezione primaria (Tab. I). Gli anticorpi Early Antigen (EA) IgG non sono diagnostici di infezione primaria, poiché hanno una sensibilità solo del 60-80%, e possono essere riscontrati anche nel 20% della popolazione sana. Se la MI è tipica dell età adolescenziale, essa si può comunque osservare anche nei pre-adolescenti: l ipotesi è che l infezione venga trasmessa da familiari asintomatici, che rilasciano piccole quantità di virus attraverso le secrezioni orali. I segni e sintomi più frequenti sono: faringite (95%), linfoadenopatia laterocervicale (80%), astenia (70%), sintomi a carico delle alte vie respiratorie (65%), cefalea (50%), inappetenza (50%), febbre (47%) e mialgia (45%) (Balfour et al., 2015). Il corteo sintomatologico dura 10 giorni, o meno, ma astenia e linfoadenite spesso durano sino a 3 settimane. Segni e sintomi meno frequenti includono: dolore addominale, epatosplenomegalia, nausea, vomito, petecchie del palato, edema periorbitale. L epatite sub-clinica (rialzo ALT in assenza di ittero o dolore addominale) si osserva nel 75% dei pazienti. Rash cutaneo si può osservare dopo somministrazione di penicilline. Le complicanze acute sono rare: ostruzione delle vie aeree da infiammazione orofaringea, faringite streptococcica, meningoencefalite, anemia emolitica e trombocitopenia si verificano nell 1% dei casi, mentre la rottura splenica in meno dell 1%, anche se rimane la complicanza più temuta, per cui agli atleti si raccomanda astensione dall attività fisica sino a 3 settimane dall esordio dei sintomi. Non esiste trattamento approvato per la mononucleosi infettiva. Steroidi sono spesso prescritti nel caso di complicanze infiammatorie, ma il loro rapporto rischi/benefici rimane controverso. Immunodeficienze primitive e difetti specifici di risposta anti-ebv I pazienti con immunodeficienza primitiva, nello specifico difetti monogenici che alterano la risposta immunitaria T citotossica e delle cellule NK, esibiscono particolare suscettibilità a forme severe di infezione da EBV (Shabani et al., 2016; Worth et al., 2016). Analogamente, la presenza di un infezione persistente e/o grave (infezione sistemica, sviluppo di emofagocitosi) da EBV deve indurre nel clinico il sospetto di una forma di immunodeficienza primitiva tra quelle riassunte nella Tabella II. La linfoistiocitosi emofagocitica (haemophagocitic lymphohistiocytosis, ) L comprende un gruppo di disordini caratterizzati da attivazione/proliferazione incontrollata dei linfociti T CD8+, associata a un incontrollata attivazione macrofagica e secrezione di elevati livelli di citochine proinfiammatorie. Si distinguono forme primitive familiari ereditarie da forme secondarie scatenate da infezioni, tumori (leucemie, linfomi, o tumori solidi), o malattie autoimmuni/autoinfiammatorie (in quest ultimo caso è nota la denominazione di sindrome da attivazione macrofagica, MAS). Infezioni virali, frequentemente l EBV, possono essere trigger sia di forme primitive che secondarie di, soprattutto in pazienti con immunodeficienza congenita o acquisita, rendendo spesso difficile all esordio la diagnosi eziologica (Fig. 1). I criteri clinici diagnostici iniziali sono stati redatti nel 1991 e poi rivisti nel protocollo di trattamento - 2004 (Henter et al., 2007) (Tab. III). L attuale approccio terapeutico consta dell utilizzo di agenti chemioimmunoterapici che spengano l infiammazione, oltre a terapie target che eliminino l agente trigger. Il trattamento si basa principalmente sulle linee guida contenute nel protocollo -2004, che includono etoposide, desametasone, ciclosporina A, metotrexate intratecale e corticosteroidi. Tale protocollo di trattamento è spesso ponte al trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che è raccomandato in pazienti con ma- 235

L. Dotta, R. Badolato Tabella II. Principali immunodeficienze primitive associate a infezioni. Immunodeficienza primitiva Gene Modalità di trasmissione Difetto immunologico Principali quadri clinici associati Manifestazioni EBV-associate Sindrome linfoproliferativa X-linked (XLP) SH2D1A XL Difetto del TCR-signaling Difetto di citotossicità delle cellule NK e T CD8+ Difetto di numero delle cellule NKT Difetto di interazione cellule T-B per lo sviluppo di memoria B cellulare Sindrome XIAP XIAP XL Riduzione del numero cellule NKT Aumentata apoptosi cellule T CD8+ in risposta all attivazione Normale attività citotossica NK Difetto di ITK ITK AR Alterata sopravvivenza e attività delle cellule NKT Difetto di citotossicità delle cellule NK Difetto di selezione timica e differenziazione T cellulare CD4+ e CD8+ (linfopenia progressiva) Difetto di CD27 CD27 AR Difetto di attivazione delle cellule citotossiche Difetto di espansione delle cellule T naïve Difetto di proliferazione e differenziazione cellule B e di produzione anticorpale Difetto di STK4 STK4 AR Disregolazione dell apoptosi cellulare Difetto di output timico e migrazione cellulare Sindrome di Wiskott- Aldrich Atassiateleangectasia APDS PIK3CD, PIK3R1 WASP XL Difetto di polimerizzazione dell actina Difetto di crescita cellulare e attività citotossica ATM AR Difetto di risposta cellulare al danno al DNA difettoso switching anticorpale Anomalo reperto ire antigenico AD Difetto di attività T cellulare Difetto di produzione anticorpale Mononucleosi infettiva fulminante a cellule B Ipogammaglobulinemia Sindrome emofagocitica Splenomegalia Colite Febbre periodica Sindrome linfoproliferativa Ipogammaglobulinemia Infezione severa da EBV Ipogammaglobulinemia asintomatica Infezioni batteriche e virali Candidiasi cronica Cardiopatia congenita Neutropenia Linfopenia T e B Ipogammaglobulinemia Trombocitopenia Eczema Infezioni ricorrenti Atassia cerebellare progressiva Teleangectasie (oculari, cutanee) Infezioni polmonari Tumori Infezioni respiratorie Bronchiectasie Linfoadenopatie Infezioni erpetiche MI severa MI severa Severa MI 236

Immunodeficienze primitive e suscettibilità all infezione da EBV Tabella II (continua) WHIM CXCR4 AD Mielocatessi Alterato differenziamento B cellulare Alterata timopoiesi Infezioni batteriche Infezioni da Papilloma Virus Tetralogia di Fallot Pan-leucopenia Ipogammaglobulinemia Sindrome DiGeorge TBX1 AD Difetto di differenziazione T cellulare Cardiopatia congenita Infezioni Ipocalcemia (ipoplasia/aplasia paratiroidi) Dismorfismi Ritardo cognitivo SCID RAG1/2 Artemis IL7R RMRP ADA LIG4 IL2RG AK2 ZAP70 Difetto di Coronina 1-A Sindrome ALPS FAS/ FASL AD, AR, XL Difetto di differenziazione T e B cellulare Sindrome di Omenn Infezioni batteriche, virali, fungine severe Ritardo di crescita Diarrea cronica Assenza linfonodi Rash cutaneo CORO1A AR Difetto di attività citotossica cellule NK Difetto di sviluppo delle cellule NKT Alterata timopoiesi AD, AR Difetto di apoptosi, accumulo di linfociti autoreattivi Citopenie autoimmuni Linfoadenopatie Splenomegalia Tumori Difetto di MCM4 MCM4 AR Difetto cellulare NK (mancanza di CD56dim) Infezioni virali Bassa statura Insufficienza surrenalica SCID-like Difetto di CD16 CD16 AR Difetto di attività citotossica cellule NK Infezioni virali severe MI severa Difetto di GATA2 GATA2 AD Difetto di attività citotossica cellule NK Difetto di differenziazione T e B cellulare Difetto di cellule dendritiche, monociti e cellule B Sindrome MonoMAC (monocitopenia e infezione da M.avium complex) Sindrome mielodisplastica familiare/ leucemia mieloide acuta Sindrome di Emberger Tumori (leucemia, linfomi, mielodisplasia) 237

L. Dotta, R. Badolato Figura 1. Ruolo dell infezione da EBV nell attivazione della sindrome emofagocitica linfoistiocitaria (). L infezione da virus EBV attiva la risposta immunitaria di cellule dendritiche (APC) e linfociti T e NK. Le cellule citotossiche CD8+ e NK agiscono eliminando le cellule infettate dal virus, ma allorché esistano difetti nell attività citotossica, il persistere dell infezione aumenta il rilascio di IFN-gamma da parte delle stesse cellule CD8+ e NK. Questo comporta un attivazione massiva e persistente dei macrofagi, che a loro volta rilasciano le citochine proinfiammatorie IL-1beta, TNF-alfa, IL-18 e IL-6 che sono responsabili delle manifestazioni febbrili e delle alterazioni ematopoietiche proprie della sindrome. Tabella III. Criteri diagnostici della linfoistiocitosi emofagocitica: la diagnosi si basa sulla presenza di almeno 5 criteri su 8 (da Henter et al., 2007, mod.). Febbre Splenomegalia Citopenia ( 2 linee cellulari nel sangue periferico) Emoglobina < 9 g/dl (nel neonato < 10 g/dl) Piastrine < 100000/mmc Neutrofili < 1000/mmc Ipertrigliceridemia e/o ipofibrinogenemia Trigliceridi 295 mg/dl (3,0 mmol/l) Fibrinogeno 150 mg/dl Emofagocitosi nel midollo osseo o milza o linfonodi in assenza di evidenza di tumore Bassa o assente attività delle cellule NK Ferritina 500 μg/l CD25 (recettore di interleuchina 2) solubile 2400 U/ml lattia familiare e/o diagnosi molecolare, e in pazienti con malattia severa, persistente, o recidivante. Sindromi emofagocitiche familiari Le forme familiari monogeniche (FHL 1-5) sono trasmesse come carattere autosomico recessivo, esordiscono precocemente nei primi mesi di vita, tipicamente scatenate da un evento trigger; dunque i pazienti possono esordire con i sintomi respiratori o gastrointestinali di un infezione. I difetti genetici indentificati (PRF1, UNC13D, STX11, e STXBP2) si associano a compromissione dell attività citotossica granulo-dipendente delle cellule NK e dei linfociti T CD8+ citotossici. e sindromi da immunodeficienza e albinismo oculo-cutaneo parziale Difetti dell attività citotossica e sviluppo di emofago- 238

Immunodeficienze primitive e suscettibilità all infezione da EBV citosi sono causati anche da disordini a carico dello sviluppo e del traffico dei lisosomi secretori. L complica l 85% dei casi di sindrome di Chediak- Higashi, causata da mutazione del gene LYST/CHS1, e caratterizzata da albinismo oculo-cutaneo parziale, suscettibilità a infezioni, diatesi emorragica, e sintomi neurologici progressivi. Nei pazienti con sindrome di Griscelli di tipo 2, da mutazioni del gene RAB27A, la sindrome emofagocitica esordisce nel primo anno di vita ed è fatale senza trapianto. Nella sindrome di Hermansky-Pudlak di tipo 2, da mutazioni autosomico recessive del gene AP3B1, con immunodeficienza, infezioni batteriche ricorrenti e neutropenia, è stato finora descritto un solo caso di. La diagnosi differenziale: l infezione da EBV cronica attiva (CAEBV) S identifica con l infezione presente da oltre 6 mesi, conseguente a infezione primaria, oppure associata a un incremento della viremia dimostrata dall aumento del titolo anticorpale (VCA o EA IgG) oppure un marcato incremento delle copie di EBV DNA, dosate mediante Polymerase Chain Reaction quantitativa (Q-PCR) su sangue intero (copie/ml) in assenza di immunodeficienza primitiva o secondaria. Descritta nell Est asiatico, si caratterizza per un disordine linfoproliferativo a cellule T o NK. Il quadro clinico si sovrappone all idroa vacciniforme, all eruzione vescicolo-papulare, e all ipersensibilità alle punture di zanzara. Il decorso clinico è aggressivo con febbre, linfadenopatia, epato/splenomegalia, rialzo delle transaminasi, e infiltrazione tissutale linfocitaria diffusa. Complicanze includono la progressione verso e/o linfoma (Sawada et al., 2017). La terapia cellulare Negli ultimi decenni, le tecniche di trapianto hanno subito innumerevoli progressi, grazie al miglioramento della tipizzazione tissutale HLA, l utilizzo di nuove fonti di cellule staminali (sangue di cordone ombelicale), l introduzione di regimi minimi di condizionamento e agenti chemioterapici a ridotta tossicità, nonché la profilassi per lo sviluppo di GVHD. Trattamento consolidato nelle SCID (sopravvivenza > 90% in caso di donatore aplo-identico), nella maggior parte delle immunodeficienze primitive le raccomandazioni al trapianto sono in continua evoluzione, come unica strategia terapeutica curativa che possa garantire una ricostituzione immunologica. In particolare, in molti disordini, appare sempre più importante il timing del trapianto stesso, la cui esecuzione, in presenza di donatore compatibile, è auspicabile prima del sopraggiungere delle complicanze infettive e/o infiammatorie, che aumentano significativamente i rischi di morbilità e mortalità legati al trapianto. L immunoterapia adattativa rappresenta un ulteriore promettente strategia terapeutica. Studi sono stati condotti su trasfusione da donatore di leucociti contenenti linfociti T EBV-specifici, o di linfociti T EBV-specifici pre-selezionati in vitro, dopo sensibilizzazione con linfociti B trasformati da EBV, nel trattamento o nella prevenzione di disordini linfoproliferativi EBVdipendenti, che complicano il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Tale terapia cellulare è un potenziale approccio terapeutico nel trattamento di infezioni virali severe, che non rispondono ai trattamenti convenzionali. Nel ricevente la risposta clinica correla con l espansione in vivo della popolazione T- cellulare trasfusa, a sua volta dipendente dalle caratteristiche sia delle stesse cellule T del donatore (es. sensibilizzazione verso epitopi espressi dalle cellule infettate/trasformate dell ospite), sia delle cellule infettate dell ospite (es. allosensibilizzazione precedente con anticorpi anti-hla circolanti, funzione T residua responsabile di eventuale rigetto, trattamenti concomitanti). Recentemente, singoli centri hanno utilizzato cellule T virus-specifiche da banca di donatori parzialmente HLA compatibili, al fine di superare i limiti di applicazione, in termini soprattutto di timing necessario per la generazione delle cellule T specifiche, rapportata alla rapidità di progressione del quadro clinico (O Reilly et al., 2016). Benché l utilizzo di linfociti T citotossici EBV-specifici da banca richieda ulteriori studi di efficacia, in particolare dati i limiti di attecchimento nel lungo periodo, tale terapia cellulare possiede un enorme potenziale nel trattamento di forme gravi di infezione da EBV in pazienti trapiantati o immunocompromessi. Terapia molecolare Nella s instaura un loop positivo di attivazione tale per cui il difetto dell attività citotossica comune alle diverse forme di preclude l eliminazione delle cellule infettate, causando livelli di antigene persistentemente elevati e una continua presentazione antigenica da parte delle cellule dendritiche ai linfociti T. Ciò determina una massiva espansione di cellule T attivate antigene-specifiche, che infiltrano i tessuti e producono elevate quantità di mediatori, in particolare l IFNγ, che attiva a sua volta i macrofagi. Queste cellule, secernendo a loro volta elevate quantità di citochine, causano una tempesta citochinica che potenzia l attivazione cellulare e il danno indotto dall infiammazione. Tra le citochine più studiate, IFNγ, TNFα, IL-6, e IL-18 sembrano rivestire il maggiore ruolo biologico in questo processo. Lo studio della linfo-emofagocitosi in un modello murino di malattia ha confermato il ruolo dell IFNγ come mediatore chiave del processo patogenetico. Sono stati dimostrati elevati livelli di IFNγ nel sangue, e ancora maggiori (sino a 500-2000 volte) nei tessuti sia nelle forme primarie, che secondarie. Sono stati proposti biomarkers, nello specifico le chemochine CXCL9 e CXCL10 indotte da IFNγ, come utili indi- 239

L. Dotta, R. Badolato catori dell attività dell IFNγ, per il monitoraggio dello stato di malattia. Infatti è stata osservata una correlazione diretta dei livelli ematici di CXCL9 e CXCL10 con la severità del quadro clinico e con le alterazioni dei parametri laboratoristici sia nel modello murino, che in pazienti pediatrici con sindrome da attivazione macrofagica, quale complicanza di artrite idiopatica giovanile (Buatois et al. e Bracaglia et al., 2017). Da qui il razionale di utilizzo di una terapia che blocchi selettivamente l attività dell IFNγ. Sono attualmente ancora in corso trial clinici con l anticorpo monoclonale anti-ifnγ (emapalumab, ovvero NI-0501) in pazienti con forme familiari recidivanti di. Bracaglia et al. ne riportano l efficacia in un lattante, portatore della mutazione patogenetica a carico del gene NLRC4 (NLR family CARD domain containing 4), il cui difetto è associato a sindrome auto-infiammatoria con enterocolite a esordio infantile, e nel cui caso indice è esordito con severa recidivante. Altri approcci terapeutici si basano su anticorpi che neutralizzano altre citochine coinvolte nel meccanismo di malattia. L interleuchina-18 è prodotta in elevate quantità in pazienti con e svolge un effetto stimolatorio sulla produzione di IFNγ e TNFα. Inoltre, IL-18 e TNFα sono inibitori dell attività citotossica delle cellule NK. A oggi si sono ottenuti risultati contrastanti utilizzando anticorpi/proteine anti-tnfα, quali etanercept, infliximab, o adalimumab, in pazienti con. In un caso, si è osservata efficacia della terapia anti-tnfα in un paziente con sindrome XLP (Mischler et al., 2007), mentre l inibitore ricombinante di IL-18 (IL-18BP) è stato utilizzato in pazienti con autoimmunità, ma in nessun caso di. Da ultimo, anche i trattamenti con anti- IL-6 (tocilizumab) o anti-il1 hanno dato risultati contrastanti in pazienti con MAS (Brisse et al., 2015). Nelle condizioni di linfoproliferazione EBV-dipendente è largamente utilizzato l anticorpo anti-cd20 rituximab, anticorpo monoclonale in grado di indurre deplezione delle cellule B, ove l EBV permane latente. Pertanto, rituximab è indicato in pazienti con disordini B-linfoproliferativi EBV-associati, ed è utilizzato in associazione ai regimi terapeutici attuali (steroidi, etoposide e/o ciclosporina) per trattare pazienti con EBV-, con efficacia in termini di riduzione della carica virale, e dei livelli sierici di ferritina, correntemente utilizzato come marcatore di severità di malattia. In queste stesse condizioni è anche usato l alemtuzumab (Campath-1H): si tratta di un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro l antigene CD52, proteina di superficie dei linfociti, incluse cellule T, NK e B, così come monociti, macrofagi e cellule dendritiche. È indicato nel trattamento della leucemia linfocitica cronica a cellule B (B-LLC), e utilizzato nel linfoma non Hodgkin, nei regimi di condizionamento a ridotta intensità, nel trapianto di cellule staminali ematopoietiche, nel trapianto renale, e anche nella sclerosi multipla. L attività terapeutica consiste nella deplezione delle cellule linfocitarie che esprimono CD52, e dato il ruolo eziopatogenetico dell espansione linfocitaria nella, tale farmaco è stato utilizzato in pazienti adulti e pediatrici affetti da forme refrattarie e, nonostante risposte incomplete e tossicità in termini di infezione virale (CMV, adenovirus), sembra rappresentare un trattamento di salvataggio utile per portare i pazienti al trapianto di cellule staminali ematopoietiche (Marsh et al., 2013). Un trattamento promettente è infine rappresentato da ruxolitinib, un inibitore di Janus chinasi (JAK 1/2), sviluppato come agente immunosoppressivo e attualmente approvato per i disordini mieloproliferativi: nel modello murino l inibitore, che sopprime l asse JAK1/STAT1 blocca le manifestazioni di (Maschalidi et al., 2016). Studi recenti hanno anche messo in evidenza l efficacia di ruxolitinib in modelli murini di primaria e secondaria, dimostrando come l inibitore di JAK determini una buona riduzione in termini di splenomegalia, e della secrezione di citochine pro-infiammatorie, suggerendone un suo possibile impiego in questa condizione clinica (Albeituni et al., abstract ESID 2017). Pertanto, si può ritenere che l introduzione nell uso clinico di nuovi farmaci come l anti-ifn-gamma emapalumab o degli inibitori della trasduzione del segnale delle stesse citochine, come il ruxolitinib, che agiscono sul meccanismo patogenetico della sindrome e potranno migliorare la prognosi di questa forma di immunodeficienza primitiva. Conclusioni La persistenza dell infezione da EBV, in associazione alla persistenza di segni clinici quali epatosplenomegalia, febbre o citopenia, è suggestiva di possibile immunodeficienza primitiva (Fig. 2). Analisi di primo livello sono rappresentate dallo studio dell immunofenotipo (comprensivo dei subset T e B di memoria e delle cellule T γ/δ, α/β e doppie negative) e dal dosaggio delle immunoglobuline sieriche e della risposta anticorpale. La diagnostica specialistica comprende lo studio del repertorio del T Cell Receptor dei linfociti T, l analisi della proliferazione in risposta ai mitogeni, i saggi di citotossicità delle cellule Natural Killer, l analisi del burst ossidativo, i test di radiosensibilità, lo studio dell espressione proteica per le proteine perforina, MUNC, sintassina, WASp, SAP, XIAP, ITK. Il monitoraggio della carica virale sembra avere un significativo valore prognostico positivo per lo sviluppo di disordine EBV-correlato, anche se non sono disponibili livelli soglia di riferimento per le diverse condizioni cliniche associate a infezione da EBV. Infine, le indagini genetiche possono avvalersi del sequenziamento di un gene candidato per una data immunodeficienza predisponente all infezione da EBV mediante tecnica Sanger o, alternativamente, delle nuove metodiche di Next Generation Sequencing. 240

Immunodeficienze primitive e suscettibilità all infezione da EBV Figura 2. Flow-chart diagnostico dell infezione da EBV. Box di orientamento Cosa sapevamo prima L infezione da virus di Epstein-Barr ha un elevata prevalenza nella popolazione generale, decorre asintomatica nella maggior parte dei soggetti; nell adolescente/giovane adulto causa la mononucleosi infettiva, permane latente per tutta la vita, e solo raramente è causa di linfoproliferazione con possibile degenerazione in forme tumorali (linfomi). Cosa sappiamo adesso Le continue scoperte nel settore dell immunologia permettono di conoscere sempre meglio i meccanismi coinvolti nella risposta dell ospite all infezione; in particolare il ruolo chiave che rivestono alcuni tipi cellulari (cellule NK e T citotossiche) e gli innumerevoli progressi della genetica medica hanno consentito di identificare quali difetti congeniti predispongano alle forme severe di infezione che portano allo sviluppo di linfoistiocitosi emofagocitica e/o degenerazione maligna. Quali ricadute sulla pratica clinica L infezione da EBV deve essere monitorata nelle forme sintomatiche. A fronte di un infezione severa da EBV, il pediatra ospedaliero e di famiglia devono sospettare una forma primitiva o secondaria di immunodeficienza primitiva e inviare il paziente tempestivamente a un centro di riferimento specialistico. La diagnosi precoce di immunodeficienza è fondamentale al fine di attuare le adeguate raccomandazioni terapeutiche e prevenire lo sviluppo di complicanze fatali. La linfoistiocitosi emofagocitica rappresenta una condizione morbosa sistemica di estrema severità e richiede l applicazione precoce del protocollo terapeutico, nonché la presa in carico da parte di un team multidisciplinare esperto, anche al fine di valutare l indicazione all utilizzo di nuove strategie terapeutiche. 241

L. Dotta, R. Badolato Bibliografia Alkhairy OK, Perez-Becker R, Driessen GJ, et al. Novel mutations in TNFRSF7/ CD27/: clinical, immunological, and genetic characterization of human CD27 deficiency. J Allergy Clin Immunol 2015;136:703-12. Azzi T, Lünemann A, Murer A, et al. Role for early-differentiated natural killer cells in infectious mononucleosis. Blood 2014;124:2533-43. Balfour HH, Odumade OA, Schmeling DO, et al. Behavioral, virologic, and immunologic factors associated with acquisition and severity of primary Epstein-Barr virus infection in university students. J Infect Dis 2013;207:80-8. ** Lavoro che tratta in modo esaustivo l interazione virus-ospite immunocompetente. Bracaglia C, Gatto A, Pardeo M, et al. Anti interferon-gamma (IFNγ) monoclonal antibody treatment in a patient carrying an NLRC4 mutation and severe hemophagocytic lymphohistiocytosis. Ped Rheumatol 2015;13:O68. Bracagllia C, de Graaf K, Pires Marafon D, et al. Elevated circulating levels of interferon-γ and interferon-γ induced chemokines characterize patients with macrophage activation syndrome complicating systemic juvenile idiopathic arthritis. Ann Rheum Dis 2017;76:166-72. Brisse E, Wouters CH, Matthys P. Hemophagocytic lymphohistiocytosis (): a heterogeneous spectrum of cytokinedriven immune disorders. Cytokine Growth Factor Rev 2015;26:263-80. ** Esaustiva revisione dei meccanismi patogenetici della linfoistiocitosi emofagocitica e delle potenziali strategie terapeutiche. Buatois V, Chatel L, Cons L, et al. Use of a mouse model to identify a blood biomarker for IFNγ activity in pediatric secondary hemophagocytic lymphohistiocytosis. Transl Res 2017;180:37-52. Chellapandian D, Das R, Zelley K, et al. Treatment of Epstein-Barr virus-induced hemophagocytic lymphohistiocytosis with rituximab-containing chemo-immunotherapeutic regimens. Br J Haematol 2013;162:276-82. Coulter TI, Chandra A, Bacon CM, et al. Clinical spectrum and features of activated phosphoinositide 3-kinase δ syndrome: a large patient cohort study. J All Clin Immunol 2017;139:597-606. Dunmire SK, Hogquist KA, Balfour HH. Infectious mononucleosis. Curr Top Microbiol Immunol 2015;390:211-40. ** Revisione di patogenesi, clinica e terapia della mononucleosi infettiva. Ghosh S, Bienemann K, Boztug K, et al. Interleukin-2-inducible T-cell kinase (ITK) deficiency clinical and molecular aspects. J Clin Immunol 2014;34:892-9. Horne A, Wickstrom R, Jordan MB, et al. How to treat involvement of the Central Nervous System in hemophagocytic lymphohistiocytosis. Curr Treat Opyions Neurol 2017:19:3. * Utile lavoro che discute le manifestazioni neurologiche in corso di e le relative strategie terapeutiche. Marsh RA, Allen CE, McClain KL, et al. Salvage therapy of refractory hemophagocytic lymphohistiocytosis with alemtuzumab. Pediatr Blood Cancer 2013;60-101-9. Maschalidi S, Sepulveda FE, Garrigue A, et al. Therapeutic effect of JAK1/2 blockade on the manifestation of hemophagocytic lymphohistiocytosis in mice. Blood 2016;128:60-71. Mischler M, Fleming GM, Shanley TP, et al. Epstein-Barr virus-induced hemophagocytic lymphohistiocytosis and X-linked lymphoproliferative disease: a mimicker of sepsis in the pediatric intensive care unit. Pediatrics 2007;119:1212-8. O Reilly RJ, Prockop S, Hasan AN, et al. Virus-specific T-cell banks for off the shelf adoptive therapy of refractory infections. Bone Marrow Transpl 2016;51:1163-72. * Lavoro che illustra le potenzialità dell immunoterapia cellulare. Sawada A, Inoue M, Kawa K. How we treat chronic active Epstein-Barr virus infection. Int J Hematol 2017;105:406-18. * Lavoro che tratta le indicazioni terapeutiche di caebv in difficili ed esemplificativi casi, revisionando un ulteriore ampia casistica. Shabani M, Nicjols KE, Razaei N. Primary immunodeficiencies associated with EBV-induced lymphoprolipherative disorders. Crit Rev Oncol Hematol 2016;108:109-27. ** Lavoro che fornisce una revisione dettagliata dei casi riportati in letteratura di disordini linfoproliferativi associati a EBV in pazienti con immunodeficienza primitiva. Taylor GS, Long HM, Brooks JM, et al. The immunology of Epstein-Barr virusinduced disease. Annu Rev Immunol 2015;33:787-821. ** Review che descrive la risposta immunitaria all EBV. Worth AJJ, Houldcroft CJ, Booth C. Severe Epstein-Barr virus infection in primary immunodeficiency and the normal host. Br J Haematol 2016;175:559-76. ** Review che descrive le sindromi cliniche associate a infezioni severe e atipiche da EBV. Corrispondenza Raffaele Badolato Clinica Pediatrica, ASST - Spedali Civili, piazzale Spedali Civili 1, 25123 Brescia - E-mail: raffaele.badolato@unibs.it 242