LEZIONE VENERDI 11/05/2018
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- Gabriella Spina
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1 LEZIONE VENERDI 11/05/2018 Riprendiamo l esercitazione vista la scorsa lezione, nella quale abbiamo studiato, usando Mentat, la meshatura automatica di un quarto di biella, pistone e spinotto. Prima di andare a definire i carichi, i vincoli e le condizioni al contorno, bisogna impostare il problema di contatto, in modo tale da istruire il solutore fornendogli tutte le informazioni possibili. In questo specifico caso ci sono 2 interfacce che devono essere gestite: Interfaccia tra lo spinotto e la biella; Interfaccia tra lo spinotto ed il pistone. Dovremo quindi definire le interfaccia di contatto e settarle opportunamente. Prima di cominciare ad analizzare i parametri ed i dettagli di impostazione di un problema di contatto, bisogna definire cosa comporta inserire all interno di un modello agli elementi finiti tale problema e per quale motivo esso complica decisamente, dal punto di vista numerico, il modello. Una volta definito ed assemblato un problema agli elementi finiti, numericamente parlando, risulta abbastanza semplice; si tratta in pratica di risolvere un banale sistema di equazioni algebriche, dove: Il vettore dei termini noti è rappresentato dalle le condizioni al contorno, cioè i carichi (o forze nodali) ed i vincoli; Le incognite sono i gradi di libertà, cioè gli spostamenti nodali; Il vettore dei termini noti ed il vettore delle incognite sono messi in relazione dalla matrice di rigidezza, ovvero una matrice di coefficienti che lega le forze agli spostamenti in una, due o tre dimensioni (a seconda del tipo di modello che stiamo analizzando). La matrice di rigidezza al suo interno ha due contributi: uno legato alla posizione dei nodi, cioè in maniera intrinseca legato alla geometria del singolo elemento, che poi una volta assemblato costituisce la geometria dell intera struttura; uno riferito al materiale che costituisce il singolo elemento. Quindi per calcolare la matrice di rigidezza di un singolo elemento che va a comporre la struttura in esame, bisogna assolutamente conoscere geometria e materiale. Costruire un modello agli elementi finiti significa pertanto: scegliere il materiare e geometria dei corpi studiati, meshare opportunamente, definire i carichi e i vincoli e infine cercare la soluzione in termini di spostamento. Noi costruiamo il modello e il codice assembla la matrice di rigidezza al vettore dei termini noti e ne trova la soluzione. Come si trova questa soluzione? Dipende se il modello, cioè il sistema di equazioni algebriche che noi andiamo ad assemblare, è lineare oppure no. Il modello caratterizzato da un sistema lineare, è il problema più semplice che possiamo incontrare, poiché in questo caso i coefficienti della matrice di rigidezza sono costanti, cioè non dipendono dalla soluzione (gli
2 spostamenti). Se vogliamo fare un esempio, il modello agli elementi finiti può essere pensato come il problema di una molla in più dimensioni: F=k*x x=f/k La costante elastica della molla k, dipende della geometria della molla (diametro del filo e numero di spire) e dal materiale dalla quale viene ricavata. In questo caso abbiamo un solo grado di libertà lungo lo spostamento x. Come possiamo notare F ed x sono legate in modo lineare dal coefficiente k che è costante per tutta la fase di compressione. Se ora consideriamo una molla a passo variabile le cose si complicano. In questo caso infatti essa è caratterizzate da un coefficiente di rigidezza non lineare. Quando viene schiacciata, gli avvolgimenti caratterizzati da un passo più fine andranno a pacco prima rispetto a quella a passo più rado; ciò significa che quando schiaccio avrò una certa rigidezza. Non appena parte delle spire vanno a pacco la rigidezza della molla varia, quindi abbiamo una caratteristica non lineare.
3 Per il primo tratto il risultato ottenuto è lineare, successivamente non sarà più corretto poiché si è mandato a pacco parte della molla e quindi la caratteristica k non sarà più quella di prima, ma cambierà pendenza. Quindi con un metodo iterativo bisognerebbe aggiornare costantemente il risultato; si parte con un primo valore di k, quindi trovo un delta, e cosi via finché non si arriva a convergenza. Il metodo più usato è il metodo di Newton-Rapson, il quale ci aiuta nell aggiornamento dei coefficienti della matrice di rigidezza k, funzione dell incognita, al fine di raggiungere la convergenza di un modello non lineare. F = k x F = k(x) x k(x) ci costringe ad iterare la soluzione fino a convergenza, perché la matrice k non è costante. I codici Mark così come Abacus ed Ansys, nella risoluzione del problema agli elementi finiti, qualora quest ultimo risultasse non lineare, usano il metodo di Newton-Rapson. Da un punto di vista strutturale è facile che il problema che noi andiamo a studiare risulti non lineare nella quasi totalità dei casi. Abbiamo unicamente 3 motivi per cui un problema strutturale deve essere definito da un modello agli elementi finiti non lineare: tutte le volte che dobbiamo risolvere un problema di contatto; tutte le volte che il comportamento del materiale con cui è fatto il nostro componente supera il limite di elasticità e comincia a lavorare in campo plastico (non ho più linearità tra le tensioni e le deformazioni); tutte le volte che voglio considerare le non linearità geometriche, cioè in caso di grandi spostamenti o grandi deformazioni. Se ho un solutore lineare ma il modello agli elementi finiti è non lineare, ma voglio calcolarmi un risultato di primo tentativo, devo inserire delle semplificazioni al modello in modo tale da eliminare le cause di non linearità. Ovviamente il risultato sarà affetto da errore, ma a volte è un compromesso accettabile per semplificare enormemente i calcoli. Questo perché i problemi lineari hanno 2 proprietà fondamentali: Proporzione diretta tra termine noto ed incognite. La soluzione non è dipendente dal valore assoluto dei carichi esterni, ma dipende solo dalla tipologia di carico e di vincolo. Quindi se ho un modello in cui vengono applicate delle forze di 178N, e poi altri di 48N, 1478N. mi basta fare un modello con una forza di 1N e moltiplicare la soluzione per 178, 48, 1478 non dovendo fare così infiniti modelli. Con un unico modello posso studiare infiniti casi. Principio di sovrapposizione degli effetti, valido tutte le volte che si studia un modello lineare. Quindi se ho un modello con 6 forze, non devo applicare contemporaneamente tutte e 6 le forze, ma mi basterà applicare una alla volta le forze, trovare ogni singola soluzione ed infine sommare le soluzioni ottenute.
4 In base alle combinazioni dei possibili carichi agenti ed alla variazione in modulo delle loro intensità (proporzione diretta tra termine noto ed incognite) possiamo andare a definire un numero infinito di casi di studio. Giunti a questo punto, possiamo eliminare le semplificazioni, inserendo uno alla volta le condizioni di non linearità, così da ottenere un modello il più possibile attendibile alla realtà Facciamo ora un esempio pratico di problema di contatto. Si supponga che nello stato di quiete la trave non tocchi il carrello posizionato in A. Trattasi pertanto del caso di una isostatica dunque un problema lineare. Una volta determinato lo spostamento sotto il carico P andiamo a calcolare anche quello in A. Verifichiamo che δ_a g. Qualora risultasse δ_a g, il problema risulterebbe non lineare, poiché si dovrebbe necessariamente prendere in considerazione il carrello in A, rendendo così la trave iperstatica. La rigidezza della struttura k diventa ora funzione di g, o meglio funzione dello spostamento del punto A. Se si utilizzano metodi agli elementi finiti, essi danno una ricostruzione artificiale degli spostamenti globali conoscendo gli spostamenti locali dei singoli nodi. Partendo dalla conoscenza degli spostamenti in due generici nodi, possiamo tramite interpolazione lineare delle funzioni di forza trovare le soluzioni nei punti di mezzeria e in qualsiasi altro punto compreso fra i due nodi considerati. Sarà commesso però un errore non trascurabile che dipende dalla funzione di forma usata. Il grado della funzione di forma utilizzata dipende dal numero di nodi. Infatti, il grado viene determinato come n.di nodi*gdl di ogni singolo nodo; questo è il limite principale dei metodi agli elementi finiti. Più il grado della funzione di forma è alto, meglio verrà rappresentata la realtà fisica del modello. Il caso peggiore infatti si verifica qualora la meshatura degli elementi risulta triangolare piana in quanto in questo caso il grado della funzione di forma sarà pari a 3 nodi per due gdl. Alla fine, noti gli spostamenti, si procede al calcolo delle loro derivate per ricavare le rispettive deformazioni, dalle quali dipendono le tensioni (moltiplicate in seguito per i corrispettivi coefficienti di sicurezza). Essendo le deformazioni le derivate degli spostamenti, non è possibile accontentarsi di una soluzione discreta in quanto, affinchè le derivate da effettuare siano univocamente definite, le funzioni degli spostamenti devono necessariamente essere continue e non definite per punti; questo e il limite dei metodi agli elementi finiti. La relazione generale fra spostamenti e deformazioni è la seguente:
5 ε = [B] δ La matrice B contiene informazioni sulle posizioni nodali legate agli spostamenti (in poche parole definisce la geometria del modello analizzato, conglobando anche eventuali non linearità). Nel caso piano le uniche deformazioni utili per i nostri scopi sono le seguenti: ε x = δu δx ε y = δv δx γ xy = δu δy + δv δx Una volta note le deformazioni, si procede al calcolo delle tensioni usando la relazione: σ = [D] ε = [D] [B] δ Per il calcolo della matrice di rigidezza k si utilizza il principio dei lavori virtuali, ovvero ponendo in eguaglianza il lavoro delle forze esterne con quello delle interne; ciò significa mettere in relazione carichi esterni e rispettivi spostamenti con tensioni e deformazioni, ovvero: F x = σ ε da = ( [B] T [D] [B] da) δ Qualora ci fossero dei casi di non linearità di materiale e non linearità geometrica: B è funzione di δ ; D è funzione di δ ; B e D sono entrambe Funzione di δ. Un esempio è il calcolo delle deformazioni della seguente trave:
6 ε = δ 1 1 = δ x 1 x 2 x 1 x 1 = [B] δ 1 2 Si verificano non linearità geometriche anche nei seguenti casi: Grandi deformazioni, ovvero la forma del componente è sensibilmente diversa in configurazione deformata rispetto a quella iniziale (non deformata); Grandi spostamenti. Nella maggior parte dei casi studiati finora si sono supposte delle rotazioni infinitesime. Questa ipotesi permetteva di approssimare In questi casi i calcoli sulla struttura verranno effettuati nella sua configurazione deformata. I contributi della geometria vengono espressi dalla matrice B. Ad esempio si analizzi il caso non lineare della seguente trave a sbalzo caricata in mezzeria: La tensione massima nel punto B vale: σ MAXB = P l 2 W = M fl J y MAX Dove: M fl è il momento flettente, J è il momento di inerzia, y MAX è la distanza massima di una fibra dall asse neutro. L applicazione del carico P sulla trave determina una deformazione della trave stessa; tale deformazione comporta pertanto una variazione in funzione di δ del braccio l. 2
7 σ MAXB = P l 2 (δ) W = M fl J y MAX Nei software agli elementi finiti il più grande problema nel caso del contatto fra due corpi sta nel fatto che, dovendo svolgere i calcoli basandosi su una matrice di rigidezza globale ricavabile a partire dalle singole matrici di rigidezze locali riferite ai vari nodi, potrebbe capitare che all interfaccia di contatto fra due corpi, le matrici k corrispondenti a due nodi che poi saranno uniti nel contatto siano diverse. Un esempio di calcolo di rigidezza globale in caso di contatto fra una sfera ed una superficie piana, è il seguente: Data la meshatura in figura, il nodo B sente il contributo dei soli 3 elementi che hanno in comune il nodo stesso. Una volta messi a contatto i due corpi, il nodo B dovrà coincidere col nodo A. In questo caso gli elementi che contribuiranno al calcolo della matrice di rigidezza diventano 6. Stesso discorso per le altre combinazioni di nodi sulle due superfici di contatto.
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