SYNERGIA Sistemi di conoscenza e di gestione del cambiamento
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- Eugenio Di Giacomo
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1 SYNERGIA Sistemi di conoscenza e di gestione del cambiamento AFRICA A MILANO Famiglie, ambienti e lavori della popolazione africana a Scheda di focus Indagine Promossa dal Comune di, Settore Servizi Sociali per Adulti, Ufficio Stranieri e AIM Associazione Interessi Metropolitani. Lo studio è stato realizzato da Synergia, a cura di Daniele Cologna, Lorenzo Breveglieri, Elena Granata e Christian Novak., SYNERGIA srl (20124) - Via mauro Macchi, 44 Tel Fax synergia@synergia-net.it C.F. e P.IVA
2 Le popolazioni africane a Lo studio qui proposto è dedicato alla presenza delle popolazioni africane più rilevanti a alla fine degli anni 90, sia dal punto di vista strettamente quantitativo, sia sotto il profilo della tradizione migratoria. Nella tabella 1 riportiamo alcune informazioni sui residenti a provenienti dai paesi dell Africa su cui si è concentrata l indagine. Tab. 1 Gli immigrati provenienti da alcuni paesi africani, residenti nel Comune di e nella Provincia di al 31/12/1998 e ripartizione per sesso. Valori assoluti e percentuali. Residenti a Residenti in altri comuni della Provincia di Maschi Femmine Paese di Provenienza N % N % N % N % Egitto , , , ,9 Marocco , , , ,7 Etiopia/Eritrea , , , ,9 Senegal , , , ,3 Tunisia , , , ,0 Somalia , , , ,3 Mauritius , ,1 * * * * Algeria , , , ,8 Totale , ,4 * * * * * dato non disponibile Fonte: Uffici anagrafe dei Comuni della Provincia di Gli Egiziani L incremento più vistoso della presenza egiziana in Italia lo si ha tra il 1989 e il 1990, quando la legge Martelli, oltre a far emergere un vasto sommerso di immigrazione egiziana irregolare già presente sul territorio, richiama un gran numero di nuovi immigrati. L immigrazione egiziana a presenta in quegli anni un profilo occupazionale relativamente variegato: oltre ad una presenza diffusa nel settore edile e metalmeccanico, sono presenti sia come lavoratori subordinati sia come imprenditori nella ristorazione (il settore di maggiore inserimento) e nei servizi di pulizia e manutenzione. Nel caso egiziano si ha a che fare con catene migratorie radicate in reticoli familiari molto fitti, grazie ai quali il nuovo arrivato può generalmente beneficiare delle risorse economiche, sociali e culturali acquisite dalla sua rete parentale. La tendenza di una parte di popolazione egiziana è quella di non destinare più i capitali acquisiti ad investimenti o consumi personali e/o familiari nel paese di origine, ma ad un loro reinvestimento in Italia destinato a rinsaldare la struttura di opportunità che possono mettere a disposizione del proprio gruppo parentale o amicale. Per molti immigrati all inizio della propria carriera migratoria, giunti a all inizio degli anni 90, permane invece forte la speranza di un eventuale ritorno in patria, spesso coltivata per anni anche dopo il ricongiungimento familiare. Meta precipua di queste persone è dunque il collocamento in attività lavorative che consentano di accumulare capitali in pochi anni all interno di una logica di drastica compressione dei propri consumi al fine di poter poi investire in patria quanto risparmiato. I Marocchini, i Tunisini, gli Algerini A partire dai primi insediamenti di cittadini marocchini a negli anni 70, ancora nel 1998 l immigrato marocchino medio è tendenzialmente un uomo di età compresa tra i 25 e i 64 anni, con un picco nella fascia tra i 30 e i 34 anni. Le donne, il cui numero è in progressivo aumento, sono ancora una componente minoritaria dell immigrazione marocchina, mentre il dato nuovo è costituito dalla percentuale dei bambini sotto i 14 anni (10% della popolazione). La lenta ma 2
3 progressiva autonomia economica delle donne altera i rapporti di forza all interno della coppia in emigrazione, mentre il processo di inserimento in un contesto culturale nuovo comporta una delicata rinegoziazione dei rapporti familiari e una rivisitazione dei valori tradizionali, con esiti spesso diversi a seconda delle diverse situazioni. Rispetto ai minori, con l aumento dei ricongiungimenti familiari è facile prevedere un continuo incremento della presenza nelle scuole, dove già costituiscono la maggioranza assoluta degli alunni di origine africana e circa il 10% del totale degli alunni stranieri. I primi tunisini ad insediarsi a nella seconda metà degli anni 70 sono soprattutto lavoratori che, in conseguenza delle nuove misure di restrizione dell impiego di manodopera straniera adottate nell Europa Centro-Settentrionale, decidono di ripiegare verso l Italia. Rispetto ai marocchini, i tunisini avrebbero conservato anche negli anni successivi tassi di irregolarità più elevati. Essi sono in prevalenza maschi, di età mediamente compresa tra i 30 e i 40 anni e lavorano principalmente nell edilizia e nella piccola-media industria, spesso con mansioni e retribuzioni di livello medio-basso. Il fatto che vi sia una minore propensione all inserimento stabile e una rapida omologazione ai modelli acquisitivi dominanti potrebbe forse contribuire a spiegare gli alti tassi di irregolarità e in parte spiegare la stigmatizzazione sociale del giovane tunisino come soggetto a forte rischio di devianza 1. Un discorso analogo può essere fatto per gli algerini, forse il gruppo di immigrati maghrebini più fortemente marginalizzato a, caratterizzato soprattutto dalla prevalenza del progetto migratorio avventuriero e consumista : giovani originari delle maggiori città della costa (Algeri, Orano, Annaba), attratti dalle luci delle città europee, dai costumi sociali più liberi, dalla prospettiva di potersi permettere qui oggetti di consumo totalmente fuori dalla loro portata in patria. Tra le popolazioni immigrate originarie del Maghreb presenti a, quella algerina è quella che attualmente presenta la più piccola percentuale di donne immigrate, l età media più bassa, la minore propensione all insediamento stabile. Gli Eritrei, gli Etiopi e i Somali Con la guerra in Eritrea ed Etiopia degli anni 70 l emigrazione diventa spesso la scelta obbligata per tutti coloro che vogliono assicurare alla propria famiglia un sostentamento mentre altri familiari entrano nei ranghi di combattenti. Gli uomini in genere restano in patria a combattere e l inserimento lavorativo in Italia per le donne resta per la maggior parte quello del lavoro domestico alle dipendenze delle famiglie italiane, generalmente vivendo in casa delle famiglie stesse all inizio, quindi in affitto per conto proprio, magari in condivisione. Quando nel 1991 il regime viene sconfitto per le migliaia di eritrei ed etiopi in Italia è un momento di grande gioia e comunione: negli anni successivi, molti eritrei torneranno in patria, in visita, per acquistarvi casa, aprire un attività o anche per ristabilirvi stabilmente 2. Per i cittadini somali, l Italia è una destinazione ambita soprattutto per quelle famiglie di Mogadishu che hanno già parenti all estero o hanno lavorato per gli italiani in Somalia: le donne che emigrano per fare le collaboratrici domestiche diventano così la primaria fonte di risorse per la sopravvivenza di interi gruppi familiari. Per coloro che si stabiliscono in Italia, la permanenza si configura spesso 1 Reyneri E., Travaglini D. (a cura di) (1991), Culture e progetti migratori dei lavoratori africani a,, Ires Lombardia. 2 Il successivo scoppio del conflitto tra Eritrea ed Etiopia è stato un colpo durissimo per entrambe le comunità, che avevano avuto modo di assaporare, per la prima volta in 30 anni, qualche anno di pace vera. 3
4 come una tappa intermedia di un percorso che mira a destinazioni migliori, ma dopo il collasso delle istituzioni del paese dei primi anni 90, dalla Somalia si fugge ormai disordinatamente, in qualunque modo: i contatti italiani diventano indispensabili, sono una rara garanzia di sopravvivenza. Benché la solidarietà tra gli emigrati somali sembri piuttosto forte, le circostanze dell inserimento lavorativo si sono fatte più travagliate, mentre il problema dell alloggio è particolarmente acuto. Tra coloro che decidono di restare in Italia prevalgono le donne sole, spesso con figli a carico. I Senegalesi L avvio di un flusso migratorio senegalese risale all inizio degli anni 80 e da allora il profilo demografico non ha subito grosse variazioni: la componente femminile rimane nettamente minoritaria, a conferma del fatto che per molti giovani senegalesi l emigrazione resta una condizione temporanea, spesso con una forte connotazione stagionale-pendolare, mentre il ricongiungimento familiare e l insediamento stabile restano prospettive limitate alla minoranza di intellettuali, degli studenti e degli uomini d affari di origine metropolitana. Spesso, chi parte dalle zone rurali è già sposato, mentre uno dei primi investimenti una volta messo da parte un primo capitale e consolidato il proprio status economico è il matrimonio nel paese d origine. Del resto, la logica di compressione dei bisogni, che porta molti senegalesi a condurre esistenze frugalissime e a vivere in alloggi precari e sovraffollati ha senso e risulta, in ultima istanza realmente gratificante solo se la permanenza in Italia resta temporanea e se i capitali risparmiati vengono investiti in Senegal. D estate, molti si dirigono verso le spiagge della riviera romagnola e della Versilia. Talvolta, la vendita ambulante è perfino preferita ad impieghi stabili come lavoratori dipendenti, nonostante la sua elevata precarietà. L imprenditoria africana a In termini assoluti, l imprenditoria degli immigrati africani a è dominata dagli egiziani (1116 imprese), seguiti dai marocchini (215 imprese) e quindi da tunisini, senegalesi, eritrei/etiopi, somali. Le imprese egiziane sono anche quelle che mostrano il massimo grado di diversificazione, ma rispetto al tasso di microimprenditorialità 3 il primato spetta ai tunisini (13,3%), seguiti dagli egiziani (6,8%), dai Senegalesi (6,0%), dagli eritrei/etiopi (6,0%), dai marocchini (4,3%) e dai somali (3,9%). Tuttavia, mettersi in proprio non vuol dire la stessa cosa per tutti e non tutti arrivano a creare un impresa allo stesso modo e con le stesse finalità. A grandi linee, è possibile individuare cinque tipologie fondamentali: Il piccolo commerciante al dettaglio che passa dalla vendita ambulante abusiva al commercio ambulante a posteggio fisso nei mercati; Il commerciante all ingrosso spesso arrivato all import-export dopo un periodo di tirocinio nella vendita ambulante; L imprenditore etnico o esotico che apre un ristorante, una macelleria, un bar o un negozio rivolto a una clientela in tutto o in parte costituita dai propri connazionali, avvalendosi di dipendenti suoi connazionali e rifornendosi presso ditte marocchine in Italia, in Europa o in patria; L impresa individuale o la piccola cooperativa edile nata come emanazione di un apprendistato più o meno lungo come operaio generico o specializzato alle dipendenze di un italiano, oppure realizzata grazie all assegnazione di finanziamenti pubblici; L impresa individuale o la piccola cooperativa di servizi (trasporti, interpretariato, 3 Calcolato rapportando il numero di ditte individuali al numero degli immigrati residenti. 4
5 pulizie, ecc.) magari creata in seguito ad un lungo periodo di lavoro dipendente contraddistinto da un elevato auto sfruttamento, comprimendo al massimo bisogni e spese privati al fine di mettere insieme il capitale necessario allo start-up dell azienda. Gli unici immigrati africani per i quali si osserva in quegli anni una certa propensione all investimento in attività imprenditoriali di rilievo nel contesto milanese sono quelli che esprimono anche il maggior radicamento: egiziani, eritrei ed etiopi. Tutte e tre queste popolazioni registrano tassi elevati di ricongiungimento familiare, contano una seconda e spesso una terza generazione e in particolare nel caso degli egiziani hanno molti figli che nascono e crescono in Italia. Non stupisce, dunque, che per queste popolazioni il peso di attività commerciali impegnative, come i ristoranti, i bar, le ditte di import-export sia maggiore. Potenzialità e snodi critici per le politiche urbane e sociali Rispetto alla possibilità di migliorare l accesso degli immigrati al sistema dei servizi sociali e sanitari in quell arco di anni, vanno fatte due considerazioni importanti: L unico obiettivo fino ad allora perseguito nell esperienza italiana è stato quello di sviluppare nei servizi una capacità di ascolto e dialogo con gli immigrati basata sull abbattimento delle barriere linguistiche e culturali, ma restando ancorati ad un contesto interpretativo calibrato su bisogni degli autoctoni Nelle popolazioni immigrate c è un interazione con il contesto sociale che genera un doppio effetto: si è infatti valutato un progressivo avvicinamento ai modelli culturali e sociali italiani, ma vi è anche una progressiva riproduzione nel contesto di insediamento di alcuni aspetti e caratteristiche della propria identità culturale e dei propri modelli sociali. I servizi erano dunque chiamati saper rispondere ad esigenze a volte nuove, altre, rispetto ai contenuti dell offerta strutturata. Perché ciò avvenga, sarà quindi indispensabile aprire l organizzazione dei servizi a contenuti nuovi e nuove modalità di fruizione che tengano conto delle specificità, delle problematiche e delle caratteristiche delle nuove popolazioni immigrate. In particolare, è alle donne immigrate che dovevano rivolgersi le politiche di intervento a sostegno dell integrazione, per assicurarsi il successo. Ciò implicava uno sforzo conoscitivo e formativo in primo luogo da parte degli operatori socio-sanitari: garantire loro l appoggio di interpreti e mediatori culturali risultava fondamentale, ma era importante comprendere che è la cultura generale dell organizzazione dei servizi a dover essere ricalibrata rispetto ai nuovi utenti e ai nuovi bisogni su cui si deve misurare. I quartieri etnicamente connotati, con la loro economia etnica in consolidamento e la funzione crescente di poli di servizi per comunità immigrate a scala sovracomunale; i quartieri dell edilizia popolare, connotati non solo da concentrazione residenziale, ma anche da reti di economie multietniche strutturate; i piccoli nuclei in evoluzione, a carattere prettamente economico: tutti questi luoghi del radicamento risultavano già in quegli anni connotati come fenomeni urbani non passeggeri, ma sempre più solidi e strutturati. Le politiche urbane erano chiamate ad iniziare a riconoscere le specificità di questi luoghi, tenendo presente che gli immigrati non sono abitanti speciali, abitanti con un impermanenza individuale, ma con una permanenza di gruppo 4. Il suq improvvisato del commercio ambulante; l uso intenso degli spazi pubblici; i crocicchi dove gruppi di persone stazionano nelle strade; le piazze cittadine elette a spazio del sacro e del rito per manifestazioni religiose della comunità islamica: i luoghi della temporaneità 4 La Cecla F. (1997), Il malinteso. Antropologia dell incontro, Bologna, Il Mulino. 5
6 costituiscono le forme più leggere di appropriazione dello spazio, ma anche le forme che meglio testimoniano la vita di una città. La recinzione di giardini e parchi urbani, la repressione dell ambulantato contraggono gli spazi di vita degli abitanti, qualunque sia la loro origine, mentre situazioni complesse e a rischio di conflitti dovrebbero essere affrontate aumentando il carattere di flessibilità, di comprensione e di assorbimento delle diversità da parte del modello urbano, aumentando i varchi e la permeabilità del tessuto della città 5. Il problema abitativo dei cittadini, emerso in generale per tutte le popolazioni originarie dell Africa (ma per marocchini e tunisini in maniera rilevante) veniva inquadrato dall indagine all interno del più vasto disagio abitativo verso cui scivolavano settori sempre più ampi di popolazione a reddito modesto, poveri o ceti medio-bassi a rischio di povertà, senza dissociare il disagio abitativo di una parte degli immigrati da quello di una più ampia domanda di alloggi da parte delle fasce più deboli della popolazione. In quegli anni infatti emergeva in maniera crescente la necessità di interventi di sostegno ai redditi per gli inquilini, che facessero superare i divari esistenti tra un offerta di alloggi rigida e una domanda sempre più complessa, costituita da fasce basse della popolazione, in difficoltà a mantenere standard di vita che sembravano acquisiti e da nuovi segmenti di popolazione immigrata con problemi di povertà e di integrazione. 5 Marcetti C., Solimano N. (1998), Il disagio dell urbanistica, in Urbanistica, n
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