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1 ebook di Cesvot Volontariato e impresa sociale L innovazione sociale come risposta alla crisi di Luca Raffini

2 ebook di Cesvot Cesvot Edizioni Isbn Firenze, ottobre Quest opera, consultabile gratuitamente secondo i principi Free documentation License e Creative Commons, è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale. Per leggere una copia della licenza vedi: Luca Raffini è dottore di ricerca in sociologia e sociologia politica presso la Scuola di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" di Firenze. Attualmente è assegnista di ricerca presso l Università di Genova. Da anni collabora alle ricerche realizzate da Ceuriss Centro Europeo di Studi e Ricerche Sociali in collaborazione con Cesvot. Tra le sue linee di ricerca vi sono la partecipazione politica e i movimenti, la democrazia in rete, la mobilità e i processi migratori, la condizione giovanile e il precariato. Ha pubblicato numerosi contributi in libri e riviste italiane ed internazionali. Tra le sue pubblicazioni: La democrazia in mutamento. Dallo Stato-nazionale all Europa, Firenze, 2010; con G. Bettin Lattes, Manuale di Sociologia, Padova, 2011; con Luca Alteri, La nuova politica. Mobilitazioni, movimenti e conflitti in Italia, Napoli, Per Cesvot ha scritto, insieme ad Andrea Pirni e Carlo Colloca, Volontariato e advocacy in Toscana. Territorio, diritti e cittadinanza, I Quaderni, n. 68, 2014.

3 Indice Premessa Introduzione Alle radici dell impresa sociale: l integrazione tra azione economica e azione solidale Dal terzo settore all impresa sociale. Il contesto italiano ed europeo Le esperienze di impresa sociale in Toscana Il matching tra volontariato e impresa sociale Cosa significa fare innovazione sociale nel territorio Il lessico dell impresa sociale Condivisione/Rete Formazione e ricerca Innovazione Nuove tecnologie

4 Persona Sostenibilità Territorio Conclusioni Bibliografia

5 Premessa Sandra Gallerini Referente Ricerca Cesvot Quali percorsi possono favorire il matching tra la cultura del volontariato e l impresa sociale? È questa la domanda di ricerca promossa da Cesvot, che tenta di indagare il volontariato come ambito privilegiato di sviluppo di pratiche di innovazione sociale, e quindi come potenziale incubatore di nuovi modelli di imprenditoria sociale. Con l intento di preparare il nostro volontariato a recepire l importante documento sulla Social Business Iniziative, Cesvot ha intrapreso a partire dal 2012 un filone di studi sul tema dell impresa sociale e sulla responsabilità sociale d impresa 1. Successivamente, l annuncio delle Linee guida di riforma del Terzo settore 2 presentate in maggio dal Governo ha contribuito ulteriormente ad avviare un periodo di confronto e ampio dibattito a livello nazionale e toscano all interno del terzo settore con il mondo della politica. Alcune associazioni di volontariato sembrano prestare un particolare interesse all imprenditoria sociale, anche in relazione all importanza attribuita dall Ue a questa tipologia di fare impresa, pur evidenziando la necessità che a livello europeo si percepisca e recepisca la distinzione originaria fra impresa sociale e responsabilità sociale d impresa. Nonostante che non ci sia un costante dialogo con le imprese e una progettualità comune nel tempo, il volontariato sembra molto attento ai 1 L impresa sociale ex DLgs 155/2006 e suoi sviluppi profili istituzionali, caratteristiche aziendali e settori di attività (Bagnoli e Toccafondi 2013), promossa da Cesvot e Camera di Commercio di Firenze. 2 Per maggiori informazioni, consultare Non profit paper n. 3/2014 dedicato alla riforma del terzo settore. 5

6 cosiddetti incubatori di start up, finalizzati a valorizzare e accompagnare le associazioni che hanno idee innovative. Una relazione responsabile 3 che è anche il titolo di una nostra recente ricerca anticipa che è nel concetto-chiave della responsabilità un occasione di affermazione della propria identità che facilita l interazione tra settore associativo e mondo dell impresa. La comunicazione delle responsabilità sociali sta proponendo negli ultimi anni interessanti esempi di come sia possibile conciliare le proprie finalità etico-valoriali con gli obiettivi aziendali. A fronte dell attuale contesto di crisi, si guarda all impresa sociale anche come strategia per creare opportunità di lavoro per i giovani, ma anche per gli adulti che si trovano in condizioni di disoccupazione, favorendo così la diffusione di modelli alternativi alla cooperativa sociale o dell impresa commerciale tradizionale. Il nostro focus di attenzione nella ricerca sono i giovani, e in particolare la triangolazione giovani-volontariato-imprenditoria sociale, quale processo per reinventarsi il rapporto tra agire privato e agire pubblico, agire economico e agire sociale, capace di offrire risposte innovative ai bisogni sociali e al tempo stesso alla creazione di lavoro. D altronde, anche nella ricerca promossa da Cesvot e Camera di Commercio di Firenze (Bagnoli, Toccafondi 2013) abbiamo rilevato che un numero rilevante di imprese sociali è direttamente o indirettamente emanazione del mondo del volontariato, luogo in cui si sviluppano i valori, mission e vision. L imprenditore sociale diventa colui che cerca di risolvere problemi sociali che non trovano risoluzione né nell azione pubblica né nell azione privata, sperimentando approcci e metodi innovativi. Per raggiungere il nostro obiettivo di ricerca, abbiamo coinvolto nei focus group territoriali le associazioni di volontariato che hanno partecipato con successo al bando Cesvot Percorsi di Innovazione, le imprese sociali iscritte alla Camera di Commercio nella cui compagine ammini- 3 Una relazione responsabile. Associazioni e imprese per la comunicazione sociale, Cesvot, 2012, a cura di Laura Solito e Letizia Materassi. 6

7 strativa almeno il 50% delle persone abbia meno di quarant anni di età, e cooperative sociali locali. Essendo anche questa una ricerca-azione, gli esiti conseguiti saranno utili per dare indicazioni ed orientamenti operativi per individuare le connessioni tra le due sfere di intervento quella di volontariato e impresa sociale, a fronte dell attuale contesto di crisi economica e alla luce della riforma del terzo settore. Un particolare ringraziamento alla Camera di Commercio di Firenze per la disponibilità a fornirci i dati sulle imprese sociali presenti in Toscana, senza i quali non avremmo potuto realizzare questa ricerca. Un ringraziamento anche alle associazioni di volontariato e alle cooperative sociali, nonché ai testimoni privilegiati intervistati, che hanno accolto il nostro invito ad essere partecipi in prima persona nel processo di ricerca. 7

8 Introduzione Volontariato e impresa sociale tra crisi economica e mutamento Gli effetti della crisi economica e finanziaria che dal 2008 interviene sulla vita delle persone prima che sugli indicatori socio-economici del paese iniziano a qualificarsi, sotto il profilo sociologico, come fattori di mutamento sociale ben più che congiunturali. Le strutture dei bisogni e delle opportunità nonché la loro interazione risultano profondamente modificate e il trend di riduzione progressiva del Welfare State costituisce il terreno di coltura all interno del quale si rinnovano forme di sperimentazione che vedono, sempre più, nel volontariato, un soggetto attivo di trasformazione. Il superamento del tradizionale paradigma del Welfare State si afferma già prima della crisi e delinea una coordinata di mutamento che rafforza significativamente il ruolo del terzo settore. A quest ultimo si attribuisce una maggiore capacità di rispondere ai bisogni plurali delle persone e di favorire percorsi di responsabilizzazione e di auto-attivazione, rispetto al principio della risposta standard ai bisogni standard, che orientava il tradizionale modello dello Stato sociale. Il paradigma della Welfare society (Ascoli e Ranci 2003) descrive la ricerca di nuove declinazioni dei rapporti tra pubblico, privato e terzo settore, in una prospettiva di sussidiarietà orizzontale. In questo contesto di mutamento, volontariato e impresa sociale, rappresentano le due gambe di un universo in espansione, quello dell economia sociale, ambito intermedio tra il pubblico e il privato, e luogo di sperimentazione di nuovi approcci al lavoro e all azione solidale. Secondo i dati forniti da Iris Network (2014), nel 2012 si contano in Italia organizzazioni del terzo Settore, che contribuiscono al 3,4% del 8

9 Pil e che impiegano di lavoratori, oltre a di volontari. L economia sociale, mostrando un andamento anti-ciclico, è l unico settore che ha continuato ad espandersi durante la crisi, allargando il proprio ambito di azione e creando posti di lavoro, soprattutto per i giovani. Le organizzazioni dell economica sociale, oltre a svolgere una fondamentale funzione di coesione sociale, dimostrano la capacità di esprimere resilienza e di contribuire in maniera determinante all economia del paese. Lo sviluppo dell impresa sociale si pone al culmine di un più ampio processo di trasformazione del terzo settore, al cui centro vi è la nascita di un nuovo volontariato (Salvini e Corchia 2012), che reinterpreta in forma nuova la vocazione solidaristica del volontariato. Il nuovo volontariato supera il tradizionale approccio spontaneistico e compie un processo di professionalizzazione che non di rado si associa all apertura verso modalità d azione e forme organizzative proprie dell impresa tout court. Questo perché chiamato a formulare risposte efficaci e concrete a problematiche specifiche ma anche sulla scorta degli inediti significati che vengono attribuiti al volontariato da parte di coloro soprattutto le nuove generazioni che si attivano verso l impegno sociale in un contesto di incertezza e di precarietà lavorativa. Il terzo settore, infatti, si pone come ambito ideale e accessibile per utilizzare e ampliare le proprie competenze, generando percorsi virtuosi di crescita personale e collettiva. Nell ambito della società dei lavori plurali (Beck 1999) la differenziazione netta tra tempo di lavoro (retribuito), tempo libero e tempo dedicato ad attività sociali e politiche si sfuma dando forma a nuovi equilibri. Il superamento del tradizionale paradigma della gratuità a favore del paradigma della reciprocità favorisce la sperimentazione di inedite connessioni tra agire solidale e ricerca di gratificazione personale. Attiva relazioni di scambio che trasformano il destinatario dell azione da ricettore passivo a soggetto da responsabilizzare a da valorizzare. Il nuovo volontariato abbandona il tradizionale approccio caritativo a favore di un approccio imprenditoriale. Compie il passaggio da una concezione additiva ad una concezione emergentista, ossia interpreta il proprio ruolo in funzione di un progetto di trasformazione della società che passa dal cam- 9

10 biamento delle istituzioni politiche ed economiche (Zamagni 2011). Questo nuovo orizzonte di significati, lungi dal tradirne la vocazione tradizionale, attribuisce nuove funzioni al volontariato, riaffermando la sua vocazione alla trasformazione della società a partire dalle pratiche quotidiane. Il presente volume si propone di tracciare un quadro critico del fenomeno dell impresa sociale in Toscana nel contesto italiano ed europeo e di aiutare a individuare direttrici di intervento per promuoverne lo sviluppo, sia sul piano dell elaborazione di policies, sia, soprattutto, ai fini della costruzione di una rete territoriale di promozione e sostegno dello sviluppo di impresa sociale, che veda Cesvot svolgere un ruolo strategico, insieme ad una pluralità di attori, pubblici, privati e del terzo settore, attivi sul territorio. L e-book è costruito a partire dai risultati della ricerca Giovani, volontariato e impresa sociale. Il terzo settore toscano come laboratorio di nuovi modelli di sviluppo economico e sociale, realizzata da Ceuriss per conto di Cesvot, in continuità con il percorso di ricerca-studio realizzato da Cesvot sulla Social Business Initiative (Cesvot 2014). La ricerca, conclusasi a febbraio 2015, ha visto il coinvolgimento di 34 organizzazioni, in sei focus group territoriali realizzati a Firenze, Prato, Pistoia, Empoli, Arezzo, Lucca e Massa-Carrara. Ciascun focus group ha coinvolto tre tipi di attori: 1. organizzazioni di volontariato che hanno realizzato progetti vincitori del bando Percorsi di innovazione promosso da Cesvot, tra le quali sono state selezionate quelle che hanno realizzato progetti rivolti ai giovani e che per il loro approccio possono essere considerate esempi di imprese sociali potenziali; 2. cooperative sociali, selezionate fra le più attive in tema di innovazione e che si configurano come imprese sociali de facto; 3. imprese sociali ex lege 155/2006, con una particolare attenzione a quelle con una spiccata composizione giovanile (operativamente, si sono privilegiate le imprese sociali che al momento della ricerca presentavano oltre il 50% della compagine amministrativa under-40). I focus group territoriali sono stati preceduti, affiancati e seguiti da focus groups ed interviste con esperti e stakeholders, al fine di condividere ipotesi 10

11 interpretative e chiavi di lettura. I risultati della ricerca sono stati discussi in un incontro conclusivo, svoltosi presso Cesvot il 22 maggio 2015, cui hanno partecipato il Polo tecnologico di Navacchio e la Camera di Commercio di Firenze. Integrando metodologie quantitative e qualitative, e coinvolgendo attivamente i protagonisti del volontariato e dell impresa sociale in un percorso di ricercazione, si ricostruisce lo scenario di trasformazione del terzo settore in Toscana, nel contesto italiano ed europeo, si propone una definizione articolata dell impresa sociale, esplorandone caratteristiche e significati, si indagano quindi natura e forme del matching tra volontariato e impresa sociale, giungendo a definire le parole chiave che caratterizzano questo fenomeno emergente. Si ringraziano tutte le persone che hanno contribuito alla ricerca, partecipando ai focus group e alle interviste, il cui contributo ha permesso di realizzare una vera e propria autoriflessione corale. Un ringraziamento speciale va ad Andrea Pirni e a Sandra Gallerini, che hanno affi ancato l'autore nella fase di predisposizione del progetto e di ricerca sul campo, contribuendo a formulare ipotesi e chiavi di lettura. Entrambi, insieme a Carlo Colloca, hanno letto e commentato una precedente versione del testo. LE DOMANDE DI RICERCA Come si definisce l impresa sociale? Quali sono i suoi percorsi di creazione? Quali le modalità di gestione? Quali sono le principali criticità che ne frenano lo sviluppo? Quali le opportunità che crea? Qual è il rapporto/matching tra volontariato e impresa sociale? Cosa significa praticare innovazione sociale nel territorio? Quali politiche e interventi possono essere promossi dalle istituzioni pubbliche, locali, nazionali ed europee e da altri soggetti per favorirne lo sviluppo? In che modo l impresa sociale può essere una risposta proattiva alla crisi economica e uno strumento per rendere i giovani protagonisti? Quali prospettive di sviluppo ha l imprenditoria sociale nel contesto della riforma del terzo settore? 11

12 I PARTECIPANTI A FOCUS GROUP E INTERVISTE Associazioni, cooperative sociali e imprese sociali Ail (Pistoia); Alice cooperativa sociale (Prato); Associazione Alterego (Firenze); Altri valori impresa sociale (Lucca); Ape carica cooperativa sociale (Massa); Cooperativa sociale Arché (Pistoia); Archimano cooperativa sociale (Firenze); Associazione arcobaleno (Pistoia); Auser abitare solidale (Firenze); Associazione Baobab nano (Prato), Cif Carrara; Cif Massa; Compagnia delle opere; Dynamo Camp impresa sociale (Pistoia); Ente morale Camposampiero (Pistoia); Fuorimercato associazione di volontariato (Firenze); Associazione Il pozzo di giacobbe (Pistoia); Integra cooperativa sociale (Pistoia); Kepos cooperativa sociale (Prato); Koiné cooperativa sociale (Arezzo); Legambiente (Pistoia); L incontro cooperativa sociale (Lucca); La stazione associazione di volontariato (San Miniato); Cooperativa Lama (Firenze); Nomos cooperativa sociale (Firenze); Pane & rose cooperativa sociale (Prato); Associazione di volontariato partecipazione e sviluppo (Lucca); Associazione di volontariato progetto Sant agostino (Firenze); Reso recupero solidale associazione di volontariato (Empoli); Rete sviluppo cooperativa (Prato); Riciclidea, associazione di volontariato (Prato); Le sabine associazione di volontariato (Massa); Spazio giovani/spazio reale impresa sociale (Firenze); Trisonomia 21 associazione di volontariato (Firenze). Stakeholders ed esperti Anci toscana; Camera di commercio di Firenze; Regione Toscana, Cia; Coldiretti, Confartigianato; Confindustria; Legacoop; Polo tecnologico di Navacchio; Yunus center. 12

13 1. Alle radici dell impresa sociale: l integrazione tra azione economica e azione solidale Non esiste una definizione univoca di impresa sociale, e tanto meno esiste un unico modo di praticarla. In Europa, il concetto di impresa sociale si sviluppa sulla base della tradizione dell economia sociale, che pone a fondamento i principi della solidarietà, della primazia delle persone sul capitale, della democrazia e della partecipazione: principi che si sono tradizionalmente incarnati nell operato di tre soggetti: associazioni, società mutualistiche e cooperative. L economia sociale è oggi considerata un polo di utilità sociale (Ciriec 2012), che si colloca tra il settore pubblico e il settore privato, assumendo tratti propri di ciascuno di questi e al tempo stesso distinguendosi da entrambi. Organizzazioni di volontariato e fondazioni rappresentano il settore non market-oriented dell economia sociale, mentre cooperative e società mutualistiche ne rappresentano il settore market-oriented. Le prime si fondano, innanzitutto, sull apporto del lavoro volontario, mentre le seconde si fondano in forma primaria, e spesso esclusiva, sul lavoro retribuito. Il network europeo di ricerca Emes, a partire da queste radici, ha elaborato una definizione di impresa sociale piuttosto restrittiva ed esigente, che comprende nove requisiti, suddivisi in tre dimensioni chiave: la dimensione economica e imprenditoriale; la dimensione sociale; la dimensione della governance (Cfr. Defourny e Nyssens 2008). Secondo questa definizione, l impresa sociale è prima di tutto un impresa, che in quanto tale prevede un assunzione di rischio, agisce sul mercato, produce in forma continuativa beni e servizi e impiega in prevalenza lavoratori retribuiti: si differenzia, cioè, dalle organizzazioni non governative che producono beni e servizi in maniera marginale, avvalendosi in preva- 13

14 lenza di lavoro volontario, e al di fuori di un criterio di professionalità. La fi nalità sociale deve essere esplicita e costitutiva. Non basta una generica propensione fi lantropica da parte di un imprenditore. Si tratta di un elemento chiave che differenzia la concezione europea da quella anglosassone, e in particolare da quella statunitense, in cui l imprenditore sociale è un imprenditore illuminato, dotato di carisma e di uno spiccato orientamento alla fi lantropia, che genera risposte innovative ai bisogni dei cittadini per via della sua attività imprenditoriale. L impresa sociale è concepita come il frutto di un progetto collettivo e dal basso, la cui genesi sociale è comune a quella delle associazioni di volontariato, che si costituiscono a partire da un gruppo di cittadini che si uniscono per fornire una risposta a bisogni sociali altrimenti disattesi. Le tre dimensioni dell impresa sociale secondo la definizione Emes Dimensione imprenditoriale Dimensione sociale Governance democratica Produzione continuativa di beni e servizi Obiettivo esplicito di agire nell'interesse generale della comunità Elevato livello di autonomia Livello signifi cativo di rischio economico Quantità minima di lavoro non retribuito Iniziativa promossa da un gruppo di cittadini o di organizzazioni della società civile Potere decisionale non basato sulla proprietà del capitale Inclusione degli stakeholders Vincolo alla distribuzione degli utili 14

15 Alla dimensione collettiva del progetto si richiamano direttamente i caratteri che definiscono la dimensione della governance, e che individuano nell impresa sociale un organizzazione autonoma e autogovernata dagli stakeholders (lavoratori, beneficiari). Se nell impresa tradizionale il potere decisionale è proporzionale alla quota di capitale posseduta, nell impresa sociale vale il principio una testa un voto. Il radicamento dell impresa sociale nella tradizione europea dell impresa sociale, d altra parte, rischia di confinare l impresa sociale alla dimensione dei servizi per la persona. Ciò spiega la tendenza, soprattutto in Italia, ad assimilare l impresa sociale ad una delle sue componenti, la cooperazione sociale. Anche nel vecchio continente, tuttavia, e in maniera particolare in Italia, lo sviluppo dell impresa sociale, pur non rompendo la continuità con la tradizione, non esclude la sperimentazione di nuovi sentieri. È in atto un processo di ampliamento e di apertura dei confini, in termini di natura organizzativa e di ambiti di intervento, la cui sfida è promuovere la sperimentazione di nuove strade, al tempo stesso preservandone e valorizzandone le radici. Si tratta di un processo di trasformazione, attivamente promosso, in Italia, dagli interventi legislativi (D.Lgs. 155/2006 e, oggi, la legge di riforma del terzo settore), e che tende ad affermare una definizione ampia di impresa sociale, che ne pone al centro la capacità di produrre innovazione sociale. L ampliamento dei significati e degli orizzonti, del modo di vivere e praticare l impresa sociale si nutre dell incontro tra la tradizione europea e la tradizione anglosassone, nonché dello stimolo che proviene da autorevoli imprenditori sociali come Yunus, che hanno indicato nuove strade. La concezione dell impresa sociale che maggiormente enfatizza il ruolo di innovatore dell imprenditore sociale è quella formulata da Gregory Dees (1998) e da Bill Drayton, fondatore di Ashoka, un associazione attiva negli Stati Uniti dagli anni Ottanta che ha promosso e sostenuto l imprenditoria sociale. Per questi, l imprenditore è prima di tutto un individuo capace di fornire risposte innovative ed efficaci a bisogni emergenti, laddove le risposte fornite dall intervento pubblico sono assenti o insoddisfacenti. 15

16 L innovazione di prodotto, si associa di norma ad una capacità di innovazione organizzativa, che riguarda la capacità di coinvolgimento attivo degli stakeholders e di valorizzazione delle dinamiche di cooperazione. L imprenditore sociale, è insomma un leader, ma non in solitaria. Al contrario, lo è proprio per la sua capacità di lavorare in rete. Una seconda scuola di pensiero che trova origine negli Stati Uniti, più che alla natura innovativa dei beni e dei servizi prodotti dalle imprese sociali, si concentra sulla generazione di valore, in forma imprenditoriale, finalizzata alla realizzazione di attività con finalità sociale. L impresa sociale, nella cosiddetta scuola della generazione di risorse nasce quando un organizzazione non profit sviluppa una dimensione imprenditoriale, come strategia di finanziamento che servirà per permettere all organizzazione di perseguire i propri fini sociali. La funzione sociale, in questo caso, è data dall utilizzo del profitto a scopi sociali, da parte di Ong che riescono in questo modo ad auto-sostenersi, senza più dipendere da donazioni e contributi pubblici. Si tratta della concezione dell impresa sociale sostenuta da Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank, che in Bangladesh ha istituito il microcredito per sostenere la micro-imprenditorialità. Secondo Yunus, il social business è un attività imprenditoriale senza perdite e senza dividendi, il cui fine è realizzare un obiettivo sociale (Yunus 2011). Se nel Regno Unito l impresa che persegue fini sociali è la Community Interest Company (GIC, regolata con legge del 2005), negli Usa sono attive le b-corporations (imprese sociali che ottengono una certificazione dall organizzazione non profit b-lab), le benefit corporations, che si impegnano a raggiungere e a certificare impatto sociale, e le L3C (Low Profit Limited Liability Company), che sono imprese low-profit. Il punto di incontro tra le diverse concezioni riguarda la definizione dell impresa sociale come uno strumento di integrazione tra azione economica (strumentale) e azione sociale (solidale), ovvero di riconciliazione di ciò che, in un ottica tradizionale, appare come reciprocamente escludente. L impresa sociale realizza un ibridazione tra linguaggi e forme di azione 16

17 che trasforma tanto l azione economica tanto l azione solidale. Non in direzione di un assorbimento o di una sottomissione di una all altra, ma della reciproca contaminazione tra agire razionale rispetto allo scopo, tradizionalmente associato all azione economica, e agire razionale rispetto al valore, tradizionalmente appannaggio dell agire solidale. La modernità ci ha abituati a distinguere nettamente la sfera lavorativa dalla sfera privata e dalla sfera dell impegno sociale e politico. La centralità del lavoro di tipo standard ha finito per modellare ogni altra forma di relazione sociale, a partire dal volontariato, inteso come atto gratuito, di tipo non professionale, prodotto in forma libera, nell ambito del tempo libero dal lavoro. In questo modo, si è affermata l idea che le azioni dell individuo dovessero rigidamente conformarsi a principi e orientamenti diversi: l azione strumentale, di tipo economico, nell ambito lavorativo, l azione di tipo solidale, nell ambito esterno al lavoro. Il concetto di impresa sociale, al contrario, postula la possibile (o meglio, auspicabile), parziale sovrapposizione e integrazione tra la dimensione della gratificazione strumentale del lavoratore e la dimensione di gratuità e di reciprocità, tradizionalmente ascritte alla sfera del volontariato, la cui gratificazione è di tipo immateriale. Il concetto di impresa sociale non coincide con quello di Responsabilità sociale di impresa, poiché, in questa, l accento primario rimane sulla dimensione imprenditoriale, cui si aggiunge un riferimento alla funzione sociale. Non descrive neanche, specularmente, un semplice processo di professionalizzazione delle organizzazioni di volontariato, in cui continua a prevalere la dimensione volontaria e gratuita e quindi non professionale seppur con l ausilio di lavoratori professionisti. L impresa sociale è un tipo di organizzazione che è al tempo stesso imprenditoriale e sociale, che si fonda su un perfetto equilibrio tra le due dimensioni. Rappresenta un nuovo modo di essere terzo settore e un nuovo modo di essere impresa (Defourny 2001). Si conforma ai principi e ai meccanismi che regolano il mercato, sul piano delle modalità operative, ma dall economia di mercato non mutua il principio della massimizzazione del profitto pri- 17

18 vato, perseguendo, al contrario, un principio di redistribuzione. In questo modo si capovolge uno dei principi basilari dell economia di mercato, che attribuisce alle imprese private la massimizzazione dei profitti e la distribuzione delle esternalità negative poiché, al contrario, l impresa sociale si pone l obiettivo di soddisfare bisogni sociali, e quindi di produrre esternalità positive. In un contesto caratterizzato da processi di volatilità del capitale, di finanziarizzazione dell economia, di delocalizzazione e di virtualizzazione l impresa sociale si caratterizza per il suo stretto legame con il territorio. Tale rapporto è da intendersi in senso bidirezionale: l impresa sociale trae risorse di tipo relazionale dal contesto sociale in cui opera, grazie al radicamento sul territorio e alla costruzione di reti con gli altri soggetti del terzo settore. Di converso, l impresa sociale si pone l esplicito obiettivo di produrre esternalità positive per la comunità, in una prospettiva multidimensionale. L impresa sociale è uno strumento di sviluppo territoriale in una triplice prospettiva di sostenibilità economica, sociale ed ambientale. 18

19 2. Dal terzo settore all impresa sociale. Il contesto italiano ed europeo Il panorama europeo, al di là dell individuazione di alcuni caratteri di fondo che definiscono una via europea all impresa sociale, è estremamente diversificato e l eterogeneità delle normative rende difficile ricostruire la diffusione effettiva del fenomeno. Nell impossibilità di ricorrere a statistiche ufficiali, un utile stima ci viene fornita dal Global Entrepreneurship Monitor (2012) che ha quantificato il bacino dell imprenditoria sociale nei diversi paesi, considerando imprenditoria sociale ogni tipo di attività che risponde a tre requisiti: il predominio di una missione sociale; la produzione di innovazione sociale; la non redistribuzione (o redistribuzione limitata) degli utili. I dati riportati nella Fig. 4 rivelano un dato italiano in linea con gli altri paesi dell Europa mediterranea, e inferiore a quello dei paesi del nord Europa. Fino a dieci anni fa la maggioranza dei paesi europei non aveva una normativa in materia. Oggi solo una minoranza di Stati non dispone di un inquadramento normativo. I paesi membri della Ue sono accomunati dalla condivisione di nuove sfide, a partire dalla necessità di ripensare le forme e le modalità di gestione dei servizi sociali, e quindi i rapporti tra pubblico e privato. Non stupisce che a perseguire con maggiore determinazione la strada dell innovazione attraverso lo strumento dell impresa sociale siano quei paesi, come l Italia, in cui la duplice sfida di offrire risposte ai bisogni crescenti e di sopperire alla progressiva diminuzione delle risorse destinate allo Stato sociale appare particolarmente difficile. Il modello mediterraneo, in cui rientra l Italia, vede un debole sviluppo del welfare state, che tradizionalmente delega molte funzioni, che in altri paesi sono gestite dal pubblico, alle famiglie. 19

20 Lavoratori occupati in imprese sociali in Europa (%) 0,9 1,5 1,6 1,6 2,1 2,5 2,6 2,6 2,8 2,9 3 3,9 4,2 4,4 5,1 Spagna Paesi Bassi Germania Norvegia Italia Romania Francia Slovenia Lettonia Grecia Belgio Ungheria Regno Croazia Finlandia Fonte: Global Entrepreneurship Monitor (2012). Il modello mediterraneo è, d altra parte, particolarmente coinvolto dalla ristrutturazione/riduzione dell intervento pubblico. Si tratta di un processo pregresso che ha avuto un culmine con la crisi iniziata nel 2008, e che ha condotto a conseguenze particolarmente aspre in Grecia, in cui i servizi pubblici, anche fondamentali, hanno subito una drastica riduzione. La ristrutturazione dello Stato sociale, sviluppatasi sullo sfondo di un contesto di bisogni crescenti e sempre più diversificati, ha stimolato un riorientamento del ruolo del terzo settore, per cui si sono aperti nuovi ambiti di intervento. Alla luce di questi fattori di contesto, i paesi dell Europa mediterranea hanno costituito un terreno fertile per lo sviluppo dell impresa sociale, stimolando la ricerca di nuovi equilibri e l individuazione di nuove formule, al fine di dare un inquadramento specifico alla parte più imprenditoriale del terzo settore, differenziandola dalle associazioni di volontariato tradizionali. L iniziativa europea sul Social Business, avviata nel 2011, si pone l obiettivo di elaborare una strategia europea di sviluppo economicamente e 20

21 socialmente sostenibile, che proprio nell impresa sociale trovi uno degli strumenti capaci di dare corpo all obiettivo perseguito con la strategia di Lisbona e poi con Europe2020: rendere l UE l economia più competitiva del mondo basata sulla conoscenza e capace di conciliare la creazione di lavoro con la creazione di coesione sociale. La Social Business Initiative è, in questa prospettiva, finalizzata a creare un ecosistema favorevole allo sviluppo di impresa sociale, in termini culturali, normativi e di accesso al credito. Nondimeno, le politiche implementate dall Ue in materia ambiscono a favorire lo scambio delle migliori pratiche e a stimolare processi di convergenza, a partire dai tre modelli che oggi convivono. Il primo prevede l individuazione di una specifica forma organizzativa la cooperativa sociale sull esempio dell Italia, che è stato il primo paese ad approvare una legge in materia nel Questo tipo di modello specifica in modo rigido finalità, attività, incentivi e vincoli, forme di governance delle organizzazioni che vi rientrano. Il secondo modello, di matrice anglosassone, definisce l impresa sociale come una variante dell impresa privata, da cui si differenzia per il perseguimento di una finalità sociale e per il vincolo della non distribuzione degli utili, ma di cui mantiene la forma organizzativa, che è di norma la società di capitali. Infine, il terzo modello, sempre più diffuso, attribuisce lo status di impresa sociale in base al rispetto di alcuni requisiti, senza vincolarlo ad una forma organizzativa specifica. In questo caso vengono definite alcune caratteristiche che devono avere le imprese sociali per essere considerate tali, al di là della forma giuridica assunta, e che sono applicabili a organizzazioni assai diverse, dalle associazioni di volontariato alle fondazioni, dalle cooperative alle imprese private. Tra i requisiti vi sono il perseguimento di finalità di interesse generale e il divieto, o la forte limitazione, alla redistribuzione del profitto, mentre altri caratteri, come la dimensione della governance democratica, non assumono la stessa enfasi nelle diverse leggi. Il modello di riferimento, in questo caso, è quello belga. 21

22 Le normative europee in materia di cooperazione ed impresa sociale NORMATIVE SULLA COOPERAZIONE SOCIALE Italia. Disciplina Sulle Cooperative Sociali 1991; Portogallo. Cooperativa De Solidariedade Social 1996; Grecia, Koinonikos Syneterismos Periorismenis Eufthinis 1996 Koi.s.p.e ; Spagna, Sociedades Cooperativas 1999; Francia, Societé Coopérative d'interét Collectif 2001; Polonia, Act On Social Cooperatives 2006; Ungheria, Act On Cooperatives 2006; Croazia, Cooperatives Act 2011; Repubblica Ceca, Commercial Coo-Peratives Act 2012 NORMATIVE SULL IMPRESA SOCIALE Belgio. Societé a Finalité Sociale 1996; Finlandia. Act on Social Enteprprise 2003; Lituania, Law on Social Enterprise 2004; Slovacchia, Act on Employment Services 2004; Italia, Disciplina dell impresa sociale 2006; Slovenia Act on Social Entrepreneurship 2011; Danimarca, Act on registered Social Enterprises; Lussemburgo, Societé d impact Sociétal In atto; Lettonia, Law on Social Enterprise - in atto; Polonia, Act on Social Enterprises in atto; Malta Social Enterprise Act in atto Nel Regno Unito l impresa sociale è inquadrata come una società di capitali: Community Interest Companies 2005 La Legge 381/1991 istituisce le cooperative sociali rispondendo così al bisogno di stabilire un quadro giuridico che regoli la componente del settore più orientata al mercato. Negli anni precedenti, nel paese si erano già sviluppate cooperative, defi nitesi di solidarietà sociale, che utilizzavano la forma della cooperativa per perseguire un principio di mutualismo sociale in un ottica più ampia rispetto alle cooperative tradizionali, il cui operato persegue gli interesse dei soli soci. Le cooperative sociali sono defi nite dal loro orientamento all interesse generale della comunità, con un focus particolare sullo sviluppo umano e sull integrazione sociale. La legge 381/1991, stabilisce due tipi di cooperative sociali: la cooperativa 22

23 sociale di tipo A e la cooperativa sociale di tipo B. La prima è attiva nella gestione dei servizi sociali e sanitari e nel campo dell educazione. La seconda ha come mission l inclusione lavorativa delle persone svantaggiate e può operare in una pluralità di settori (agricoltura, industria, commercio e servizi). Con la legge sull impresa sociale (D.Lgs.155/2006), quindici anni dopo, il legislatore si pone l obiettivo di ampliare i confini dell impresa sociale, sia in relazione alle forme assunte, sia in relazione alle aree di intervento. Obiettivo del legislatore è dare nuovo impulso allo sviluppo dell impresa sociale, indicando nuove prospettive di sviluppo. Il decreto legislativo 155/2006 non introduce una nuova figura giuridica, ma afferma una serie di elementi definitori, rispettati i quali una serie di soggetti giuridici privati, profit e non profit, possono richiedere l iscrizione ai registri delle imprese sociali (registro L delle Camere di Commercio). I requisiti richiesti per ottenere la qualifica di impresa sociale sono: esplicitare il carattere sociale dell impresa; essere un organizzazione privata con finalità di interesse generale; non avere scopo di lucro, e prevedere quindi il reinvestimento degli eventuali utili; perseguire finalità di interesse generale; prevedere il coinvolgimento attivo di lavoratori e destinatari; indicare la locuzione impresa sociale nella denominazione. L utilità sociale può riguardare i seguenti ambiti di attività: l assistenza sociale, l assistenza sanitaria, l assistenza socio-sanitaria, l educazione, istruzione e formazione, la tutela dell ambiente e dell ecosistema, la valorizzazione del patrimonio culturale, il turismo sociale, la formazione universitaria e post-universitaria, la ricerca e l erogazione di servizi culturali, la formazione extra-scolastica. Possono essere imprese sociali associazioni riconosciute e associazioni non riconosciute, fondazioni, comitati, società cooperative, società di capitali e società di persone (ma non imprese individuali). Le imprese sociali possono nascere come soggetti creati ad hoc, ma anche come iscrizione al registro da parte di imprese preesistenti che ne possiedono i requisiti o, ancora, come gemmazione da parte delle OdV, o altri soggetti non profit, che creano imprese sociali per differenziare 23

24 l attività di prestazione di servizi dalle altre attività svolte. L obiettivo che si pone la legge è dunque duplice: da una parte offrire uno strumento agli imprenditori che perseguono finalità sociali e che orientano eticamente la loro attività. L assunzione dello status di impresa sociale, sotto questo aspetto, rappresenta un passaggio ulteriore rispetto alla responsabilità sociale di impresa. Dall altra parte si intende fornire uno strumento innovativo alle organizzazioni del terzo settore, che fino ad oggi avevano la possibilità di sviluppare la propria attività imprenditoriale all interno della cornice associativa, ma in quadro molto limitante, o di creare una cooperativa sociale che, a sua volta, è una forma molto rigida e vincolante e che mal si presta a raccogliere tutte le espressioni imprenditoriali del terzo settore. A quasi dieci anni dalla sua adozione, tuttavia, il D.Lgs. 155/2006, a differenza della L. 191/1991, ha ottenuto un debole impatto, che può essere spiegato in larga misura con la mancanza di incentivi fiscali, a fronte della presenza di oneri aggiuntivi, quali l obbligo di stesura annuale del bilancio sociale. A questo elemento possiamo aggiungere che le cooperative sociali di tipo A possono lavorare nelle aree intervento in cui si concentra la maggioranza delle imprese sociali (servizi socio-sanitari ed educativi), mentre le cooperative sociali di tipo B possono operare in un ampio spettro di attività, rispettata la condizione dell inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Il risultato di questa serie di fattori è che la forma della cooperativa sociale rimane ad oggi la più utilizzata per creare nuove imprese sociali, anche tra i giovani. Facendo riferimento ai dati della ricerca Excelsior e alle elaborazioni contenute nel terzo rapporto sull impresa sociale in Italia (Zandonai e Venturi 2014a), alla fine del 2013 si contano in Italia cooperative sociali. Il numero totale di persone impiegate nella cooperazione sociale è pari a dipendenti, cui si aggiungono volontari. Le imprese sociali iscritte all apposito registro della Camera di Commercio sono invece solo 774, con un totale di dipendenti e volontari. Se imprese sociali ex lege e cooperative sociali (imprese sociali de facto) definiscono i 24

25 confi ni formali dell impresa sociale in Italia (corrispondente a un totale di organizzazioni), l ambito di azione dell impresa sociale può essere esteso, includendovi altre organizzazioni del terzo settore o dell imprenditoria tradizionale che presentano tratti che permettono di considerarle come attori potenziali dell impresa sociale. Nell ambito del terzo settore, le organizzazioni che rientrano nell ambito dell impresa sociale potenziale sono quelle market-oriented, che producono beni e servizi ed impiegano personale retribuito oltre ad avvalersi del lavoro volontario. Si tratta di organizzazioni. A queste, gli autori del Rapporto sull impresa sociale, sommano le imprese for-profi t che possono essere considerate, almeno potenzialmente, imprese sociali, in quanto attive nei settori previsti dal D.Lgs. 155/2006. Il loro numero ammonta a Questi due sotto-insiemi, rispettivamente, del terzo settore e dell impresa privata, secondo la stima effettuata da Iris Network, compongono il potenziale ecosistema dell impresa sociale in Italia. L ecosistema dell impresa sociale in Italia Imprese for profi t attive nei settori previsti dalla legge sull impresa sociale (imprese sociali potenziali): Imprese sociali ex lege: 774 Altre organizzazioni di volontariato market oriented odv, aps, fondazioni (imprese sociali potenziali): Cooperative Sociali (Imprese sociali de facto): 12,570 Fonte: Irisnetwork 2014a 25

26 3. Le esperienze di impresa sociale in Toscana Se in Italia, e più in generale nella tradizione europea dell economia sociale, alla base dell impresa sociale vi è un forte radicamento nell associazionismo, ciò è ancor più vero in Toscana, come evidenzia la ricerca condotta da Bagnoli e Toccafondi (2012, 31). In Toscana, nel 2013, si contano associazioni di volontariato registrate all albo regionale. A queste si aggiungono associazioni di promozione sociale iscritte al relativo albo regionale. Limitandosi alle organizzazioni formalizzate, in Toscana vi sono 8,7 associazioni di volontariato e 5,5 associazioni di promozione sociale ogni abitanti. Sommando a queste le 600 cooperative sociali attive sul territorio, la cui incidenza è di 1,6 per abitanti, l incidenza delle organizzazioni del terzo settore, a livello regionale, è pari a 15,9 ogni abitanti, per un totale di organizzazioni (Osservatorio sociale regionale, 2014). Ampliando lo sguardo alle organizzazioni non iscritte ai registri e prendendo come riferimento i dati forniti dall Osservatorio sociale regionale, basati sui dati del censimento Istat 2011, si stimano organizzazioni. VOLONTARIATO E IMPRESA SOCIALE IN TOSCANA: I NUMERI Associazioni di volontariato riconosciute: (8,7/ Ab.) Associazioni di promozione sociale riconosciute: (5,5/ Ab.) Cooperative sociali: 600 (1.6/ Abitanti). Imprese sociali ex lege: 44. Associazioni attive sul territorio, comprese quelle non riconosciute:

27 Nel censimento 2011 risultano persone coinvolte in attività di volontariato, pari all 11,8% della popolazione, rispetto ad una media italiana dell 8,6%. Il dato relativo alle persone che lavorano in questo ambito, è invece in linea con quello italiano: l 1,1%. L indice di presenza del non profit, includendo organizzazioni riconosciute e non riconosciute, è invece pari a 65,1 organizzazioni ogni abitanti, rispetto al dato nazionale di 50,7 organizzazioni ogni abitanti. In linea con il dato nazionale, il numero di imprese sociali toscane iscritte nei registri della Camera di commercio è largamente inferiore al numero di imprese sociali potenziali, o de facto (le 600 cooperative sociali). Si tratta, facendo riferimento ai dati del 2013, di 44 unità. Quasi la metà di queste (21) sono attivi nella Città Metropolitana di Firenze. A Prato risulta attiva una sola impresa sociale, a Pisa le imprese sociali registrate sono 2. Ad Arezzo e a Lucca, Massa e Carrara e Pistoia si contano 3 imprese sociali, e a Livorno e a Siena 4. Un impresa sociale su quattro rivela una spiccata caratterizzazione giovanile, avendo nella propria compagine di governo una presenza maggioritaria di under-40. I contesti socio-territoriali hanno un significativo impatto nell influenzare la genesi, le modalità organizzative, gli ambiti di intervento delle imprese sociali, il loro rapporto con le organizzazioni di volontariato, con le istituzioni, con i soggetti privati. Nel caso toscano, lo sviluppo dell impresa sociale è da collocare in un contesto segnato dal radicamento storico delle organizzazioni di volontariato e della strutturata rete di relazioni che queste hanno intessuto con le istituzioni locali. La presenza di una forte triangolazione fra associazionismo, imprese sociali e istituzioni locali si riflette nella larga prevalenza, fra le imprese sociali, di cooperative sociali, che nella maggior parte dei casi nascono in forma di gemmazione da parte di organizzazioni di volontariato, con cui mantengono stretti rapporti. Oltre che dal forte e costitutivo radicamento nel tessuto associativo le imprese sociali toscane sono caratterizzate dal mantenimento di stretti legami di cooperazione con le istituzioni locali che, data la natura dei servizi prodotti, spesso rappresentano i principali in alcuni casi gli uni- 27

28 ci committenti e fonti di finanziamento delle imprese sociali. In sintesi, i caratteri dell impresa sociale in Toscana riflettono e per alcuni aspetti amplificano le specificità del modello italiano ed europeo dell impresa sociale ponendo al centro la natura collettiva dell impresa e il nesso costitutivo tra dimensione imprenditoriale e dimensione volontaria, cui si aggiunge la spiccata propensione ad attivarsi nel settore dei servizi alla persona. Proprio a partire da questa caratterizzazione emergono elementi di forza e di criticità, che si palesano dal momento che la forte e radicata connotazione sociale delle imprese sociali rischia di sbilanciare l equilibrio con la dimensione imprenditoriale, laddove una delle principali sfide cui sono chiamate a rispondere le imprese sociali riguarda proprio la conciliazione delle due dimensioni. La ricerca sul campo, nondimeno, ha evidenziato la capacità delle imprese sociali toscane di conciliare le proprie radici, che le legano in maniera inscindibile al mondo del volontariato, da cui attingono i valori e gli orientamenti di fondo, con la sperimentazione di percorsi di innovazione, che sono particolarmente apprezzabili nelle imprese sociali con una spiccata componente giovanile. La ridotta incidenza di imprese sociali delle organizzazioni iscritte all apposito registro della Camera di Commercio, può essere letta come il frutto di una presenza pregressa di impresa sociale che, sviluppatasi, in forma de facto o potenziale, prima dell approvazione del D.Lgs. 155/2006, non ha compiuto il passaggio del riconoscimento formale in quanto questo tipo di opzione, che, come sottolineato dagli stessi protagonisti, non offre vantaggi effettivi per le organizzazioni già attive in altre forme nell impresa sociale. Specularmente, se la via della costituzione come impresa sociale ex lege è stata prescelta, rispetto alle opzioni alternative, da alcuni imprenditori sociali di nuova generazione, la maggioranza delle nuove esperienze di impresa sociale si è sviluppata adottando la forma più tradizionale della cooperativa sociale (da alcuni giovani partecipanti ai focus group definita vecchia e nuova, in virtù della sua capacità di essere utilizzata per sviluppare esperienze innovative e che fuoriesco- 28

29 no dall ambito di azione più tradizionale della cooperazione sociale), o utilizzando lo strumento dell impresa profit, o della cooperativa (di tipo tradizionale) per sviluppare finalità sociali. Ciò che trova chiara conferma è la dinamicità del mondo dell associazionismo, che si rivela un ambito privilegiato di creazione di imprenditoria sociale. L ampio e variegato mondo del volontariato è contiguo, complementare, e per molti aspetti caratterizzato da zone di sovrapposizione con il mondo dell impresa sociale, con cui il volontariato condivide principi, valori, modelli di riferimento e, in alcuni casi, anche modalità di azione. Le associazioni di volontariato non sono solo naturali partner delle imprese sociali: in molti casi le seconde sono diretta o indiretta emanazione delle prime. Il rapporto tra volontariato e impresa sociale è costitutivo di quest ultima. Fra le esperienze di impresa sociale monitorate in Toscana, e che affondano le proprie radici nell associazionismo possiamo distinguere tre tipi di percorso: la gemmazione diretta da associazioni di volontariato; la trasformazione in senso imprenditoriale di associazioni; la nascita a seguito di percorsi autonomi, da parte di soggetti con esperienze pregresse di volontariato. Le associazioni di volontariato toscane svolgono una funzione di incubatore di impresa sociale, in quanto luogo di incontro, di confronto e di contaminazione di competenze, di elaborazione di progetti, di apprendimento informale e di networking. 29

30 I tre modelli di genesi dell impresa sociale dal volontariato GEMMAZIONE DIRETTA DA ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO Imprese sociali come spin-off di associazioni di volontariato. Strategia perseguita da parte di associazioni che nel perseguimento della propria mission si trovano ad ampliare e diversificare le proprie attività, compiendo un processo di professionalizzazione, che richiede una crescente presenza di personale retribuito. Le imprese sociali mantengono solitamente rapporti stretti con l associazione di provenienza, di cui rappresentano l ala imprenditoriale e con cui condividono le finalità sociali di fondo. Protagoniste nella creazione di spin-off imprenditoriali sono soprattutto associazioni medio-grandi, ben strutturate, che dispongono delle risorse organizzative e delle competenze per progettare la creazione di un impresa sociale che, di norma, sviluppa attività già in essere, seppur in forma meno strutturata, nell associazione stessa. Questo tipo di percorso radica l impresa sociale in un tessuto preesistente di relazioni, apportando un valore aggiunto, in termini di connessione con il tessuto locale e di vicinanza ai bisogni dei cittadini. Il mantenimento del nodo ombelicale con l associazione di riferimento, può costituire un limite in termini di propensione all innovazione e spingere a mantenere un enfasi prioritaria sulla dimensione sociale, a scapito della dimensione imprenditoriale: i settori di intervento sono quelli tipici dell associazionismo. In linea con la tradizione europea dell economia sociale, per cui la vendita di beni e servizi sul mercato è un opzione residuale. 30

31 TRASFORMAZIONE IN SENSO IMPRENDITORIALE DI ASSOCIAZIONI L associazione, come compimento di un processo di imprenditorializzazione, porta a termine la trasformazione in impresa sociale. Si tratta di un tipo di percorso che, se in alcuni casi conduce alla creazione di imprese sociali de facto, da parte di organizzazioni che presentano molte delle caratteristiche costitutive dell impresa sociale, pur senza possederne il titolo formale, è riconosciuto e regolato dal D. Lgs. 155/2006, che prevede che fra i soggetti che possono assumere lo status di impresa sociali vi siano le associazioni di volontariato, così come fondazioni e associazioni di promozione sociale. La strada della trasformazione diretta delle organizzazioni di volontariato in impresa sociale è comunemente ritenuta dagli studiosi non auspicabile perché, rispetto alla strada dello spin-off che avvia un attività imprenditoriale mantenendola distinta, seppur integrata, alle associazioni di volontariato, tende a produrre tensioni che non favoriscono il completamento della trasformazione di status. IMPRESE SOCIALI CHE NASCONO DA UN INIZIATIVA DAL BASSO, INDIPENDENTE ED AUTONOMA Ne sono di solito protagonisti individui che provengono da esperienze di volontariato, in cui hanno maturato competenze e sensibilità. La maggior parte dei fondatori di imprese sociali sottolinea l importanza del volontariato come esperienza fondativa. In questo caso, tuttavia, la creazione dell impresa sociale non avviene all interno dell associazione, o delle associazioni di origine. Le imprese sociali che nascono sulla base di un background associativo ma non essendone diretta emanazione, nella fase di start-up richiedono una più forte spinta imprenditoriale da parte dei fondatori, poiché non possono appoggiarsi in maniera diretta su strutture e risorse preesistenti, e il settore di intervento può diversificarsi rispetto alle esperienze maturate in precedenza. 31

32 4. Il matching tra volontariato e impresa sociale La riflessione sul possibile matching tra volontariato e impresa sociale si sviluppa a partire dal presupposto che tra le due anime del terzo settore, ed in particolare tra volontariato e cooperazione sociale, vi è un naturale rapporto di collaborazione, di sinergia e di scambio, che vede nelle associazioni di volontariato un naturale ambito di incubazione di imprenditoria sociale, nonché soggetti coinvolti in reti di progetti e di pratiche, in cui le diverse organizzazioni coinvolte si rafforzano e di arricchiscono a vicenda, nella generazione di benefici per la società. I due mondi non sono, del resto, solo caratterizzati da un comune orizzonte di valori e di orientamenti, ma, sempre più, dalla condivisione di approcci e di modalità organizzative. In conseguenza di ciò, più che identificare due mondi chiaramente definiti, il rapporto tra volontariato e impresa sociale può essere concepito nei termini di un continuum, che vede ai due poli l impresa sociale strettamente definita, ovvero un organizzazione che, pur coinvolgendo anche volontari, ha una natura prettamente imprenditoriale, ma che persegue finalità sociali, e l associazione di volontariato nella sua forma pura, ovvero l associazione di volontariato che si fonda esclusivamente sul lavoro volontario e non sviluppa una dimensione market-oriented. Lungo il continuum costruito a partire dai due idealtipi, l impresa sociale definita in senso formale e l associazione di volontariato pura, esiste una pluralità di forme, in cui la dimensione del volontariato si concilia con il perseguimento di una prospettiva imprenditoriale e con il coinvolgimento di personale retribuito. In particolare, vi è un ampia area in cui operano associazioni di volontariato il cui grado di imprenditorializzazione le rende, di fatto, assimilabili alle imprese sociali, al di là del dato 32

33 nominale. L individuazione dei confini tra volontariato e impresa sociale è, tuttavia, un necessario presupposto su cui fondare la riflessione su un possibile matching che si traduca nello sviluppo di processi virtuosi di creazione di valore sociale, e non nella generazione di elementi di ambiguità, con particolare riferimento allo status del lavoro retribuito e alla massa a valore economico del lavoro volontario. A partire da una condivisione in merito alla reciproca delimitazione tra la sfera di azione dell associazionismo e la sfera di azione dell impresa sociale, è possibile lavorare alla costruzioni di un sistema territoriale, in cui le due anime del terzo settore possano cooperare, nel rispetto delle proprie prerogative. Le associazioni, dato il loro radicamento nel territorio, riescono, prima e meglio di altri soggetti, comprese le istituzioni pubbliche, ad analizzare le dinamiche di mutamento, ad intercettare i bisogni insoddisfatti e ad attivarsi per cercare una risposta realizzando una fondamentale funzione di antenna territoriale dei bisogni dei cittadini. D altra parte, dato il loro ruolo, le associazioni non possono e non devono fornire in forma autonoma una risposta a 360 gradi, soprattutto quando queste, per il loro carattere di complessità, richiedono professionalità elevate e specifiche e interventi strutturati e in forma continuativa. In questo caso, l associazione riesce ad assolvere la sua funzione se si pone al centro di una rete, composta di attori pubblici e del terzo settore, all interno della quale progettare forme di intervento che attribuiscano ad ognuno un compito e un ruolo specifico, in ragione della sua natura. L impresa sociale può nascere proprio come strumento di risposta ai bisogni intercettati e tematizzati dalle associazioni. Queste, dal momento che intercettano o creano un bisogno, creano anche nuove opportunità di intervento, e quindi lo spazio per la creazione di posti di lavoro. Tra associazioni e imprese sociali attive sul territorio è quindi auspicabile una sinergia, di tipo bidirezionale. Se l associazione di volontariato agisce da terminale nella società, trasformando i bisogni in domande, cui l impresa sociale può dare risposta, i due mondi che compongono il ter- 33

34 zo settore hanno bisogno l uno dell altro, all interno di un circuito virtuoso di crescita collettiva che costituisce una ricchezza per l intera società. Al centro delle reti territoriali che coinvolgono associazioni e imprese sociali vi è la promozione di pratiche di innovazione sociale, che si sviluppano tramite il processo di individuazione dei problemi, la loro trasformazione in bisogni, la ricerca e alla formulazione di risposte, dando forma a processo virtuosi di crescita collettiva. L incontro e la cooperazione tra associazioni e imprese sociali conferisce strumenti e risorse alle prime, e consente alle seconde di mantenere il loro rapporto con la società e di non smarrire la loro dimensione sociale per assumere approcci da impresa tradizionale. Il terzo settore si evolve e si differenzia, e, come ogni organismo complesso, può sviluppare forme di coordinamento e di interdipendenza se i diversi attori che ne fanno parte assumono consapevolezza di questa natura articolata e complessa, in cui ogni parte svolge un ruolo che completa, integra e valorizza l altro. La costruzione di reti di pratiche e di luoghi di costruzione e di condivisione di orizzonti comuni, in sintesi, è ciò che permette al volontariato e all impresa sociale di realizzare processi di matching e di contribuire alla costruzione di un ecosistema territoriale di impresa sociale, partire dalla messa in rete di organizzazioni di diverso tipo e di diverso orientamento, ognuna delle quali può contribuire in ragione della sua diversità. La strada della cooperazione, della condivisione e della sinergia, può rappresentare una strategia di valorizzazione reciproca che non inverte una tendenza alla frammentazione, insita nel nuovo volontariato, ma che non di meno può favorire lo sviluppo di progettualità e orizzonti comuni. Una delle preoccupazioni più avvertite dai protagonisti dell impresa sociale sul territorio è in che modo, sul piano operativo, può trovare conciliazione la dimensione imprenditoriale con la dimensione sociale, senza che una prenda il sopravvento sull altra, finendo per snaturare il concetto di impresa sociale. Fare impresa sociale implica un equilibrio che deve essere costantemente rinnovato, implica una costante autorifles- 34

35 sione sul proprio ruolo e sulle proprie modalità di azione. Non è un imprimatur che, posto a fondamento della propria attività, continua automaticamente a riprodursi. Il radicamento dell impresa sociale nel volontariato fa sì che, nelle fasi iniziali, si tenda a problematizzare maggiormente la dimensione imprenditoriale rispetto alla dimensione sociale, in quanto quest ultima rappresenta il punto di partenza, sul quale costruire un progetto imprenditoriale. Non basta anteporre la parola impresa a quella sociale. Chi ha compiuto questo passaggio testimonia di quanto sia imprescindibile lo sviluppo di una forte dimensione imprenditoriale, sul piano delle competenze, sul piano organizzativo, e prima ancora sul piano culturale. Così come non basta una generica sensibilità sociale per costruire una impresa sociale a partire da una base imprenditoriale, non basta costituirsi come impresa a partire da esperienze di volontariato per realizzare una reale impresa sociale. Il principio basilare, per cui l impresa sociale deve essere pensata prima di tutto come un impresa, si traduce in quattro regole auree che deve seguire l aspirante imprenditore sociale, e che definiscono la capacità da parte dell organizzazione di agire come attore solidale, imprenditoriale, efficace e capace di agire in forma autonoma, e che si sintetizzano nella ragionevole aspettativa di una sostenibilità economica che si integri e sostenga la sostenibilità sociale. Questo tipo di passaggio rappresenta uno dei principali punti deboli nella creazione di imprese sociali in Italia, dal momento che spesso la spinta ideale e l orientamento sociale non si conciliano con una mentalità e competenze imprenditoriali altrettanto sviluppate. Ciò significa che le imprese sociali corrono il rischio di continuare ad agire con la logica dell associazione di volontariato, e quindi a sostenersi in via esclusiva con i contributi pubblici. La creazione di uno spin-off imprenditoriale ha quindi una sua giustificazione se si intravede una possibilità di ampliamento e trasformazione delle modalità di azione e una possibilità di sostenibilità economica sul mercato. 35

36 LE REGOLE AUREE PER AVVIARE UN IMPRESA SOCIALE 1. Valutare l efficacia. In che modo compiere questo passaggio offra un valore aggiunto, permettendo di realizzare in maniera più efficace e più efficiente i propri obiettivi sociali rispetto alla forma dell associazione di volontariato? 2. Riflettere sulla sostenibilità economica. Dando per acquisito l orientamento sociale dell impresa, vi sono tra i fondatori le competenze e le capacità necessarie per gestire una attività imprenditoriale, che implica un assunzione di rischio e la responsabilità di retribuire i lavoratori? 3. Valutare i presupposti di autonomia. Se il servizio o prodotto può essere venduto sul mercato, quali sono i destinatari e, in particolare, se è possibile perseguire forme di sostentamento che non implichino la dipendenza dalle amministrazioni pubbliche. 4. Riflettere sull esistenza di una solida vocazione sociale. Rispettati i suddetti criteri, l organizzazione mantiene la sua mission sociale, ovvero una vocazione solidaristica e non strumentale? Nelle imprese sociali fondate e amministrate da giovani, la sensibilità nei confronti del tema della sostenibilità economica è particolarmente spiccata, e si traduce nella volontà di uscire dalla dipendenza dalle amministrazioni o da altri soggetti e di perseguire una strategia di autonomia e di sostenibilità fi nanziaria, che si ottiene progettando attività che generino un profi tto da reinvestire per le finalità sociali dell impresa. La fase di trasformazione dell idea in progetto concreto è di assoluta delicatezza. In una fase preliminare si valuta la possibilità concreta di costruire un progetto di impresa, sul versante prettamente imprenditoriale. Si valuta cioè se vi è un mercato, se vi sono i presupposti di sostenibilità 36

37 economica, se vi sono le competenze e le risorse necessarie e come, eventualmente, reperirle. Valutata la fattibilità del progetto, si tratta di individuare che tipo di percorso compiere e che tipo di partner coinvolgere. In questa fase gli aspiranti imprenditori sociali sono chiamati a scegliere la modalità organizzativa che vogliono darsi, nel quadro della pluralità di alternative disponibili. Nello specifico, si tratta di scegliere se costituirsi come impresa sociale ex lege, e in questo caso con quale forma giuridica, o se costituirsi come cooperativa sociale: una strategia che ancora oggi è perseguita dalla maggioranza delle neonate imprese sociali. Vi è anche, soprattutto tra i giovani, chi, per realizzare il proprio progetto di impresa sociale, sceglie di adottare una forma giuridica diversa, come quella della cooperativa o della società di capitali, senza richiedere il riconoscimento dello status di impresa sociale, ritenendo che questo comporti più oneri che vantaggi. In questa fase, le imprese sociali nate come spin-off di grandi associazioni trovano il sostegno, oltre che economico, nella struttura, nelle risorse e nelle competenze offerte dall associazione stessa. Le imprese sociali nate da associazioni più piccole o in forma autonoma, non possono contare su una simile forma di sostegno. Per sostenere questo tipo di progetti diventa fondamentale la capacità di sostegno e di supporto da parte di soggetti che siano in grado di esercitare una funzione di orientamento e di fornire il necessario know-how; che sappiano, in definitiva, sviluppare una funzione di incubazione, che accompagni gli aspiranti imprenditori sociali nel valutare: 1. Se vi sono i presupposti per progettare una attività imprenditoriale; 2. Quali sono le competenze necessarie; 3. Qual è la forma organizzativa migliore; Oggi questo tipo di funzione è svolta da una pluralità di soggetti: incubatori istituzionali e gestiti dal terzo settore, associazioni di categoria, Camera di commercio, centri di ricerca privati e universitari, che potrebbero valorizzarsi a vicenda formando una rete territoriale di supporto all imprenditoria sociale. 37

38 Se il problema di fondare un progetto di imprenditoria sociale su una solida dimensione imprenditoriale è avvertito soprattutto nella fase di avvio, e richiama il rischio di creare organizzazioni che, seppur nominalmente imprenditoriali, non si discostano dal modus operandi delle associazioni di volontariato, il punto di vista si ribalta nel caso delle imprese sociali consolidate. Queste, dato il loro livello di sviluppo, tendono a diversificare le attività e coinvolgono un alto numero di lavoratori. In questo caso un rischio che si corre è quello di una progressiva diluizione della carica ideale che aveva accompagnato la nascita dell impresa. In particolare, si sottolinea il rischio che i lavoratori che entrano in una cooperativa già avviata vi vedano esclusivamente un opportunità di lavoro, e che l aumento di dimensioni, frutto di un successo imprenditoriale, accompagni un processo di imprenditorializzazione che va a scapito della dimensione sociale. Si sottolinea, tuttavia, come l impresa sociale abbia degli strumenti per neutralizzare questo rischio e per alimentare, riprodurre e rinnovare la carica ideale che aveva accompagnato i soci fondatori, cui spetta il compito di trasmettere il senso e il significato dell impegno nell impresa sociale ai nuovi arrivati, non adottando un approccio meramente manageriale, ma integrando questo con un approccio da volontario. Nel caso delle cooperative sociali, il principio stesso di mutualità, che prevede la figura del socio lavoratore, favorisce lo sviluppo di una identificazione con l attività svolta dall impresa, che va al di là del solo rapporto economico. Il principio della governance democratica, quando non viene adottato solo in modo formale, coinvolge tutti i lavoratori nella definizione delle scelte e degli indirizzi, ed è uno strumento di inclusione che non si ha nelle attività imprenditoriali profit. Un altro elemento chiave è quello della formazione continua dei lavoratori, poiché la formazione costituisce uno strumento di continua riflessione sul proprio operato, oltre che uno strumento di innovazione. 38

39 5. Cosa significa fare innovazione sociale nel territorio Al volontariato, in quanto attività che cerca di interpretare, anticipandoli, i bisogni emergenti, al fine di formulare risposte, è attribuita una funzione di innovazione sociale, che nel caso dell impresa sociale diventa ancor più centrale, al punto che, soprattutto nella tradizione anglosassone, il concetto di innovazione sociale è costitutivo del concetto di impresa sociale. Fare innovazione sociale non significa, in sé, inventare prodotti o servizi nuovi: un prodotto, o un servizio, possono essere tecnologicamente avanzati e offrire possibilità prima inesistenti, ma non apportare un significativo contributo di innovazione sociale, o farlo in maniera indiretta e non pienamente intenzionale. Al contrario, l impresa sociale si pone come obiettivo principale ed esplicito quello di contribuire al miglioramento della società, anche attraverso l introduzione di beni e servizi che non contengono in sé rilevanti elementi di innovazione, sul piano tecnologico, ma che ottengono un effettivo impatto sulla società, magari ricombinando in forma innovativa risorse ed idee preesistenti. L innovazione sociale, partendo da questo presupposto, può essere definita come la capacità di offrire risposte innovative a bisogni sociali che in precedenza non trovavano risposte o trovavano risposte inadeguate. Questo risultato può essere ottenuto introducendo servizi o prodotti esistenti in altri territori ma che non erano disponibili nel territorio di riferimento, producendo beni o erogando servizi già esistenti ma in forma più efficace e con maggiori criteri di equità, combinando risorse materiali e immateriali in forma nuova, ottenendo una risposta nuova e migliore ai bisogni della collettività. L innovazione può essere di tipo evolutivo, quando si sperimentano nuove modalità per rispondere a bisogni preesistenti 39

40 o totale, se le nuove modalità di intervento implementate rispondono a bisogni nuovi e non tematizzati in precedenza. Alla base dei processi di innovazione sociale vi è, in ogni caso, un percorso che conduce dalla ricognizione dei bisogni alla ricerca di nuove soluzioni, e quindi alla realizzazione di risposte innovative. Per il terzo settore le risorse immateriali, a partire dalla dimensione umana e relazionale, costituiscono una ricchezza che permette di offrire risposte anche in presenza di una ridotta disponibilità di risorse materiali. Perciò il volontariato ha la capacità di cogliere con anticipo, rispetto alle istituzioni pubbliche, i bisogni emergenti, riuscendo al contempo a fornire risposte più flessibili, e quindi più efficaci. Un fattore determinante che qualifica il terzo settore è la capacità di mettere in connessione risorse, competenze, sensibilità diverse. La contaminazione di esperienze si riflette nell elaborazione di risposte multidimensionali, la cui efficacia è favorita dall elemento del coinvolgimento attivo dei destinatari. Rispetto ad altri attori, sia pubblici che privati, il terzo settore è più vicino ai cittadini e più radicato nei contesti locali, e per questo in grado di comprenderne i bisogni, dando forma a processi di innovazione che non seguono un percorso dall alto verso il basso, ma dinamiche di elaborazione dal basso, coinvolgendo attivamente gli stessi destinatari degli interventi o dei servizi. Alle radici del terzo settore vi è, non a caso, l idea di cittadini che si auto-attivano per la produzione di servizi che contribuiscano al miglioramento della società. 40

41 I SEI MOMENTI DELL INNOVAZIONE SOCIALE SECONDO MURRAY ET AL. (2010) 1. Suggerimenti, ispirazioni e diagnosi. È la fase in cui, in conseguenza dei processi di mutamento sociale, si presentano nuove sfide, che si traducono in bisogni emergenti. In questa fase, i processi di innovazione prendono forma a seguito della capacità di individuare e dare forma ai problemi emergenti, identificandone le cause. 2. Proposte e idee. È il momento in cui si cercano nuove risposte avviando una fase di confronto creativo su una pluralità di ipotesi e opzioni. 3. Prototipi ed esperimenti. In questa fase si procede alla sperimentazione delle proposte elaborate e se ne verifica l efficacia, coinvolgendo e interagendo con un pubblico più ampio. 4. Conferme. L idea entra in una fase pienamente progettuale, e ne viene assicurata la sostenibilità finanziaria e organizzativa. 5. Organizzazione e diffusione. Si adottano strumenti per diffondere la nuova pratica, attraverso strategie di scaling, processi di emulazione e scambio di competenze. 6. Cambiamento del sistema di riferimento. L innovazione si radica nelle pratiche sociali, conducendo a un cambio di paradigma, che si riverbera in una pluralità di ambiti e di attori, compreso quello pubblico. 41

42 Le imprese sociali, al pari delle associazioni di volontariato, non concepiscono il loro ruolo meramente come quello di produttori di beni e servizi che, seppur in un ottica non profit, perseguono un incontro tra domanda e offerta, attraverso il più ampio coinvolgimento degli interessi e delle competenze nell elaborazione e nella implementazione della risposta. L innovazione sociale, in quanto risposta innovativa a bisogni sociali diffusi, è uno sforzo di natura collettiva, più che il prodotto di un individuo illuminato e dotato di capacità straordinarie. È un processo di creazione di valore che si fonda sulla combinazione, messa in rete, ibridazione, riconnessione di risorse esistenti, per cui la somma delle risorse, materiali e immateriali esistenti, attraverso un processo di condivisione, genera un valore superiore alla somma della parti. Il richiamo alla condivisione, alla connessione e alla contaminazione, si associa ad un richiamo alla natura pragmatica dell innovazione sociale, che, in quanto ricerca di risposte a bisogni insoddisfatti, non può nascere da presupposti ideologici, ma fondarsi su una lettura delle esigenze reali, a partire prima di tutto dalle esperienze personali delle persone che si riuniscono in una associazione proprio per condividere un bisogno comune e per cercare, in un ottica di rete, la migliore risposta. Questa non deve necessariamente essere nuova in senso assoluto, ma che può anche rappresentare il recupero di una pratica tradizionale, o la sua riproposizione in contesti diversi, assumendo la forma dello scambio delle migliori pratiche. Anche il recupero di una pratica tradizionale, e in seguito abbandonata, può contribuire a generare risposte innovative e che rompono gli schemi. Un altro elemento che caratterizza l innovazione sociale, intesa come capacità di risposta innovativa ai bisogni emergenti è la velocità, intesa come capacità di anticipare i tempi, interpretando i bisogni prima ancora che questi, in quanto insoddisfatti, si presentino nella forma di privazione e disagio. Il terzo settore non si caratterizza solo per fornire risposte che il pubblico non soddisfa, ma per offrire risposte diverse, che superano la logica della settorialità, che si propongono di intervenire in maniera multidimensionale nella 42

43 risoluzione del disagio e che si pongono come obiettivo quello di fornire alle persone gli strumenti di autonomizzazione, che non le rendano cioè, in futuro, dipendenti dai servizi sociali o dal sostegno del volontariato. Il terzo settore, se si limita a compiere una funzione di integrazione e di surroga al pubblico non realizza processi di innovazione sociale. Questa si realizza se la dimensione dell emersione/tematizzazione dei bisogni e la dimensione della costruzione di nuove risposte si accompagna ad una dimensione di advocacy per cui la costruzione di un bisogno e l elaborazione di una proposta culminano nell affermazione di un diritto che, in quanto tale, spetta al pubblico, in maniera diretta o in diretta, garantire. Questa visione, che affida al terzo settore un ruolo di emersione e di sperimentazione di pratiche che trovino ampliamento e istituzionalizzazione anche negli attori pubblici contrasta con una visione del terzo settore che si limita a svolgere una funzione di integrazione e di surroga, svolgendo servizi che il pubblico non garantisce, o, peggio, che non garantisce più, delegandoli. Il terzo settore, in sintesi, agisce innovando non per intervenire dove il pubblico non interviene, ma per intervenire dove il pubblico non interviene ancora, di modo che serva anche per indicare al pubblico la strada da seguire. La capacità di porre alla base della propria azione una dinamica di formazione continua, significa considerare la cultura un elemento fondamentale di sviluppo umano, ancor prima della dimensione tecnica degli interventi. Proporre modelli culturali alternativi, di metterli in pratica nella propria azione quotidiana e al tempo stesso di promuoverne la diffusione nella società rappresenta un fattore chiave che definisce la capacità del volontariato e dell impresa sociale di innovare socialmente. Senza una riflessione sui modelli culturali, e senza una capacità di analisi della società, il terzo settore perde la capacità di interpretare e orientare le dinamiche di mutamento. Ciò significa che la sperimentazione di nuovi percorsi si completa con un opera di sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza, finalizzata a diffondere e sedimentare nuovi approcci, e ad una attività di advocacy nei confronti delle istituzioni pubbliche, affinché le idee e le pratiche sperimentate dal terzo settore diventino un patrimonio comune. 43

44 6. Il lessico dell impresa sociale La ricerca sul campo condotta nei territori toscani ha permesso di stimolare un confronto collettivo tra le diverse anime che compongono il mondo dell impresa sociale. La discussione a più voci che ne è scaturita ha favorito processi di chiarimento e di auto-chiarimento, spingendo i protagonisti dell impresa sociale ad interrogarsi riflessivamente sui propri orientamenti, sulle proprie strategie e sulle proprie modalità di intervento. Il confronto ha permesso di individuare alcune parole chiave che formano un vero e proprio lessico dell impresa sociale. Fig: Il Lessico dell impresa sociale 44

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